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L'arte di sognare. Castaneda - testo integrale


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Gli stregoni dell'antico: introduzione
     Don Juan mise bene in evidenza, più di una volta, che tutto ciò che mi andava insegnando era stato previsto ed elaborato da coloro che egli chiamava gli stregoni dell'antico. Mi spiegò molto chiaramente che esisteva una profonda differenza fra quegli stregoni e questi dei tempi moderni. Gli antichi appartenevano a quella categoria di uomini vissuti in Messico migliaia e migliaia d'anni prima della conquista spagnola. Il punto più alto dei loro successi l'avevano raggiunto quando avevano messo insieme le strutture della stregoneria, enfatizzandone la praticità e la concretezza. Don Juan li dipingeva come uomini brillanti ma privi di saggezza. Gli stregoni moderni, invece, secondo lui erano molto equilibrati e capaci di modificare il corso della stregoneria, se lo reputavano necessario.

Don Juan mi spiegò che le premesse della stregoneria che riguardavano il Sognare erano state immaginate e sviluppate in modo naturale dagli stregoni dei tempi antichi. Di necessità - in quanto costituiscono la chiave per spiegare e comprendere il Sognare - io devo scrivere di nuovo su quelle premesse, e discuterne. La maggior parte di questo volume sarà quindi una reintroduzione e un'amplificazione di quanto ho già presentato nei miei lavori precedenti.

Durante una delle nostre conversazioni, don Juan dichiarò che, per apprezzare la posizione dei sognatori e del Sognare occorre capire la lotta degli stregoni moderni per allontanare la stregoneria dalla concretezza e portarla verso l'astratto.

«Don Juan, come definisci la concretezza?» chiesi.

«La parte pratica della stregoneria» mi rispose. «L'ossessiva fissazione della mente su pratiche e tecniche; l'ingiustificata influenza sulla gente. E tutto era nel regno degli stregoni dell'antico.»

E l'astratto, come lo definisci?»

«La ricerca della libertà: libertà di percepire, senza ossessioni, tutto ciò che è umanamente possibile. Secondo me gli stregoni dei nostri giorni cercano l'astratto perché cercano la libertà; non sono interessati a guadagni concreti. Loro, a differenza degli antichi stregoni, non considerano le funzioni sociali. Così non li troverai mai nelle vesti di veggenti ufficiali o stregoni incaricati.»

«Vuoi dire che per gli stregoni dei nostri tempi il passato non ha valore?»

«Ma certo che ne ha. É il sapore di quel passato che non ci piace. Io personalmente detesto il carattere cupo e morboso della mente. Amo, invece, l'immensità del pensiero. Tuttavia, nonostante le mie simpatie e antipatie, devo rendere il dovuto omaggio agli antichi stregoni, in quanto furono i primi a scoprire e a fare tutto quello che noi oggi sappiamo e facciamo.»

Don Juan mi spiegò che per loro percepire l'essenza energetica delle cose rappresentava la meta più alta. Era di tale importanza che la trasformarono nella premessa fondamentale della stregoneria. Oggi, dopo una vita di esercitazioni e disciplina, gli stregoni acquistano la capacità di percepire l'essenza delle cose, e la chiamano vedere.

«Che significato avrebbe per me percepire l'essenza energetica delle cose?» chiesi una volta a don Juan.

«Vorrebbe dire che percepisci l'energia direttamente» mi rispose. «Separando la parte sociale, tu percepirai l'essenza di tutto. Qualsiasi cosa noi percepiamo è energia, ma poiché non siamo in grado di recepirla direttamente, trattiamo la nostra percezione in modo che si adatti a una forma. Questa è la parte sociale che tu devi separare.»

«E perché devo separarla?»

«Perché riduce deliberatamente la portata di quanto può essere percepito e ci fa credere che la forma cui abbiamo adattato le nostre percezioni è la sola cosa che esista. Sono sicuro che per la sopravvivenza di un uomo, oggi, la sua percezione deve cambiare alla base sociale.»

«Che cos'è questa base sociale della percezione, don Juan?»

«La certezza fisica che il mondo è fatto di oggetti concreti. Io la definisco base sociale perché tutti esercitano un serio e considerevole sforzo per condurci a percepire il mondo così.»

«Come dovremmo percepirlo, il mondo?»

«Tutto è energia. L'intero universo è energia. La base sociale della nostra percezione dovrebbe essere la certezza fisica che l'energia è ciò che conta. Dovremmo fare un grande sforzo per portarci a percepire l'energia come tale. Dopo, avremmo a disposizione entrambe le alternative.»

«È possibile preparare qualcuno in questo senso?» domandai.

Don Juan rispose di sì, spiegandomi che era proprio quello che stava facendo con me e con gli altri apprendisti. Ci stava insegnando una nuova via alla percezione, primo, rendendoci consapevoli del processo cui sottoponiamo la percezione per adattarla a una forma e, secondo, guidandoci con fermezza a percepire direttamente l'energia. Mi assicurò che questo metodo era molto simile a quello usato per insegnarci a percepire il mondo della quotidianità.

Secondo don Juan, il nostro convincimento a trattare la percezione perché si adatti a una forma sociale, perde la sua forza quando ci accorgiamo che abbiamo accettato questa forma, quasi come un'eredità dei nostri antenati, senza preoccuparci di esaminarla.

«Per la sopravvivenza dei nostri antenati dev'essere stato estremamente necessario percepire un mondo di oggetti consistenti, che avessero un valore positivo o negativo» disse don Juan. «Dopo secoli di una siffatta percezione, ora siamo costretti a credere che il mondo è costituito da oggetti.»

«Io non riesco a concepire il mondo in nessun'altra maniera, don Juan» protestai. «Non ci sono dubbi che sia così. Per dimostrarlo, non c'è come andare a sbattere contro un oggetto qualsiasi.»

«Ma certo che è un mondo di oggetti. Nessuno lo mette in dubbio.»

«Che cosa stai dicendo, allora?»

«Sto dicendo che il nostro è, prima di tutto, un mondo di energia, e poi un mondo di oggetti. Se non partiamo dalla premessa che è un mondo di energia, non riusciremo mai a percepire direttamente l'energia. Saremo sempre fermati dalla certezza fisica di quello cui accennavi prima: la consistenza degli oggetti.»

Le sue argomentazioni mi rendevano molto perplesso. In quei giorni, la mia mente si rifiutava in assoluto di considerare qualsiasi maniera di capire il mondo che non fosse quello a me consueto. Le pretese di don Juan e le idee che cercava di dimostrare erano proposte stravaganti che non potevo accettare, ma non potevo neanche rifiutare.

«Il nostro modo di percepire è predatorio» mi disse una volta. «Un sistema molto efficiente per apprezzare e classificare cibo e pericoli. Ma non è l'unica maniera in cui siamo capaci di percepire: ce n'è un'altra, quella con cui ti sto familiarizzando, cioè l'atto di percepire direttamente l'essenza di ogni cosa, l'energia stessa.

«Percepire l'essenza di ogni cosa ci farà capire, classificare e descrivere il mondo in termini del tutto nuovi, più interessanti, più raffinati.» Era questa l'affermazione di don Juan. E i termini più raffinati cui alludeva erano quelli che gli avevano insegnato i suoi predecessori, quei termini corrispondenti alle verità degli stregoni, privi di fondamenti razionali e di qualsiasi legame con i fatti del nostro mondo di ogni giorno, ma che sono verità chiare e lampanti per gli stregoni che percepiscono direttamente l'energia e vedono l'essenza di ogni cosa.

Per costoro, la più importante prova di stregoneria è vedere l'essenza dell'universo. Nelle parole di don Juan, gli stregoni dei tempi antichi, i primi a vedere l'essenza dell'universo, la descrissero nel modo migliore. Dicevano infatti che somigliava a fili incandescenti che si allungavano all'infinito in ogni possibile direzione, filamenti luminosi ricchi di una consapevolezza di sé in modi che la mente umana non riesce a concepire.

Dal vedere l'essenza dell'universo, gli antichi stregoni arrivarono a vedere l'essenza dell'energia degli esseri umani. Don Juan dichiarò che loro descrivevano gli esseri umani come forme scintillanti simili a enormi uova che chiamavano uova luminose.

«Quando gli stregoni vedono un essere umano,» mi spiegò «vedono una forma gigantesca e splendente che galleggia e crea, muovendosi, un solco profondo nell'energia della Terra, quasi che la forma luccicante avesse una sorta di radice da tirarsi dietro.»

Don Juan aveva l'impressione che la nostra forma energetica continuasse a trasformarsi nel tempo. Disse che ogni veggente di sua conoscenza, lui incluso, vedeva che gli esseri umani avevano una forma che somigliava più a una palla o perfino a una lapide mortuaria che a un uovo. Ma, di tanto in tanto, e per motivi a loro ignoti, gli stregoni vedono qualcuno la cui energia è a forma d'uovo. Queste persone che oggi hanno forma d'uovo, secondo l'opinione di don Juan, sono più affini alle persone vissute nei tempi antichi.

Nel corso dei suoi insegnamenti, don Juan analizzò e spiegò più e più volte quella che considerava la scoperta decisiva degli stregoni dell'antichità, la caratteristica cruciale degli esseri umani come uova luminose: un punto rotondo di luce intensa, grande quanto una palla da tennis, situato sempre all'interno dell'uovo luminoso, a fior di superficie e a una cinquantina di centimetri dalla punta della scapola destra di ogni persona.

Poiché trovai una certa difficoltà a visualizzare tutto questo la prima volta che don Juan me lo descrisse, egli mi spiegò che l'uovo luminoso è molto più grande di un corpo umano, e che il punto di intensa luminosità fa parte di questa palla d'energia ed è situato all'altezza delle scapole, a distanza di un braccio dalla schiena. Disse che gli antichi stregoni l'avevano chiamato punto di unione dopo aver visto che cosa fa.

«Che cosa fa il punto di unione?» indagai.

«Ci fa percepire» rispose. «Gli antichi stregoni videro che, negli esseri umani, la percezione si mette insieme proprio in quel punto. Vedendo che tutti gli esseri viventi hanno questo punto di luminosità, gli antichi stregoni immaginarono che la percezione in generale dovesse avvenire lì, quale che ne fosse il modo.»

«Cosa videro mai gli antichi stregoni per arrivare a concludere che la percezione avviene nel punto di unione?» volli sapere.

Don Juan mi spiegò che, per prima cosa, loro avevano visto che solo un numero molto limitato dei milioni di filamenti dell'energia luminosa dell'universo che attraversano tutto l'uovo luminoso passano direttamente nel punto di unione, come era in fondo prevedibile viste le sue dimensioni ridotte rispetto al resto.

Inoltre, videro che un'ulteriore luminescenza sferica, appena più grande del punto di unione, gli fa sempre da alone, intensificando moltissimo lo splendore dei filamenti che attraversano direttamente quella luminosità.

Infine, videro due cose. La prima, che i punti di unione degli esseri umani possono spostarsi da soli da dove sono sistemati di solito. La seconda, che quando il punto di unione è nella posizione abituale, la percezione e la consapevolezza sembrano normali, a giudicare dal comportamento dei soggetti osservati. Ma quando i punti di unione e le sfere di luminosità che li circondano sono in una posizione diversa da quella abituale, l'insolito comportamento sembra comprovare che la loro consapevolezza è diversa, e che la percezione non avviene più nel modo a loro familiare.

La conclusione cui erano pervenuti gli antichi stregoni era che a un maggiore spostamento del punto di unione dalla sua posizione abituale corrispondeva un comportamento più insolito e, chiaramente, anche consapevolezza e percezione erano fuori dalla norma.

«Nota che quando parlo di vedere, dico sempre "sembrano" o "appaiono"» mi avvertì don Juan. «Quello che si vede è così straordinario che non c'è modo di parlarne se non paragonandolo a qualcosa che conosciamo.»

Disse che l'esempio migliore di questa difficoltà era il modo in cui gli stregoni parlavano del punto di unione e del chiarore che lo circonda. Li descrivono come una luminescenza, eppure non può essere perché i veggenti li vedono senza usare gli occhi. Tuttavia, dovendo colmare le differenze, dicono che il punto di unione è un centro di luce e che intorno brilla un alone, uno splendore. Don Juan mi fece notare che noi siamo troppo visuali, alla mercé di una percezione da predatore, e che tutto quello che vediamo deve essere trasformato in ciò che gli occhi di un predatore vedono normalmente.

Dopo aver visto quel che il punto di unione e il suo alone luminoso sembrano fare, don Juan disse che gli antichi stregoni azzardarono una spiegazione. Secondo loro, negli esseri umani il punto di unione, concentrando la sua sfera luminosa sui filamenti di energia dell'universo che l'attraversano direttamente, congloba in maniera automatica e non premeditata quei filamenti in una stabile percezione del mondo.

«In quale modo sono conglobati in una stabile percezione del mondo quei filamenti di cui parli?» chiesi.

«Nessuno è in grado di saperlo» rispose con enfasi. «Gli stregoni vedono lo spostamento dell'energia, ma il solo vedere l'energia che si sposta non può dire loro come o perché si sposti.»

Don Juan affermò che i vecchi stregoni, vedendo che milioni di filamenti di consapevole energia passano dal punto di unione, diedero per scontato che attraversandolo si unissero in un unico fascio, ammassati dallo splendore aleggiante tutt'intorno. Dopo aver visto che questo splendore era molto fioco in chi aveva perso conoscenza o stava per morire, e che mancava del tutto nei cadaveri, si convinsero che lo splendore si identificasse con la consapevolezza.

«E il punto di unione c'è, nei cadaveri?» domandai.

Mi disse che non vi è traccia alcuna del punto di unione in un corpo morto, in quanto il punto di unione e il suo splendente alone sono indice di vita e di consapevolezza. L'inevitabile conclusione degli stregoni dei tempi antichi fu che la consapevolezza e la percezione vanno insieme e sono legate al punto di unione e alla luminosità che lo circonda.

«C'è qualche possibilità che gli stregoni si possano essere sbagliati su quello che hanno visto?» azzardai.

«Gli stregoni non possono mai sbagliare, in assoluto, su quello che vedono, ma non posso spiegarti perché» rimbeccò don Juan, in un tono che non ammetteva repliche. «Le conclusioni che ricavano dal loro vedere potrebbero anche essere sbagliate, ma questo sarebbe da attribuire alla loro ingenuità o ignoranza. Per evitare un disastro del genere, gli stregoni devono acculturarsi, in ogni maniera possibile.»

Poi cambiò tono e più pacatamente aggiunse che sarebbe stato certo molto più sicuro per gli stregoni fermarsi alla descrizione di quanto vedevano, ma che la tentazione di trarre conclusioni e poi spiegare — magari anche solo a se stessi — era troppo grande per poter resistere.

L'effetto dello spostamento del punto di unione era stata un'altra configurazione di energia che gli stregoni dei tempi antichi erano riusciti a vedere e a studiare. Don Juan disse che quando il punto di unione si sposta in un'altra posizione, subito lì si mette insieme una nuova massa di milioni di filamenti luminosi di energia. Gli antichi stregoni videro tutto ciò e conclusero che, poiché lo splendore della consapevolezza è sempre presente dovunque sia il punto di unione, la percezione si forma automaticamente lì. Tuttavia, a causa della diversa posizione del punto di unione, il mondo che ne risulta non può essere quello della vita quotidiana.

Don Juan mi chiarì che quei vecchi stregoni erano in grado di distinguere due tipi di spostamento del punto di unione. Uno era lo spostamento verso una qualsiasi altra posizione in superficie o all'interno del globo luminoso, e lo definivano una variazione del punto di unione. L'altro era lo spostamento verso una posizione esterna al globo luminoso, e lo definivano un movimento del punto di unione. Scoprirono che la differenza tra variazione e movimento sta nella natura della percezione permessa dall'una o dall'altro.

Poiché le variazioni del punto di unione sono gli spostamenti all'interno del globo luminoso, i mondi da essi generati, per quanto bizzarri, meravigliosi o incredibili possano essere, rimangono sempre mondi nell'ambito umano. L'ambito umano sono i filamenti di energia che passano attraverso tutto il globo luminoso. Per contrasto, i movimenti del punto di unione, poiché si tratta di spostamenti verso posizioni al di fuori dell'uovo luminoso, interessano filamenti di energia che sono ben oltre il regno umano. Percepire questi filamenti genera mondi che sono al di là della comprensione, mondi inconcepibili, che non hanno la benché minima traccia di precedenti umani.

In quei giorni, il problema della conferma aveva sempre un ruolo fondamentale nella mia mente.

«Perdonami, don Juan,» gli dissi una volta «ma questa storia del punto di unione è così esagerata, così assurda che non so come gestirla o cosa pensarne.»

«C'è solo una cosa che tu possa fare» ribatté. «Vedere il punto di unione! Non è poi così difficile vedere! La difficoltà sta tutta nell'infrangere il muro di sbarramento che tutti abbiamo nella mente e che ci tiene al nostro posto. Per infrangerlo, occorre l'energia. Una volta che si ha l'energia, il vedere accade da sé. Il trucco sta nell'abbandonare la nostra roccaforte di autocompiacimento e falsa sicurezza.»

«Don Juan, secondo me è ovvio che ci vuole una profonda conoscenza per vedere. Non è solo questione di energia.»

«È solo questione di energia, credi a me. La parte più difficile è convincere te stesso che si può fare. Per questo, tu devi aver fiducia nel Nagual. Il bello della stregoneria è che ogni stregone deve provare tutto attraverso la sua esperienza personale. Io ti parlo dei princìpi della stregoneria non con la speranza che tu li memorizzi, ma che li metta in pratica.»

Don Juan aveva di sicuro ragione quando parlava del bisogno di fiducia. Ai primi stadi del mio apprendistato, che ormai durava da tredici anni, la difficoltà maggiore era stata quella di affiliarmi al suo mondo e alla sua persona. L'affiliazione voleva dire imparare a fidarsi completamente di lui e accettarlo senza riserve come Nagual. Il ruolo totale occupato da don Juan nel mondo della stregoneria era sintetizzato dal titolo concessogli dai suoi pari: lo chiamavano Nagual. Mi spiegarono che questo appellativo si riferisce a una persona, uomo o donna, con uno speciale tipo di configurazione energetica che a un veggente appare come un doppio globo luminoso. I veggenti credono che, quando una di queste persone entra nel mondo degli stregoni, la carica di energia in più diventa misura di forza e capacità di comando. Così, il Nagual è il capo naturale, il leader di un'accolita di stregoni.

Sulle prime, provare tale fiducia per don Juan mi risultava molto fastidioso, se non addirittura odioso. Quando ne discussi con lui, mi dichiarò che era stato altrettanto difficile per lui fidarsi in quel modo del suo Maestro.

«Dissi al mio Maestro le stesse cose che tu dici a me ora» mi confessò don Juan. «Mi rispose che se non si ha fiducia nel Nagual non c'è possibilità di sollievo e quindi nessuna possibilità di sgomberare la nostra vita dai detriti per poter essere liberi.»

Don Juan mi ripeté che il suo Maestro aveva proprio ragione: io gli ripetei il mio profondo disaccordo. Gli spiegai che ero stato allevato in un soffocante ambiente religioso e questo aveva avuto su di me effetti disastrosi; le dichiarazioni del suo Maestro e la supina acquiescenza dimostrata nei suoi riguardi mi faceva ricordare il dogma dell'obbedienza che avevo dovuto apprendere da bambino e che aborrivo. «Quando parli del Nagual sembra che tu stia esprimendo una dottrina religiosa» commentai.

«Credi ciò che vuoi» replicò don Juan, imperterrito. «Resta il fatto che non si fa nulla senza il Nagual. Io lo so e lo dico. Hanno fatto così anche i Nagual che sono vissuti prima di me. Non lo dicevano per presunzione, e neanch'io. Dire che non esiste una via senza il Nagual si riferisce esclusivamente al fatto che l'uomo-Nagual è tale solo perché può riflettere meglio di altri l'astratto, lo spirito. Tutto qui. Il nostro legame è con lo spirito in sé, e solo incidentalmente con l'uomo che ci porta il suo messaggio.»

Imparai a fidarmi incondizionatamente di don Juan come Nagual e, proprio come mi aveva avvertito, questo mi diede una enorme sensazione di sollievo e una maggiore capacità di accettare quel che lui cercava di insegnarmi.

Nelle sue lezioni egli dava particolare risalto a spiegazioni e discussioni sul punto di unione. Una volta gli chiesi se il punto di unione avesse qualcosa in comune con il corpo fisico.

«Non ha nulla a che fare con quanto noi percepiamo normalmente come corpo» rispose. «Fa parte dell'uovo luminoso, che è il nostro sé energetico.»

«In che modo si sposta?» chiesi.

«Grazie alle correnti di energia. Sono spinte di energia, che provengono dall'esterno o dall'interno della nostra forma energetica. Queste correnti sono di solito imprevedibili e accadono casualmente, ma con gli stregoni sono molto prevedibili e obbediscono all'intento dello stregone.»

«Anche tu riesci a sentire queste correnti?»

«Ogni stregone le sente. E anche ogni essere umano, a dire il vero, ma l'uomo medio è troppo preso dalle proprie attività per prestare attenzione a sensazioni del genere.»

«Che cosa si sente, con queste correnti?»

«Un lieve disagio, un senso confuso di tristezza seguito subito da euforia. Poiché né la tristezza né l'euforia hanno una ragione plausibile, non le consideriamo mai veri attacchi dell'ignoto, ma come inspiegabili e infondati cambiamenti d'umore.»

«Che cosa accade quando il punto di unione si sposta all'esterno della forma energetica? Se ne sta appeso fuori? Oppure è attaccato alla sfera luminosa?»

«Spinge in fuori i contorni della forma energetica, senza spezzarne i limiti.»

Don Juan mi spiegò che il risultato finale di un movimento del punto di unione è un cambiamento completo nella forma energetica di un essere umano. Invece di un globo o di un uovo, diventa qualcosa che somiglia a una pipa per fumatori. L'estremità del cannello è il punto di unione, e il fornello della pipa è ciò che resta del globo luminoso. Se il punto di unione continua a spostarsi, giunge un momento nel quale il globo luminoso diventa una sottile linea d'energia.

Don Juan continuò a spiegare che gli antichi stregoni erano gli unici a compiere l'impresa della trasformazione della forma energetica; e io gli domandai se, nella loro nuova forma energetica, quegli stregoni fossero ancora uomini.

«Certo che erano ancora uomini» disse. «Ma credo che tu voglia sapere se erano ancora uomini di ragione, persone affidabili. Be', non proprio.»

«In che cosa erano diversi?»

«Nei loro interessi. Gli sforzi e le preoccupazioni dell'uomo non significavano nulla, per loro. Avevano inoltre un aspetto chiaramente nuovo.»

«Vuoi dire che non sembravano uomini?»

«È molto difficile spiegare che cosa avevano di strano quegli stregoni. Certo, avevano un aspetto umano: e quale altro aspetto avrebbero dovuto avere? Tuttavia non erano proprio quello che tu o io ci saremmo aspettato. Eppure, se tu insistessi per farmi dire in che modo fossero diversi, io girerei in tondo come un cane che cerca di afferrarsi la coda.»

«Ne hai mai conosciuto qualcuno, don Juan?»

«Sì, uno.»

«Com'era?»

«Dall'aspetto, si sarebbe detto una persona normale. Ma era il suo comportamento a essere insolito!»

«In che modo era insolito?»

«Tutto quello che posso dirti è che il comportamento dello stregone che ho conosciuto io era qualcosa al di là di ogni immaginazione. E già è fuorviante ridurre tutto a un'anomalia di comportamento. Invece si tratta di qualcosa che bisogna vedere per apprezzare.»

«Tutti quegli stregoni erano come quello che hai conosciuto tu?»

«Certo che no. Non so come fossero gli altri, tranne che per i racconti di stregoneria tramandati di generazione in generazione. E quelle storie li descrivono come tipi alquanto bizzarri.»

«Vuoi dire mostruosi?»

«Affatto. Si racconta che fossero molto simpatici, ma facevano piuttosto impressione. Sembravano esseri sconosciuti. Ciò che rende omogenea l'umanità è che tutti noi siamo globi luminosi, mentre quegli stregoni non erano più globi ma linee di energia, e cercavano di curvarle per farne dei cerchi, ma senza riuscirvi bene.»

«Che ne è stato alla fine, don Juan? Sono morti?»

«Le storie di stregoneria dicono che poiché erano riusciti ad allungare le loro forme, riuscirono anche ad allungare la durata della coscienza. Così sono vivi e consci a tutt'oggi. Si raccontano storie sulle loro periodiche apparizioni sulla Terra.»

«Che cosa ne pensi tu personalmente, don Juan?»

«È un po' troppo strano per me. Io voglio la libertà. La libertà di conservare la mia consapevolezza e anche di scomparire nell'infinito. Secondo la mia opinione personale, quei vecchi stregoni erano tipi stravaganti, ossessivi, capricciosi che si trovarono vincolati dalle loro stesse macchinazioni.«Ma non farti sviare dai miei sentimenti. I risultati raggiunti dagli antichi stregoni sono senza pari. Se non altro, perché ci hanno dimostrato che il potenziale dell'uomo non va sottovalutato.»

Un altro argomento delle spiegazioni di don Juan era l'indispensabilità dell'uniformità e della coesione energetica ai fini della percezione. Secondo la sua tesi, l'umanità percepisce il mondo che conosciamo, nei termini che conosciamo, solo perché noi abbiamo in comune l'uniformità e la coesione energetica. Mi disse che noi raggiungiamo automaticamente queste due condizioni di energia nel corso della nostra vita e che le diamo talmente per scontate da non accorgerci della loro fondamentale importanza finché non ci troviamo a dover affrontare la possibilità di percepire mondi diversi da quello che conosciamo. In quei momenti, diviene chiaro che abbiamo bisogno di una nuova, appropriata uniformità e coesione energetica per poter percepire in modo coerente e completo.

Gli domandai cosa fossero l'uniformità e la coesione, e lui mi spiegò che la forma energetica dell'uomo ha uniformità nel senso che ogni essere umano sulla terra ha forma di globo o di uovo. E il fatto che l'energia di un uomo si tenga insieme nella forma di una palla o di un uovo dimostra che ha coesione.

Disse che un esempio della nuova uniformità e coesione era stato fornito dalla forma energetica dei vecchi stregoni, quando era diventata una linea: uniformemente, ognuno di loro era diventato una linea e in modo coesivo era restato una linea. L'uniformità e la coesione a livello di linea avevano permesso a quegli stregoni dell'antico di percepire un nuovo mondo omogeneo.

«Come si acquistano uniformità e coesione?» domandai.

«La chiave è la posizione del punto di unione, o piuttosto la fissazione del punto di unione» mi rispose. In quel momento non volle spingersi oltre, così gli chiesi io se quegli antichi stregoni sarebbero stati in grado di riprendere la forma a uovo. Disse che a un certo punto avrebbero potuto, ma non lo avevano fatto. Poi era subentrata la coesione nella linea, e aveva reso loro impossibile tornare indietro. Don Juan credeva che ciò che aveva veramente cristallizzato la coesione nella linea e impedito loro di fare il viaggio di ritorno, era stata una questione di scelta e avidità. La portata di quanto quegli stregoni erano in grado di percepire e fare come linee di energia era astronomicamente maggiore di quanto un uomo o uno stregone medio potessero fare o percepire.

Mi spiegò che l'ambito umano, quando si è un globo di energia, è costituito dal numero di filamenti di energia che attraversano lo spazio entro i limiti del globo. Di norma, noi non percepiamo tutto l'ambito umano ma solo una millesima parte, forse. Secondo lui, se consideriamo tutto questo, appare evidente l'enormità di quanto fecero gli antichi stregoni: si allungarono a formulare una linea che era mille volte più grande delle dimensioni di un uomo come globo energetico, e percepirono tutti i filamenti di energia che attraversavano quella linea.

Su sua insistenza, feci sforzi da gigante per capire il nuovo modello di configurazione d'energia che mi stava tracciando. Alla fine, dopo un severo martellamento, riuscii a seguire l'idea dei filamenti di energia dentro e fuori il globo luminoso. Ma se pensavo a una moltitudine di globi luminosi, il modello mi si spezzava nella mente. In una massa di globi luminosi, riflettei, i filamenti di energia che sono all'esterno di uno dovranno per forza trovarsi all'interno di quello adiacente. Quindi in una massa non dovrebbero sussistere filamenti di energia all'esterno di globi luminosi.

«Capire tutto questo di certo non è un esercizio adatto alla tua ragione» controbatté, dopo aver ascoltato attentamente le mie argomentazioni. «Non ho alcun modo di spiegarti cosa intendono gli stregoni per filamenti interni o esterni alla forma umana. Quando i veggenti vedono la forma energetica umana, vedono un solo globo di energia. E se ce n'è un altro vicino, quest'altro globo è ancora visto come un unico conglomerato di energia. L'idea di una massa di uova luminose deriva dalla tua conoscenza della folla umana. Nell'universo energetico, esistono solo singoli individui, ognuno per suo conto, circondati dall'infinito.

«Quello te lo puoi vedere per conto tuo !»

Contestai allora a don Juan che era inutile dirmi di vedere per mio conto, quando sapeva che non ero in grado di farlo. Lui mi suggerì di prendere in prestito la sua energia e di usarla per vedere.

«In che modo posso prendere in prestito la tua energia?»

«È molto semplice. Posso far spostare il tuo punto di unione in una posizione più adatta a percepire direttamente l'energia.»

Per quanto ricordassi, era la prima volta che mi parlava deliberatamente di qualcosa che aveva sempre continuato a fare, cioè farmi entrare in un incomprensibile stato di consapevolezza che travalicava l'idea che avevo del mondo e di me stesso, uno stato che egli chiamava la Seconda Attenzione. Così, per far spostare il mio punto di unione in una posizione migliore per percepire l'energia direttamente, don Juan mi diede un colpo sulla spalla, tra le scapole, con una forza tale da farmi mancare il respiro. Pensai di essere svenuto, oppure il colpo mi avesse fatto addormentare. D'improvviso mi trovai a guardare, o forse sognavo di guardare, qualcosa che davvero superava ogni descrizione. Lame di luce accecanti sbucavano da ogni dove, in tutte le direzioni, lame di luce tanto dissimili da qualsiasi cosa fosse mai stata nei miei pensieri.

Quando ripresi fiato, o quando mi svegliai, don Juan mi chiese con ansia: «Che cosa hai visto?». E dopo che gli ebbi risposto, con estrema sincerità, «Il tuo colpo mi ha fatto vedere le stelle», si piegò in due dalle risate.

Commentò che non ero ancora pronto per recepire ogni insolita percezione che mi fosse capitata. «Ti ho fatto spostare il punto di unione,» proseguì «e per un attimo hai sognato i filamenti dell'universo. Ma tu non hai ancora la disciplina o l'energia per risistemarti l'uniformità e la coesione. Gli antichi stregoni erano maestri consumati della risistemazione. Era così che vedevano tutto quello che può essere visto dall'uomo.»

«Che cosa significa risistemare uniformità e coesione?»

«Significa entrare nella Seconda Attenzione trattenendo il punto di unione nella sua nuova posizione, e impedendogli di scivolare ancora nella posizione originaria.»

Don Juan mi diede allora la definizione tradizionale della Seconda Attenzione. Disse che i vecchi stregoni chiamavano Seconda Attenzione il risultato dell'operazione di fissare il punto di unione su nuove posizioni, e che consideravano la Seconda Attenzione un'area di attività completa, proprio come l'Attenzione del mondo quotidiano.

