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LEO - BARRIERE




Giovani Colazza, introduzione alla magia, gruppo di ur

Il primo movimento dell’uomo che cerca la via deve essere quello di spezzare l’immagine abituale che ha di se  stesso. Soltanto allora egli potrà cominciare a dire IO, quando alla parola magica corrisponda l’immaginazione interiore di un sentirsi senza limiti di spazio, di età e di potenza.
Gli uomini devono raggiungere il senso delle realtà di se stessi. Per ora essi non fanno che limitarsi e stroncarsi, sentendosi diversi e più piccoli di quel che sono; ogni loro pensiero, ogni loro atto è una sbarra di più alla loro prigione, un velo di più alla loro visione, una negazione della loro potenza. Si chiudono nei limiti dei loro corpi, si attaccano alla terra che li porta: è come se un’aquila si immaginasse serpente e strisciasse al suolo ignorando le sue ali.
E non solo l’uomo ignora, deforma, rinnega se stesso, ma ripete il mito di Medusa e impietra tutto quello che lo circonda; osserva e calcola la natura in peso e misura; limita la vita intorno a lui, supera i misteri con le piccole ipotesi; fissa l’universo in una unità statica, e si pone alla periferia del mondo timidamente, umilmente, con una secrezione accidentale, senza potenza e senza speranza.

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L’uomo è il centro dell’universo. Tutte le masse fredde e incandescenti delle miriadi di mondi non pesano nella bilancia dei valori quanto il più semplice mutamento nella sua coscienza. I limiti del suo corpo non sono che illusione; non è solo alla terra che si appoggia, ma egli si continua attraverso la terra e negli spazi cosmici. Sia che muova il suo pensiero o muova le sue braccia, è tutto un mondo che si muove con lui; sono mille forze misteriose che si lanciano verso di lui con un gesto creativo, e tutti i suoi atti quotidiani non sono che la caricatura di quello che fluisce a lui diversamente.
Così pure deve volgersi intorno e liberare dall’impietramento ciò che lo circonda. Prima di saperlo, dovrà immaginare che nella terra, nelle acque, nell’aria e nel fuoco vi sono forze che sanno di essere, e le così dette forze naturali non sono che modalità della nostra sostanza proiettata al di fuori. Non è la terra che fa vivere la pianta ma le forze nella pianta che strappano alla terra elementi per la propria vita. Nel senso della bellezza delle cose deve innestarsi il senso del mistero delle cose come una realtà ancora oscura ma presentita. Poiché non soltanto quel che possiamo vedere e conoscere deve agire in noi; ma anche l’ignoto coraggiosamente affermato e sentito nella sua forza.

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E’ opportuno far notare la necessità di una speciale attitudine di fronte a questo punto di vista come  a qualsiasi altro dell’esoterismo. Si tratta di inaugurare ciò che poi servirà tanto spesso nella via dello sviluppo spirituale, un modo di possedere un concetto che non è soltanto comprendere o ricordare. Bisogna RITMIZZARE; vale a dire, presentare alla propria coscienza, che afferra con un’attitudine volitiva, lo stesso concetto periodicamente e ritmicamente; e non solo come pensiero ma anche come sentimento. La contemplazione del proprio essere e del mondo nel modo che è stato sopra enunciato suscita un senso di grandezza e di potenza: bisogna trattenere in noi questo senso in modo da farci compenetrare da esso intensamente.
Così potremo stabilire un rapporto realizzativo con questa nuova visione, la quale dapprima si verserà nel subcosciente finché dopo un certo tempo verrà ad inquadrarsi in modo sempre più definitivo nel sentimento di cui abbiamo parlato; si presenterà allora una nuova condizione, in cui ciò che prima era concetto potrà divenire presenza di una forza e si raggiungerà così uno stato di liberazione su cui sarà possibile edificare la nuova vita.
Tutti gli esercizi di sviluppo interiore saranno paralizzati se non si rompe il guscio-limite che la vita quotidiana forma intorno all’uomo e che anche a visione mutata persiste nel subcosciente umano.

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