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La figlia dell’alchimista, di Natasha Mostert (Season of the witch)




Un gothic-occult-sci-fi triller che ruota attorno alla figura di Gabriel Blackstone, il quale oltre ad essere un abile hacker è anche un esperto remote viewer che vive di stratagemmi rubando qualsiasi segreto: grazie ai poteri della sua mente è in grado di vedere mediante la mente altrui oppure di rintracciare a distanza cose o persone scomparse. Forte di queste sue facoltà inizia ad indagare sulla scomparsa di un ragazzino, incappando così in una serie di sinistri episodi a partire dall’incontro con due stupende sorelle che praticano alchimia e padroneggiano l’arte della memoria (palese riferimento a personaggi del calibro di Giordano Bruno, Raimondo Lullo, ecc.). All’interno dell’intrigante triangolo formato da Gabriel e le due streghe si svilupperanno suggestivi scenari in stile matrix, anzi inception: il protagonista, ammaliato dai misteri delle mnemotecniche e dell’alchimia delle sorelle, si troverà costretto a combattere all’interno della propria mente, ma non in modo lineare bensì su più piani (multi-livelli), un’avventura interiore dispiegata attraverso diversi layers mentali, dimodoché la mente diventi un palazzo (della memoria) sede di importanti informazioni archiviate in diverse stanze, a cui è possibile accedere solo seguendo una precisa mappatura, disposizione, un ordine spaziale intelligibile solo da chi possiede le migliori caratteristiche di un mago.
In ultima istanza – la figlia dell’alchimista – è una storia sulla “memoria” intrisa di numerosi simbolismi, un romanzo di redenzione, una piacevole lettura serale…

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