Mi fece notare che gli stregoni hanno in realtà due aree complete per le loro azioni: una piccola, chiamata Prima Attenzione o consapevolezza del nostro mondo di tutti i giorni o la fissazione del punto di unione nella sua abituale posizione; e un'area molto più vasta, la Seconda Attenzione o la consapevolezza di altri mondi o la fissazione del punto di unione su ognuna delle infinite nuove posizioni.

Don Juan mi aiutò a esperimentare nella Seconda Attenzione cose inesplicabili con quella che lui definiva la manovra del nagual: dandomi una pacca leggera, o forte, all'altezza delle scapole. Così, diceva, spostava il mio punto di unione. Dalla mia esperienza posso dire che questi spostamenti facevano entrare la mia consapevolezza in uno stato davvero sconvolgente di ineguagliabile chiarezza, uno stato di super-coscienza, di cui godevo per brevi periodi di tempo, durante i quali comprendevo qualsiasi cosa con preamboli minimi. Non era esattamente una condizione piacevole; perlopiù, era come uno strano sogno, così intenso da far impallidire al confronto la normale consapevolezza.

Secondo don Juan si trattava di una manovra indispensabile, e a sua giustificazione diceva che nella consapevolezza normale lo stregone insegna ai propri discepoli i concetti e le procedure di base, mentre nella Seconda Attenzione fornisce loro spiegazioni astratte e dettagliate.

Di solito, gli apprendisti non ricordano affatto queste spiegazioni, eppure le immagazzinano in qualche modo nella propria memoria, fedelmente intatte. Gli stregoni hanno usato questa peculiarità apparente della memoria e hanno trasformato questo ricordare tutto quanto accade loro nella Seconda Attenzione, in uno dei più difficili e complessi compiti tradizionali della stregoneria.

Gli stregoni spiegano questa apparente stranezza della memoria, e il compito di ricordare, dicendo che ogni volta che qualcuno entra nella Seconda Attenzione il punto di unione si trova in una posizione diversa. Ricordare, quindi, vuol dire per loro risistemare il punto di unione nella posizione esatta che occupava una volta entrati nella Seconda Attenzione. Don Juan mi assicurò che, facendo ritornare il proprio punto di unione in ciascuna di quelle posizioni specifiche, non solo gli stregoni avevano un ricordo totale e assoluto, ma rivivevano ogni esperienza avuta nella Seconda Attenzione. Affermò anche che gli stregoni dedicavano tutta la propria vita alla realizzazione del compito di ricordare.

Nella Seconda Attenzione don Juan mi diede spiegazioni molto dettagliate sulla stregoneria, sapendo che l'accuratezza e la fedeltà di tali lezioni sarebbe rimasta con me, perfettamente intatta, sino alla fine dei miei giorni.

A proposito di questo tipo di fedeltà dichiarò: «Apprendere qualcosa nella Seconda Attenzione è simile al primo apprendimento della nostra infanzia. Quello che impariamo resta con noi per tutta la vita. "È quasi connaturato in me" diciamo, quando parliamo di quello che abbiamo imparato nei nostri primi anni».

A giudicare da dove mi trovo oggi, mi rendo conto che don Juan mi fece entrare, quante più volte poté, nella Seconda Attenzione, per costringermi a sopportare nuove posizioni del mio punto di unione per lunghi periodi, e a percepire con coerenza per tutto il tempo; intendeva cioè forzarmi a risistemare uniformità e coesione.

Moltissime volte riuscii a percepire ogni cosa con la stessa precisione con cui lo faccio nel mondo quotidiano. Il mio problema era la mia incapacità di creare un ponte fra le mie azioni nella Seconda Attenzione e la mia consapevolezza del mondo di tutti i giorni. Mi ci vollero molti sforzi e molto tempo per comprendere che cosa fosse la Seconda Attenzione; non tanto per le sue difficoltà e complicazioni, che sono comunque tantissime, ma perché, una volta tornato nella consapevolezza normale, trovavo impossibile ricordare non solo di essere entrato nella Seconda Attenzione ma, addirittura, che uno stato del genere esistesse.

Un'altra conquista epocale di cui si vantavano gli antichi stregoni, e che don Juan mi spiegò con grande cura, era l'aver scoperto che il punto di unione si sposta con molta facilità durante il sonno. Questa scoperta ne fece scattare un'altra: che i sogni sono strettamente collegati con lo spostamento. Gli antichi stregoni vedevano che più era grande lo spostamento, più era insolito il sogno o, viceversa, più era insolito il sogno. maggiore era lo spostamento del punto di unione. Don Juan disse che questa loro osservazione li aveva portati a escogitare bizzarre tecniche per far spostare il punto di unione: per esempio, ingerire piante che provocassero stati di alterazione della consapevolezza; sottoporsi a digiuno, fatica o stress; ma, soprattutto, controllare i Sogni. In questo modo, e forse senza neanche rendersene conto, avevano creato l'Arte del Sognare.

Un giorno, mentre passeggiavamo nella piazza della città di Oaxaca, don Juan mi fornì la definizione più coerente del Sognare dal punto di vista di uno stregone.

«Gli stregoni considerano il Sognare come un'arte estremamente raffinata,» disse «l'arte di spostare a volontà dalla sua posizione abituale il punto di unione per intensificare e ingrandire la portata di quel che si può percepire.»

Disse che gli antichi stregoni legavano l'Arte del Sognare a cinque condizioni che vedevano nel flusso di energia degli esseri umani.

Primo, vedevano che solo i filamenti di energia che passano direttamente attraverso il punto di unione possono essere uniti nella percezione coerente.

Secondo, vedevano che se il punto di unione è spostato in un'altra posizione, per quanto lo spostamento sia piccolo, filamenti di energia diversi e non comuni cominciano ad attraversarlo, impegnando la consapevolezza e forzando l'unione di questi non comuni campi di energia in una forte e coerente percezione.

Terzo, vedevano che, durante i sogni normali, il punto di unione si sposta facilmente da solo in un'altra posizione sulla superficie dell'uovo luminoso, o al suo interno.

Quarto, vedevano che il punto di unione può esser fatto spostare in posizioni esterne all'uovo luminoso, in filamenti d'energia dell'universo in generale.

E, quinto, vedevano che con la disciplina è possibile assecondare ed eseguire, nel sonno e nei sogni normali, un sistematico spostamento del punto di unione.



2
Il primo varco del Sognare 
    Come preambolo alla sua prima lezione sul Sognare, don Juan parlò della Seconda Attenzione come di una progressione: comincia come un'idea che ci sembra più una curiosità che una vera e propria possibilità; si trasforma poi in qualcosa che si può solo sentire, come si sente una sensazione; e infine diventa una forma d'essere o un regno di consistenza o una forza superiore che ci spalanca mondi che vanno ben oltre ogni più sfrenata fantasia.

Gli stregoni hanno due opzioni, quando spiegano le arti magiche: la prima è parlare in termini metaforici e descrivere un mondo di dimensioni prodigiose. L'altra, spiegare il loro mestiere in termini astratti, adatti alla stregoneria. Io ho sempre preferito quest'ultima, benché nessuna delle due riuscirà mai a soddisfare la mente razionale dell'uomo occidentale.

Don Juan mi disse che, con la sua descrizione metaforica della Seconda Attenzione come progressione, voleva intendere che, essendo una conseguenza dello spostamento del punto di unione, la Seconda Attenzione non avviene naturalmente, ma è un prodotto dell'intento: inizia come un'idea e termina come una consapevolezza forte e controllata dello spostamento del punto di unione.

«Ti insegnerò i primi passi verso il potere» esordì il mio Maestro, cominciando le sue lezioni sull'Arte del Sognare. «Ti insegnerò come organizzare il Sognare.»

«Che vuol dire, organizzare il Sognare?»

«Vuol dire esercitare un controllo pratico e rigoroso sulla situazione generale di un sogno . Per esempio, potrebbe capitarti di Sognare di essere in classe. Organizzare il Sognare vuol dire non permettere che il tuo sogno scivoli in qualcos'altro. Per fare un esempio, non saltare dalla classe in vetta a una montagna. In altre parole, controllare la visione della classe e non lasciarla andare finché non si decide in questo senso.»

«Ma è possibile fare una cosa del genere?»

«Certo che è possibile. Questo controllo non è diverso da quello che esercitiamo su una qualunque situazione della nostra vita di ogni giorno. Gli stregoni ci sono abituati e lo esercitano ogni volta che lo vogliono, o che ne hanno bisogno. Per abituarti a usarlo anche tu, dovresti cominciare con qualcosa di molto semplice. Stanotte, nel tuo sogno. devi guardarti le mani.»

Non ci dilungammo ancora sull'argomento nella consapevolezza del nostro mondo quotidiano. Tuttavia, riandando con la memoria alle mie esperienze nella Seconda Attenzione, scoprii che ne avevamo parlato molto più a lungo. Per esempio, io avevo espresso quello che pensavo sull'assurdità del compito, e don Juan mi aveva proposto di affrontarlo come un'indagine divertente e non solenne e morbosa.

«Sii pesante quanto vuoi, quando parliamo del Sognare» disse. «Le spiegazioni richiedono sempre pensieri ponderosi. Ma quando stai Sognando, sii leggero come una piuma. Ci si deve dedicare al Sognare con integrità e impegno, ma in allegria, e con la sicurezza di chi non ha un pensiero al mondo. Solo in queste condizioni i nostri sogni comuni possono davvero trasformarsi in Sognare.»

Don Juan mi disse di aver scelto a caso le mie mani come la cosa da cercare nei miei Sogni, ma andava altrettanto bene concentrarsi su un altro particolare. Scopo di quell'esercizio non era trovare una cosa specifica, ma impegnare la mia Attenzione del sogno.

Mi descrisse l'Attenzione del sogno come il controllo che si acquista sui propri sogni dopo aver fissato il punto di unione su una qualsiasi nuova posizione in cui sia stato spostato durante i Sogni. In termini più generali, egli chiamava Attenzione del sogno un aspetto incomprensibile della consapevolezza che esiste per suo conto, aspettando il momento in cui potremmo adescarlo, il momento in cui potremmo dargli uno scopo; è una facoltà occulta che ognuno di noi possiede come riserva, ma non ha mai opportunità di usare nella vita di ogni giorno.

I miei primi tentativi di cercarmi le mani nei sogni furono un fiasco. Dopo mesi di sforzi infruttuosi vi rinunciai, e mi lamentai di nuovo con don Juan dell'assurdità di un compito del genere.

«Ci sono sette varchi,» mi disse, a mo' di risposta «e i sognatori devono aprirli tutti e sette, uno alla volta. Tu sei di fronte al primo che deve essere aperto se vuoi Sognare.»

«Perché non me l'hai detto prima?»

«Sarebbe stato inutile parlarti dei varchi del Sognare prima che tu avessi sbattuto la testa contro il primo. Ora sai che si tratta di un ostacolo e che devi superarlo.»

Don Juan mi spiegò che ci sono ingressi e uscite nel flusso di energia dell'universo e che, nel caso specifico del Sognare, ci sono sette ingressi, sperimentati come ostacoli, che gli stregoni chiamano i sette varchi del Sognare.

«Il primo varco è una soglia che dobbiamo attraversare diventando consci di una particolare sensazione prima del sonno profondo» disse. «Una sensazione simile a una piacevole pesantezza che ci impedisce di aprire gli occhi. Noi raggiungiamo quel varco nell'istante in cui diventiamo consci di stare per addormentarci, sospesi nel buio e nella pesantezza.»

«Come faccio a diventare conscio che sto per addormentarmi? Ci sono degli accorgimenti graduali da prendere?»

«No, nulla del genere. Bisogna avere l'intento di diventare consci di addormentarsi.»

«Ma come si formula l'intento di diventare consci?»

«L'intento è un soggetto molto difficile da trattare. Farei la figura dell'idiota se cercassi — io o chiunque altro — di spiegarlo. Tienilo a mente quando sentirai quel che ho da dirti ora: gli stregoni intendono qualsiasi cosa che si prefiggano di intendere semplicemente intendendolo.»

«Ma don Juan, questo non vuol dire niente!»

«Fa' molta attenzione. Un giorno toccherà a te dover dare delle spiegazioni. La mia frase ti sembra assurda perché non la inserisci nel suo giusto contesto. Come ogni individuo razionale, credi che il comprendere sia esclusivamente dominio della nostra ragione, della nostra mente.

«Per gli stregoni, poiché la dichiarazione che ho fatto appartiene all'intento e all'intendimento, il comprendere attiene al campo dell'energia. Gli stregoni credono che se si volesse intendere quella dichiarazione per il corpo energetico, questi la comprenderebbe in termini del tutto diversi da quelli della mente. Il trucco sta nel raggiungere il corpo energetico. Per fare questo c'è bisogno di energia.»

«In quali termini il corpo energetico capirebbe quella dichiarazione, don Juan?»

«In termini di una sensazione corporea, difficile da descrivere. Dovrai sperimentarla per sapere quel che dico.»

Desideravo una spiegazione più precisa, ma don Juan mi diede una pacca sulla schiena, facendomi entrare nella Seconda Attenzione. Quel che fece mi era ancora estremamente misterioso, allora. Avrei giurato che il suo tocco mi avesse ipnotizzato. Forse mi aveva fatto addormentare di colpo; Sognai di trovarmi a passeggio con lui lungo un ampio viale alberato in una città sconosciuta. Era un sogno così realistico ed ero talmente conscio di quanto mi accadeva intorno, che cercai subito di orientarmi leggendo le insegne e guardando bene la gente. Di sicuro, non si trattava di una città di lingua inglese o spagnola, era però una città occidentale. Gli abitanti sembravano europei del nord, forse lituani. Ero tutto assorto a cercare di decifrare i manifesti e le insegne stradali.

Don Juan mi diede leggermente di gomito. «Non perder tempo con quella roba» mi disse. «Non siamo in un posto identificabile. Ti ho solo prestato la mia energia in modo che tu potessi raggiungere il tuo corpo energetico e con esso sei appena entrato in un altro mondo. Non durerà a lungo, fa' quindi buon uso del tuo tempo. Guarda tutto, ma senza metterti troppo in vista. Non farti notare da nessuno.»

Camminammo in silenzio. Fu una passeggiata di un solo isolato che ebbe su di me un effetto particolare. Più camminavamo, più cresceva in me un senso di ansia viscerale. La mia mente era incuriosita, ma il mio corpo era allarmato. Avevo la netta sensazione di non trovarmi in questo mondo. Quando arrivammo a un incrocio e ci fermammo, notai che gli alberi del viale erano stati potati con grande cura; erano alberi bassi, con foglie dure, a ricciolo. Intorno a ogni albero c'era un grande spazio quadrato per innaffiare. In quelle aeree non c'erano erbacce o spazzatura come di solito si vede intorno agli alberi in città, solo terriccio nero come il carbone.

Nel momento in cui concentrai lo sguardo sul bordo del marciapiede, prima di scendere per attraversare la strada, mi accorsi che non c'erano macchine. Cercai disperatamente di guardare le persone che passavano intorno a noi, per scoprire su di loro qualcosa che potesse spiegare la mia ansia. Quando li fissai, quelle fissarono me. In un istante intorno a noi si formò un cerchio di severi occhi blu e marroni.

Una certezza mi colpì come una martellata: questo non era affatto un sogno. ci trovavamo in una realtà al di là di quello che conosco come reale. Mi girai per guardare in faccia don Juan. Stavo per accorgermi di cosa c'era di diverso in quella gente quando mi colpì in volto uno strano vento arido che mi penetrò direttamente nelle narici, mi offuscò la vista e mi fece dimenticare ciò che volevo dirgli. L'attimo dopo ero tornato nel posto da cui ero partito, la casa di don Juan. Ero disteso su una stuoia, raggomitolato su un fianco.

«Ti ho prestato la mia energia e tu hai raggiunto il tuo corpo energetico» disse don Juan, come se niente fosse.

Lo sentivo parlare, ma ero stordito. Un prurito insolito al plesso solare mi faceva respirare a brevi rantoli dolorosi. Sapevo di esser stato sul punto di scoprire qualcosa di trascendentale sul Sognare e sulla gente che avevo visto, eppure non riuscivo a mettere a fuoco quello che sapevo.

«Dove ci troviamo, don Juan?» gli domandai. «E stato tutto un sogno? Un ipnotismo?»

«Non è stato un sogno,» fece lui «ma il Sognare. Ti ho aiutato a raggiungere la Seconda Attenzione in modo che tu potessi capire l'intento non come un soggetto per la tua ragione, ma per il tuo corpo energetico.

«A questo punto, non puoi ancora comprendere l'importanza di tutto questo, non solo perché non hai abbastanza energia, ma perché non intendi niente. Se intendessi, il tuo corpo energetico capirebbe immediatamente che l'unica maniera di intendere è focalizzare il proprio intento su qualsiasi cosa si voglia intendere. Stavolta io l'ho concentrato per te sul raggiungimento del tuo corpo energetico.»

«Intendere il corpo energetico è lo scopo del Sognare?» chiesi, a un tratto imbaldanzito da uno strano ragionamento.

«Si può certo metterla così» rispose. «In questo caso particolare, poiché stiamo parlando del primo varco del Sognare, lo scopo del Sognare è intendere che il tuo corpo energetico sia conscio di stare per addormentarsi. Non cercare di forzarti a essere consapevole di questo. Lascia che sia il tuo corpo energetico a farlo. Intendere è desiderare senza desiderare, fare senza fare.

«Accetta la sfida dell'intento» proseguì. «Usa la tua determinazione silenziosa, senza alcun pensiero, per convincerti di aver raggiunto il tuo corpo energetico e di essere un Sognatore. Facendo questo sarai automaticamente nella posizione giusta per accorgerti che ti stai addormentando.»

«Come posso convincermi di essere un Sognatore quando non lo sono?»

«Quando senti che devi convincere te stesso, diventi automaticamente più razionale. Come puoi convincerti di essere un Sognatore se sai di non esserlo? Intendere è tutte e due le cose: l'atto di convincere te stesso che sei davvero un Sognatore, benché tu non abbia mai sognato prima; e l'atto di essere convinto.»

«Vuoi dire che dovrei ripetermi di essere un Sognatore, e fare del mio meglio per crederci? È così?»

«No, non è così. Intendere è molto più semplice e, allo stesso tempo, infinitamente più complesso di questo. Richiede immaginazione, disciplina e fermezza. In questo caso, intendere vuol dire che tu ottieni l'indiscutibile conoscenza fisica di essere un Sognatore. Senti di essere un Sognatore con tutte le fibre del tuo essere.»

Don Juan aggiunse in tono scherzoso di non avere abbastanza energia da prestarmene ancora per intendere e che quello che dovevo fare era raggiungere il mio corpo energetico da solo. Mi assicurò che intendere il primo varco del Sognare era uno dei mezzi scoperti dagli stregoni dei tempi antichi per raggiungere la Seconda Attenzione e il corpo energetico.

Dopo avermi detto questo, praticamente mi buttò fuori di casa, intimandomi di non farmi rivedere prima di aver usato l'intento per il primo varco del Sognare.

Me ne tornai a casa, e per mesi ogni sera andai a letto usando l'intento con quanta forza avevo in corpo per diventare consapevole di stare per addormentarmi e per vedere le mie mani nel sogno. L'altra parte del compito — convincermi di essere un Sognatore e di aver raggiunto il mio corpo energetico — mi pareva del tutto impossibile.

Poi, un pomeriggio, mentre facevo un sonnellino, Sognai di guardarmi le mani. Lo shock bastò a svegliarmi. Si trattò di un sogno unico che non si poteva ripetere. Passarono molte settimane e io non riuscivo né a diventar consapevole di stare per addormentarmi, né a trovare le mie mani. Tuttavia, cominciai a notare che nei miei sogni provavo la sensazione vaga che c'era qualcosa che avrei dovuto fare, ma non riuscivo a ricordare di cosa si trattasse. Questa sensazione divenne così forte da continuare a svegliarmi a ogni ora della notte.

 

Quando parlai a don Juan dei miei futili tentativi di attraversare il primo varco del Sognare, mi diede alcuni suggerimenti. «Chiedere a un Sognatore di trovare un certo oggetto nei suoi sogni è un sotterfugio» disse. «Il vero problema è diventare consapevoli che ci si sta per addormentare. E, per quanto possa sembrare strano, ciò non avviene imponendo a noi stessi di essere consci che stiamo per addormentarci, ma sopportando la vista di qualsiasi cosa uno sta guardando nel sogno.»

Mi disse che i sognato rilanciano sguardi rapidi e calcolati a tutto ciò che è presente nei loro Sogni. Se focalizzano la loro Attenzione del sogno su qualcosa di particolare, questo è solo un punto di partenza. Da qui, i sognato ripartono per considerare altri oggetti nel contenuto del sogno. tornando al punto di partenza quante più volte possibile.

Dopo grandi sforzi, trovai davvero delle mani nei Sogni, ma non erano le mie. Erano mani che sembravano appartenermi, ma solo in apparenza, mani che cambiavano forma e che a volte diventavano un incubo. Il resto del contenuto dei miei Sogni, ciononostante, era sempre piacevolmente regolare. Riuscivo quasi a sopportare la vista di qualsiasi cosa sulla quale focalizzassi la mia attenzione.

Continuai così per mesi, fino a quando un giorno la mia capacità di Sognare cambiò, apparentemente da sé. Non avevo fatto nulla di speciale, oltre a cercare, con fermezza e costante insistenza, di diventare consapevole di essere sul punto di addormentarmi, e a cercare di trovare le mie mani.

Sognai di essere tornato in visita alla mia città natale. Non che la città di cui stavo Sognando somigliasse per qualche verso alla mia, ma avevo in qualche modo la convinzione che fosse il luogo dov'ero nato. Tutto cominciò come un sogno normale, anche se molto realistico. Poi la luce cambiò, le immagini si fecero più nitide. La strada che stavo percorrendo divenne visibilmente più reale di quanto non lo fosse stata un momento prima. I piedi cominciarono a farmi male. Sentivo che, per assurdo, tutto diventava più duro. Per esempio, andando a sbattere contro una porta, non solo provai dolore al ginocchio che avevo battuto contro la porta, ma mi irritai per la mia sbadataggine.

Camminai in quella città in modo realistico, fino a essere completamente esausto. Vidi tutto quello che avrei potuto vedere se fossi stato un turista in giro per le strade di una città. E non c'era nessunissima differenza tra quella passeggiata di sogno e qualsiasi altra che avessi fatto davvero per le strade di una città che stavo visitando per la prima volta.

«Credo che tu sia andato un po' troppo in là» mi disse don Juan dopo aver ascoltato il mio resoconto.

«Tutto ciò che ti si chiedeva era che fossi conscio di addormentarti. Quello che hai fatto tu, è stato come buttar giù un muro per schiacciare la zanzara che vi si era posata sopra.»

«Vuoi dire che ho sbagliato?»

«No, ma a quanto pare stai cercando di ripetere qualcosa che hai già fatto prima. Quando io feci spostare il tuo punto di unione e finimmo in quella misteriosa città, tu non stavi dormendo. Stavi Sognando, ma non dormivi; cioè, il tuo punto di unione non aveva raggiunto quella posizione con un normale sogno, ma ce lo avevo costretto io.

«Tu puoi certo raggiungere la stessa posizione con il Sognare, ma ti consiglierei di non farlo in questo momento.»

«È pericoloso?»

«Eccome! Il Sognare dev'essere una cosa molto controllata. Non ci si può permettere mosse false. Il Sognare è un processo di risveglio, di conquista di potere. La nostra Attenzione del sogno deve essere esercitata sistematicamente, perché è la porta della Seconda Attenzione.»

«Che differenza c'è tra l'Attenzione del sogno e la Seconda Attenzione?»

«La Seconda Attenzione è come un oceano, e l'Attenzione del sogno come un fiume che vi si riversa. La Seconda Attenzione è la condizione di essere consapevole di mondi totali, totali come è totale il nostro mondo, mentre l'Attenzione del sogno è la condizione di essere consapevole degli oggetti dei nostri sogni.»

Enfatizzò con forza che l'Attenzione del sogno è la chiave per ogni azione nel mondo degli stregoni. Disse che nella massa di oggetti che popolano i nostri sogni, esistono reali interferenze energetiche, elementi che sono stati immessi nei nostri sogni a sproposito, da una forza estranea. È stregoneria riuscire a trovarli e seguirli.

L'enfasi posta in quelle dichiarazioni era così accentuata che mi sentii obbligato a chiedergli di spiegarmele. Ebbe qualche esitazione prima di rispondermi.

«I sogni sono, se non una porta, una botola verso altri mondi» esordì. «In sé, i sogni sono una strada a doppio senso di marcia. La nostra consapevolezza passa attraverso quella botola in altri regni, e quegli altri regni inviano esploratori nei nostri Sogni.»

«Che cosa sono questi esploratori?»

«Sono cariche di energia che si mescolano con i componenti dei nostri normali sogni. Sono esplosioni di energia aliena che entrano nei nostri Sogni, e noi le interpretiamo come oggetti, a volte familiari, a volte no.»

«Mi spiace, don Juan, ma io non capisco.»

«Non capisci perché insisti a pensare al sogno nei termini a te conosciuti: quello che ci accade mentre dormiamo. Mentre io insisto a darti un'altra versione: una botola verso un altro mondo di percezione. Attraverso quella botola, si diffondono correnti di energia sconosciuta. Poi la mente, o il cervello, o quello che vuoi, prende le correnti di energia e le trasforma in parte dei nostri Sogni.»

Fece una pausa, certo per dar tempo alla mia mente di incamerare quanto mi stava dicendo. «Gli stregoni sono consapevoli di queste correnti di energia aliena» continuò. «Le notano e cercano di separarle dalle normali componenti dei loro Sogni.»

«Perché le separano, don Juan?»

«Perché vengono da altri mondi. Se noi le seguiamo sino alla loro fonte, ci fanno da guida in zone così misteriose che gli stregoni rabbrividiscono solo all'idea.»

«Come fanno gli stregoni a isolarle dalle normali componenti dei loro Sogni?»

«Con l'esercizio e il controllo della propria Attenzione del sogno. A un certo punto, la nostra Attenzione del sogno le scopre fra le componenti di un sogno e si focalizza su di loro, poi il sogno totale crolla, lasciando solo questa energia aliena.»

Don Juan si rifiutò di andare oltre con le sue spiegazioni sull'argomento. Ritornò a parlare della mia esperienza del Sognare e disse che, tutto considerato, doveva giudicare il mio sogno come il mio primo vero tentativo di Sognare, e questo voleva dire che ero riuscito a raggiungere il primo varco del Sognare.

Durante un'altra discussione, in un diverso momento, egli riprese di punto in bianco quel tema. Dichiarò: «Ti ripeterò quello che devi fare dei tuoi sogni per superare il primo varco del Sognare. Prima devi focalizzare lo sguardo su una qualsiasi cosa di tua scelta, come punto di partenza. Poi devi spostare lo sguardo su altre cose, e dare loro rapide occhiate. Focalizza il tuo sguardo su quante più cose puoi. Ricorda che se dai occhiate rapidissime, le immagini non si spostano. Poi ritorna all'oggetto che hai guardato per primo».

«Che cosa vuol dire attraversare il primo varco del Sognare?»

«Noi raggiungiamo il primo varco del Sognare diventando consapevoli che ci stiamo addormentando, oppure facendo — come te — un sogno enormemente reale. Una volta arrivati al varco, dobbiamo attraversarlo con l'aiuto della nostra capacità di sopportare la vista di ogni elemento dei nostri sogni.»

«Io riesco quasi a guardare fisso le componenti dei miei sogni, ma si dissolvono troppo in fretta.»

«É proprio quello che stavo cercando di dirti. Gli stregoni, per compensare l'evanescenza dei sogni, hanno escogitato l'uso dell'oggetto "punto di partenza". Ogni volta che lo isoli e lo guardi, ricevi una scarica di energia, così all'inizio non guardare troppe cose nei tuoi sogni. Quattro bastano. In seguito, potrai allargare il tuo raggio d'azione fino a includere tutto ciò che vuoi, ma appena le immagini cominciano a spostarsi e tu senti che stai perdendo il controllo, torna al tuo oggetto "punto di partenza" e ricomincia tutto da capo.»

«Don Juan, credi che abbia davvero raggiunto il primo varco del Sognare?»

«Certo, e vuol dire molto. Scoprirai, andando avanti, come ti sarà facile ora il Sognare.»

Pensai che don Juan stesse esagerando o volesse stimolarmi. Ma mi assicurò che stava parlando sul serio.

«La cosa più stupefacente che accade ai Sognatori» disse «è che, raggiungendo il primo varco, raggiungono anche il corpo energetico.»

«Che cos'è esattamente il corpo energetico?»

«È la controparte del corpo fisico. Una configurazione fantasma fatta di energia pura.»

«Ma non è costituito da energia anche il corpo fisico?»

«Naturalmente. La differenza è che il corpo energetico ha solo apparenza e niente massa. Poiché è energia pura, può compiere azioni che vanno oltre le possibilità del corpo fisico.»

«Come cosa, don Juan? Fammi un esempio!»

«Come trasportare se stesso in un istante ai confini dell'universo. E il Sognare è l'arte di temprare il corpo energetico, di renderlo agile e coerente con l'esercizio graduale.

«Tramite il Sognare noi condensiamo il corpo energetico sino a farne un'unità capace di percezione. La sua percezione, benché influenzata dal nostro normale modo di percepire il mondo quotidiano, è una percezione indipendente. Ha la propria sfera.»

«Che cos'è questa sfera, don Juan?»

«L'energia. Il corpo energetico tratta con l'energia in termini di energia. Ci sono tre modi di trattare con l'energia del Sognare: si può percepire l'energia mentre scorre, o si può usarla per lanciarsi come un razzo in zone impreviste, o si può percepirla come noi percepiamo di norma il mondo.»

«Cosa vuol dire percepire l'energia mentre scorre?»

«Vuol dire vedere. Vuol dire che il corpo energetico vede l'energia direttamente come una luce o una sorta di corrente vibrante o come un disturbo. Oppure la sente direttamente come una scossa o come una sensazione che può perfino essere dolore.»

«E quell'altra via di cui hai parlato, don Juan? Il corpo energetico che usa l'energia come trampolino di lancio.»

«Poiché l'energia è la sua sfera, il corpo energetico non ha difficoltà a usare correnti di energia che esistono nell'universo per darsi la carica. Non deve fare altro che isolarle, e parte con loro!»

Smise di parlare e sembrò esitare, come se volesse aggiungere qualcosa ma non fosse troppo sicuro. Mi sorrise e, proprio mentre stavo per fargli una domanda, proseguì la sua spiegazione.

«Ti ho già detto altre volte che gli stregoni nei loro sogni isolano esploratori da altri mondi» disse. «Sono i loro corpi energetici a farlo. Riconoscono l'energia e ne vanno a caccia. Ma non è bene che i sognatori indulgano a cercare esploratori. Ero restio a parlartene proprio per la facilità con cui si può essere influenzati da quella ricerca.»

Poi don Juan passò subito a un altro argomento. Mi descrisse a grandi linee, ma con grande precisione, tutto un insieme di pratiche. Scoprii allora che, a un livello, tutto mi sembrava oscuro mentre, a un altro, era perfettamente logico e comprensibile. Mi ripeté più volte che raggiungere con deliberato controllo il primo varco del Sognare era un modo per arrivare al corpo energetico. Ma per conservare quel vantaggio si conta solo sull'energia. Gli stregoni la ottengono riutilizzando, in modo più intelligente, l'energia che hanno e usano per percepire il mondo quotidiano.

Quando lo sollecitai a essere più chiaro, aggiunse che tutti noi abbiamo una data quantità di energia di base. Quella è tutta l'energia che abbiamo a nostra disposizione, e noi la usiamo fino in fondo per percepire e affrontare il nostro coinvolgente mondo. Mi ripeté molte volte, per dar maggior rilievo alla cosa, che non esiste altra energia per noi in nessun altro luogo e, poiché quella a nostra disposizione è già impegnata, non ne avanza neanche un po' per una percezione straordinaria, come il Sognare.

«Qual è la nostra situazione, allora?» volli sapere.

«La situazione è che dobbiamo cercare di rimediare energia per conto nostro, dovunque riusciamo a trovarla» rispose lui.

Don Juan mi spiegò che gli stregoni hanno un metodo per questo. Riutilizzano con intelligenza la propria energia eliminando tutto quello che reputano superfluo nella propria vita, e chiamano questo metodo "la via degli stregoni". La via degli stregoni, per dirla con don Juan, è essenzialmente una serie di scelte comportamentali per affrontare il mondo, molto più intelligenti di quelle tramandateci dai nostri progenitori. Queste scelte degli stregoni sono dirette a rinnovare le nostre vite, cambiando le nostre reazioni fondamentali all'esistenza.

«Quali sono queste reazioni fondamentali?» chiesi.

«Ci sono due modi di affrontare l'esistenza» disse. «Uno è quello rinunciatario, che o cede alle sue esigenze o le combatte. L'altro invece plasma la nostra particolare situazione di vita perché si adatti alle nostre configurazioni personali.»

«Possiamo davvero plasmare la nostra situazione di vita, don Juan?»

«La particolare situazione di vita di ciascuno si può plasmare finché non si adatti alle proprie specificazioni» insistette lui. «Lo fanno i Sognatori. Una dichiarazione avventata? Non direi, se pensi a quanto poco conosciamo di noi stessi.»

Disse che, come mio Maestro, gli interessava coinvolgermi totalmente nelle discussioni sull'esistenza e sulla partecipazione alla vita; cioè sulla differenza tra vita, come conseguenza di forze biologiche, e l'atto di essere vivo, come soggetto di conoscenza.

«Quando gli stregoni parlano di plasmare la situazione di vita di qualcuno,» puntualizzò «vogliono dire plasmare la consapevolezza di esser vivo. Plasmando questa consapevolezza, attingiamo energia sufficiente a raggiungere e sostenere il corpo energetico, e con esso possiamo certamente plasmare la direzione e le conseguenze delle nostre vite.»

Don Juan concluse la nostra conversazione sul Sognare ammonendomi a non limitarmi a pensare a quel che lui mi aveva detto, ma a trasformare i suoi concetti in un modo possibile di vivere con un processo ripetitivo. Lui asseriva che tutto quel che c'era di nuovo nella nostra vita, come i concetti degli stregoni che mi andava insegnando, ci doveva essere ripetuto fino alla nausea prima che noi l'accettassimo. Mi fece notare che la ripetizione è il metodo seguito dai nostri progenitori per farci svolgere la nostra funzione sociale nel mondo quotidiano.

Mentre continuavo la mia pratica del Sognare, acquistai la capacità di rimanere pienamente consapevole quando ero sul punto di addormentarmi, nonché quella di fermarmi durante un sogno per esaminare a mio piacimento una qualsiasi componente del sogno stesso. Per me, sperimentare una cosa del genere aveva addirittura del miracoloso.

Don Juan dichiarò che mentre rafforziamo il controllo sui nostri Sogni, rafforziamo al tempo stesso la padronanza sulla nostra Attenzione del sogno. Aveva ragione ad affermare che l'Attenzione del sogno entra in gioco quando è chiamata, quando le si offre uno scopo. Il suo entrare in gioco non è davvero un processo, secondo quanto si intende normalmente per processo — cioè un sistema di operazioni in fieri, oppure una serie di azioni o funzioni che portano a un risultato finale. È piuttosto un risveglio. Qualcosa d'inattivo che all'improvviso diviene funzionale.

 

 3
Il secondo varco del Sognare  
     Con le mie pratiche del Sognare scoprii che un Maestro del sogno deve creare una sintesi didattica per dare enfasi a un dato punto. In fondo, quel che don Juan voleva con il mio primo compito era farmi esercitare l'Attenzione del sogno focalizzandola sugli oggetti dei miei sogni. A questo scopo aveva usato come elemento di punta l'idea che io fossi consapevole di stare per addormentarmi. Usava il sotterfugio di dire che l'unico modo per accorgersi di stare per addormentarsi era esaminare gli elementi dei propri Sogni.

Una volta iniziate le mie pratiche del Sognare, mi accorsi quasi subito che esercitare l'Attenzione del sogno costituisce il punto essenziale del Sognare. Alla nostra mente, tuttavia, sembra impossibile che ci si possa addestrare alla consapevolezza al livello dei Sogni. Don Juan disse che l'elemento attivo di questo addestramento è la perseveranza, e che la mente e tutte le sue difese razionali non possono tenerle testa. Prima o poi, aggiunse, le barriere della mente cedono all'impatto e sboccia l'Attenzione del sogno.

Mentre mi esercitavo a mettere a fuoco e a trattenere la mia Attenzione del sogno sulle componenti dei miei Sogni, cominciai a provare una insolita sensazione di baldanza, così rimarchevole da indurmi a chiedere in merito l'opinione di don Juan.

«É entrare nella Seconda Attenzione che ti dà quella sensazione di fiducia in te stesso» disse. «Questo richiede una sobrietà ancora maggiore da parte tua. Avanza lentamente, ma senza fermarti e, soprattutto, non parlare, agisci soltanto!»

Gli dissi che nella pratica avevo confermato quanto lui mi aveva anticipato, e cioè che se durante un sogno si guardava tutto con occhiate rapide, le immagini non si dissolvevano. Commentai che la parte più difficile è infrangere la barriera iniziale che ci impedisce di portare i sogni alla nostra attenzione consapevole. Chiesi a don Juan di dirmi quello che pensava sull'argomento, in quanto io ritenevo seriamente che si trattasse di una barriera psicologica creata dalla nostra socializzazione, che incoraggia a non dar peso ai Sogni.

«La barriera è più della socializzazione» replicò. «È il primo varco del Sognare. Ora che l'hai superato, ti sembra stupido che non ci si possa fermare a volontà, osservando gli oggetti dei nostri Sogni. Si tratta di una falsa certezza. Il primo varco del Sognare ha a che vedere con il flusso di energia nell'universo. Un ostacolo naturale.»

Don Juan mi convinse poi a tenere le nostre discussioni sul Sognare solo nella Seconda Attenzione e quando egli lo riteneva più opportuno. Mi incoraggiò a continuare a far pratica, nel frattempo, e promise che da parte sua non ci sarebbe stata nessuna interferenza.

A mano a mano che acquistavo esperienza nelle tecniche del Sognare, provai più volte sensazioni che mi parvero molto importanti: per esempio, quando sentii di ruzzolare in un fosso proprio mentre mi stavo addormentando. Don Juan non mi disse mai che si trattava di sensazioni assurde, ma me le lasciava registrare nei miei appunti. Ora mi rendo conto di quanto gli debbo essere sembrato irragionevole. Oggi, se insegnassi il Sognare, scoraggerei decisamente un comportamento del genere. Don Juan si limitava a prendermi in giro, definendomi un cripto-egocentrico che si vantava di combattere la presunzione eppure teneva un meticoloso, superpersonale diario dal titolo "I Miei Sogni".

Ogni volta che gli si presentava l'occasione, don Juan mi faceva notare che l'energia necessaria per liberare dal carcere della socializzazione la nostra Attenzione del sogno. deriva dal riutilizzo della nostra esistente energia. Nulla di più vero. L'emergere della nostra Attenzione del sogno è un corollario diretto del rinnovamento delle nostre vite. Poiché, a quanto dice don Juan, non abbiamo alcun modo di attingere a una fonte esterna per un supplemento di energia, dobbiamo riciclare quella che abbiamo, con ogni mezzo a nostra disposizione.

Don Juan insisteva che la via degli stregoni è il miglior modo per ungere, diciamo così, le ruote del riutilizzo dell'energia, e che tra tutte le cose sulla via degli stregoni, la più efficace sia "perdere la presunzione". Era convinto sino in fondo che ciò fosse indispensabile per ogni attività degli stregoni, e per questo motivo attribuiva grande importanza al guidare tutti i suoi discepoli verso il conseguimento di tale requisito. Credeva fermamente che la presunzione non è solo il nemico supremo degli stregoni, ma la nemesi dell'umanità.

Secondo le parole di don Juan, la maggior parte della nostra energia è impiegata a mantenere la nostra presunzione. Questo appare più evidente nella preoccupazione infinita per la presentazione del sé, per vedere se siamo o no ammirati, amati, riconosciuti. Argomentò che se fossimo capaci di perdere un po' di boria, ci accadrebbero due cose straordinarie. Primo, libereremmo l'energia dal tentativo di mantenere l'idea illusoria della nostra grandeur; e, secondo, forniremmo a noi stessi l'energia sufficiente a entrare nella Seconda Attenzione per afferrare un barlume della reale grandeur dell'universo.

Mi ci vollero più di due anni per riuscire a focalizzare con fermezza la mia Attenzione del sogno su una qualsiasi cosa di mia scelta. E diventai così esperto da ricavare l'impressione di non aver mai fatto altro in tutta la mia vita. La cosa più strana era che non riuscivo a concepire di non esserne stato capace prima. Tuttavia potevo ricordare quanto mi fosse stato difficile anche il solo pensare a una possibilità del genere. Mi venne in mente che la capacità di esaminare i contenuti dei propri sogni doveva essere il prodotto di una configurazione naturale del nostro essere, forse simile alla capacità di deambulazione. Noi siamo fisicamente condizionati a camminare in un unico modo, su due piedi, eppure imparare a farlo richiede uno sforzo enorme.

Questa nuova abilità di dare rapide occhiate agli oggetti dei miei sogni era appaiata a un insistente tormentone per farmi ricordare di guardare le componenti di ogni sogno conoscevo bene le inclinazioni del mio carattere, ma nei sogni la mia incontrollabilità aumentava moltissimo Diventò tanto evidente che non solo mi dava fastidio sentirmi brontolare contro me stesso ma cominciai a chiedermi se si trattasse davvero della mia incontrollabilità o di qualcos'altro. Mi venne persino il dubbio di star perdendo l'uso della ragione.

«Nei miei sogni parlo a lungo con me stesso, raccomandandomi di guardare ogni cosa» dissi a don Juan.

Avevo sempre rispettato il nostro accordo secondo cui avremmo parlato dei sogni solo quando lui avesse introdotto l'argomento, ma ritenni che questa fosse un'emergenza.

«Dalla voce ti sembra che non si tratti di te ma di qualcun altro?» volle sapere.

«Ora che mi ci fai pensare, direi proprio di sì. Non ho la mia solita voce, in quelle circostanze.»

«E allora non sei tu. Non è ancora il momento per spiegartelo. Diciamo però che non siamo soli in questo mondo. Diciamo che ci sono altri mondi a disposizione dei Sognatori, mondi totali. Da questi altri mondi totali, qualche volta vengono a noi delle entità energetiche. La prossima volta che ti senti rampognare te stesso nel sogno. fa' la voce grossa, impartisci ordini. Urla: piantala!»

Ecco che mi ritrovavo di fronte a un'altra sfida: dovevo ricordarmi di urlare quell'ordine nel sogno. Credo di averlo fatto forse perché ero tanto disturbato dal sentirmi brontolare. I rimbrotti cessarono immediatamente e non ripresero più.

Quando rividi don Juan gli posi una domanda: «È un'esperienza comune a ogni Sognatore, questa?».

«A qualcuno» replicò senza alcun interesse.

Iniziai a concionare sulle strane cose che mi erano capitate, ma mi interruppe dicendo: «Ora sei pronto per il secondo varco del Sognare».

Afferrai l'occasione per cercare le risposte alle domande che non ero riuscito a porgli. Quello che avevo provato la prima volta che mi aveva fatto Sognare era l'assillo maggiore. Dissi a don Juan che avevo osservato con completa soddisfazione gli elementi dei miei Sogni, e non avevo mai provato nulla di pur vagamente simile, in termini di chiarezza e di dettagli.

«Più ci penso» dissi «e più ne sono incuriosito. Osservando quelle persone nel sogno. ho provato una paura e una repulsione impossibili da dimenticare. Di che sensazione si trattava, don Juan?»

«Secondo me, il tuo corpo energetico si incollò all'energia aliena di quel luogo, e fu un vero sballo. È naturale che ne fossi impaurito e sconcertato: ti trovavi per la prima volta in assoluto di fronte a un'energia sconosciuta.

«Tu hai una certa tendenza a comportarti come gli stregoni dell'antico. Appena ti si presenta l'occasione, lasci andare il tuo punto di unione. Quella volta se ne andò molto lontano, con il risultato che tu, come gli antichi stregoni, fosti costretto a viaggiare ben al di là del mondo che conosciamo. Un viaggio molto reale ma pericoloso.»

Non diedi peso al significato delle sue dichiarazioni per approfondire quello che mi interessava e gli chiesi: «Ma quella città era forse su un altro pianeta?».

«Non puoi spiegare il Sognare riferendoti a cose che conosci o credi di conoscere» fece. «Tutto quello che posso dirti è che la città che visitasti non era in questo mondo.»

«E dove, allora?»

«Fuori da questo mondo, naturalmente. Non sei così sciocco: fu la prima cosa che notasti. Ciò che ti fece girare in tondo fu l'incapacità di immaginare qualcosa che sia fuori da questo mondo.»

«Dov'è Fuori-da-Questo-Mondo, don Juan?»

«Credimi, la componente più bizzarra della stregoneria è quella configurazione chiamata Fuori-da-Questo Mondo. Per esempio, tu davi per scontato che io stessi vedendo le stesse cose che vedevi tu. Lo prova il fatto che tu non mi abbia mai chiesto che cosa vedessi io. Tu, e tu soltanto, vedesti una città e la gente di quella città. Io non vidi nulla del genere. Io vidi energia. Così, in quella occasione e per te solo, Fuori-da-Questo-Mondo fu una città.»

« Ma allora, don Juan, non era una città vera! Esisteva solo per me, nella mia mente!»

«No, non è questo il problema. Tu vorresti ridurre qualcosa di trascendentale a qualcosa di terreno. Non puoi farlo. Quel viaggio fu un vero viaggio. Tu lo vedesti i come una città. Io lo vidi come energia. Nessuno di noi due ha torto o ragione.»

«Vado in confusione quando affermi che si tratta di cose reali. Hai detto prima che siamo arrivati in un posto reale. Ma se era reale, come possiamo averne due versioni?»

«Semplicissimo. Ne abbiamo due perché a quell'epoca noi avevamo diversi gradi di uniformità e coesione. Ti ho spiegato che quelle due qualità sono la chiave della percezione.»

«Pensi che potrei tornare in quella particolare città?»

«Mi cogli impreparato. Non lo so. O forse lo so, ma non posso spiegarlo. O forse riuscirei a spiegarlo, ma non voglio. Dovrai aspettare o scoprire da te qual è la soluzione.»

Rifiutò di discuterne ancora.

«Torniamo al nostro argomento» disse. «Si raggiunge il secondo varco del Sognare quando ci si sveglia da un sogno in un altro sogno. Si possono fare quanti sogni si vuole o quanti si è capaci di farne, ma si deve esercitare un adeguato controllo e non svegliarsi nel mondo che conosciamo.»

Provai un brivido di panico. «Stai dicendo che non dovrei mai svegliarmi in questo mondo?» domandai.

«No, non intendevo questo. Ma ora che me l'hai fatto notare, devo confessarti che rappresenta un'alternativa. Gli stregoni dell'antichità erano soliti farlo, non si svegliavano mai nel mondo conosciuto. Anche qualcuno degli stregoni della mia stirpe lo ha fatto. Si può farlo di certo, ma io non lo consiglio. Ciò che voglio è che tu ti svegli naturalmente alla fine del tuo Sognare, ma, durante il sogno. voglio che tu sogni di svegliarti in un altro sogno.»

Gli stavo facendo la stessa domanda, m'accorsi, che gli avevo posta la prima volta che mi aveva detto di prepararmi a Sognare. «Ma è possibile fare una cosa del genere?»

Don Juan ovviamente approfittò della mia disattenzione e mi ripeté ridendo la risposta che mi aveva dato in precedenza. «Ma certo che è possibile! Questo controllo non è affatto diverso da quello che esercitiamo su qualsiasi situazione nella vita quotidiana.»

Mi ripresi subito dall'imbarazzo ed ero pronto a porre altre domande, ma don Juan mi prevenne e cominciò a spiegare gli aspetti del secondo varco del Sognare; le sue parole mi misero ancora più a disagio.

«C'è un problema con il secondo varco» disse. «È un problema che può diventare serio, a seconda della propensione del carattere di ciascuno. Se abbiamo la tendenza a rimanere attaccati alle cose o alle situazioni, dobbiamo aspettarci un pugno in faccia.»

«Come mai don Juan?»

«Pensaci un attimo. Hai già provato la straordinaria gioia di esaminare il contenuto dei tuoi sogni. Immagina di andare da un sogno all'altro, guardando tutto, esaminando ogni dettaglio. È molto facile capire come si possa precipitare in abissi mortali. Specie se si è inclini alla condiscendenza.»

«Ma il corpo o il cervello non sarebbero in grado di mettervi un freno, istintivamente?»

«Sì, certo, se si trovano in una situazione di sonno naturale, voglio dire normale. Ma questa non è una situazione normale. Questo è il Sognare. Un Sognatore, passando per il primo varco ha già raggiunto il corpo energetico. Così, ciò che attraversa il secondo varco, saltellando da un sogno all'altro, è il corpo energetico.»

«Che implicazioni ha tutto questo, don Juan?»

«Che attraversando il secondo varco tu debba intendere un maggiore e più sobrio controllo della tua Attenzione del sogno. è l'unica valvola di sicurezza per i Sognatori.»

«Cos'è questa valvola di sicurezza?»

«Scoprirai per conto tuo che il vero scopo del Sognare è perfezionare il corpo energetico. Un perfetto corpo energetico, naturalmente unito ad altre cose, ha un tale controllo sull'Attenzione del sogno da riuscire a interromperlo, se necessario. È questa la valvola di sicurezza dei Sognatori. Per quanto accondiscendenti possano essere, a un dato momento la loro Attenzione del sogno li costringe a tornare sulla terra.»

Ricominciai tutto da capo in un'altra ricerca sul Sognare. Questa volta la meta era più oscura e le difficoltà anche maggiori. Come nella prima circostanza, anche stavolta non riuscivo nemmeno a immaginare da dove iniziare. Avevo lo scoraggiante sospetto che l'esercizio non mi sarebbe stato di molto aiuto, stavolta. Dopo infiniti tentativi a vuoto, rinunciai, e mi limitai a continuare semplicemente la pratica di fissare la mia Attenzione del sogno su ogni componente dei miei Sogni. Accettare i fallimenti sembrava darmi una spinta, e diventai anche più esperto a sostenere la vista di ogni elemento dei miei Sogni.

Passò così un anno senza che nulla cambiasse. Poi un giorno qualcosa mutò. Mentre stavo contemplando una finestra in un mio sogno. cercando di scoprire se riuscivo a intravedere il panorama che si godeva dalla stanza, una forza simile a un vento — che mi sentii sibilare nelle orecchie — mi tirò fuori, attraverso la finestra. Proprio prima di essere strappato via, la mia Attenzione del sogno era stata attirata da una strana struttura situata a una certa distanza. Sembrava un trattore. Mi ci trovai all'improvviso vicino, a esaminarlo.

Ero pienamente consapevole di stare Sognando. Guardai in giro per scoprire se avrei potuto individuare da quale finestra avessi visto il panorama. La scena era quella di una fattoria in campagna. Non c'erano costruzioni nelle vicinanze. Volevo riflettere su questo. Invece tutta la mia attenzione fu catturata da un gran numero di macchinari agricoli sparsi tutt'intorno, come abbandonati. Notai falciatrici, trattori, mietitrebbia, aratrici meccaniche, battitrici; erano talmente tante che dimenticai il mio sogno originale. Ciò che volevo allora era orientarmi osservando il paesaggio immediatamente circostante. C'era qualcosa in lontananza che sembrava un cartellone pubblicitario, e intorno alcuni pali del telefono.

Nel momento in cui concentrai la mia attenzione sul cartellone, mi ci trovai accanto. La struttura d'acciaio mi fece paura. Era minacciosa. Sul manifesto c'era la riproduzione di un edificio. Lessi il testo: era la pubblicità di un motel. Avevo la strana certezza di trovarmi in Oregon o nel nord della California.

Cercai altri punti di riferimento nell'ambiente del mio sogno. Vidi montagne in lontananza e, più vicino, verdi colline tondeggianti. Su quelle colline c'erano macchie d'alberi, mi sembravano querce della California. Volevo essere attratto da quelle verdi colline e invece quel che mi attirava erano le montagne lontane. Ero sicuro fossero le Sierras.

Su quelle montagne tutta la mia energia di sogno mi abbandonò. Prima però fui attratto da ogni possibile elemento. Il mio sogno cessò di essere un sogno. Quanto alla mia capacità di percezione, mi trovavo in effetti nelle Sierras, passando rapidissimo da burroni a dossi, alberi, caverne. Sfrecciai da pendii scoscesi alle cime delle montagne sino a quando non ebbi esaurito ogni carica e non riuscii più a concentrare l'Attenzione del sogno su nulla. Sentii che perdevo il controllo. E in fine non ci fu più alcun paesaggio, solo oscurità.

«Hai raggiunto il secondo varco del Sognare» mi comunicò don Juan quando gli riferii il mio sogno. «Quello che dovresti fare ora è superarlo. Passare attraverso il secondo varco è un affare molto serio; richiede un grande sforzo di disciplina.»

Non ero sicuro di aver portato a termine il compito che mi aveva affidato, in quanto non mi ero veramente svegliato in un altro sogno. Chiesi a don Juan il perché di questa irregolarità.

«L'errore è stato mio» rispose. «Ti avevo detto che ci si deve svegliare in un altro sogno. ma quel che intendevo è che si deve cambiare sogni in maniera ordinata e precisa, come hai fatto tu.«Al primo varco tu perdesti un sacco di tempo cercando solo le tue mani. Questa volta, sei andato direttamente alla soluzione senza preoccuparti di seguire l'ordine che ti era stato impartito, cioè svegliarti in un altro sogno.»

Don Juan disse che ci sono propriamente due modi di attraversare il secondo varco del Sognare. Uno è svegliarsi in un altro sogno. cioè Sognare di fare un sogno e poi Sognare di svegliarsi da questo sogno. L'alternativa è usare gli elementi di un sogno per provocare un altro sogno. proprio come avevo fatto io.

Don Juan mi fece esercitare senza alcuna interferenza da parte sua, esattamente come aveva sempre fatto. E io confermavo le due alternative che lui descriveva: o Sognavo di fare un sogno da cui Sognavo di svegliarmi o passavo rapidamente da un elemento definito, accessibile alla mia immediata Attenzione del sogno. a un altro, non così accessibile. Oppure entravo in una leggera variazione del secondo: guardavo fisso un elemento qualsiasi di un sogno. sostenendo lo sguardo finché questo elemento non cambiava forma e, una volta cambiata, mi attirava in un altro sogno tramite un vortice ronzante. Tuttavia non mi riuscì mai di decidere in anticipo quale dei due avrei seguito. Le mie esercitazioni del Sognare terminavano sempre quando esaurivo la carica di Attenzione del sogno e infine mi svegliavo o piombavo in una cupa, profonda sonnolenza.

Durante le mie pratiche tutto andava liscio come l'olio. L'unico disturbo che ebbi fu una strana interferenza, un accesso di paura o di disagio che provavo con sempre maggiore frequenza. Il mio modo di combatterlo era credere che fosse collegato alle mie atroci abitudini alimentari o al fatto che, in quei giorni, don Juan mi stesse facendo ingerire una profusione di piante allucinogene come parte del tirocinio. Quegli accessi divennero però tanto macroscopici da costringermi a chiedere consiglio al Maestro.

«In questo momento sei entrato nella parte più pericolosa della conoscenza stregonesca» esordì lui. «È terrore puro, un vero incubo. Potrei scherzarci sopra, e dirti che non ti ho accennato a questa possibilità per rispetto verso la tua conclamata razionalità, ma non posso. Ogni stregone deve affrontarla. È qui, temo, che potrai pensare benissimo di star perdendo la testa.»

Don Juan mi spiegò con grande solennità che la vita e la consapevolezza, essendo solo un problema di energia, non appartengono solo agli organismi. Disse che gli stregoni hanno visto che ci sono due tipi di esseri coscienti che vagano sulla Terra, gli esseri organici e quelli inorganici, e che paragonando gli uni agli altri hanno visto che sono tutti e due masse luminose attraversate in ogni immaginabile angolo da milioni di filamenti di energia cosmica. Si distinguono l'uno dall'altro per la forma e il grado di luminosità. Gli esseri inorganici sono lunghi e simili a candele, ma opachi, mentre gli esseri organici sono rotondi e di gran lunga i più brillanti. Un'altra notevole differenza, che secondo don Juan gli stregoni avevano visto, è che la vita e la consapevolezza degli esseri organici dura poco in quanto sono ossessionati dalla fretta, mentre la vita degli esseri inorganici è infinitamente più lunga e la loro consapevolezza infinitamente più calma e più profonda.

«Gli stregoni non hanno problemi a interagire con loro» proseguì don Juan. «Gli esseri inorganici possiedono l'ingrediente cruciale per l'interazione, la consapevolezza.»

«Ma questi esseri inorganici esistono davvero? Come te e me?» chiesi.

«Certo» rispose. «Credimi, gli stregoni sono creature molto intelligenti; non si gingillerebbero mai con aberrazioni della mente per prenderle poi sul serio come realtà concrete.»

«Perché dici che sono vivi?»

«Per gli stregoni, vivere vuol dire avere coscienza. Significa possedere il punto di unione e il suo luminoso alone di consapevolezza, una condizione che indica agli stregoni come l'essere di fronte a loro, organico o inorganico, è completamente in grado di percepire. Per gli stregoni, percepire è la precondizione della vita.»

«Allora gli esseri inorganici devono anche morire, vero, don Juan?»

«Sicuro. Perdono coscienza proprio come noi, tranne che la durata della loro consapevolezza per la nostra mente è sbalorditiva.»

«Questi esseri inorganici appaiono agli stregoni?»

«É molto difficile spiegare quello che fanno. Diciamo che quegli esseri sono attratti da noi o, meglio ancora, sono costretti a interagire con noi.»

Don Juan mi scrutò con sguardo penetrante. «Tu non stai capendo nulla di tutto questo» disse, col tono di chi ha raggiunto una conclusione.

«Non mi riesce di pensarci razionalmente» ammisi.

«Io te l'avevo detto che questo argomento avrebbe messo a dura prova la tua ragione. La miglior cosa da fare, allora, è sospendere ogni giudizio e lasciare che tutto segua il suo corso; devi cioè permettere agli esseri inorganici di venire da te.»

«Stai parlando seriamente, don Juan?»

«Molto seriamente. La difficoltà con gli esseri inorganici è che la loro consapevolezza è lentissima se paragonata alla nostra. Passano anni prima che uno stregone sia riconosciuto dagli esseri inorganici. Così, è consigliabile aver pazienza e aspettare. Prima o poi si fanno vivi. Ma non come faremmo tu o io. La loro è una maniera molto particolare di farsi conoscere.»

«Come fanno ad attirarli, gli stregoni? Hanno un rituale?»

«Be', certo non si mettono in mezzo a una strada, a invocarli con voce tremante allo scoccare della mezzanotte, se è questo che intendi.»

«Che cosa fanno, allora?»

«Li attirano nel sogno. Ti ho già detto che oltre all'attrazione c'è dell'altro; con il Sognare, gli stregoni costringono quegli esseri a interagire con loro.»

«Come fanno gli stregoni a costringerli con il Sognare?»

«Sognare è sostenere la posizione in cui il punto di unione si è spostato nel sogno. Questo crea una notevole carica di energia che attira la loro attenzione. È come l'esca per i pesci: abboccano. Gli stregoni, raggiungendo e attraversando i primi due varchi del Sognare, piazzano l'esca per quegli esseri e li costringono ad apparire.

«Attraversando i due varchi, hai dichiarato la tua posizione. Ora non ti resta che attendere un segno da parte loro.»

«Quale sarà questo segno, don Juan?»

«Forse la comparsa di uno di loro, benché mi sembri troppo presto. Per me, il segnale sarà semplicemente qualche interferenza nel tuo Sognare. Credo che gli accessi di paura che stai provando adesso non sono dovuti a indigestione, ma a scariche di energia che ti comunicano gli esseri inorganici.»

«Che debbo fare?»

«Devi misurare le tue speranze.»

Non riuscivo a capire il significato delle sue parole, e don Juan mi spiegò con grande attenzione che le nostre normali speranze quando intraprendiamo un'interazione con altri uomini o con altri esseri organici, sono di ottenere un'immediata risposta alla nostra sollecitazione. Con gli esseri inorganici, tuttavia, poiché sono separati da noi da una barriera formidabile — l'energia che si muove a velocità diversa —, gli stregoni devono misurare le proprie speranze e sopportare la sollecitazione per tutto il tempo necessario a essere riconosciuti.

«Vuoi dire, don Juan, che la sollecitazione è la stessa cosa delle pratiche del Sognare?»

«Sì. Ma per ottenere un risultato perfetto, devi aggiungere alle tue esercitazioni l'intento di arrivare a quegli esseri inorganici. Comunica loro una sensazione di potere e di fiducia, una sensazione di forza, di distacco. Evita a ogni costo di mandare una sensazione di paura o di morbosità. Sono abbastanza morbosi per conto loro; aggiungere anche la tua morbosità sarebbe a dir poco superfluo.»

«Don Juan, non mi è chiaro come appaiono agli stregoni. Qual è lo strano modo con cui si fanno riconoscere?»

«A volte si materializzano nel mondo di tutti i giorni, proprio sotto i nostri occhi. Ma perlopiù la loro presenza invisibile ci viene segnalata da un soprassalto fisico, una specie di brivido che ci corre per le ossa.»

«E nel Sognare, don Juan?»

«Nel Sognare avviene l'esatto contrario. A volte li sentiamo come li senti tu adesso, un parossismo di paura. Perlopiù si materializzano in nostra presenza. Poiché all'inizio del Sognare non abbiamo alcuna dimestichezza con loro, ci possono terrorizzare oltre misura, e ciò costituisce un vero pericolo per noi. Lungo il canale della paura, ci possono seguire nel mondo d'ogni giorno, con risultati per noi disastrosi.»

«In che senso, don Juan?»

«La paura potrebbe radicarsi nelle nostre esistenze, e dovremmo essere fuori di testa per affrontarla. Gli esseri inorganici possono essere peggio della peste, e farci impazzire come niente.»

«Che cosa fanno gli stregoni con gli esseri inorganici?»

«Si uniscono a loro, li trasformano in alleati. Creano associazioni, nascono amicizie straordinarie. Io le definisco grandi iniziative, in cui la percezione ha il ruolo più importante. Noi siamo esseri sociali, e non possiamo fare a meno di cercare la compagnia della consapevolezza.

«Con gli esseri inorganici, il segreto è non aver paura di loro. E bisogna dimostrarlo fin dall'inizio.

L'intento che va comunicato loro deve essere di potere e abbandono. In quell'intento va inserito un messaggio in codice: "Io non ho paura di te. Vieni a trovarmi. Se lo farai, ti accoglierò bene. Se non vuoi venire, sentirò la tua mancanza". Con un messaggio del genere, s'incuriosiranno talmente che verranno di certo.»

«Perché dovrebbero venire a cercarmi, o perché mai dovrei io cercare loro?»

«I Sognatori, volenti o nolenti, cercano di associarsi ad altri esseri, nel Sognare. Questo può essere uno shock per te, ma i sognatori automaticamente cercano gruppi di esseri, in questo caso di esseri inorganici. I sognatori li cercano avidamente.»

«Mi sembra molto strano, don Juan. Perché i sognatori agirebbero così?»

«Per noi gli esseri inorganici sono una novità. Per loro, è una novità che uno del nostro genere passi i confini del loro mondo. Quello che devi tenere a mente da ora in poi è che gli esseri inorganici con la loro fantastica consapevolezza esercitano una grande attrazione sui sognatori e possono trasportarli senza problemi in mondi oltre ogni descrizione.

«Gli stregoni dell'antichità se ne servivano, furono loro a coniare il nome di "alleati". Gli alleati insegnarono loro a spostare il punto di unione fuori dai confini dell'uovo fino all'universo non-umano. Così, quando trasportano uno stregone, lo portano in mondi oltre il dominio umano.»

Sentendolo parlare, fui assalito da strani timori e premonizioni, che egli avvertì subito.

«Sei uomo di religione fino in fondo.» E rise. «Ora senti che il diavolo ti sta alitando sul collo. Pensa al Sognare in questi termini: Sognare è percepire più di quel che riteniamo possibile percepire.»

Nelle mie ore di veglia, mi tormentavo per la possibilità che esistessero realmente degli esseri inorganici consapevoli. Durante il Sognare, tuttavia, le mie consapevoli preoccupazioni non sortivano un grande effetto. Gli attacchi di paura fisica continuavano, ma dopo ogni volta subentrava una strana calma, una calma che s'impossessava di me e mi faceva agire come se non provassi alcun timore.

Mi sembrava, a quei tempi, che ogni significativa svolta del Sognare accadesse tutt'a un tratto, senza preavviso. La presenza degli esseri inorganici nei miei sogni non rappresentava un'eccezione: si verificò mentre Sognavo un circo che frequentavo da bambino. Lo scenario sembrava quello di una cittadina fra i monti dell'Arizona. Cominciai a osservare la gente con la vaga speranza — che non mi lasciava mai! — di rivedere le persone che avevo visto quando don Juan mi aveva fatto entrare nella Seconda Attenzione per la prima volta.

Mentre le guardavo, provai una contrazione nervosa alla bocca dello stomaco; era come se qualcuno mi avesse dato un pugno. Questa sensazione mi distrasse e persi di vista la gente, il circo e la cittadina tra le montagne dell'Arizona. Al loro posto c'erano due figure dall'aspetto insolito. Erano sottili, larghe non più di trenta centimetri, ma lunghe ben più di due metri. Incombevano su di me come due enormi lombrichi.

Sapevo che si trattava di un sogno. ma sapevo anche che stavo vedendo. Don Juan mi aveva parlato del vedere nella consapevolezza normale, come pure nella Seconda Attenzione. Benché non riuscissi ancora a sperimentarlo io stesso, credevo di aver capito l'idea di percepire direttamente l'energia In quel sogno. guardando quelle due strane apparizioni, mi accorsi che stavo vedendo l'essenza di qualcosa di incredibile.

Rimasi molto calmo. Non mi mossi. La cosa più notevole, secondo me, fu che non si dissolsero né si trasformarono in qualcos'altro. Erano esseri coesivi che conservavano l'aspetto a forma di candela.

Qualcosa in quelle due figure costringeva qualcosa in me a mantenere la visione della loro forma. Lo sapevo perché qualcosa mi diceva che, se io non mi fossi mosso, non si sarebbero mossi neanche loro.

A un dato momento finì tutto, quando mi svegliai di soprassalto. Fui subito assalito da paure. Mi invase una preoccupazione profonda. Non si trattava di un affanno psicologico, ma di un concreto senso di angoscia, una tristezza senza alcun motivo apparente.

Da allora in poi le due strane forme mi apparvero ogni volta che Sognavo. Alla fine, era come se Sognassi solo per incontrare loro. Non tentavano mai di muoversi verso di me o di interferire in qualsiasi modo. Se ne stavano lì, immobili, davanti a me, per tutta la durata del sogno. Non solo non feci mai nessun tentativo di cambiare i miei Sogni, ma dimenticai perfino la ricerca originale delle mie esercitazioni del Sognare.

Quando alla fine discussi con don Juan quello che mi stava accadendo, avevo già passato dei mesi unicamente a contemplare le due forme.

«Sei bloccato a un incrocio pericoloso» mi comunicò don Juan. «Non è giusto cacciar via quegli esseri, ma non è neanche giusto lasciarli stare. Al momento, la loro presenza è d'impaccio al tuo Sognare.»

«Che posso fare?»

«Affrontali, subito, nel mondo della vita quotidiana, e dì loro di tornare più avanti, quando avrai più potere di sogno.»

«Come faccio ad affrontarli?»

«Non è facile, ma si può fare. Occorre solo avere fegato, e tu certo ne hai.»

Senza aspettare che gli dicessi che non avevo affatto fegato, mi portò verso le colline. Allora lui abitava nel Messico settentrionale, e mi aveva dato l'impressione generale di essere uno stregone solitario, un vecchio dimenticato da tutti e completamente al di fuori dei filoni principali delle vicende umane di ogni giorno. Tuttavia avevo dato per scontato che fosse oltremodo intelligente, ed ero perciò disposto a soddisfare quelle che erano quasi certamente solo delle eccentricità.

L'astuzia degli stregoni, coltivata nei secoli, era il marchio di garanzia di don Juan. Egli si assicurava che io comprendessi quanto più potevo nella mia consapevolezza normale e, allo stesso tempo, si accertava che entrassi nella Seconda Attenzione, dove comprendevo, o almeno ascoltavo con passione, tutto quello che mi andava insegnando. In questo modo mi divideva in due. Nella mia consapevolezza normale, non riuscivo a capire perché o come mai fossi più che disposto a prendere sul serio le sue eccentricità; nella Seconda Attenzione, era tutto perfettamente sensato.

Secondo la sua opinione, la Seconda Attenzione è a disposizione di tutti noi, ma alcuni, ostinatamente aggrappati alla stupida razionalità con maggior forza di altri, tengono la Seconda Attenzione a distanza. Per lui, il Sognare abbatte le barriere che circondano e isolano la Seconda Attenzione.

Il giorno in cui mi condusse sulle colline nel deserto di Sonora per incontrare gli esseri inorganici, io ero nel mio stato di consapevolezza normale. Eppure in qualche modo sapevo di dover fare qualcosa che certamente sarebbe stata incredibile.

Nel deserto era caduta una pioggia leggera. La terra rossa era ancora umida e mentre camminavo mi si raggrumò sotto la suola di gomma delle scarpe. Dovetti batterle sui sassi per rimuovere la terra. Stavamo camminando diretti a est, e salivamo verso le colline. Quando fummo arrivati a una stretta gola fra due colline, don Juan si fermò.

«Questo è certo un posto ideale per chiamare i tuoi amici» disse.

«Perché li definisci amici miei?»

«Ti hanno scelto loro personalmente. Quando fanno una cosa del genere, vuol dire che cercano compagnia. Ti ho già detto che gli stregoni stringono con loro rapporti di amicizia . Il tuo caso può servire da esempio. E non devi neanche sollecitarli.»

«In che cosa consiste questa amicizia, don Juan?»

«Consiste in un reciproco scambio di energia. Gli esseri inorganici forniscono la loro alta consapevolezza, e gli stregoni affinata consapevolezza e alta energia. Il risultato positivo è uno scambio alla pari. Quello negativo, la dipendenza per tutte e due le parti.

«Gli antichi stregoni erano soliti amare i loro alleati. Infatti, gli volevano bene più di quanto non ne volessero a quelli della loro stessa specie. Vedo in questo tremendi pericoli.»

«Cosa mi consigli di fare, don Juan?»

«Convocali. Fattene un'idea, e poi decidi tu stesso come agire.»

«Che cosa devo fare per convocarli?»

«Tieni in mente il tuo sogno con la visione di quei due. Il motivo per cui hanno saturato i tuoi sogni con la loro presenza è che vogliono creare nella tua mente la memoria della loro forma. E questo è il momento di usare quella memoria.»

Don Juan mi ordinò con forza di chiudere gli occhi e tenerli chiusi. Poi mi guidò fino a certe rocce e mi ci fece sedere sopra. Sentii la durezza e il freddo della pietra. I massi avevano una forte pendenza, e trovavo difficile mantenermi in equilibrio.

«Sta' seduto qui e visualizza la loro forma finché non corrispondono perfettamente a quelli che vedi nei tuoi Sogni» mi bisbigliò all'orecchio. «Dimmi quando li hai a fuoco.»

Mi ci volle pochissimo tempo e fatica per avere un quadro mentale completo delle loro forme, così come apparivano nei miei Sogni. Non mi meravigliai affatto di esserci riuscito. Quello che mi sorprese fu che, nonostante cercassi disperatamente di comunicare a don Juan di essere riuscito a immaginarli nella mia mente, non potevo dar voce alle mie parole e neanche aprire gli occhi. Di certo ero sveglio: sentivo tutto.

Udii infatti che don Juan mi diceva: «Ora puoi aprire gli occhi». Li aprii senza difficoltà. Ero seduto a gambe incrociate su alcuni massi, che però non erano gli stessi che avevo sentito sotto di me quando mi ci ero seduto. Don Juan era proprio dietro di me, alla mia destra. Cercai di girarmi per stargli di fronte, ma lui costrinse la mia testa a rimanere ferma. Vidi allora proprio davanti a me due forme scure, simili a due sottili tronchi d'albero.

Le fissai a bocca aperta: non erano alte come nei miei Sogni, ma si erano ridotte della metà. Invece di essere figure di opaca luminosità, erano ora due bastoni compressi, scuri, quasi neri, minacciosi.

Don Juan mi ordinò: «Alzati e afferrane uno, e non mollarlo, per quanto ti possa strapazzare!».

Non avevo nessuna intenzione di obbedire a una richiesta del genere, ma una forza sconosciuta mi fece alzare contro la mia stessa volontà, ed ebbi la netta sensazione che avrei finito col fare quello che mi aveva ordinato lui, benché non lo volessi affatto.

Meccanicamente mi avvicinai alle due figure: il cuore mi batteva così forte che sembrava stesse per scoppiarmi in petto. Afferrai quella a destra. Provai una tale scarica elettrica che la figura scura quasi mi cadde di mano.

Mi arrivò la voce di don Juan, un urlo che sembrava provenire da molto lontano. «Se ti cade, sei fritto!» diceva.

La tenni ben stretta, e lei roteava e si agitava. Non come avrebbe fatto un grosso animale, ma come una cosa soffice e leggera, benché molto elettrica. Ci rotolammo nella sabbia della gola per un bel po'. Mi provocava una scossa dopo l'altra, di una corrente elettrica che mi dava la nausea. La consideravo disgustosa perché mi sembrava diversa dall'energia che conoscevo da sempre nel nostro mondo quotidiano. Quando mi scuoteva il corpo, mi pizzicava facendomi urlare e ringhiare come un animale, non per la sofferenza, ma per una rabbia insolita.

Finalmente la forma si calmò, diventando quasi solida sotto di me. Se ne stava ferma, inerte. Chiesi a don Juan se fosse morta, ma non sentii la mia voce.

«Non ci contare» disse qualcuno ridendo, qualcuno che non era don Juan. «Hai solo esaurito la sua carica energetica. Ma non alzarti subito. Sta' giù ancora un attimo.»

Guardai don Juan con una domanda negli occhi. Lui mi stava esaminando con grande curiosità. Poi mi diede una mano a tirarmi su. La figura scura rimase per terra. Io volevo sapere da don Juan se la figura scura stesse bene, ma ancora una volta non riuscii a dar voce alle mie parole. Poi feci una cosa strana: presi tutto per reale. Fino a quel momento qualcosa nella mia mente mi aveva fatto conservare la ragione facendomi considerare un sogno tutto quanto accadeva, un sogno indotto dalle macchinazioni di don Juan.

Mi avvicinai così alla figura che giaceva in terra e cercai di sollevarla. Non riuscii ad afferrarla perché non aveva massa. Mi sentii disorientato. La stessa voce di prima, che non era quella di don Juan, mi disse di sdraiarmi sopra l'essere inorganico. Lo feci, e ci rialzammo tutti e due con un unico movimento, l'essere inorganico come un'ombra scura attaccata a me. Si staccò con delicatezza e scomparve, lasciandomi con un senso di completezza estremamente gradevole.

Mi ci vollero più di ventiquattr'ore per riprendere il totale controllo delle mie facoltà. Dormii quasi tutto il tempo. Don Juan veniva a controllarmi di tanto in tanto, ponendomi la stessa domanda: «L'energia dell'essere inorganico era come il fuoco o come l'acqua?».

Mi sembrava di avere la gola inaridita. Non riuscivo a dirgli che le scariche di energia che avevo sentito erano come getti di acqua elettrizzata. In vita mia non ho mai provato getti di acqua elettrizzata, e non sono sicuro che sia possibile produrli o sentirli, ma era quella l'immagine che si creava nella mia mente ogni volta che don Juan formulava la sua domanda chiave.

Quando alla fine scoprii di essere completamente guarito, don Juan stava dormendo. Sapendo che la sua era una domanda molto importante, lo svegliai e gli dissi quello che avevo provato.

«Non avrai amici servizievoli tra gli esseri inorganici, ma rapporti di irritante dipendenza» dichiarò. «Sta' molto attento. Gli esseri inorganici d'acqua sono più portati agli eccessi. Gli antichi stregoni credevano fossero più affettuosi, più capaci di imitare, o forse perfino di provare sentimenti, diversamente da quelli di fuoco, che erano ritenuti più seri, più controllati degli altri, ma anche più pomposi.»

«Che significa tutto questo per me, don Juan?»

«Ha un significato troppo vasto per poterlo discutere adesso. Quello che ti raccomando è sconfiggere la paura dai sogni e dalla vita per tutelare la tua unità. L'essere inorganico che hai prima svuotato e poi ricaricato di energia, per l'emozione ha perduto la sua forma a candela. Tornerà da te per un'altra razione.»

«Perché non mi hai fermato, don Juan?»

«Non me ne hai dato il tempo. Inoltre, non mi hai neanche sentito quando ti urlavo di lasciare per terra l'essere inorganico.»

«Avresti dovuto illustrarmi in anticipo tutte le possibilità, come fai di solito.»

«Io non le conoscevo. Per quel che riguarda gli esseri inorganici, sono quasi un novellino. Rifiutai quella parte della conoscenza degli stregoni perché mi sembrava troppo ingombrante e inaffidabile. Non voglio essere alla mercé di nessun essere, organico o inorganico che sia.»

Quella fu la fine della nostra conversazione. Avrei dovuto preoccuparmi per la sua reazione chiaramente negativa, ma non ci riuscivo. Per qualche strano motivo ero sicuro che tutto quello che avevo fatto era giusto.

Continuai con le mie esercitazioni del Sognare senza alcuna interferenza da parte degli esseri inorganici.

 4
La fissazione del punto di unione
     Poiché il nostro accordo prevedeva che noi discutessimo del Sognare solo quando don Juan lo riteneva necessario, io gli ponevo molto di rado domande sull'argomento e non insistevo mai a indagare al di là di un certo limite. Per questo ero più che ansioso di starlo a sentire ogniqualvolta decideva di trattare quel soggetto. I commenti o le discussioni sul Sognare erano invariabilmente inseriti in altri settori del suo insegnamento, ed erano sempre introdotti all'improvviso, bruscamente.

Una volta, mentre mi trovavo ospite a casa sua, eravamo impegnati in una conversazione che non aveva alcun nesso con il suo insegnamento quando, senza preamboli, disse che gli antichi stregoni erano diventati grandi esperti nel manipolare il punto di unione — tema vasto e sinistro grazie ai loro contatti con gli esseri inorganici nel Sognare.

Afferrai subito l'opportunità di chiedere a don Juan una sua stima dell'epoca in cui potevano aver vissuto gli stregoni. In altre precedenti occasioni gli avevo posto la stessa domanda, ma non mi aveva mai dato una risposta soddisfacente. Speravo, tuttavia, che in quel momento, visto che era stato lui a tirare in ballo l'argomento, fosse disposto a compiacermi.

«Un punto molto controverso» rispose. Il modo in cui lo disse mi fece credere che non stesse prendendo in considerazione la mia domanda. Fui molto sorpreso quando continuò a parlare. «Metterà alla prova la tua razionalità quanto l'argomento degli esseri inorganici. A proposito, che pensi di loro, adesso?»

«Sto concedendo un attimo di pausa alle mie opinioni» dissi. «Non posso permettermi di pensare, in un modo o in un altro.»

La mia risposta lo deliziò. Rise e parlò delle sue personali paure e avversioni per gli esseri inorganici.

«Non ho mai avuto un debole per loro» disse. «Certo, il motivo primo era il timore che nutrivo nei loro riguardi. Non riuscii a superarlo quando dovevo, e poi diventò costante.»

«Hai paura di loro adesso, don Juan?»

«Non è proprio paura ciò che sento, ma repulsione. Non voglio averci nulla a che fare.»

«C'è un motivo particolare per questa repulsione?»

«Il migliore del mondo: siamo antitetici. Loro amano la schiavitù mentre io sono per la libertà. A loro piace comprare, mentre io non vendo.»

Diventai inspiegabilmente nervoso e gli dissi brusco che per me l'argomento era tanto inverosimile che non riuscivo a prenderlo sul serio.

Mi fissò sorridendo e disse: «La miglior cosa da fare con gli esseri inorganici è ciò che fai tu: negarne l'esistenza, ma incontrarli con regolarità, asserendo che tutto avviene nel sogno e nel sogno tutto è possibile. In questo modo non ti comprometti».

Mi sentii stranamente colpevole, benché non riuscissi a immaginarne il motivo. Mi trovai costretto a domandare: «A cosa ti riferisci, don Juan?».

«Alle tue visite agli esseri inorganici» mi rispose in tono secco.

«Stai scherzando? Quali visite?»

«Non volevo discuterne, ma credo sia venuta l'ora di dirti che quella voce molesta che tu sentivi e che ti ripeteva di fissare l'Attenzione del sogno sulle componenti dei tuoi sogni era la voce di un essere inorganico.»

Pensai che don Juan fosse del tutto fuori di senno. Mi irritai talmente che gli urlai perfino contro. Mi prese in giro ridendo e mi chiese di raccontargli le mie irregolari sequele di Sogni. La richiesta mi lasciò di stucco: infatti non avevo mai detto a nessuno che ogni tanto sbucavo da un sogno. attratto da un determinato elemento, ma invece di cambiare sogno io, come avrei dovuto, cambiava tutta l'atmosfera del sogno e mi ritrovavo in una dimensione a me sconosciuta. Mi levavo molto in alto, diretto da una guida invisibile che mi faceva roteare vorticosamente su me stesso. Mi risvegliavo sempre che giravo ancora, e continuavo a voltarmi e rivoltarmi di qua e di là per un bel pezzo prima di svegliarmi del tutto.

«Sono genuini incontri che stai avendo con gli esseri inorganici tuoi amici» commentò don Juan.

Non volevo discutere con lui, ma neanche ammettere di essere d'accordo. Restai zitto. Avevo dimenticato la mia domanda sugli antichi stregoni, ma don Juan riprese l'argomento.

«Per quanto ne so io, gli antichi stregoni forse vissero addirittura diecimila anni fa» disse, sorridendo e osservando la mia reazione.

Basando la mia risposta sui dati archeologici attuali relativi alle migrazioni di tribù asiatiche nomadi verso le Americhe, osservai che ritenevo inesatta quella datazione. Diecimila anni era un'epoca troppo remota.

«Tu hai la tua conoscenza e io la mia» replicò. «La mia conoscenza è che gli antichi stregoni dominarono per quattromila anni, da settemila a tremila anni fa. Tremila anni fa persero tutto. Da allora in poi gli stregoni si stanno raggruppando, e ristrutturano ciò che era rimasto dell'antico.»

«Come fai a essere sicuro della tua datazione?» feci.

«Come fai a essere sicuro della tua?» mi rimbeccò.

Gli spiegai che gli archeologi avevano metodi infallibili per stabilire l'epoca delle passate culture. Ancora mi ribatté che gli stregoni hanno loro particolari metodi infallibili.

«Non sto cercando di contestarti o di metterti a tacere,» continuò «ma uno di questi giorni potrai chiedere a chi sa con certezza.»

«Nessuno può conoscere questo con certezza, don Juan.»

«Questa è un'altra di quelle cose impossibili da credere, ma c'è qualcuno in grado di verificare tutto questo. Un giorno conoscerai quella persona.»

«Andiamo, don Juan, stai proprio scherzando. Chi potrebbe mai verificare quel che è accaduto settemila anni fa?»

«Semplicissimo, uno degli antichi stregoni di cui stavamo parlando. Quello che ho conosciuto io. E lui che mi ha raccontato tutto. Spero che ti ricorderai ciò che sto per dirti su quell'uomo in particolare. È la chiave per molte delle nostre imprese ed è anche lui quello che dovrai conoscere.»

Dissi a don Juan che pendevo dalle sue labbra anche se non comprendevo le cose di cui parlava. Mi accusò di dargli corda senza credere una parola sugli antichi stregoni. Io riconobbi che in stato di coscienza normale, naturalmente, non avevo prestato fede a queste storie inverosimili. Ma a dire il vero non lo avevo fatto neanche nella Seconda Attenzione, quando avrei dovuto avere ben altra reazione.

«Solo quando ti soffermi a riflettere su quanto ho detto, diventa una storia inverosimile» mi fece notare. «Se tu non coinvolgi il tuo senso comune, rimane solo un problema di energia.»

«Perché, don Juan, hai detto che dovrò conoscere uno degli antichi stregoni?»

«Perché è vero. È vitale che voi due vi conosciate, un giorno. Ma, per il momento, lascia che ti racconti un'altra storia inverosimile su uno dei Nagual del mio lignaggio, il Nagual Sebastian.»

Don Juan mi disse che all'inizio del XVIII secolo il Nagual Sebastian faceva il sagrestano di una chiesa nel Messico meridionale. Nel suo resoconto il Maestro pose in evidenza che gli stregoni, passati e presenti, cercano e trovano protezione presso solide istituzioni come la Chiesa. Secondo una sua idea, per la loro eccezionale disciplina, gli stregoni sono impiegati assai affidabili e sono molto ricercati da quegli enti che hanno sempre un disperato bisogno di persone del genere. Don Juan affermava che, finché nessuno sa delle attività degli stregoni, la loro mancanza di scelte ideologiche li fa apparire come lavoratori modello.

Continuando nel racconto, don Juan disse che un giorno, mentre Sebastian era impegnato nel suo lavoro di sagrestano, giunse alla chiesa un vecchio indio che sembrava malato. Con voce fioca sussurrò a Sebastian che aveva bisogno di aiuto. Il Nagual pensò che l'indio volesse il parroco, ma questi, con un enorme sforzo, si rivolse proprio a lui e in tono schietto e rigoroso gli disse di sapere che Sebastian non era solo uno stregone, ma un Nagual.

Quello, piuttosto allarmato dall'improvvisa piega degli eventi, prese in disparte l'indio e gli impose di chiedergli scusa. L'uomo rispose che non era venuto per scusarsi, ma per ottenere un aiuto specialistico. Aveva bisogno spiegò — di ricevere l'energia del Nagual per conservare la propria vita che, assicurò a Sebastian, era attiva da migliaia d'anni, ma al momento stava inesorabilmente avviandosi al declino.

Il Nagual, che era molto intelligente ma poco disposto a stare a sentire quelle stupidaggini, esortò l'indio a smetterla con le pagliacciate. Il vecchio perse le staffe e minacciò Sebastian di denunciare lui e i fedeli della sua parrocchia alle autorità ecclesiastiche se non fosse stata esaudita la sua richiesta.

Don Juan mi ricordò che questo accadeva ai tempi in cui le autorità ecclesiastiche stavano brutalmente e sistematicamente sradicando le pratiche degli indios del Nuovo Mondo, ritenute eretiche. La minaccia dell'uomo non andava quindi presa alla leggera: il Nagual e il suo gruppo si trovavano davvero in pericolo mortale. Sebastian chiese all'indio come avrebbe potuto fornirgli energia e lui spiegò che i Nagual, grazie alla loro disciplina, acquistano un'energia particolare che incamerano nei propri corpi e che egli avrebbe estratto in modo indolore dal centro energetico nell'ombelico di Sebastian. In cambio, Sebastian avrebbe ottenuto non solo la possibilità di continuare le proprie attività sano e salvo, ma anche un dono di potere.

Al Nagual non andava giù di essere manipolato dal vecchio indio, ma costui fu inflessibile e non gli lasciò altra alternativa se non quella di accettare la sua richiesta.

Don Juan mi assicurò che il vecchio indio non stava affatto esagerando con le sue rivendicazioni. Si trattava di uno stregone dei tempi antichi, di quelli conosciuti come gli Sfidanti della Morte. Era riuscito a sopravvivere fino ai nostri giorni, a quanto sembrava, manipolando il suo punto di unione in modi noti soltanto a lui.

Don Juan m'informò che quanto accadde fra Sebastian e quell'indio divenne la base di un accordo che avrebbe legato tutti e sei i Nagual che seguivano Sebastian. Lo Sfidante della Morte mantenne la parola: in cambio dell'energia ricevuta da ognuno dei Nagual fece un regalo al donatore, un dono di potere.

Sebastian dovette accettare il dono, anche se con riluttanza: era stato messo con le spalle al muro e non aveva scelta. Gli altri Nagual del suo seguito, tuttavia, accettarono i doni, soddisfatti e orgogliosi.

Don Juan concluse il suo racconto dicendo che col tempo lo Sfidante della Morte divenne noto come l'Inquilino. Per più di duecento anni i Nagual della stirpe di don Juan rispettarono l'impegno, creando un rapporto di simbiosi che cambiò il corso e la destinazione finale del loro lignaggio.

Don Juan non si curò di spiegarmi altro, ma in me rimase una sensazione di sincerità che mi dava più fastidio di quanto avrei potuto immaginare.

«Come ha fatto a vivere così a lungo?» chiesi.

«Non lo sa nessuno» rispose. «Tutto quello che abbiamo mai saputo su di lui, da generazioni, è quel che lui ci ha detto. Lo Sfidante della Morte è la persona a cui ho chiesto notizie sugli antichi stregoni, ed è stato lui a dirmi che erano al massimo della loro attività tremila anni or sono.»

«Come sai che diceva la verità?» gli domandai.

Don Juan scosse il capo, stupito se non proprio schifato. «Quando ti trovi in presenza dell'inconcepibile ignoto, là fuori,» disse, indicando tutto ciò che lo circondava «non perdi tempo con meschine bugie; quelle sono soltanto per chi non ha mai visto ciò che li attende nell'aldilà.»

«Che ci attende laggiù, don Juan?»

La sua risposta, una frase in apparenza innocua, mi spaventò più che se mi avesse descritto una cosa orripilante.

«Qualcosa di supremamente impersonale» dichiarò.

Doveva aver notato che stavo crollando. Mi fece cambiare livello di consapevolezza per scacciare la mia paura.

 

Pochi mesi dopo, la mia pratica del Sognare subì uno strano cambiamento. Durante i miei sogni cominciai a ricevere risposte alle domande che avevo in animo di porre a don Juan. Ciò che maggiormente mi colpì di questo strano fenomeno fu che presto si presentò nelle ore in cui ero

sveglio, e un giorno, mentre ero seduto alla scrivania, ebbi una risposta a una domanda non formulata sulla realtà degli esseri inorganici. Avevo visto gli esseri inorganici nei miei sogni tante di quelle volte che avevo iniziato a considerarli reali. Ricordai a me stesso che ne avevo perfino toccato uno, in stato di coscienza semi normale, una volta, quando mi trovavo nel deserto di Sonora. E i miei Sogni

erano stati periodicamente deviati verso visioni di mondi che avevo seri motivi per dubitare che fossero prodotti della mia mente. Desideravo esprimere al meglio e succintamente il mio pensiero a don Juan, così mi modellai nella mente la frase: se si deve accettare che gli esseri inorganici sono reali come le persone, dove è situato, nella fisicità del cosmo, il regno in cui essi essi esistono?

Dopo aver formulato la domanda a me stesso, udii una strana risata, proprio come era accaduto quando avevo lottato con l'essere inorganico. Poi una voce d'uomo mi rispose: «Quel mondo esiste in una posizione particolare del punto di unione» disse. «Come il tuo mondo esiste nella posizione abituale del punto di unione.»

L'ultima cosa che volevo era stabilire un dialogo con una voce disincarnata, così mi alzai e corsi fuori di casa. Mi venne il dubbio di stare impazzendo. Un'altra preoccupazione che si aggiungeva alle mie innumerevoli altre. La voce era stata così chiara e autoritaria che non solo mi affascinava, ma mi spaventava oltre ogni dire. Aspettai con grande trepidazione un'imminente fuoco di fila, ma il fenomeno non si ripeté più. Appena mi si presentò l'occasione, mi consultai con don Juan.

Non si mostrò affatto meravigliato. «Devi capire, una volta per tutte, che cose come questa sono molto normali nella vita di uno stregone» esclamò. «Non stai affatto impazzendo, ma stai semplicemente ascoltando la voce del tuo Emissario del sogno. Dopo aver attraversato il primo o il secondo varco del Sognare, i sognatori raggiungono una soglia di energia e cominciano a vedere cose o a sentire voci. Non voci al plurale, ma una voce singola. Gli stregoni la chiamano la voce dell'Emissario del sogno.»

«Cos'è un Emissario del sogno.»

«Energia aliena che ha concisione. Energia aliena che si propone di aiutare i sognato ridicendo loro delle cose. Il problema dell'Emissario del sogno è che può solo dire ciò che gli stregoni già sanno, o dovrebbero sapere, se valessero qualcosa.»

«Dire che si tratta di energia aliena che ha concisione non mi aiuta affatto, don Juan. Che tipo di energia è: ... favorevole, ostile, giusta, sbagliata o cosa?»

«È solo quel che ho detto, energia aliena. Una forza impersonale che noi tramutiamo in una molto personale perché ha la voce. Alcuni stregoni hanno piena fiducia in essa. La vedono, perfino. O, come nel tuo caso, la sentono soltanto come una voce maschile o femminile. E la voce può parlare loro dello stato delle cose, che essi perlopiù prendono per consigli sacri.»

«Perché alcuni di noi la sentono come voce?»

«La vediamo o sentiamo perché noi conserviamo il nostro punto di unione fisso in una specifica nuova posizione; più intensa è questa fissazione, più intensa è la nostra esperienza dell'Emissario. Sta' attento! Potresti vederla e sentirla come una donna nuda.»

Don Juan rise della sua stessa battuta, ma io avevo troppa paura per le frivolezze.

«Questa forza è capace di materializzarsi?» indagai.

«Certo» replicò. «Tutto dipende da quanto è fisso il punto di unione. Ma, puoi star tranquillo, se riesci a mantenere un certo distacco, non accade nulla. L'Emissario resta quello che è: una forza impersonale che agisce su di noi per effetto della fissazione dei nostri punti di unione.»

«I suoi consigli sono sicuri e affidabili?»

«Non può darci consigli. Ci parla solo delle cose, e poi noi traiamo da soli le nostre conclusioni.»

Dissi allora a don Juan ciò che la voce mi aveva comunicato.

«É proprio come ti ho detto io» mi fece notare don Juan «1'emissario non ha aggiunto nulla di nuovo. Le sue dichiarazioni erano esatte, ma per te erano rivelazioni solo in apparenza. Quello che ha fatto l'Emissario è stato solo ripetere quanto sapevi già.»

«Temo di non poter affermare che sapevo già tutte quelle cose, don Juan.»

«Ma certo che puoi. Ora tu sai molto di più sul mistero dell'universo di quanto immagini razionalmente. Ahimè, è il male dell'umanità, sapere più di quanto si immagini sui misteri dell'universo!»

L'aver sperimentato questo incredibile fenomeno da solo, senza l'ausilio di don Juan, mi esaltava. Mi sarebbe piaciuto avere altre notizie sul conto dell'Emissario. Cominciai a indagare se anche don Juan sentisse la voce dell'Emissario.

Interruppe a mezzo le mie domande e con un largo sorriso disse: «Sì, sì. L'Emissario parla anche a me. Quando ero giovane ero solito vederlo come un frate con un cappuccio nero. Un frate chiacchierone che ogni volta mi metteva una fifa blu. In seguito, quando la mia paura fu più controllabile, diventò una voce disincarnata, che ancora oggi mi dice delle cose».

«Che genere di cose, don Juan?»

«Qualsiasi cosa su cui concentri il mio intento, cose che non voglio faticare a seguire da solo. Quali, per esempio, i dettagli sulla condotta dei miei apprendisti. Ciò che fanno quando io non sono nei paraggi. Mi dice cose su di te, in particolare. L'Emissario mi dice tutto quello che fai.»

A quel punto, la piega che aveva preso la nostra conversazione non mi piaceva affatto. Mi lambiccai disperatamente il cervello per trovare domande da porgli su altri argomenti mentre lui rideva come un matto.

«L'Emissario del sogno è un essere inorganico?» azzardai.

«Diciamo che l'Emissario del sogno è una forza che viene dal mondo degli esseri inorganici. Per questo motivo i sognatori lo incontrano sempre.»

«Vuoi dire, don Juan, che ogni Sognatore sente o vede l'Emissario?»

«Tutti sentono l'Emissario; pochissimi lo vedono o lo toccano.»

«Sai darmi una spiegazione per questo?»

«No. Inoltre, non m'importa molto dell'Emissario. A un certo punto della mia vita, dovevo prendere una decisione: o concentrarmi sugli esseri inorganici e seguire le orme degli antichi stregoni, o rifiutare tutto. Il mio maestro, il Nagual Julian, mi aiutò a decidere di rifiutare. E non l'ho mai rimpianto.»

«Credi che anch'io dovrei rifiutare gli esseri inorganici, don Juan?»

Non mi rispose; invece, mi spiegò che tutto il mondo degli esseri inorganici è sempre pronto a insegnare. Forse perché gli esseri inorganici hanno una consapevolezza più profonda della nostra, e si sentono obbligati a prenderci sotto le loro ali.

«Non vedevo alcun motivo per diventare loro discepolo» aggiunse. «Il prezzo è troppo alto.»

«E quale sarebbe?»

«Le nostre vite, la nostra energia, la nostra devozione verso di loro. In altre parole, la nostra libertà.»

«Ma che cosa insegnano?»

«Cose pertinenti al loro mondo. Come noi stessi insegneremmo agli esseri inorganici se fossimo capaci di farlo, cose che riguardano il nostro mondo. Tuttavia, il loro metodo è prendere il nostro sé di base come misura di quello di cui abbiamo bisogno e poi insegnarci di conseguenza. Un affare molto pericoloso!»

«Io non vedo perché dovrebbe essere pericoloso!»

«Se qualcuno prendesse il tuo sé di base come misura, con tutte le tue paure, avidità, invidie, eccetera, eccetera, e t'insegnasse cosa appaga quell'orribile stato di essere, quale pensi sarebbe il risultato?»

Non replicai. Riuscivo a capire perfettamente le ragioni del suo rifiuto.

«Il problema degli antichi stregoni era che avevano appreso cose mirabili, ma sulla base dei loro inalterati sé primari» proseguì don Juan. «Gli esseri inorganici diventarono loro alleati e, tramite esempi calcolati, insegnarono meraviglie agli antichi stregoni. Gli alleati compivano le azioni e, passo dopo passo, gli antichi stregoni erano guidati a copiare quelle stesse azioni, senza mutare nulla della loro natura di fondo.»

«Questi rapporti con gli esseri inorganici avvengono ai nostri giorni?»

«Non sono in grado di risponderti con esattezza. Tutto quello che posso dirti è che io non so concepire di avere un rapporto del genere. Un coinvolgimento di questa natura riduce la nostra ricerca della libertà consumando tutta l'energia che abbiamo disponibile. Per seguire davvero l'esempio dei loro alleati, gli stregoni dell'antico dovettero passare la vita nel regno degli esseri inorganici. La quantità di energia necessaria per compiere un viaggio così lungo è sbalorditiva.»

«Vuoi dire, don Juan, che gli antichi stregoni furono capaci di esistere in quei mondi come noi esistiamo qui?»

«Non proprio come noi esistiamo qui, ma vivevano di certo: mantenevano la loro consapevolezza, la loro individualità. L'Emissario del sogno divenne per quegli stregoni l'entità più vitale. Se uno stregone vuole vivere nel mondo degli esseri inorganici, l'Emissario rappresenta il ponte perfetto; parla; è portato all'insegnamento, alla guida.»

«Sei mai stato in quel mondo, don Juan?»

«Infinite volte. E anche tu. Ma è inutile discuterne ora. Non ti sei ancora sbarazzato delle macerie dell'Attenzione del sogno. Un giorno parleremo di quel mondo.»

«Mi par di capire che non approvi l'Emissario e non ti piace, vero, don Juan?»

«Né lo approvo né mi piace. Appartiene a un altro stile, allo stile degli antichi stregoni. Inoltre, i suoi insegnamenti e la sua guida nel nostro mondo sono idiozie, e per queste idiozie egli ci fa pagare un'enormità in energia. Un giorno sarai d'accordo con me. Vedrai!»

Nel tono delle parole di don Juan mi parve di avvertire una velata implicazione: era convinto che non la pensassi come lui sull'Emissario. Stavo per farglielo notare quando udii nelle orecchie la voce dell'Emissario. «Ha ragione» disse la voce. «Io ti piaccio perché non trovi nulla di male nell'esplorare tutte le possibilità. Tu miri alla conoscenza: la conoscenza è potere. Non vuoi rimanertene al sicuro nelle credenze e nelle abitudini del nostro mondo di tutti i giorni.»

L'Emissario mi disse tutto questo in inglese con una spiccata cadenza californiana. Poi passò allo spagnolo: riconobbi un leggero accento argentino. Non l'avevo mai sentito parlare così prima: mi affascinava. L'Emissario mi parlò di realizzazione, di conoscenza; di quanto fossi lontano dalla mia patria; del mio desiderio di avventura e della mia quasi ossessione per nuove cose e nuovi orizzonti. La voce mi parlò perfino in portoghese, con una riconoscibile inflessione delle Pampas meridionali.

Ascoltare quella voce che riversava su di me tutta questa adulazione non solo mi spaventò, ma mi nauseò addirittura.

Senza perder tempo a pensarci sopra, dissi immediatamente a don Juan che dovevo smettere le mie esercitazioni del Sognare. Mi guardò negli occhi, sorpreso. Ma quando gli ripetei ciò che avevo sentito fu d'accordo che smettessi, anche se mi sembrò che lo facesse solo per calmarmi.

Dopo qualche settimana, giudicavo la mia reazione un po' isterica e la mia decisione di interrompere il tirocinio totalmente sbagliata. Ripresi la pratica del Sognare. Ero sicuro che don Juan avesse notato che ero tornato sui miei passi.

Durante una delle mie visite a casa sua, di punto in bianco parlò dei Sogni. «Solo perché non abbiamo appreso a dare rilievo ai sogni come un vero campo d'esplorazione, non vuol dire che non lo siano» cominciò. «I sogni sono analizzati per il loro significato o sono considerati come presagi, ma non sono mai intesi come un mondo di reali accadimenti.

«Secondo la mia conoscenza, gli antichi stregoni furono gli unici a farlo,» continuò, «ma alla fine fallirono clamorosamente. Diventarono avidi, e quando giunsero a un bivio cruciale, presero la strada sbagliata. Misero in un unico paniere tutte le loro uova, rischiando il tutto per tutto: la fissazione del punto di unione sulle migliaia di posizioni che può adottare.»

Don Juan si dichiarava sbalordito perché, di tutte le cose meravigliose che gli antichi stregoni avevano appreso esplorando quelle migliaia di posizioni, erano rimaste soltanto l'Arte del Sognare e l'Arte dell'Agguato. Ripeté più volte che l'Arte del Sognare tratta dello spostamento del punto di unione, e poi definì l'agguato come l'arte che si occupa della fissazione del punto di unione in qualsiasi posizione si sia spostato.

«Fissare il punto di unione in qualsivoglia nuova posizione vuol dire acquistare coesione» affermò. «Nelle tue pratiche del Sognare tu hai fatto proprio questo.»

«Credevo di stare perfezionando il mio corpo energetico» replicai, piuttosto stupito della sua dichiarazione.

«Stai facendo quello e altro: stai imparando ad avere coesione. Il Sognare lo fa costringendo i sognatori a fissare il punto di unione. L'Attenzione del sogno. il corpo energetico, la Seconda Attenzione, il rapporto con gli esseri inorganici, e l'Emissario del sogno. non sono che sottoprodotti della conquista della coesione. In altre parole, sono tutti sottoprodotti della fissazione del punto di unione in una serie di posizioni di sogno.»

«Che cos'è una posizione di sogno. don Juan?»

«Qualsiasi nuova posizione in cui il punto di unione è stato spostato durante il sonno.»

«Come si fa a fissare il punto di unione in una posizione di sogno.»

«Sopportando la visione di qualunque elemento del sogno. o cambiando sogno a piacere. Con le tue esercitazioni del Sognare, stai davvero mettendo in pratica la tua capacità di essere coesivo, cioè la tua capacità di conservare una nuova forma di energia, tenendo il punto di unione fissato sulla posizione di qualsiasi sogno particolare che tu stia facendo.»

«Conservo davvero una nuova forma di energia?»

«Non esattamente: e non perché tu non possa, ma solo perché stai cambiando il punto di unione invece di spostarlo. I cambiamenti del punto di unione danno luogo a modifiche lievi, che praticamente non si notano. La sfida dei cambiamenti è che sono così piccoli e tanto numerosi che riuscire a mantenere la coesione in tutti è davvero un successo.»

«Come facciamo a sapere che manteniamo la coesione?»

«Lo sappiamo dalla chiarezza della nostra percezione. Più è chiara la visione dei nostri Sogni, più è grande la nostra coesione.»

Disse che era giunta l'ora che avessi un'applicazione pratica di quanto avevo appreso nel Sognare. Senza darmi la possibilità di porre la minima domanda, mi sollecitò a concentrare la mia attenzione, come se stessi Sognando, sulle foglie di un albero là vicino, un mesquite.1

«Vuoi che lo fissi soltanto?» mi informai.

«Non voglio che ti limiti a guardarlo, ma che faccia qualcosa di speciale con il fogliame» specificò. «Ricorda che, nei Sogni, una volta che riesci a sostenere la vista di ogni elemento, stai in realtà tenendo la posizione di sogno del tuo punto di unione. Ora, guarda fissamente quelle foglie come se stessi Sognando, ma con una piccola e pur molto significativa variazione: manterrai la tua Attenzione del sogno sul fogliame del mesquite nella consapevolezza del nostro mondo quotidiano.»

Il nervosismo mi impediva di seguire il filo dei suoi pensieri. Con grande pazienza, lui mi spiegò che, fissando le foglie, avrei compiuto un minimo spostamento del mio punto di unione. Poi, raccogliendo la mia Attenzione del sogno fissando le singole foglie, avrei fissato quel piccolo spostamento e così la mia coesione mi avrebbe fatto percepire nei termini della Seconda Attenzione. Aggiunse, ridacchiando, che il processo era tanto semplice da risultare ridicolo.

Don Juan aveva ragione. Mi bastò concentrare lo sguardo sulle foglie, mantenerlo lì, e in un attimo fui attirato in una sensazione di vortice, molto simile ai vortici dei miei Sogni. Il fogliame del mesquite diventò un universo di dati sensoriali. Fu come se la chioma dell'albero mi avesse ingoiato, ma la sensazione non interessava solo la vista; se sfioravo le foglie, le sentivo davvero al tatto e potevo anche goderne il profumo. La mia Attenzione del sogno era multisensoriale e non solo visiva, come nei soliti sogni.

Quanto era cominciato come un'intensa contemplazione delle foglie dell'albero mesquite si era tramutato in Sognare. Credevo di trovarmi in un albero Sognato, come ero stato in alberi di innumerevoli Sogni. E naturalmente mi comportai in questo albero sognato come avevo imparato a comportarmi nei miei Sogni: mi spostai da un elemento a un altro, attirato dalla forza di un vortice che prendeva forma in qualsiasi parte dell'albero su cui io concentrassi la mia multisensoriale Attenzione del sogno. I vortici si formavano non solo quando fissavo qualcosa, ma anche quando la toccavo con qualsiasi parte del corpo.

Nel bel mezzo di questa visione, o sogno. ebbi un attacco di dubbi razionali. Cominciai a chiedermi se nel mio intontimento mi fossi davvero arrampicato sull'albero e stessi proprio stringendo le foglie, perso nella chioma fronzuta, senza sapere quello che facevo. O forse mi ero addormentato, quasi ipnotizzato dal fruscìo delle foglie nel vento, e stavo Sognando. Ma come in un sogno. non avevo abbastanza energia per ponderare troppo a lungo. I miei pensieri volavano via veloci e duravano un solo istante. Poi la forza dell'esperienza diretta li cancellò completamente.

Un movimento improvviso intorno a me agitò tutto e in pratica mi fece emergere da una massa di foglie, come se mi fossi staccato dall'attrazione magnetica dell'albero. Avevo di fronte uno sconfinato orizzonte, e lo dominavo da un'altura. Ero circondato da verdi piante e montagne scure. Un'altra esplosione di energia mi agitò fin nelle ossa, e mi trovai da un'altra parte. Alberi enormi si stagliavano dovunque. Erano più grandi degli abeti Douglas dell'Oregon e dello Stato di Washington, non avevo mai visto una foresta simile. Lo scenario era in tale contrasto con il deserto di Sonora che non ebbi alcun dubbio di stare Sognando.

Mi aggrappai a quella straordinaria visione, timoroso che potesse interrompersi, sapendo che si trattava davvero di un sogno e che tutto sarebbe sparito non appena avessi esaurito l'Attenzione del sogno. Ma le immagini continuavano, anche quando pensai di avere certamente finito la mia Attenzione del sogno. Ebbi un pensiero atroce: e se non si trattava né di un sogno né del mondo di ogni giorno?

Terrorizzato, allo stesso modo in cui un animale può provare terrore, mi ritrassi nella massa di foglie da cui ero emerso. L'impeto del movimento all'indietro continuò a farmi scivolare tra il fogliame e i rami nodosi. Mi staccò dall'albero e in mezzo secondo mi trovai in piedi accanto a don Juan sulla soglie di casa sua, nel deserto di Sonora.

Mi accorsi all'istante di essere entrato di nuovo in uno stato in cui potevo pensare coerentemente, ma non parlare. Don Juan mi raccomandò di non preoccuparmi. Disse che la nostra facoltà di eloquio è molto fragile e che gli attacchi di mutismo sono piuttosto comuni fra gli stregoni che si spingono oltre i limiti della normale percezione.

Avevo la profonda sensazione che don Juan si fosse impietosito di me e avesse deciso di tirarmi su il morale. Ma la voce dell'Emissario del sogno. che sentii chiaramente in quel momento, dichiarò che di lì a qualche ora, e dopo un po' di riposo, sarei stato in forma perfetta..

Al mio risveglio, e su richiesta di don Juan, gli fornii una descrizione completa di quello che avevo visto e fatto. Mi avvertì che non sarebbe stato possibile fidarsi della mia razionalità per capire la mia esperienza, non perché la mia razionalità fosse in qualche modo menomata, ma perché quel che aveva avuto luogo era un fenomeno al di fuori dei parametri della ragione.

Naturalmente, io contestai che nulla può sussistere oltre i limiti della ragione; possono esserci delle cose oscure, ma prima o poi la ragione trova sempre il modo di far luce su tutto: e lo credevo davvero!

Don Juan, con grande pazienza, mi fece notare che la ragione è soltanto un sottoprodotto della posizione abituale del punto di unione; quindi, sapere quanto accade, avere la mente ferma e i piedi piantati ben saldi in terra — fonti per noi di grande orgoglio e conseguenze naturali del nostro valore — sono solo il risultato della fissazione del punto di unione nel suo posto abituale. Più sarà rigido e stazionario, maggiore sarà la nostra fiducia in noi stessi, più profonda la nostra convinzione di conoscere il mondo, di riuscire a prevedere le cose.

Aggiunse che il Sognare ci dona la fluidità per entrare in altri mondi, distruggendo la nostra sensazione di conoscere questo. Lui definiva il Sognare un viaggio di dimensioni impensabili, un viaggio che, dopo averci fatto percepire tutto quello che si può umanamente percepire, fa superare al punto di unione i confini della sfera umana, facendoci percepire l'inconcepibile.

«E ci ritroviamo ad affrontare ancora la cosa più importante nel mondo della stregoneria,» proseguì «la posizione del punto di unione: maledizione degli antichi stregoni, nonché spina nel fianco dell'umanità.»

«Perché dici così, don Juan?»

«Perché sia l'umanità in generale sia gli antichi stregoni furono preda della posizione del punto di unione: l'umanità perché, ignorando l'esistenza del punto di unione, è costretta a considerare il sottoprodotto della sua posizione abituale come qualcosa di finale e indiscutibile. E gli antichi stregoni perché, nonostante sapessero tutto sul punto di unione, si fecero incantare dalla sua facilità di manipolazione.

«Devi evitare di cadere in quei trabocchetti» continuò. «Sarebbe davvero irritante se ti schierassi dalla parte dell'umanità, come se non sapessi dell'esistenza del punto di unione. Ma sarebbe ancora più disonesto se ti mettessi con gli stregoni, e manipolassi cinicamente il punto di unione a tuo vantaggio.»

«Ancora non capisco. Che connessione c'è fra tutto questo e quello che ho provato ieri?»

«Ieri tu ti trovavi in un altro mondo. Ma se mi chiedi dov'è quel mondo, e io ti rispondo che è nella posizione del punto di unione, la mia risposta per te non avrà senso.»

Secondo don Juan io potevo scegliere fra due possibilità. Con la prima, dovevo seguire i fondamenti logici dell'umanità, trovandomi in una situazione imbarazzante: la mia esperienza mi avrebbe detto che gli altri mondi esistevano, ma la mia ragione mi avrebbe ripetuto che tali mondi non esistono e non possono esistere. Con la seconda possibilità, avrei dovuto seguire i fondamenti logici degli antichi stregoni, e in quel caso avrei automaticamente accettato l'esistenza di altri mondi, e la mia avidità da sola avrebbe fatto resistere il mio punto di unione nella posizione che crea quei mondi. Ne sarebbe risultata un'altra situazione imbarazzante, quella di dovermi muovere fisicamente in mondi visionistici, spinto da speranze di potere e profitto.

Ero troppo stordito per seguire la sua disquisizione, ma poi mi accorsi che non era necessario in quanto ero totalmente d'accordo con lui, nonostante non avessi una visione completa di quello su cui mi dichiaravo d'accordo. Trovarmi d'accordo con lui era una sensazione che mi pareva venisse da lontano, un'antica certezza che avevo perduto e che ora stava lentamente ritrovando la strada per tornare a me.

Il ritorno alle mie esercitazioni del Sognare eliminò queste agitazioni, ma ne creò altre. Per esempio, dopo aver sentito la voce dell'Emissario del sogno tutti i giorni per mesi interi, smisi di considerarla un fastidio o un prodigio. Per me, diventò una cosa di ordinaria amministrazione. E, influenzato da quel che mi diceva, feci talmente tanti errori da capire, quasi, la riluttanza di don Juan a prenderla sul serio. Uno psicoanalista avrebbe avuto una giornata campale a interpretare l'Emissario secondo tutte le possibili mutazioni delle mie dinamiche interpersonali.

Don Juan ne conservava una visione rigorosa, come di una forza impersonale, ma costante, proveniente dal regno degli esseri inorganici; così, ogni Sognatore lo sperimenta più o meno negli stessi termini. Se poi decidiamo di seguire le sue parole come fossero consigli, siamo matti irrecuperabili.

E io ero chiaramente uno di questi. Non avrei in alcun modo potuto restare indifferente poiché ero stato coinvolto in prima persona in un fenomeno tanto straordinario: una voce mi aveva raccontato cose segrete di qualsiasi cosa o persona su cui io concentrassi la mia attenzione, con parole chiare e concise, in tre lingue diverse. L'unico inconveniente, per me di poco conto, era che non eravamo sincronizzati. L'Emissario mi raccontava cose su persone o avvenimenti quando io avevo ormai dimenticato che mi avevano interessato.

Chiesi spiegazioni a don Juan su questa stranezza, e lui mi rispose che era dovuta alla rigidità del mio punto di unione. Mi spiegò che io ero stato educato da persone anziane che mi avevano inculcato opinioni tipiche di una certa età, per cui ero pericolosamente virtuoso. La sua insistenza nel somministrarmi pozioni di piante allucinogene era solo un tentativo, diceva, per scuotere il mio punto di unione in modo da lasciargli un minimo margine di fluidità.

«Se non sviluppi questo margine,» proseguì «o diventerai ancora più virtuoso o diventerai uno stregone isterico. Il mio interesse a raccontarti la storia degli antichi stregoni non tende a sparlarne ma a contrapporli a te. Prima o poi, il tuo punto di unione diventerà più fluido, ma non abbastanza per controbilanciare la tua facilità a essere come loro, virtuoso e isterico.»

«Come posso evitare tutto questo, don Juan?»

«C'è un solo modo. Gli stregoni lo chiamano "mera comprensione". Io lo chiamo "un'avventura col sapere". È la spinta che gli stregoni usano per conoscere, fare scoperte, farsi disorientare.»

Don Juan cambiò argomento e continuò a spiegare la fissazione del punto di unione. Disse che vedendo i punti di unione dei bambini — sempre sfarfallanti, come se fossero mossi da tremori — cambiare posto con facilità, gli antichi stregoni giunsero alla conclusione che il posto abituale del punto di unione non è innato, ma provocato dall'abitudine. Vedendo che solo negli adulti è fisso in un luogo particolare, immaginarono che la specifica collocazione del punto di unione favorisse uno specifico modo di percepire: con l'uso, questo modo diviene un sistema di interpretare dati sensoriali.

Il Maestro mi fece notare che, poiché siamo attirati in quel sistema in quanto vi siamo nati, dal momento della nascita noi cerchiamo imperativamente di rendere la nostra percezione conforme alle esigenze di questo sistema, un sistema che ci domina per tutta la vita. Di conseguenza, gli antichi stregoni avevano davvero ragione a credere che l'atto di annullare tale sistema e di percepire energia direttamente è ciò che trasforma una persona in stregone.

Don Juan espresse meraviglia per quello che definiva il maggior successo della nostra educazione umana: bloccare il nostro punto di unione nella sua posizione abituale, in quanto, una volta immobilizzata lì, la percezione può essere guidata e portata a interpretare quello che percepiamo. In altre parole, più in termini del nostro sistema che dei nostri sensi. Mi assicurò che la percezione umana è universalmente omogenea perché i punti di unione di tutta la razza umana sono fissati nello stesso posto.

Proseguì dicendomi che gli stregoni provano tutto questo a se stessi quando vedono che, nel momento in cui il punto di unione è spostato oltre una certa soglia, e cominciano a essere percepiti nuovi filamenti universali di energia, non c'è alcun significato in quanto percepiamo. La causa immediata è che nuovi dati sensoriali hanno reso inoperativo il nostro sistema; non può più essere usato per interpretare quel che stiamo percependo.

«Percepire senza il nostro sistema è, naturalmente, caotico» continuò don Juan. «Ma, stranamente quando pensiamo di aver davvero perduto la nostra direzione, il nostro vecchio sistema si riprende, ci viene in aiuto e trasforma la nostra nuova incomprensibile percezione in un nuovo mondo di comprensione totale. Proprio come accadde a te quando guardavi le foglie dell'albero di mesquite.»

«Che cosa mi accadde veramente, don Juan?»

«Per un po' la tua percezione fu caotica; ti si presentò tutto in una volta sola, e il tuo sistema per interpretare il mondo non funzionò. Poi, il caos finì, e ti trovasti davanti a un mondo nuovo.»

«Ci troviamo ancora allo stesso punto in cui eravamo prima, don Juan. Esiste davvero quel mondo, o è solo la mia mente che l'ha inventato?»

«Siamo tornati, certo, e la risposta è ancora la stessa. Esiste nella posizione precisa in cui si trovava il tuo punto di unione in quel momento. Per percepirlo, ti serviva la coesione, cioè, avevi bisogno di mantenere fisso il tuo punto di unione in quella posizione, e ci sei riuscito. Come risultato, percepisti nella sua interezza un mondo nuovo, per un certo tempo.»

«Ma altri sarebbero in grado di percepire quello stesso mondo?»

«Sicuro, se avessero uniformità e coesione. Uniformità è tenere, all'unisono, la stessa posizione del punto di unione. Gli antichi stregoni chiamavano l'azione di acquisire uniformità e coesione al di là del mondo normale, "l'agguato della percezione".

«L'Arte dell'Agguato,» continuò «come ho già avuto occasione di dirti, riguarda la fissazione del punto di unione. Gli stregoni del tempo antico scoprirono, con la pratica, che, per quanto sia importante far muovere il punto di unione, è ancora più importante farlo rimanere fisso nella nuova posizione, dovunque questa possa trovarsi.»

Mi spiegò che se il punto di unione non diventa stazionario, non v'è modo di percepire con coerenza. Sperimenteremmo un caleidoscopio di immagini dissociate. È questo il motivo per cui gli antichi stregoni enfatizzarono tanto il Sognare quanto l'agguato. Un'arte non può esistere senza l'altra, specie per il genere di attività in cui erano coinvolti loro.

«Di quali attività si trattava, don Juan?»

«I vecchi stregoni le chiamavano le complicazioni della Seconda Attenzione o la grande avventura dell'ignoto.»

Don Juan spiegò che queste attività derivano dallo spostamento del punto di unione. Gli antichi stregoni non solo avevano appreso a spostare i propri punti di unione in migliaia di posizioni sulla superficie o all'interno delle loro masse di energia, ma avevano anche imparato a fissare i loro punti di unione su quelle posizioni e così mantenere la loro coesione, all'infinito.

«Che vantaggio traevano da ciò, don Juan?»

«Non possiamo parlare di vantaggi: possiamo solo parlare di risultati definitivi.»

Mi spiegò che la coesione dei vecchi stregoni era tale che permetteva loro di diventare percettivamente e fisicamente qualsiasi cosa indicata dalla specifica posizione dei loro punti di unione. Si potevano trasformare in qualsiasi cosa di cui possedessero un dettagliato inventario. Un inventario, mi disse, contiene tutti i particolari della percezione necessaria per diventare, per esempio, un giaguaro, un uccello, un insetto, eccetera eccetera.

«È difficile per me credere che questa trasformazione sia possibile» dissi.

«È possibile» mi confermò. «Non tanto per te o per me, ma per loro. Per loro, è stato facilissimo.»

Disse che i vecchi stregoni avevano una fluidità favolosa. Bastava solo il più lieve spostamento del loro punto di unione, il minimo accenno percettivo ispirato dal Sognare, perché fossero subito in grado di tendere un agguato alla percezione, risistemare la loro coesione in modo di adattarla al nuovo stato di consapevolezza, ed essere un animale, un'altra persona, un volatile, o qualsiasi cosa.

«Ma non è quello che fanno i malati di mente? Costruirsi una propria realtà, di volta in volta?» gli chiesi.

«No, non è lo stesso. Gli alienati immaginano una loro realtà perché non hanno alcuno scopo preconcetto. Gli alienati portano caos nel caos. Gli stregoni, al contrario, portano ordine nel caos. Il loro scopo, preconcetto e trascendentale, è quello di liberare la loro percezione. Gli stregoni non inventano il mondo che percepiscono; percepiscono energia direttamente e poi scoprono che ciò che percepiscono è un mondo nuovo e sconosciuto che li può ingoiare tutti interi, perché è reale quanto qualsiasi cosa che noi sappiamo essere reale.»

Don Juan mi diede allora una nuova versione di quello che mi era capitato mentre contemplavo l'albero di mesquite. Disse che avevo cominciato percependo l'energia dell'albero. A livello soggettivo, tuttavia, io ritenevo di stare Sognando in quanto utilizzavo le tecniche del Sognare per percepire l'energia. Egli asseriva che l'uso delle tecniche del sogno nel mondo della vita di ogni giorno era uno degli stratagemmi più efficaci dei vecchi stregoni. Rendeva la percezione diretta dell'energia simile a un sogno. invece che totalmente caotica, fino al momento in cui qualcosa risistemava la percezione stessa e lo stregone non si trovava di fronte un mondo nuovo — proprio quello che era accaduto a me.

Gli rivelai il pensiero che mi era frullato per la mente, e che avevo appena osato concepire: che il paesaggio davanti ai miei occhi non fosse un sogno. ma non appartenesse neanche al nostro mondo quotidiano.

«Certo che no» affermò. «Te lo sto dicendo da tanto e tu continui a pensare che io stia solo ripetendolo a me stesso. So quanto sia difficile per la mente accettare che delle possibilità irrazionali diventino reali. Ma i mondi nuovi esistono! Sono avvolti gli uni intorno agli altri, come gli strati di una cipolla. Il mondo in cui noi viviamo non è che uno di questi strati.»

«Vuoi dire, don Juan, che il fine dei tuoi ammaestramenti è quello di prepararmi ad andare in quei mondi?»

«No. Noi andiamo in quei mondi solo come esercizio. Quei viaggi sono gli antecedenti degli stregoni di oggi. Noi facciamo gli stessi sogni degli antichi stregoni, ma a un certo momento deviamo su nuovo territorio. Loro preferivano le variazioni del punto di unione, e così erano sempre su un terreno più o meno conosciuto, prevedibile. Noi preferiamo i movimenti del punto di unione. Gli antichi stregoni inseguivano l'ignoto umano. Noi inseguiamo l'ignoto non-umano.»

«Io non ci sono ancora arrivato, vero?»

«No, tu sei ancora agli inizi. E agli inizi tutti devono passare per gli stessi stadi degli antichi stregoni. Dopotutto, sono stati loro a inventare il Sognare.»

«A che punto, allora, comincerò a imparare il tipo di sogno dei nuovi stregoni?»

«Hai ancora molta strada da fare. Ci vorranno anni, forse. Inoltre, nel tuo caso, devo essere particolarmente attento: come carattere, tu sei molto legato agli antichi stregoni. Ti ho già detto ciò in precedenza, ma tu sei sempre riuscito a evitare le mie indagini. Qualche volta penso perfino che ti stia consigliando qualche energia aliena, ma poi respingo l'idea. Tu non sei ambiguo.»

«A cosa ti riferisci, don Juan?»

«Involontariamente hai fatto due cose che mi tengono sulle spine: la prima volta che hai sognato sei andato con il tuo corpo energetico in un luogo al di là di questo mondo. E per conto tuo! E poi sei andato con il tuo corpo energetico in un altro luogo al di là di questo mondo, ma separandoti dalla consapevolezza del mondo di tutti i giorni.»

«Perché ti dovrebbe preoccupare, don Juan?»

«Sognare è troppo facile per te. E se non si sta attenti, può essere la fine. Porta all'ignoto umano. Come ti ho già detto, gli stregoni moderni ambiscono ad arrivare all'ignoto non-umano.»

«Cosa sarebbe l'ignoto non-umano?»

«La libertà dall'essere umano. Mondi inimmaginabili che sono oltre la sfera dell'uomo, ma che noi possiamo ancora percepire. È qui che gli stregoni moderni prendono un'altra strada. Prediligono ciò che si trova fuori della sfera umana. E fuori della sfera umana ci sono mondi che includono tutto, non soltanto il regno degli uccelli o degli animali o dell'uomo, anche quello dell'uomo sconosciuto. Io sto parlando di mondi come quello in cui viviamo: mondi totali, con infiniti regni.»

«Dove si trovano quei mondi, don Juan? Nelle posizioni diverse del punto di unione?»

«Esatto. In posizioni diverse del punto di unione, ma posizioni che gli stregoni ottengono con un movimento del punto di unione, non con una variazione. Entrare in quei mondi è un tipo di sogno che fanno solo gli stregoni di oggi. Gli antichi stregoni ne rimanevano lontani, in quanto richiede un enorme distacco e nessunissima presunzione. Un prezzo che loro non potevano permettersi di pagare.

«Per gli stregoni che praticano il Sognare, ai nostri giorni, Sognare è la libertà di percepire mondi al di là dell'immaginazione.»

«Ma qual è l'utilità di questa percezione?»

«Me l'hai già fatta, oggi, questa stessa domanda. Parli come un vero mercante! Qual è il rischio, tu vuoi sapere quale la percentuale dell'utile sul mio investimento? Mi farà migliorare la mia posizione?

«Non c'è possibilità di risposta. La mente del mercante fa il commercio. Ma la libertà non può essere un investimento. La libertà è un'avventura senza fine, in cui rischiamo le nostre vite e molto di più per alcuni momenti di qualcosa che va oltre le parole, i pensieri o i sentimenti.»

«Non ti ho fatto la domanda con questo spirito, don Juan. Ciò che voglio sapere è: quale potrebbe essere la forza per stimolare un pigraccio scansafatiche come me a fare tutto questo?»

«La ricerca della libertà è l'unica forza stimolante che conosca. Libertà di volare in quell'infinito là in alto; libertà di dissolversi; libertà di distaccarsi da tutto; di essere come la fiamma di una candela che, nonostante il paragone con la luce di miliardi di stelle, rimane intatta perché non ha mai finto di essere più di quanto non fosse: solo una candela.»

 
5
Il mondo degli esseri inorganici 
    Rispettoso del nostro patto, secondo cui dovevo aspettare che don Juan iniziasse a far commenti sul mio Sognare, mi rivolsi a lui per consigli solo in casi di necessità. Di solito, però, mi sembrò non solo riluttante a toccare l'argomento, ma in qualche modo scontento di me. A conferma della sua disapprovazione, tutte le volte che parlavamo delle mie attività di sogno. mi pareva che minimizzasse sempre ciò che io avevo compiuto.

In quel periodo l'esistenza animata degli esseri inorganici era diventato l'aspetto più cruciale delle mie esercitazioni di sogno. Dopo averli incontrati nei miei sogni e specialmente dopo il nostro scontro nel deserto vicino alla casa di don Juan, avrei dovuto essere più disponibile a considerare la loro esistenza come un affare serio. Ma tutti questi avvenimenti ebbero su di me l'effetto opposto. Mi irrigidii e testardamente negai la possibilità che esistessero.

In seguito cambiai idea e decisi di fare un'indagine obiettiva su di loro. Il metodo di questa indagine richiedeva che prima compilassi un elenco di tutto ciò che mi si palesava durante i sogni e poi usassi quell'elenco come fonte per scoprire se il mio Sognare dimostrava o no qualcosa sugli esseri inorganici. Riempii centinaia di pagine di dettagli meticolosi ma insignificanti, mentre sarebbe dovuto apparirmi chiaro che la prova della loro esistenza era stata raccolta quasi nello stesso momento in cui avevo iniziato la mia indagine.

Mi ci vollero poche sedute con don Juan per scoprire che quella che ritenevo una sua accidentale raccomandazione — sospendere ogni giudizio e permettere che gli esseri inorganici venissero da me — era, in realtà, l'identica procedura usata dagli antichi stregoni per attirarli. Permettendomi di scoprirlo per conto mio, don Juan seguiva semplicemente il proprio tirocinio stregonesco. Mi aveva fatto notare tante volte che è molto difficile che il sé rinunci alle proprie roccaforti se non dopo una lunga pratica. Una delle linee di difesa più valide del sé è appunto la nostra razionalità; essa però non è solo la più resistente alle azioni e alle spiegazioni degli stregoni, ma anche la più minacciata. Don Juan riteneva che era l'esistenza degli esseri inorganici a sferrare gli attacchi più duri alla nostra razionalità.

Nelle mie esercitazioni di sogno c'era un percorso collaudato che seguivo ogni giorno senza scostarmene. Cercavo prima di osservare ogni possibile componente dei miei Sogni, e poi di cambiare sogno. Posso dire in tutta sincerità che osservai un'infinità di dettagli, un sogno dopo l'altro. Con naturalezza, a un certo punto del mio Sognare, la mia Attenzione cominciava ad affievolirsi e finivo con l'addormentarmi e fare sogni normali, durante i quali non avevo alcuna Attenzione del sogno. oppure con lo svegliarmi e non essere più capace di dormire.

Tuttavia, di tanto in tanto, s'introduceva nei miei sogni una corrente di energia aliena, un esploratore, come lo definiva don Juan. Poiché ero stato avvisato, potevo meglio regolare la mia Attenzione del sogno e stare all'erta. La prima volta che notai energia aliena stavo Sognando di fare acquisti in un grande magazzino, e mi spostavo da un banco all'altro cercando oggetti d'antiquariato. Alla fine ne trovai uno. L'incongruenza di cercare pezzi d'antiquariato in un grande magazzino era talmente ovvia da farmi sogghignare, ma poiché ne avevo trovato uno tralasciai l'incongruenza. Si trattava del manico di un bastone. Il commesso mi disse che era di iridio, secondo lui una delle sostanze più dure del mondo. Era intagliato e riproduceva la testa e le spalle di una scimmia. A me sembrava fosse di giada. Il commesso si ritenne insultato quando insinuai che potesse essere giada e per dimostrarmi che avevo torto gettò con tutta la forza l'oggetto sul pavimento di cemento. Non si ruppe, ma rimbalzò come una palla e poi volò via, roteando come un frisbee. Io gli andai dietro. Scomparve dietro alcuni alberi. Corsi a cercarlo e lo trovai, conficcato in terra. Si era trasformato in un normalissimo bastone da passeggio verde scuro e nero, straordinariamente bello.

Lo volevo. L'afferrai e cercai con quanta forza avevo in me di svellerlo dal terreno prima che arrivasse qualcun altro. Ma, per quanto forte tirassi, non riuscii a smuoverlo di un centimetro. Temevo che, se avessi cercato di staccarlo scuotendolo, si sarebbe rotto. Così cominciai a scavargli intorno con le mani. Mentre continuavo a scavare, cominciò a sciogliersi finché al suo posto rimase solo una pozza di acqua verde. Fissai l'acqua, che all'improvviso sembrò esplodere. Diventò una bolla bianca e poi sparì. Il mio sogno continuò con altre immagini e dettagli che non erano spettacolari, benché fossero molto limpidi e netti.

Quando lo raccontai a don Juan, commentò: «Hai isolato un esploratore. Sono più numerosi quando i nostri sogni sono normali, comuni. I sogni dei sognatori sono stranamente liberi da esploratori. Quando compaiono, sono identificabili per la stranezza e l'incongruità che li circonda.»

«Incongruità, in che modo, don Juan?»

«La loro presenza non ha alcun senso.»

«Pochissime cose hanno senso in un sogno.»

«Solo nei sogni comuni ci sono cose prive di senso. Direi che ciò accade perché sono inseriti più esploratori, perché la gente normale è soggetta a un fuoco di fila maggiore da parte dell'ignoto.»

«Sai perché è così, don Juan?»

«Secondo me, si crea un equilibrio di forze. La gente comune ha barriere estremamente potenti per proteggersi da quegli attacchi. Barriere quali i problemi del sé. Più forte la barriera, più pesante l'attacco.

«Per contrasto, i sognatori hanno meno barriere e meno esploratori nei loro Sogni. Sembra che nei sogni dei sognatori le cose prive di senso scompaiano, forse per garantire che i sognatori si accorgano della presenta degli esploratori.»

Don Juan mi consigliò di fare molta attenzione e ricordare ogni singolo dettaglio possibile del sogno che avevo fatto Mi fece perfino ripetere ciò che gli avevo detto.

«Mi sconcerti» esclamai. «Prima non vuoi sentire niente sul mio Sognare, e poi invece sì. Esiste un ordine tra, io che accetti e ciò che rifiuti?»

«Altro che!» rispose. «Probabilmente farai lo stesso tu con un altro Sognatore. Alcuni elementi hanno un'importanza fondamentale perché sono associati allo spirito. Altri ne sono del tutto privi perché sono associati alla nostra indulgente personalità.

«Il primo esploratore che tu isoli sarà sempre presente, in qualsiasi forma, anche come iridio. A proposito, che cosa è l'iridio?»

«Davvero non so» ammisi in tutta sincerità.

«Ma guarda un po'! E che diresti se venisse fuori che è una delle sostanze più dure del mondo?»

Gli brillavano gli occhi dal piacere, mentre io ridacchiavo nervoso per quell'assurda possibilità: in seguito appresi che era proprio così.

 

Da allora in poi cominciai a notare la presenza di elementi incongrui nei miei Sogni. Una volta che ebbi accettato la categorizzazione dell'energia aliena nei sogni fatta da don Juan, mi trovai completamente d'accordo con lui che gli elementi incongrui erano invasori estranei dei miei Sogni. Dopo averli isolati, la mia Attenzione del sogno si concentrava sempre su di loro con un'intensità che non si verificava in nessun'altra circostanza.

Un'altra cosa che notai fu che ogni volta che l'energia aliena invadeva i miei Sogni, la mia Attenzione del sogno doveva impegnarsi molto per trasformarla in un oggetto conosciuto. L'handicap della mia Attenzione del sogno era l'incapacità di compiere in pieno questa trasformazione, il risultato finale era un oggetto imbastardito, a me quasi sconosciuto. L'energia aliena allora si disperdeva abbastanza facilmente; l'oggetto imbastardito svaniva, trasformandosi in una bolla di luce, presto assorbita da altri particolari che affollavano il mio sogno.

Quando chiesi a don Juan di esprimere il suo giudizio su quel che mi stava capitando, disse: «A questo punto del tuo Sognare, gli esploratori sono stati inviati in ricognizione dal mondo inorganico. Sono molto veloci, nel senso che non si fermano a lungo».

«Perché dici che sono ricognitori, don Juan?»

«Vengono in cerca di potenziale consapevolezza. Hanno coscienza e fermezza — benché incomprensibili alle nostre menti — forse paragonabili a quelle degli alberi. La velocità interna degli alberi e degli esseri inorganici ci è incomprensibile perché è molto più lenta della nostra.»

«Perché dici questo, don Juan?»

«Sia gli alberi sia gli esseri inorganici vivono molto più a lungo di noi. Sono fatti per stare fermi. Sono immobili, eppure fanno muovere tutto intorno a loro.»

«Vuoi dire, don Juan, che gli esseri inorganici sono fissi come gli alberi?»

«Sicuro. I bastoncini luminosi o scuri che vedi nel tuo Sognare non sono altro che le loro proiezioni. Anche la voce dell'Emissario del sogno che senti è una proiezione. E pure gli esploratori.»

Per qualche ignota ragione, fui annichilito da queste dichiarazioni. All'improvviso fui sopraffatto dall'ansia. Chiesi a don Juan se anche gli alberi avessero proiezioni di quel genere.

«Sì, certo» rispose. «Tuttavia le loro proiezioni sono ancora meno amichevoli nei nostri riguardi di quelle degli esseri inorganici. I sognatori non le cercano mai, a meno che non siano in rapporti di grande cortesia con gli alberi, condizione molto difficile da raggiungere. Noi non abbiamo amici su questa Terra, sai.» Sghignazzò e aggiunse: «Il perché non è un mistero!».

«Non sarà un mistero per te, don Juan, ma lo è di sicuro per me.»

«Noi siamo distruttivi. Ci siamo inimicati ogni essere vivente sulla Terra. Ecco perché non abbiamo amici.»

Mi sentivo così a disagio che volevo porre fine alla conversazione, ma uno stimolo irrefrenabile mi fece riprendere il tema degli esseri inorganici. «Cosa pensi che dovrei fare per seguire gli esploratori?»

«Perché mai vorresti seguirli?»

«Sto facendo un'indagine obiettiva sugli esseri inorganici.»

«Mi stai prendendo in giro, vero? Pensavo che avessi ancora la ferma convinzione che gli esseri inorganici non esistono!»

Il tono di scherno e le risate sgangherate di don Juan mi rivelarono cosa pensava della mia indagine obiettiva.

«Ho cambiato idea, don Juan. Ora desidero esplorare tutte quelle possibilità.»

«Ricordati, il regno degli esseri inorganici era il dominio degli antichi stregoni. Per arrivarci, fissarono con tenacia la loro Attenzione del sogno sugli elementi dei loro Sogni. Facendo così riuscirono a isolare gli esploratori. E quando li ebbero focalizzati, diedero voce alle loro intenzioni di seguirli. Nel momento in cui gli antichi stregoni espressero quell'intento, si mossero, attirati da quell'energia aliena.»

«Tutto così semplice, don Juan?»

Non mi rispose, ma rise di me, come se volesse sfidarmi a farlo.

A casa, mi stancai di cercare il vero significato delle parole di don Juan. Non ero affatto propenso a credere che avrebbe potuto aver descritto una reale procedura. Esaurite idee e pazienza, un giorno abbassai la guardia. In un sogno che facevo allora, ero sconcertato da un pesce che improvvisamente saltava fuori da uno stagno vicino al quale stavo passeggiando. Il pesce si agitava ai miei piedi e poi volava come un uccello variopinto ad appollaiarsi su un ramo, pur rimanendo pesce. La scena era così stravagante da galvanizzare la mia Attenzione del sogno. Capii subito che si trattava di un esploratore. Un momento dopo, quando il pesce-uccello si tramutò in un punto luminoso, gridai la mia intenzione di seguirlo e, proprio come aveva detto don Juan, partii verso un altro mondo.

Volai, come se fossi un insetto alato senza peso, attraverso quello che somigliava a un tunnel buio. La sensazione del tunnel all'improvviso finì. Mi pareva di essere stato espulso da un tubo e di essere stato scaraventato per l'impeto contro un'immensa massa concreta; arrivavo quasi a toccarla, ma non riuscivo a scorgerne la fine, in qualsiasi direzione guardassi. Tutto l'episodio mi ricordava talmente tanto i film di fantascienza che fui del tutto convinto di star costruendo io stesso la visione della massa, così come si costruisce un sogno. Perché no? Ciò che pensavo era che, dopotutto, io stavo dormendo, Sognando.

Mi dedicai a osservare i dettagli del mio sogno. Quel che stavo vedendo somigliava a una gigantesca spugna, porosa e cavernosa. Non riuscivo a sentire al tatto la struttura, ma sembrava ruvida e fibrosa. Era di color scuro, tendente al marrone. Poi ebbi un'ombra di dubbio: e se quella massa silenziosa non fosse solo un sogno. Quando mi ci trovai di fronte non cambiò forma, e non si mosse neanche. Mentre la guardavo fisso, avevo l'impressione globale che fosse una cosa reale ma stazionaria; era piantata da qualche parte, ed esercitava su di me un'attrazione così potente che non riuscivo a distogliere la mia Attenzione per esaminare qualcos'altro, me incluso. Qualche strana forza, che non avevo mai prima d'allora incontrato nei miei Sogni, mi teneva inchiodato lì.

Poi sentii chiaramente che la massa lasciava libera la mia Attenzione del sogno; tutta la mia consapevolezza si concentrò sull'esploratore che mi aveva condotto lì. Sembrava una lucciola e brillava nell'oscurità accanto a me. Nel suo mondo, era una bolla di pura energia. Riuscivo a vedere lo sfrigolìo energetico. Pareva conscio della mia presenza. A un tratto balzò su di me e mi strattonò o spintonò. Non sentivo il suo tocco e pure sapevo che mi stava toccando. Quella sensazione fu nuova e sbalorditiva; come se una parte di me che non era lì fosse stata elettrizzata da quel tocco. Ondate di energia l'attraversarono, una dopo l'altra.

Da quel momento in poi, tutto nel mio Sognare diventò più reale. Trovavo grande difficoltà a ricordarmi che stavo Sognando un sogno. A questa difficoltà dovevo aggiungere la certezza che con il suo tocco l'esploratore aveva stabilito con me una connessione energetica. Capii ciò che voleva che facessi nell'attimo in cui parve strattonarmi o spintonarmi.

 

La prima cosa che fece fu spingermi, attraverso una caverna o un'enorme apertura, all'interno della concreta massa cui mi ero trovato di fronte. Una volta dentro massa, mi accorsi che l'interno era omogeneamente poroso come l'esterno, ma sembrava molto più morbido, come se le asperità fossero state scartavetrate. La struttura che avevo davanti mi ricordava una foto ingrandita di un alveare. C'erano infiniti tunnel geometrici che andavano i ogni direzione. Alcuni verso l'alto o il basso, altri verso sinistra o destra. S'incontravano formando angoli tra loro, andavano su o giù per piani inclinati più o meno ripidi.

La luce era molto fioca, eppure era tutto perfettamente visibile. I tunnel sembravano aver vita e coscienza; sfrigolavano. Io li fissai, e fui colpito accorgendomi di vedere. Quelli erano tunnel di energia. Nel momento in cui me n accorsi, la voce dell'Emissario del sogno mi rombò nelle orecchie tanto forte che non capii quello che diceva.

«Abbassa la voce» urlai con impazienza insolita e resi conto che se parlavo bloccavo la mia visione dei tunnel ed entravo in un vuoto dove non potevo fare altro che ascoltare.

L'Emissario modulò la voce e disse: «Ti trovi all'interno di un essere inorganico. Scegliti un tunnel e ci puoi perfino vivere dentro». La voce fece un attimo di pausa, po aggiunse: «Se ti va di farlo, naturalmente».

Non riuscivo a spiccicar parola. Temevo che ogni mi dichiarazione potesse essere interpretata come l'opposto di quel che volevo dire.

«Per te sono infiniti vantaggi, questi» proseguì la voce dell'Emissario. «Puoi vivere in quanti tunnel vuoi. Ognuno di loro ti insegnerà qualcosa di diverso. Gli stregoni dell'antichità vivevano in questo modo e appresero cose meravigliose.»

Intuii, senza sentirne il tocco, che l'esploratore mi sta va spingendo. Mi sembrava che volesse farmi muovere in avanti. Imboccai il primo tunnel alla mia destra. Non appena vi fui dentro, qualcosa mi fece realizzare che non stavo camminando nel tunnel, ma mi ci stavo librando sopra in volo. Ero una bolla di energia, per nulla diverso dall'esploratore.

Di nuovo mi risuonò nelle orecchie la voce dell'Emissario. «Sì, sei solo una bolla di energia» disse. La sua ridondanza mi fu di enorme sollievo. «E stai galleggiando dentro un essere inorganico» proseguì.

«È questa la maniera in cui l'esploratore vuole che tu ti muova in questo mondo. Quando ti ha toccato, ti ha cambiato per sempre. Ora, tu sei praticamente uno dei nostri. Se vuoi stare qui, devi solo dar voce al tuo intento.» L'Emissario smise di parlare, e la visione del tunnel ritornò. Ma quando parlò di nuovo, qualcosa era stato modificato; non persi la vista di quel mondo e potevo ancora udire la voce dell'Emissario. «Gli stregoni dell'antichità impararono tutto ciò che sapevano sul Sognare stando qui fra noi» disse.

Stavo per chiedere se avessero appreso tutto quello che sapevano solo vivendo in quei tunnel ma prima che potessi esprimere la mia domanda, l'Emissario mi diede la risposta.

«Sì, impararono tutto solo vivendo dentro gli esseri inorganici» disse. «Per vivere lì dentro, tutto quello che gli antichi stregoni dovettero fare fu dire che lo desideravano, proprio come, nel tuo caso, per venire qui è bastato che tu dessi voce al tuo intento, forte e chiaro.»

L'esploratore si spinse contro di me per farmi capire che dovevo continuare a muovermi. Esitai, allora mi diede l'equivalente di uno spintone con una forza tale da farmi sfrecciare come un proiettile in tunnel interminabili. Alla fine mi fermai perché si era fermato anche lui. Rimanemmo sospesi un momento, poi scendemmo in un tunnel verticale. Io non sentii il drastico cambiamento di direzione. Per quanto concerneva la mia percezione, mi pareva di stare ancora muovendomi in parallelo al suolo.

Cambiammo direzione molte volte, ma ciò su di me aveva sempre lo stesso effetto percettivo. Cominciai a riflettere sulla mia incapacità di sentire se stavo muovendomi verso l'alto o verso il basso, quando udii la voce dell'Emissario. «Credo che staresti meglio se strisciassi invece di volare» disse. «Ti potresti muovere come un ragno, o una mosca, direttamente verso l'alto o verso il basso, o a testa in giù.»

Mi rilassai immediatamente. Fu come se fossi stato evanescente e all'improvviso avessi assunto un certo peso che mi portava giù verso terra. Non riuscivo a sentire le pareti del tunnel, ma l'Emissario aveva ragione a dirmi che per me sarebbe stato più comodo strisciare.

«In questo mondo non devi essere vincolato dalla gravità» disse. Naturale, ero capace di accorgermene da solo. «Non devi neanche respirare» continuò la voce. «E, per tua sola comodità, puoi tenerti la vista per vedere come nel tuo mondo.» L'Emissario pareva riflettere sull'opportunità di aggiungere altro. Tossì, proprio come chi si stesse schiarendo la voce. «La vista non è mai indebolita; quindi un Sognatore parla dei suoi sogni secondo quello che vede.»

L'esploratore mi spinse in un tunnel alla mia destra. Era un po' più scuro degli altri. Per me, a un livello assurdo, sembrava più intimo degli altri, più accogliente o perfino conosciuto. Mi passò per la mente un pensiero: io ero come quel tunnel o quel tunnel era come me.

«Voi due vi siete già conosciuti» fece la voce dell'Emissario.

«Scusa, vuoi ripetere?» esclamai. Avevo capito quanto aveva detto, ma la dichiarazione era incomprensibile.

«Voi due siete venuti alle mani e per quel motivo, ora, ognuno di voi porta l'energia dell'altro.» Ritenni che la voce dell'Emissario avesse una punta di cattiveria o perfino di sarcasmo.

«No, non si tratta di sarcasmo» puntualizzò l'Emissario. «Sono lieto che tu abbia parenti qui tra noi.»

«Cosa intendi per parenti?» gli domandai.

«L'energia condivisa genera parentele» rispose. «L'energia è come il sangue.»

Io non riuscii ad aggiungere altro. Avevo forti crampi per la paura.

«La paura è una cosa che non esiste in questo mondo» disse l'Emissario. E quella fu l'unica dichiarazione non veritiera.

Il mio Sognare terminò qui. Ero cosi scioccato dalla vivacità del tutto, e dalla straordinaria chiarezza e continuità delle dichiarazioni dell'Emissario, che non vedevo l'ora di parlarne con don Juan. Mi sorprese e seccò che non volesse sentire il mio resoconto. Non lo disse in chiare lettere, ma ebbi l'impressione che credesse che fosse tutto un prodotto della mia personalità indulgente.

«Perché ti comporti così?» gli chiesi. «Ce l'hai con me?»

«No, non ce l'ho affatto con te» rispose. «Il problema è che non posso parlare di questa parte del tuo Sognare. In questo caso sei completamente autonomo. Ti ho detto che gli esseri inorganici sono reali. Tu stai scoprendo quanto siano reali. Ma quel che tu fai con queste scoperte sono affari tuoi, solo tuoi. Un giorno capirai perché ne rimango fuori.»

«Ma non c'è nulla che tu possa dirmi su quel sogno?» insistetti.

«Quello che posso dire io è che non fu un sogno. Fu un viaggio, un viaggio nell'ignoto. Un viaggio necessario, posso aggiungere, e un viaggio ultrapersonale.»

Poi cambiò argomento e prese a parlare di altri aspetti del suo insegnamento.

Da quel giorno in poi, nonostante il mio timore e la riluttanza di don Juan a consigliarmi, diventai un assiduo viaggiatore di sogno verso quel mondo spugnoso. Scoprii subito che più era grande la mia capacità di osservare i dettagli dei miei Sogni, più mi riusciva facile isolare gli esploratori. Se sceglievo di riconoscerli come energia aliena, essi rimanevano per un po' nel mio campo percettivo. Ora, se sceglievo di tramutarli in oggetti quasi conosciuti, restavano ancora più a lungo, cambiando forma in modo strano; però se li seguivo, dichiarando ad alta voce il mio intento di andare con loro, gli esploratori portavano davvero la mia Attenzione in un mondo al di là di ciò che posso immaginare normalmente.

Don Juan aveva detto che gli esseri inorganici sono sempre pronti a insegnare, ma non mi aveva detto che si trattava del Sognare. Aveva dichiarato che l'Emissario del sogno. essendo solo una voce, è il ponte ideale fra quel mondo e il nostro. Io scoprii che l'Emissario del Sogno non era solo la voce di un Maestro, ma anche quella di un abile venditore. Al momento giusto e nell'occasione più opportuna continuava a ripetere i vantaggi del suo mondo, pur insegnandomi cose inestimabili sul Sognare. Dando ascolto a quello che diceva capii perché gli antichi stregoni preferissero tanto le pratiche concrete.

«Per ottenere un sogno perfetto, la prima cosa che devi fare è interrompere il tuo dialogo interiore» mi spiegò una volta. «Per interromperlo nel migliore dei modi, mettiti fra le dita qualche cristallo di quarzo di cinque o sei centimetri, o qualche sassolino di fiume, sottile e levigato. Piega un po' le dita e stringi nel palmo il quarzo o i sassolini.»

L'Emissario disse che anche le mollettine metalliche, non più grandi di un dito, erano ugualmente efficaci. Bastava stringere almeno tre oggetti sottili fra le dita di ogni mano, provocando una pressione quasi dolorosa. Questa pressione aveva la strana proprietà di interrompere il dialogo interiore.

L'Emissario manifestò la propria preferenza per i cristalli di quarzo; disse che davano i risultati migliori, sebbene con la pratica andasse bene tutto.

«Addormentarsi in un momento di silenzio totale garantisce l'ingresso ideale nel Sognare» disse la voce dell'Emissario «e garantisce anche il perfezionamento dell'Attenzione del sogno.»

«I sognatori dovrebbero portare un anello d'oro,» mi disse un'altra volta l'Emissario «preferibilmente un po' stretto.»

Secondo la spiegazione fornitami dall'Emissario, questo anello serve da ponte per riemergere nella quotidianità dopo il sogno o per sprofondare dalla nostra consapevolezza di tutti i giorni nel regno degli esseri inorganici.

«Come funziona questo ponte?» domandai. Non avevo capito che cosa comportasse.

«Il contatto delle dita con l'anello stabilisce il ponte» spiegò l'Emissario. «Se un Sognatore viene nel mio mondo con un anello al dito, quell'anello attira l'energia del mio mondo e la conserva; quando necessario, quell'energia riporta il Sognatore di nuovo in questo mondo, grazie all'anello che la fa sprigionare fra le dita del Sognatore.

«La pressione dell'anello intorno al dito serve altrettanto bene ad assicurare il ritorno di un Sognatore al suo mondo. Tramite il dito, gli comunica una sensazione continua e familiare.»

Durante un'altra sequela di Sogni, l'Emissario disse che la nostra pelle è l'organo ideale per trasferire onde di energia dal tipo del mondo di tutti i giorni al tipo degli esseri inorganici e viceversa. Mi raccomandò di mantenere la pelle fresca e senza pigmenti o creme. Raccomandava anche ai sognatori di portare una cintura ben stretta o una fascia per capelli o una collana, per creare un punto di pressione che potesse servire come centro epidermico per lo scambio di energia. L'Emissario spiegò che la pelle fa automaticamente da schermo all'energia e che ci basta esprimere nel sogno il nostro intento ad alta voce perché la pelle non si limiti a fare da schermo, ma scambi anche l'energia da un tipo all'altro.

Un giorno la voce dell'Emissario mi fece un favoloso regalo: mi disse che, per assicurarci l'intensità e l'accuratezza della nostra Attenzione del sogno. dobbiamo staccarla da dietro il palato duro, dove tutti gli esseri umani hanno una grossa riserva di Attenzione. Le istruzioni particolari dell'Emissario furono di imparare e praticare la disciplina e il controllo necessari per premere la punta della lingua contro il palato durante il Sognare. Questo compito, secondo l'Emissario, è tanto difficile e impegnativo quanto cercare le mani durante un sogno. Ma, una volta espletato, dà i risultati più sorprendenti nel controllo dell'Attenzione del sogno.

Ricevetti un mare di istruzioni su ogni argomento possibile, istruzioni che dimenticavo presto se non mi venivano ripetute all'infinito. Cercai consiglio da don Juan su come risolvere il problema delle dimenticanze.

Ottenni una risposta lapidaria, come mi ero aspettato: «Focalizzati solo su quello che l'Emissario ti dice sul Sognare».

Afferravo con grande interesse e fervore tutto ciò che la voce dell'Emissario ripeteva un numero di volte sufficiente. Fedele a quanto mi aveva raccomandato don Juan, seguivo solo le indicazioni dell'Emissario per quel che riguardava il Sognare e corroboravo di persona il valore delle istruzioni ricevute. Per me l'informazione più importante fu che l'Attenzione del sogno scaturisce dal palato. Richiese una grande fatica da parte mia percepire nel sogno che stavo premendo la punta della lingua contro il palato. Quando ci fui riuscito, la mia Attenzione del sogno assunse una sua esistenza indipendente e diventò, posso dire, più acuta della mia normale attenzione al mondo della vita quotidiana.

Non mi ci volle molto per dedurre quanto dovesse essere stato profondo il coinvolgimento degli antichi stregoni con gli esseri inorganici. I consigli e le raccomandazioni di don Juan sui pericoli di simili coinvolgimenti divennero più vitali che mai. Feci del mio meglio per essere all'altezza dei suoi standard di introspezione, senza indulgenze. Così, la voce dell'Emissario e ciò che diceva diventarono per me una super sfida. Dovevo evitare, a tutti i costi, di cedere alla tentazione della promessa di conoscenza fattami dall'Emissario, e dovevo fare tutto da solo, visto che don Juan continuava a rifiutarsi di ascoltare i miei resoconti.

«Devi darmi almeno un suggerimento su quel che dovrei fare» insistetti, una volta che ero stato così sfacciato da chiederglielo.

«Non posso,» esclamò lui deciso «e non chiedermelo più. Ti ho detto che in questo caso i sognatori devono essere lasciati in pace.»

«Ma se non sai neanche che cosa ti voglio chiedere!»

«Certo che lo so. Vorresti che io ti dicessi che va bene vivere in quei tunnel, non fosse altro per sapere di cosa parla la voce dell'Emissario.»

Ammisi che il mio dilemma era proprio quello. Io volevo sapere, se non altro, cosa significava la dichiarazione che si poteva vivere dentro quei tunnel.

«Ho avuto anch'io quella crisi» proseguì don Juan «e nessuno mi poté aiutare perché questa è una decisione ultrapersonale e definitiva, una decisione che prendi nell'istante in cui esprimi il tuo desiderio di vivere in quel mondo. Per farti pronunciare ad alta voce quel desiderio, gli esseri inorganici sono pronti a soddisfare le tue voglie più segrete.»

«Tutto questo è davvero diabolico, don Juan!»

«Lo puoi dire forte. E non solo per quel che stai pensando. Secondo te, la parte diabolica è la tentazione di cedere, specie quando sono in ballo ricompense di tale importanza. Secondo me, la natura diabolica del regno degli esseri inorganici è che potrebbe ben essere l'unico rifugio che i sognatori hanno in un universo ostile.»

«E davvero un posto sicuro per i Sognatori?»

«Per alcuni, certamente. Non per me. Io non ho bisogno di sostegni o di binari. So quel che sono. Sono solo in un universo ostile, e ho imparato a dire "Sia quel che sia!"»

Così terminò il nostro dialogo. Non aveva detto ciò che avrei voluto sentire, eppure avevo appreso che perfino il desiderio di sapere come fosse vivere in un tunnel equivaleva quasi a scegliere quel modo di vivere. A me la cosa non interessava. Decisi su due piedi di continuare le mie esercitazioni del sogno senza altre implicazioni e lo dissi subito a don Juan.

«Non parlare» mi consigliò. «Ma cerca di capire che se scegli di restare, la tua decisione è definitiva. Rimarrai lì per sempre.»

Mi è impossibile giudicare obiettivamente ciò che accadeva le innumerevoli volte che Sognavo quel mondo. Posso dire che appariva reale quanto può essere reale un sogno. O che appariva reale quanto può essere reale il mondo della nostra vita quotidiana. Sognando quel mondo notai quello che don Juan mi aveva confidato molte volte: sotto l'influenza del sogno. la realtà subisce una metamorfosi. Io mi trovai di fronte a due opzioni che, secondo don Juan, sono quelle di tutti i Sognatori: o rinnoviamo con grande attenzione il nostro sistema interpretativo dell'input sensoriale o lo ignoriamo del tutto.

Per don Juan, rinnovare il nostro sistema d'interpretazione voleva dire proporre la sua revisione. Voleva dire tentare volutamente e con attenzione di ampliarne le capacità. Vivendo nel rispetto delle regole degli stregoni, i sognatori risparmiano energia e incamerano quella necessaria a sospendere il giudizio e facilitare così il proposito di modernizzazione. Mi spiegò che se scegliamo di revisionare il nostro sistema interpretativo, la realtà diventa fluida e la portata di ciò che può essere reale è potenziata senza mettere in pericolo l'integrità del reale. Il Sognare, quindi, apre davvero le porte verso altri aspetti di ciò che è reale.

Se scegliamo di ignorare il nostro sistema, la portata di quel che si può percepire senza interpretazione cresce disordinatamente. L'espansione della nostra percezione è così gigantesca che rimaniamo con pochissimi strumenti per l'interpretazione sensoriale e, quindi, con un senso di un'infinita realtà che è irreale, o un'infinita irrealtà che potrebbe benissimo essere reale ma non lo è.

Per me, l'unica opzione accettabile era ricostruire e ingrandire il mio sistema interpretativo. Sognando il regno degli esseri inorganici, mi trovai di fronte alla consistenza di quel mondo, sogno dopo sogno. da quando avevo isolato gli esploratori ascoltando la voce dell'Emissario del sogno a quando avevo attraversato i tunnel. Ci ero passato senza provare speciali sensazioni, pur essendo consapevole che spazio e tempo erano costanti anche se non discernibili razionalmente in condizioni normali. Tuttavia, notando la differenza, o la mancanza, o la profusione di particolari in ogni tunnel, oppure il senso di distanza fra loro, o l'apparente lunghezza o larghezza di quelli che avevo attraversato, raggiunsi un senso di osservazione obiettivo.

La parte su cui questa ricostruzione del mio sistema interpretativo ebbe l'effetto più drammatico fu la conoscenza di come mi rapportavo al mondo degli esseri inorganici. In quel mondo, per me reale, io ero una bolla di energia, quindi potevo fiondarmi nei tunnel alla velocità della luce o arrampicarmi sulle pareti come un insetto. Se mi libravo in volo, una voce mi comunicava informazioni valide e non arbitrarie su alcuni dettagli delle pareti sulle quali avevo concentrato la mia Attenzione del sogno. Quei dettagli erano intricate protuberanze, come il sistema di scrittura Braille. Quando strisciavo sulle pareti, potevo vedere gli stessi particolari con maggiore accuratezza e sentire la voce che mi dava descrizioni più complesse.

Come inevitabile conseguenza, sviluppai un doppio metro di giudizio. Da un lato sapevo che stavo facendo un sogno, dall'altro, di essere coinvolto in un viaggio pragmatico, reale quanto qualsiasi altro viaggio di questo mondo. Questa spaccatura autentica fu una conferma di quanto aveva detto don Juan, che l'esistenza degli esseri inorganici è il primo problema che assale la nostra razionalità.

Solo dopo aver davvero sospeso ogni giudizio trovai un po' di sollievo. A un certo punto, quando la tensione della mia insostenibile posizione — credevo sul serio nell'esistenza dimostrabile degli esseri inorganici, pur credendo altrettanto sul serio che si trattasse solo di un sogno — stava per sopraffarmi, nel mio atteggiamento qualcosa cambiò in modo drastico, e senza alcuna sollecitazione.

Don Juan sosteneva che il mio livello di energia, che era andato costantemente crescendo, un giorno aveva raggiunto una soglia che mi permetteva di ignorare congetture e pregiudizi su natura umana, realtà e percezione. Quel giorno ero stato affascinato dal sapere, senza tener conto dei valori logici o funzionali e, soprattutto, senza badare alla convenienza personale.

Quando la mia indagine obiettiva sugli esseri inorganici non mi importava più tanto, don Juan stesso introdusse l'argomento del mio viaggio di sogno in quel loro mondo. Disse: «Non credo che tu sia consapevole della regolarità dei tuoi incontri con gli esseri inorganici».

Aveva ragione. Non mi ero mai soffermato a pensarci. Feci una battuta sulla stranezza della mia dimenticanza.

«Non si tratta di una dimenticanza» puntualizzò. «È la stessa natura di quel regno che incoraggia la segretezza. Gli esseri inorganici si ammantano di oscurità, di mistero. Pensa al loro mondo: stazionario, lì fisso ad attirarci come falene verso una luce o una fiamma.

«C'è qualcosa che l'Emissario non ha osato dirti finora, ed è che gli esseri inorganici sono a caccia della nostra consapevolezza o della consapevolezza di chiunque cada nelle loro reti. Ci daranno la conoscenza, ma pretenderanno come pagamento tutto il nostro essere.»

«Vuoi dire, don Juan, che gli esseri inorganici sono come pescatori?»

«Proprio così. A un certo punto, l'Emissario ti farà vedere degli uomini che sono stati presi laggiù o altri esseri che non sono umani, ma che furono anch'essi catturati lì.»

La repulsione e la paura sarebbero dovute essere la mia risposta. Le rivelazioni di don Juan mi colpirono profondamente, ma crearono un'incontenibile curiosità. Avevo quasi le palpitazioni.

«Gli esseri inorganici non possono costringere nessuno a restare con loro» proseguì don Juan. «Abitare nel loro mondo è una scelta volontaria. Eppure sono capaci di intrappolare chiunque, venendo incontro ai nostri desideri, coccolandoci e viziandoci. Sta' attento alla consapevolezza immobile! Una consapevolezza così deve cercare movimento e lo fa, come ti ho detto, creando proiezioni, a volte fantasmagoriche.»

Chiesi a don Juan di spiegarmi cosa intendesse con "proiezioni fantasmagoriche". Disse che gli esseri inorganici si attaccano ai sentimenti più intimi e ci giocano senza pietà. Creano fantasmi per far piacere ai sognatori o per terrorizzarli. Mi rammentò che io avevo lottato con uno di quei fantasmi, spiegandomi che gli esseri inorganici sono proiezionisti eccezionali, che si divertono a proiettarsi sui muri come immagini.

«Gli antichi stregoni furono sconfitti dalla loro sciocca fiducia in quelle proiezioni» continuò. «E credevano che i loro alleati avessero potere. Trascurarono il fatto che i loro alleati erano tenui energie proiettate attraverso i mondi, come un film cosmico.»

«Ti stai contraddicendo, don Juan. Tu stesso hai asserito che gli esseri inorganici sono reali, e ora sostieni che non sono che immagini!»

«Volevo dire che gli esseri inorganici, nel nostro mondo, sono come immagini in movimento proiettate su uno schermo; e potrei anche aggiungere che sono come immagini di energia rarefatta in movimento, proiettate attraverso i confini di due mondi.»

«Ma che mi dici degli esseri inorganici nel loro mondo? Sono anche lì immagini in movimento?»

«Figurati! Quel mondo è reale come il nostro. Gli stregoni dell'antichità descrissero il mondo degli esseri inorganici come una bolla di caverne e pori galleggiante nell'oscurità, e gli esseri inorganici come canne vuote legate insieme come le cellule dei nostri corpi. Gli antichi stregoni chiamavano quell'immenso fascio il labirinto della penombra.»

«Allora ogni Sognatore vede quel mondo negli stessi termini, giusto?»

«Certo. Ogni Sognatore lo vede com'è. Credi di essere unico?»

Confessai che qualcosa in quel mondo mi aveva dato la sensazione di essere unico. Ciò che aveva creato questa piacevolissima e netta sensazione di essere senza eguali non era stata la voce dell'Emissario del sogno, né qualche altra cosa a cui potessi pensare consciamente.

«Proprio ciò che mise al tappeto gli antichi stregoni» disse don Juan. «Gli esseri inorganici fecero loro quel che stanno facendo a te adesso, gli crearono la sensazione di essere unici, senza pari; e, in più, fornirono loro un'altra sensazione pericolosa: quella di avere potere. Potere e unicità sono fonti di corruzione imbattibili. Sta' attento!»

«E tu come hai fatto a evitare quel pericolo, don Juan?»

«Sono andato in quel mondo qualche volta e poi non ci sono tornato più.»

Don Juan spiegò che nelle opinioni degli stregoni l'universo è territorio di predatori e gli stregoni più di chiunque altro devono tenerlo in considerazione nelle loro attività magiche di ogni giorno. Secondo lui la consapevolezza è intrinsecamente costretta a crescere, e l'unico modo per crescere è lottare, in un duello all'ultimo sangue.

«La consapevolezza degli stregoni cresce quando Sognano» proseguì. «E nel momento in cui cresce, qualcosa là fuori ne riconosce la crescita e fa un'offerta d'acquisto. Gli esseri inorganici sono i possibili acquirenti di quella nuova, accresciuta consapevolezza. I sognatori devono stare sempre con gli occhi aperti. Diventano prede non appena si avventurano in quell'universo tanto predatorio.»

«Che mi suggerisci di fare per la mia sicurezza, don Juan?»

«Non abbassare la guardia neanche un secondo! Non lasciare che qualcuno o qualcosa decida per te. Va' nel , mondo degli esseri inorganici solo quando vuoi andarci tu.»

«In tutta onestà, don Juan, non saprei come fare. Non appena isolo un esploratore, mi sento tirare da una forza tremenda che mi costringe ad andare. Diavolo, non ho nessuna possibilità di avere un'idea diversa!»

«Ma va! A chi vuoi darla a bere? Certo che l'ultima parola spetta a te: solo che non ci hai provato, tutto qui.»

Tentai seriamente di fargli capire che mi era impossibile fermarmi. Lui non insistette più sull'argomento, e gliene fui grato. Un fastidioso senso di colpa aveva cominciato ad assillarmi. Per qualche ignota ragione, il pensiero di fermare scientemente gli strattoni degli esploratori non mi era mai venuto in mente.

Come al solito, don Juan aveva ragione. Scoprii che potevo cambiare il corso del mio Sognare con l'intento. Dopotutto, con l'intento mi ero fatto trasportare dagli esploratori nel loro mondo: quindi era fattibile che, se avessi deliberatamente scelto il contrario, il mio Sognare avrebbe seguito il senso opposto.

Con la pratica, la mia capacità di viaggiare con l'intento nel regno degli esseri inorganici divenne davvero fantastica. La maggior forza dell'intento produsse un maggior controllo sulla mia Attenzione del sogno. e questo mi rese più sicuro di me. Sentivo che avrei potuto viaggiare impunemente in quanto ero in grado di interrompere il viaggio in qualsiasi momento lo volessi.

«La tua baldanza mi spaventa molto» fu il commento di don Juan quando gli descrissi, su sua richiesta, i nuovi aspetti del controllo che esercitavo sulla mia Attenzione del sogno.

«Perché dovrebbe spaventarti?» gli chiesi. Ero sinceramente convinto del valore pratico di quanto avevo appena scoperto.

«Perché la tua è la baldanza di uno sciocco» disse. «Ti racconterò una storia di stregoni che viene molto a proposito. Non vi ho assistito di persona, ma il Maestro del mio Maestro, il Nagual Elias, sì.»

Don Juan disse che il Nagual Elias e una maga di nome Amalia, suo grande amore, quando erano giovani si erano perduti nel mondo degli esseri inorganici.

Non avevo mai sentito don Juan parlare degli amori di qualche stregone, per cui rimasi sbalordito. Gli chiesi di spiegarmi l'incongruenza.

«Non è un'incongruenza. È solo che mi sono sempre astenuto dal raccontarti le storie affettive degli stregoni. Sei stato talmente saturo d'amore tutta la tua vita che volevo concederti una pausa.

«Così, il Nagual Elias e il suo grande amore, la strega Amalia, si persero nel mondo degli esseri inorganici» riprese don Juan. «Non vi erano andati nel sogno ma in carne e ossa.»

«Come poté accadere?»

«Il loro Maestro, il Nagual Rosendo, era molto vicino agli antichi stregoni per temperamento e per pratica. Con l'intento di aiutare Elias e Amalia, li spinse invece oltre pericolosi confini. Il Nagual Rosendo non aveva pensato a quei confini, voleva solo mettere i suoi due discepoli nella Seconda Attenzione, ma come risultato ottenne solo la loro scomparsa.»

Don Juan disse che non sarebbe sceso nei dettagli di quella storia lunga e complicata, mi avrebbe solo raccontato come i due si erano perduti in quel mondo. Affermò che l'errore del Nagual Rosendo era stato dare per scontato che gli esseri inorganici non fossero affatto interessati alle donne. Il suo ragionamento era stato corretto: gli stregoni infatti sapevano che l'universo è segnatamente femminile e che la mascolinità, sua derivazione, è poca e ambita.

Don Juan fece una digressione e dichiarò che forse la penuria di maschi è la ragione dell'ingiustificato predominio virile sul nostro pianeta. Io avrei voluto restare sull'argomento, ma lui proseguì con la sua storia. Disse che il piano del Nagual Rosendo prevedeva il tirocinio di Elias e Amalia soltanto nella Seconda Attenzione, e, per quello scopo, egli seguiva la tecnica prescritta dagli antichi stregoni. Aveva ingaggiato un esploratore, nel sogno. e gli aveva ordinato di trasportare i discepoli nella Seconda Attenzione spostando i loro punti di unione nella posizione adatta.

In teoria, un esploratore potente avrebbe potuto spostare i loro punti di unione senza sforzo alcuno, ma il Nagual Rosendo non aveva considerato gli scherzi barbini degli esseri inorganici. L'esploratore spostò, sì, i punti di unione dei due discepoli, ma li spostò in una posizione da cui fosse facile trasportarli di peso nel regno degli esseri inorganici.

«È possibile essere trasportati in carne e ossa?» chiesi.

«Sì, è possibile» mi assicurò. «Noi siamo energia, tenuta in una forma e posizione specifica dalla fissazione del punto di unione in un posto particolare. Se si cambia posto, si cambierà di conseguenza la forma e la posizione di quell'energia. Tutto quel che gli esseri inorganici devono fare, è mettere il nostro punto di unione nel posto giusto e noi partiamo come una saetta, scarpe, cappello e tutto.»

«Questo può capitare anche a qualcuno di noi, don Juan?»

«Ma sicuro! Specie se il totale della nostra energia è giusto. È ovvio che il totale delle energie combinate di Elias e Amalia era qualcosa che non poteva sfuggire agli esseri inorganici. Ma è assurdo fidarsi di loro... hanno il proprio ritmo, e non è umano.»

Chiesi a don Juan cosa aveva fatto esattamente il Nagual Rosendo per mandare i propri discepoli in quel mondo. Era stupido fare domande, lo sapevo, e sapevo anche che avrebbe ignorato la mia richiesta. La mia sorpresa fu genuina quando cominciò a rispondermi.

«Fu una serie di passaggi molto semplici» disse. «Fece entrare i suoi discepoli in un piccolo spazio chiuso, qualcosa simile a una cabina-armadio. Poi si diede al Sognare, chiamò un esploratore dal regno degli esseri inorganici, dando voce al suo intento di averne uno, e infine espresse il suo intento di offrire i propri discepoli all'esploratore.

«Naturalmente quello accettò il dono e se li portò via, in un momento in cui erano senza difese, occupati a far l'amore in quella cabina-armadio. Quando il Nagual l'aprì, non c'erano più.»

Don Juan spiegò che regalare i propri discepoli agli esploratori era giusto ciò che erano soliti fare gli antichi stregoni. Il Nagual Rosendo non aveva alcuna intenzione di farlo, ma l'assurda convinzione di avere gli esseri inorganici sotto controllo lo tradì.

«Le manovre degli stregoni sono micidiali» proseguì don Juan. «Ti supplico di stare molto attento. Non farti prendere da una qualche stupida fiducia in te stesso!»

«Come andò a finire con il Nagual Elias e Amalia?» volli sapere.

«Il Nagual Rosendo dovette andare di persona in quel mondo a cercarli» replicò.

«E li trovò?»

«Certo, dopo lotte inaudite. Tuttavia, non poté portarseli fuori del tutto, e i due giovani furono sempre semi-prigionieri di quel regno.»

«Li conoscevi, don Juan?»

«Sicuro che li conoscevo, e, ti assicuro, erano molto strani.»

 

Il mondo delle ombre 
     «Devi fare molta attenzione, perché stai per finire preda degli esseri inorganici» mi disse don Juan all'improvviso, dopo una chiacchierata su qualcosa che non aveva alcun collegamento con il Sognare.

La sua dichiarazione mi colse di sorpresa. Come al solito, cercai di difendermi. «Non hai bisogno di mettermi in guardia: io sono molto attento» assicurai.

«Gli esseri inorganici stanno tramando» fece lui. «Lo sento, e non riesco a consolarmi dicendomi che mettono le trappole all'inizio e, in questo modo, i sognatori indesiderabili sono eliminati con efficacia e per sempre.»

Il tono della sua voce era così pressante che dovetti rassicurarlo immediatamente che non sarei caduto in nessuna trappola.

«Devi considerare seriamente che gli esseri inorganici hanno a disposizione mezzi sorprendenti» continuò. «La loro consapevolezza è eccezionale. A paragone, noi siamo bambini, bambini con molta energia che gli esseri inorganici desiderano ardentemente.»

Volevo dirgli che, a livello astratto, avevo capito la sua idea e la sua preoccupazione ma, su un piano pratico, non vedevo il motivo di quella raccomandazione, perché avevo sempre sotto controllo la mia esercitazione del sogno.

Seguirono alcuni minuti di pesante silenzio prima che don Juan parlasse ancora. Cambiò argomento e disse che doveva portare la mia attenzione sull'importantissima istruzione del sogno, qualcosa che finora era sfuggita alla mia consapevolezza.

«Tu già comprendi che i varchi del Sognare sono ostacoli specifici,» disse «ma non hai ancora capito che il compito assegnato come esercitazione per raggiungere e oltrepassare un varco, non è in realtà quello.»

«Questo non mi è chiaro per niente, don Juan!»

«Voglio dire che, per esempio, non è vero che si raggiunge e si supera il secondo varco quando il Sognatore impara a svegliarsi in un altro sogno, o quando impara a cambiare sogni senza svegliarsi nel mondo della vita quotidiana.»

«Perché non è vero, don Juan?»

«Perché il secondo varco del Sognare è raggiunto e oltrepassato solo quando un Sognatore impara a isolare e seguire gli esploratori dell'energia aliena.»

«Allora, perché mai si parla di cambiare Sogni?»

«Svegliarsi in un altro sogno o cambiare sogni è il sistema escogitato dagli antichi stregoni per far esercitare la capacità dei sognatori di isolare e seguire un esploratore.»

Don Juan affermò che seguire un esploratore è molto difficile e che quando i sognatori riescono in quel compito, il secondo varco si spalanca e l'universo che esiste al di là diviene accessibile. Mi fece notare che questo universo è sempre lì, ma noi non possiamo entrarci perché ci manca l'abilità energetica e che, in pratica, il secondo varco del Sognare è la porta che conduce nel regno degli esseri inorganici e il Sognare è la chiave che apre quella porta.

«Può un Sognatore isolare direttamente un esploratore, senza dover superare la prova del cambio di Sogni?» domandai.

«No, affatto» rispose. «L'esercizio è essenziale. Il problema è se questa è l'unica esercitazione che ci sia. Oppure il Sognatore può eseguirne un'altra?»

Don Juan mi guardò interrogativamente. Sembrava aspettarsi che io rispondessi alle sue domande.

«È difficile escogitare un esercizio altrettanto completo di quello messo insieme dagli antichi stregoni» esclamai, senza sapere perché, ma con irrefutabile autorità.

Don Juan ammise che avevo assolutamente ragione e disse che gli stregoni dell'antico avevano preparato una serie di prove perfette per attraversare i varchi del Sognare entrando negli specifici mondi che esistono al di là di ogni varco. Mi ripeté che il Sognare, invenzione degli antichi stregoni, deve essere giocato seguendo le loro regole. Descrisse la regola del secondo varco come una serie di tre gradi: primo, praticando l'esercizio di cambiare Sogni, i sognatori scoprono tutto sugli esploratori; secondo, seguendoli, entrano in un altro vero universo; e terzo, in quell'universo, con le loro azioni, i sognatori scoprono, per proprio conto, le leggi che regolano e governano l'universo stesso.

Don Juan ammise che nei miei rapporti con gli esseri inorganici avevo seguito le regole così bene che egli aveva temuto conseguenze devastanti. Aveva pensato che l'inevitabile reazione da parte degli esseri inorganici sarebbe stato tentare di trattenermi nel loro mondo.

«Non credi di esagerare, don Juan?» gli chiesi. Non riuscivo a credere che il quadro fosse così nero come lo stava dipingendo lui.

«Non sto affatto esagerando» rispose seccamente, in tono serio. «Vedrai. Gli esseri inorganici non lasciano andare nessuno, non senza una dura lotta.»

«Ma cosa ti fa pensare che mi vogliano?»

«Ti hanno già fatto vedere troppe cose. Credi davvero che si siano presi tutto questo disturbo solo per divertirsi?»

Don Juan rise della sua stessa battuta: io non lo trovavo affatto divertente. Uno strano timore mi fece chiedere se riteneva che dovessi interrompere o perfino smettere le esercitazioni del Sognare.

«Devi continuare con il Sognare finché non avrai attraversato l'universo al di là del secondo varco» affermò. «Solo tu puoi accettare o rifiutare il richiamo degli esseri inorganici. Ecco perché io resto per conto mio, e di rado faccio commenti sulle tue pratiche del Sognare.»

Gli confessai che spesso non avevo saputo spiegarmi perché lui fosse così generoso nelle spiegazioni di altri aspetti del suo sapere e tanto avaro per quanto riguardava il Sognare.

«Ho dovuto insegnarti il Sognare» disse «solo perché era quello il modello stabilito dagli antichi stregoni. Il sentiero del Sognare è pieno di trappole ed evitare queste trappole o caderci dentro è un problema personale e individuale di ogni Sognatore, e io posso aggiungere che è un problema decisivo.»

«Quelle trappole sono forse il risultato dell'aver ceduto all'adulazione o a promesse di potere?» chiesi.

«Non solo a quelle, ma a qualsiasi cosa offerta dagli esseri inorganici. Gli stregoni non possono assolutamente accettare, oltre un certo punto, le cose offerte da loro.»

«E qual è quel certo punto, don Juan?»

«Quel punto dipende da noi, come individui. La sfida per ognuno di noi consiste nel prendere da quel mondo solo il necessario, niente altro. Sapere qual è il necessario è la virtuosità degli stregoni, ma prendere solo l'indispensabile rappresenta il loro maggiore successo. Non riuscire a capire questa semplicissima regola è la via più sicura per precipitare in una trappola.»

«Che succede se si cade in trappola, don Juan?»

«Chi cade paga lo scotto, che dipende dalle circostanze e dall'entità della caduta. Ma non è il caso di parlare di un'eventualità del genere in quanto non ci si presenta il problema del castigo. Qui si tratta di correnti energetiche, correnti che provocano circostanze più terribili della morte. Tutto quello che si presenta sulla via dello stregone è questione di vita o di morte, ma sulla via del Sognare è tutto mille volte più intenso.»

Assicurai don Juan che io usavo sempre le maggiori cautele nelle mie esercitazioni del Sognare, e che ero molto disciplinato e coscienzioso.

«So che lo sei» replicò. «Ma esigo che tu sia ancora più rigoroso, e che tratti coi guanti qualsiasi cosa abbia la minima attinenza con il Sognare. Soprattutto, sta' sempre sul chi vive. Non posso prevedere da quale parte giungerà l'attacco.»

«Don Juan, come veggente vedi un pericolo imminente per me?»

«Ho visto imminente pericolo per te dal giorno in cui entrasti in quella città misteriosa e io ti aiutai a mettere insieme il tuo corpo energetico.»

«Ma sai in particolare quel che dovrei fare e quel che dovrei evitare?»

«No, non lo so. So soltanto che l'universo al di là del secondo varco è quello più vicino al nostro, e il nostro universo è molto scaltro e senza cuore: quindi i due non possono essere tanto diversi.»

Continuai a insistere perché mi dicesse cosa stava per capitarmi. E lui di rimando insisteva che, come stregone, sentiva uno stato di pericolo generalizzato, ma non riusciva a essere più specifico.

«L'universo degli esseri inorganici è sempre pronto a colpire» proseguì. «Ma lo è anche il nostro. Ecco perché bisogna entrare nel loro regno come se ci si avventurasse in zona di guerra.»

«Vuoi dire, don Juan, che i sognatori devono avere sempre paura di quel mondo?»

«No, non intendo dire questo. Una volta che il Sognatore attraversa l'universo al di là del secondo varco, o si rifiuta di considerarlo una scelta possibile, non ci sono più problemi.»

Don Juan dichiarò che solo allora i sognatori sono liberi di continuare. Non ero sicuro di cosa volesse dire; mi spiegò che l'universo al di là del secondo varco è così potente e aggressivo che serve da schermo naturale o da terreno di collaudo per provare le debolezze dei Sognatori. Se superano i test, possono procedere fino al varco seguente; altrimenti, restano per sempre intrappolati in quell'universo.

Avevo il cuore in gola dall'ansia ma, nonostante le mie insistenze, lui non disse altro. Quando fui tornato a casa, ripresi i miei viaggi nel regno degli esseri inorganici, facendo molta attenzione. Questa attenzione sembrava solo aumentare la sensazione di piacere per quei viaggi; giunsi al punto in cui la mera contemplazione del mondo degli esseri inorganici bastava per darmi un'esultanza impossibile a descrivere. Temevo che la mia gioia sarebbe finita prima o poi, ma non fu così. Qualcosa di inatteso la rese ancora più intensa.

Una volta, un esploratore mi guidò in maniera brusca per infiniti tunnel, come alla ricerca di qualcosa o come se volesse farmi consumare tutta l'energia e sfinirmi. Quando alla fine si fermò, mi sentivo come se avessi fatto una maratona. Mi sembrava di essere all'estremo di quel mondo: non c'erano più tunnel, solo oscurità tutt'intorno. Poi qualcosa illuminò la zona proprio davanti a me; la luce scaturiva da una fonte indiretta. Era una tenue luce diffusa che rendeva tutto grigio o beige. Quando mi ci fui abituato, distinsi vagamente alcune forme scure in movimento. Dopo un po' mi parve che, concentrando la mia Attenzione del sogno su quelle forme mobili, le rendessi stabili e consistenti. Notai che ce n'erano di tre tipi: alcune rotonde come palle; altre a forma di campana; e altre ancora come gigantesche fiamme di candela ondeggianti. Erano tutte fondamentalmente rotonde e della stessa grandezza: a occhio, direi, un metro di diametro, poco più, poco meno. Ce n'erano moltissime, centinaia, forse migliaia.

Sapevo che si trattava di una strana, sofisticata visione, eppure quelle forme erano così reali che mi trovai a reagire con vero disgusto. Ebbi la nauseabonda sensazione di trovarmi sopra un nido di giganteschi insetti rotondi, grigiastri e bruni. Mi sentivo in qualche modo sicuro però, in quanto non avevo alcun contatto, librandomi sopra di loro. Scartai tutte queste considerazioni quando realizzai che era da sciocchi sentirsi al sicuro o a disagio, come se il mio sogno fosse una situazione della vita reale. Tuttavia, mentre osservavo che quelle forme simili a insetti si contorcevano, mi preoccupai molto all'idea che potessero arrivare a toccarmi.

«Noi siamo l'unità mobile del nostro mondo» pronunciò la voce dell'Emissario, a un tratto. «Non aver paura. Noi siamo energia e, di certo, non intendiamo toccarti. Sarebbe comunque impossibile: siamo separati da veri confini.»

Dopo una lunga pausa, la voce aggiunse: «Noi vorremmo che tu ti unissi a noi. Vieni quaggiù dove siamo noi, e non sentirti a disagio. Non provi disagio con gli esploratori e certamente neanche con me. Gli esploratori e io siamo proprio come gli altri. Io ho forma a campana, e gli esploratori sembrano fiamme di candela».

Quest'ultima dichiarazione fu decisamente una sorta d'imbeccata per il corpo energetico. Sentendola, il disgusto e la paura svanirono, io scesi al loro livello e fui circondato da bolle, campane e fiamme di candela. Mi vennero , così vicino che mi avrebbero toccato se avessi avuto un corpo fisico. Invece, passammo l'uno attraverso l'altro, come sbuffi d'aria incapsulata.

In quel momento provai una sensazione incredibile. Benché non sentissi nulla con, o nel mio corpo energetico, sentivo e registravo un solletichìo davvero insolito da un'altra parte; soffici cose aeree mi passavano attraverso, ma non nello stesso punto. La sensazione era vaga e rapida e non mi diede il tempo di afferrarla del tutto.

Invece di focalizzare su di essa la mia Attenzione del sogno, fui completamente assorbito dalla contemplazione di quegli enormi insetti d'energia.

Al livello in cui ci trovavamo, mi sembrava che quelle entità fantasmatiche e io stesso avessimo qualcosa in comune: la dimensione. Forse perché io giudicavo che avessero le stesse dimensioni del mio corpo energetico, mi sentivo quasi in intimità con loro. Osservandoli, conclusi che non mi davano alcun pensiero. Erano impersonali, freddi, distaccati, e mi piacevano immensamente. Ecco: mi chiesi per un attimo se il fatto che un momento non li sopportassi e il momento dopo mi piacessero, fosse la conseguenza naturale del Sognare, o un prodotto di qualche influenza energetica che quegli esseri stavano esercitando su di me.

«Sono molto simpatici» dissi all'Emissario, mentre ero pervaso da un profondo impeto d'amicizia o addirittura d'affetto.

Avevo appena espresso il mio pensiero che le forme scure scapparono via in fretta, come porcellini d'India giganti, lasciandomi solo nella semioscurità.

«Hai esternato troppo sentimento e sono fuggiti per la paura» disse la voce dell'Emissario. «Il sentimento è troppo per loro, e anche per me, devo ammettere.» E rise timidamente.

 

La mia serie di sogni si concluse lì. Svegliandomi, la prima reazione fu fare le valigie per andare in Messico a trovare don Juan. Tuttavia, un inatteso avvenimento nella mia vita personale mi rese impossibile mettermi in viaggio, nonostante gli affannosi preparativi per la partenza. L'ansia risultante da questa battuta d'arresto interruppe del tutto la mia pratica del Sognare. Non usai la volizione consapevole per interromperla; avevo posto in modo non intenzionale tanta enfasi su questo particolare sogno da sapere che, se non avessi potuto andare da don Juan, era inutile continuare con i Sogni.

Dopo un'interruzione di oltre sei mesi, il mio sconcerto per quanto era accaduto si faceva sempre maggiore. Non pensavo che i miei sentimenti da soli potessero interrompere le mie esercitazioni, e mi chiedevo allora se il desiderio sarebbe bastato per riprenderle. E bastò! Avevo appena formulato il pensiero di riprendere a Sognare, che le mie pratiche ricominciarono come se non si fossero mai interrotte. L'esploratore riprese da dove avevamo smesso, e mi portò direttamente alla visione che avevo avuto durante l'ultimo incontro.

«Questo è il mondo delle ombre» pronunciò la voce dell'Emissario non appena fui arrivato. «Ma anche se siamo ombre, diffondiamo luce. Non solo siamo mobili, ma siamo la luce dei tunnel. Siamo un altro genere di esseri inorganici che vive qui. Siamo di tre tipi: uno è come un tunnel immobile, l'altro come un'ombra mobile. Noi siamo le ombre mobili. I tunnel ci danno la loro energia e noi eseguiamo i loro ordini.»

L'Emissario smise di parlare. Io avevo la sensazione che mi stesse sfidando a fargli domande sul terzo tipo degli esseri inorganici. Sentivo altresì che, se non avessi chiesto, L'Emissario non mi avrebbe detto niente.

«Qual è il terzo tipo degli esseri inorganici?» feci.

L'Emissario tossì ridacchiando. Mi parve sollevato che gli avessi posto quella domanda. «Oh, è la nostra più misteriosa caratteristica» esclamò. «La riveliamo ai visitatori solo dopo che hanno scelto di restare con noi.»

«E perché mai?» gli chiesi.

«Perché serve molta energia per vederla» rispose l'Emissario. «E dovremmo fornirla noi.»

Sapevo che l'Emissario mi stava dicendo la verità e sapevo anche che c'era un orrendo pericolo latente: eppure ero spinto da una curiosità senza limiti. Volevo vedere quel terzo tipo.

L'Emissario pareva essersi accorto del mio stato d'animo. «Ti piacerebbe vederli?» domandò, con indifferenza. «Figurati!» esclamai io.

«Non devi fare altro che dire ad alta voce di voler restare con noi» aggiunse l'Emissario, in tono noncurante.

«Ma se dico così, poi devo rimanere, vero?» indagai.

«Naturale» replicò l'Emissario, convincente al massimo. «Tutto quello che dici ad alta voce, qui nel nostro mondo, è per sempre.»

Non potei fare a meno di pensare che se L'Emissario avesse voluto farmi restare con l'inganno, gli sarebbe bastato dirmi una bugia. Io non me ne sarei accorto.

«Io non ti posso mentire, perché la bugia non esiste» disse l'Emissario, intrufolandosi nei miei pensieri. «Io posso solo esprimere ciò che esiste. Nel mio mondo esiste solo l'intento, e una bugia non ha dietro di sé l'intento, quindi non esiste.»

Volevo controbattere che anche dietro le bugie esiste l'intento, ma prima che potessi pronunciare una parola l'Emissario dichiarò che dietro le bugie c'è l'intenzione, ma l'intenzione non è l'intento.

Non riuscivo a mantenere la mia Attenzione del sogno concentrata sull'argomento postomi dall'Emissario. Mi rivolsi agli esseri ombra. A un tratto notai che avevano l'aspetto di un gregge di strani animali, con un che d'infantile. La voce dell'Emissario mi avvertì di controllare le mie emozioni perché gli improvvisi scoppi di sentimenti avevano il potere di farli disperdere, come uno stormo d'uccelli.

«Cosa vuoi che faccia?» chiesi.

«Vieni quaggiù accanto a noi e cerca di spingerci o di tirarci su» mi incitò la voce dell'Emissario.

«Prima impari a farlo, prima saprai spostare le cose nel tuo mondo con il solo sguardo.»

Il mio animo calcolatore impazzì solo all'idea. Fui tra loro in un attimo, a cercare disperatamente di spingerli o di tirarli. Dopo un po' avevo esaurito del tutto l'energia. Ebbi l'impressione, allora, di aver tentato di fare qualcosa che equivaleva a sollevare una casa con la forza dei denti. Ebbi anche l'impressione che, più mi sforzavo, più numerose si facevano le ombre, quasi che spuntassero da ogni angolo per venirmi a guardare o a trarre nutrimento da me. Nell'istante stesso in cui ebbi quel pensiero, le ombre si dileguarono veloci.

«Non ci stiamo nutrendo di te» mormorò l'Emissario. «Veniamo tutti a sentire la tua energia, come fai tu con i raggi del sole in una giornata fredda.»

L'Emissario mi invitò ad aprirmi nei loro riguardi, cancellando i miei pensieri sospetti. Sentii la voce e, mentre ascoltavo ciò che diceva, mi accorsi che stavo udendo, provando sensazioni e pensando proprio come nel mondo di tutti i giorni. Mi girai lentamente per guardarmi intorno e, giudicando dalla chiarezza della mia percezione, conclusi che mi trovavo nel mondo reale.

Sentii nelle orecchie la voce dell'Emissario. Mi informava che per me l'unica differenza fra percepire il mio mondo e il loro era che la percezione del loro mondo cominciava e finiva in un batter d'occhio, mentre quella del mio no, in quanto la mia consapevolezza — insieme alla consapevolezza di un immenso numero di esseri come me, che tenevano il mio mondo a posto con l'intento — era fissata sul mio mondo. L'Emissario aggiunse che percepire il mio mondo cominciava e finiva nella stessa maniera — in un batter d'occhio — anche per gli esseri inorganici, ma non così percepire il loro, perché c'era un infinito numero di essi a tenerlo a posto con l'intento.

In quell'istante la scena cominciò a dissolversi. Mi sentii come un tuffatore; svegliarmi da quel mondo fu come nuotare per tornare a galla.

Nell'incontro seguente, l'Emissario cominciò a dialogare con me riaffermando che esisteva un rapporto totalmente coordinato e coattivo fra le ombre mobili e i tunnel immobili. Concluse la propria dichiarazione dicendo: «Non potremmo esistere l'uno senza l'altro».

«Capisco quel che vuoi dire» aggiunsi io.

Ci fu una punta di disprezzo nella voce dell'Emissario quando replicò che io non ero assolutamente in grado di capire ciò che vuol dire essere legati in quel modo, molto di più della solita dipendenza. Volevo chiedere all'Emissario di spiegarmi cosa significava quell'espressione, ma un istante dopo mi trovai all'interno di ciò che potevo solo descrivere come l'apertura stessa del tunnel. Scorsi alcune protuberanze, simili a ghiandole, unite in maniera grottesca, che emanavano una luce opaca. Mi balenò in mente il pensiero che fossero le stesse protuberanze che mi avevano ricordato i caratteri Braille. Considerando che si trattava di bolle di energia dal diametro di circa un metro, cominciai a chiedermi quale fossero le vere dimensioni di quei tunnel.

«Le dimensioni qui non sono come quelle del vostro mondo» spiegò l'Emissario. «L'energia di questo è di diverso tipo; le sue caratteristiche non coincidono con le caratteristiche dell'energia del vostro mondo, eppure questo è reale quanto quello.»

L'Emissario continuò a dire che lui mi aveva svelato tutto sugli esseri ombra quando mi aveva descritto e spiegato le protuberanze sulle pareti dei tunnel. Io ribattei che avevo sentito le spiegazioni ma non avevo fatto molta attenzione perché credevo che non avessero collegamenti diretti col Sognare.

«Qui, in questo regno, ogni cosa è direttamente collegata al Sognare» asserì l'Emissario.

Avrei voluto meditare sul motivo del mio errore di valutazione, ma mi si annebbiò la mente. La mia Attenzione del sogno andava scemando. Avevo difficoltà a focalizzarla sul mondo che mi circondava. Chiamai a raccolta tutte le mie forze per svegliarmi. L'Emissario riprese a parlare e il suono della sua voce mi fu di sostegno. La mia Attenzione del sogno si fece considerevolmente più acuta.

«Il Sognare è il veicolo che porta i sognatori in questo mondo» notò l'Emissario «e tutto ciò che gli stregoni sanno sul Sognare glielo abbiamo insegnato noi. Il nostro mondo è collegato con il vostro da una porta chiamata Sogni. Noi sappiamo come passare da quella porta, ma gli uomini no. Devono impararlo.»

La voce dell'Emissario continuò a spiegare quanto mi aveva già spiegato in precedenza.

«Le protuberanze sulle pareti dei tunnel sono esseri ombra» disse. «Io sono uno di loro. Ci muoviamo all'interno dei tunnel, sulle pareti, caricandoci con l'energia dei tunnel, che è la nostra energia.»

Ebbi un pensiero ozioso: io ero davvero incapace di concepire un rapporto simbiotico come quello a cui stavo assistendo!

«Se rimanessi con noi, impareresti certo a sentire ciò che si prova a essere collegati come siamo noi» commentò l'Emissario.

Sembrava che stesse aspettando la mia risposta. Quel che realmente voleva, secondo me, era che io dicessi di aver deciso di restare.

«Quanti esseri ombra ci sono in ogni tunnel?» domandai per girare pagina e immediatamente me ne pentii perché l'Emissario cominciò a darmi un dettagliato resoconto di presenze e funzioni degli esseri ombra in ogni tunnel. Mi rivelò che ogni tunnel aveva un numero preciso di esseri dipendenti, che eseguivano funzioni particolari secondo le necessità e le richieste dei tunnel sostenitori.

Non volevo che scendesse in maggiori dettagli. Pensavo che meno sapevo sui tunnel e gli esseri ombra, meglio sarebbe stato per me. Nel preciso istante in cui formulai quel pensiero, l'Emissario si fermò e il mio corpo energetico sobbalzò come se fosse stato tirato da un filo. Un momento dopo mi trovai nel mio letto, perfettamente sveglio.

 

Da allora in poi non ebbi più il timore che potessero interrompere le mie esercitazioni. Un'altra idea aveva cominciato a dominarmi, l'idea che avevo trovato stimoli senza pari. Riuscivo a malapena ad attendere, ogni giorno, il momento di cominciare il Sognare e farmi portare dall'esploratore nel mondo delle ombre. L'ulteriore attrazione era che le mie visioni del mondo delle ombre diventavano ancora più specchio della realtà di quanto non lo fossero prima. Giudicate con gli standard soggettivi di pensieri ordinari, di ordinari input sensoriali visivi e uditivi, di ordinarie risposte da parte mia, le mie esperienze - finché durarono — furono reali quanto una qualsiasi situazione nel nostro mondo quotidiano. Non avevo mai avuto prima esperienze percettive in cui l'unica differenza fra le mie visioni e il mio mondo quotidiano era la rapidità con cui finivano le mie visioni. Un momento ero in uno strano mondo reale, il momento dopo ero nel mio letto.

Morivo dalla voglia di sentire i commenti e le spiegazioni di don Juan, ma mi trovavo ancora bloccato tutto solo a Los Angeles. Più consideravo la mia situazione, più aumentava la mia ansia; arrivai perfino ad avvertire che nel regno degli esseri inorganici qualcosa bolliva in pentola.

Mentre la mia ansia cresceva, il mio corpo entrò in uno stato di profondo terrore, benché la mia mente fosse nell'estasi della contemplazione del mondo delle ombre. Per peggiorare le cose, la voce dell'Emissario del sogno s'insinuò nella mia consapevolezza quotidiana. Un giorno, durante una lezione all'Università, sentii che la voce ripeteva più volte come ogni mio tentativo di concludere le esercitazioni del Sognare sarebbe stato deleterio per gli scopi che mi prefiggevo. Ne arguii che i guerrieri non cercano di evitare una sfida, e che non avevo alcuna valida spiegazione razionale per smettere il tirocinio. Fui d'accordo con l'Emissario: non avevo intenzione di piantar lì niente, e la voce stava solo ripetendo quel che provavo.

Non solo l'Emissario cambiò, ma apparve sulla scena un esploratore nuovo. Una volta, prima che avessi cominciato a esaminare le componenti del mio sogno. un esploratore mi balzò davanti e aggressivamente catturò la mia Attenzione del sogno. L'elemento notevole di costui era che non aveva bisogno di alcuna metamorfosi energetica: era fin dall'inizio una bolla di energia. In un battibaleno mi trasportò, senza che avessi dato voce all'intento di seguirlo, in un'altra parte del regno degli esseri inorganici: il mondo delle tigri dai denti a sciabola.

Negli altri miei lavori ho accennato qualcosa di quelle visioni. Dico accennato perché allora non avevo energia sufficiente per rendere comprensibili alla mia mente lineare questi mondi percepiti.

Le mie visioni notturne delle tigri dai denti a sciabola continuarono con regolarità per lungo tempo, finché una notte non riapparve all'improvviso l'esploratore aggressivo che mi aveva portato in quel regno per la prima volta. Senza aspettare il mio consenso, mi portò ai tunnel.

Sentii la voce dell'Emissario. Assunse immediatamente la più tipica e torrenziale loquela da imbonitore che avessi mai udito. Mi descrisse gli straordinari vantaggi del mondo degli esseri inorganici, dicendomi che avrei acquisito una conoscenza da capogiro, e con la più semplice delle mosse: restando in quei meravigliosi tunnel. Parlò di incredibile mobilità, di tempo infinito per cercare le cose e, soprattutto, delle attenzioni dei servitori cosmici che avrebbero esaudito ogni mio capriccio.

«Gli esseri consapevoli provenienti dai più incredibili angoli del cosmo restano con noi» concluse l'Emissario. «E a loro piace molto, stare con noi. Infatti, nessuno vuole andar via.»

In quel momento pensai che la servitù mi era proprio antitetica. Non mi ero mai trovato a mio agio con i camerieri, o con qualcuno che mi serviva.

L'esploratore prese il comando e mi fece scivolare attraverso molti tunnel. Si fermò in uno che sembrava più ampio degli altri. La mia Attenzione del sogno si concentrò sulla dimensione e la configurazione di quel tunnel, e sarebbe rimasta incollata lì se non mi avessero fatto girare.

La mia Attenzione del sogno si focalizzò allora su una bolla di energia un po' più grande degli esseri ombra. Era blu, dello stesso blu che è al centro della fiamma di una candela. Sapevo che questa configurazione di energia non era un essere ombra, e che il suo posto non era lì.

Ero assorto a percepirlo. L'esploratore mi fece cenno di andarmene, ma qualcosa mi rendeva sordo ai suoi segnali. Rimasi, con un certo impaccio, dov'ero. Tuttavia i cenni dell'esploratore spezzarono la mia concentrazione e persi di vista la forma blu.

All'improvviso, una forza considerevole mi fece ruotare su me stesso facendomi fermare esattamente di fronte alla forma blu. Mentre la fissavo, si trasformò nella figura di una persona: piccolina, sottile, delicata, quasi diafana. Cercai disperatamente di scoprire se fosse un uomo o una donna, ma, per quanto tentassi, non ci riuscii.

Inutile chiedere all'Emissario: se ne volò via, lì per lì, lasciandomi sospeso nel tunnel, di fronte a uno sconosciuto. Provai a parlare a quella persona come parlavo all'Emissario, ma non ebbi risposta. Mi sentii invadere dalla frustrazione perché non ero riuscito a spezzare la barriera che ci separava. Poi fui invaso dalla paura di trovarmi solo con qualcuno che sarebbe potuto essere un nemico.

Ebbi diverse sensazioni, provocate dalla presenza di quello sconosciuto. Provai perfino una certa euforia perché sapevo che l'esploratore mi aveva finalmente mostrato un altro essere umano chiuso in quel mondo. Mi disperavo solo di non avere la possibilità di comunicare, forse perché quello straniero era uno degli stregoni dell'antichità e apparteneva a un'epoca diversa dalla mia.

Più cresceva la mia euforia e la mia curiosità, più io diventavo pesante, fino al momento in cui fui così massiccio da rientrare nel mio corpo, e poi nel mio mondo. Mi ritrovai a Los Angeles, in un parco vicino all'Università della California. Ero in piedi, sull'erba, nella traiettoria di alcune persone che giocavano a golf.

Anche la persona sconosciuta davanti a me si era solidificata allo stesso modo. Ci fissammo per un rapidissimo istante. Era una bambina, di sei o sette anni. Mi pareva di conoscerla. Scorgendola, l'euforia e la curiosità crebbero così a dismisura che provocarono un mutamento radicale. Persi la consistenza talmente in fretta che in un attimo fui di nuovo una bolla di energia nel regno degli esseri inorganici.

L'esploratore tornò a riprendermi e mi trascinò via precipitosamente.

Mi svegliai di soprassalto dalla paura. Durante il rientro alla superficie del mondo quotidiano, qualcosa aveva fatto trapelare un messaggio. Mi sentivo scoppiare il cervello cercando di mettere insieme ciò che sapevo o credevo di sapere. Passai più di quarantotto ore di fila a cercare di scoprire un sentimento nascosto o una conoscenza segreta che mi fosse rimasta addosso. Ne ricavai solo un senso di

forza - l'immaginavo esterno sia al corpo sia alla mente - che mi raccomandava di non fidarmi più del mio Sognare.

Qualche giorno dopo s'impadronì di me una cupa e misteriosa certezza, una certezza che aumentò per gradi finché non ebbi più dubbi sulla sua autenticità: fui certo che la bolla energetica blu fosse prigioniera nel regno degli esseri inorganici.

Avevo più che mai un disperato bisogno dei consigli di don Juan. Sapevo che, agendo in questo modo, avrei gettato via anni di lavoro, ma non potei farne a meno: piantai in asso tutto e mi precipitai in Messico.

«Ma che cosa vuoi, veramente?» mi chiese don Juan, come per frenare il mio balbettio isterico.

Io non potevo spiegarglielo, perché non lo sapevo. «Deve trattarsi di un problema serio per farti correre così a rotta di collo» disse don Juan, pensieroso.

«Certo, nonostante non riesca a immaginare cosa sia davvero questo mio problema» aggiunsi.

Volle che gli descrivessi le mie esercitazioni del Sognare in ogni dettaglio pertinente. Gli parlai della visione della bambina e di quanto mi avesse colpito a livello emotivo. Subito don Juan mi consigliò di ignorare la cosa, e di considerarlo un tentativo più che evidente degli esseri inorganici di assecondare le mie fantasie. Mi fece notare che se il sogno viene enfatizzato all'eccesso diventa fonte di inesauribile condiscendenza, proprio com'era per gli antichi stregoni.

Per qualche inesplicabile ragione, non ero disposto a raccontare a don Juan del regno degli esseri d'ombra. Fu solo quando lui eliminò la visione della bambina che mi sentii obbligato a descrivergli le mie visite a quel mondo. Restò in silenzio a lungo, come se fosse sopraffatto.

Quando infine parlò, disse: «Sei più solo di quanto pensassi, perché io non posso discutere affatto le tue pratiche del Sognare. Sei nella posizione degli stregoni dell'antico. Tutto quello che posso fare è ripeterti che devi esercitare tutta l'attenzione che riesci a mettere insieme».

«Perché dici che sono nella posizione degli antichi stregoni?»

«Ti ho ripetuto più volte che il tuo è uno stato d'animo pericolosamente simile a quello degli antichi stregoni. Erano esseri molto capaci; il loro errore fu reagire verso il regno degli esseri inorganici con la stessa simpatia che i pesci provano per l'acqua. Tu sei nella stessa posizione. Sai delle cose in proposito che nessuno di noi può neanche concepire. Per esempio, io non ho mai saputo nulla del mondo delle ombre: né lo sapeva il Nagual Julian o il Nagual Elias, nonostante avesse trascorso molto tempo nel mondo degli esseri inorganici.»

«Ma che differenza può fare la conoscenza del mondo delle ombre?»

«Una differenza enorme. I sognatori sono portati lì soltanto quando gli esseri inorganici sono certi che resteranno in quel mondo. Lo sappiamo dai racconti degli antichi stregoni.»

«Ti assicuro, don Juan, che non ho la sia pur minima intenzione di restare là. Parli come se stessi per essere adescato da promesse di servigi o di potere. Non sono interessato né agli uni né all'altro, e questo è quanto.»

«Al tuo livello, non è più così facile. Sei andato ben oltre il punto in cui potevi piantare tutto, così semplicemente. Perdipiù, hai avuto la sfortuna di essere scelto da un essere inorganico d'acqua. Ti ricordi come siete venuti alle mani, e com'era al tatto? Te lo dissi, allora, che gli esseri inorganici acquosi sono i più importuni, viscidi e possessivi, e una volta che ti hanno preso tra le grinfie, non ti mollano più!»

«Nel mio caso, che cosa vuol dire, don Juan?»

«Vuol dire guai. Il particolare essere inorganico che ha in mano le redini, è proprio quello che ti afferrò quel famoso giorno. Nel corso degli anni ha potuto sapere tutto di te, ti conosce intimamente.»

Dissi con grande franchezza a don Juan che il solo pensiero che un essere inorganico mi conoscesse intimamente mi faceva rivoltare lo stomaco.

«Quando i sognatori si accorgono che gli esseri inorganici non hanno attrattive, di solito per loro è troppo tardi,» replicò «perché a quel punto gli esseri inorganici li hanno già nel sacco.»

Sentivo nel profondo che stava parlando in termini astratti su pericoli che potevano esistere in teoria ma non nella pratica. Ero segretamente convinto che non ci fosse pericolo di sorta.

«Non permetterò agli esseri inorganici di adescarmi in alcun modo, se è quello a cui stai pensando» esclamai.

«Sto pensando che ti tenderanno un trabocchetto» ribatté. «Come fecero col Nagual Rosendo. Ti incastreranno, e tu non vedrai la trappola e nemmeno ne sospetterai l'esistenza. Ci sanno fare. Ora hanno perfino inventato una bambina!»

«Nella mia mente non ci sono dubbi sull'esistenza della bambina» insistetti.

«Non c'è nessuna bambina!» sbottò seccamente. «Quella bolla bluastra di energia è una guida. Un esploratore bloccato nel regno degli esseri inorganici. Ti ho già rivelato che sono come pescatori: adescano e catturano la consapevolezza.»

Don Juan mi spiegò che era sua ferma opinione che la bolla di energia bluastra proveniva da una dimensione completamente diversa dalla nostra, un esploratore che si era perduto ed era stato catturato come una mosca in una ragnatela.

Non mi piacque la sua analogia: m'infastidiva fino a farmi star male. Ma non lo rivelai a don Juan, e lui mi disse che la mia preoccupazione per l'esploratore prigioniero lo stava portando sull'orlo della disperazione.

«Ma perché ti preoccupa?» gli domandai.

«Qualcosa ribolle in quel maledetto mondo» replicò. «E non riesco a capire cosa sia.»

Finché restai con don Juan e con i suoi discepoli, non sognai mai del mondo degli esseri inorganici. Secondo il solito, la pratica consisteva nel mettere a fuoco l'Attenzione del sogno sugli elementi dei miei sogni e cambiare Sogni. Per compensare la mia preoccupazione, don Juan mi fece fissare le nuvole e le lontanissime vette delle montagne. Come risultato, ebbi un'immediata sensazione di trovarmi all'altezza delle nuvole o addirittura su quelle lontane montagne.

«Sono molto compiaciuto, ma anche tanto preoccupato» asserì don Juan commentando i miei sforzi. «Ti si insegnano meraviglie, e tu neanche lo sai. E non intendo dire che te le stia insegnando io.»

«Stai parlando degli esseri inorganici, vero?»

«Certo, gli esseri inorganici. Ti avevo raccomandato di non guardar fisso niente; guardare fisso era la tecnica degli antichi stregoni. Riuscivano ad arrivare ai loro corpi energetici in un battibaleno, semplicemente fissando gli oggetti prediletti. Una tecnica sbalorditiva ma inutile per gli stregoni moderni. Non serve ad accrescere la nostra sobrietà o la nostra capacità di cercare la libertà. Non fa altro che vincolarci alla concretezza, una condizione molto indesiderabile.»

Don Juan aggiunse che, se non fossi riuscito a controllarmi, sarei diventato insopportabile una volta che avessi incorporato la Seconda Attenzione con quella della vita quotidiana. C'era, secondo lui, una pericolosa frattura tra la mia mobilità nella Seconda Attenzione e quel mio insistere sull'immobilismo nella consapevolezza del mondo della quotidianità. Mi fece notare che il divario era così grande che nella mia condizione di tutti i giorni ero poco meno di un idiota, e nella Seconda Attenzione ero pazzo.

Prima di tornarmene a casa mi presi la libertà di discutere delle mie visioni di sogno del mondo delle ombre con Carol Tiggs, benché don Juan mi avesse consigliato di non discuterne con nessuno. Lei fu molto comprensiva e interessata, visto che era la mia perfetta controparte. Don Juan fu chiaramente seccato con me perché le avevo rivelato i miei problemi. Io mi sentivo peggio di prima. L'autocommiserazione s'impadronì di me e cominciai a lamentarmi di fare sempre la cosa sbagliata.

«Non hai fatto ancora niente» mi ringhiò contro don Juan. «Almeno quello lo so.»

E come aveva ragione! Durante la successiva seduta di sogno. a casa, si scatenò l'inferno. Raggiunsi il mondo delle ombre, come avevo fatto in altre innumerevoli occasioni; la differenza era la presenza della forma di energia blu. Si trovava in mezzo agli altri esseri ombra. Sentii che era possibile che la bolla si fosse trovata lì prima e io non me ne fossi accorto. Non appena l'ebbi scorta, la mia Attenzione del sogno fu inevitabilmente attratta da quella bolla energetica. In pochi secondi le fui accanto. Le altre ombre mi si accostarono, come al solito, ma io non facevo attenzione a loro.

Tutto a un tratto la tondeggiante forma blu si trasformò nella bambina che avevo visto in precedenza. Lei piegò il sottile, delicato e lungo collo da un lato e mi sussurrò con un filo di voce: «Aiutami!». Se non lo pronunciò lei, lo immaginai io. Il risultato fu lo stesso: restai immobile, sconvolto da una reale preoccupazione. Provai un senso di gelo, non nella mia massa energetica ma da un'altra parte. Per la prima volta ero pienamente consapevole che quell'esperienza era ben separata dai miei sentimenti sensoriali. Stavo sperimentando il mondo delle ombre, con tutte le implicazioni di quel che di norma considero sperimentare: ero in grado di pensare, di esprimere giudizi, di prendere decisioni; possedevo continuità psicologica; in altre parole, ero me stesso. L'unica parte di me che mancava era il mio io sensoriale. Non avevo sensazioni fisiche. Il mio input derivava in toto dal vedere e dal sentire. La mia razionalità allora prese a considerare uno strano dilemma: vedere e sentire non erano facoltà corporee, ma qualità delle visioni che stavo facendo.

«Stai davvero vedendo e sentendo» mi sussurrò la voce dell'Emissario irrompendo nei miei pensieri. «È la bellezza di questo posto. Puoi sperimentare qualsiasi cosa vedendo e sentendo, senza dover respirare. Pensa un po'! Non devi respirare! Puoi andare in qualsiasi angolo del cosmo senza respirare.»

Mi sentii attraversare da uno sconvolgente coacervo di emozioni e, ancora una volta, non accadeva lì, nel mondo delle ombre, ma da qualche altra parte. Fui molto scosso dall'ovvia eppur velata realizzazione che c'era un legame vivo tra il mio io che stava sperimentando, e una fonte di energia, una fonte di comprensione sensoriale dislocata altrove. Mi venne in mente che questo altrove fosse in realtà il mio corpo fisico, che stava dormendo nel letto.

Nell'istante in cui formulavo questo pensiero, gli esseri d'ombra si dileguarono in gran fretta, e la bambina restò da sola nel mio campo visivo. La guardai e mi convinsi di conoscerla. Parve barcollare, come se stesse per svenire. Fui avvolto da un senso sconfinato d'affetto per lei.

Cercai di parlarle, ma ero incapace di emettere un suono. Mi fu chiaro allora che tutti i miei dialoghi con l'Emissario erano stati provocati e realizzati grazie all'energia dell'Emissario. Lasciato alla mercé dei miei mezzi, ero impotente. Cercai di dirigere i pensieri verso la bambina. Fu inutile. Eravamo separati da una membrana di energia che io non riuscivo a sfondare.

La bambina sembrava capire la mia disperazione e a dire il vero si mise in comunicazione con me, direttamente nei miei pensieri. Mi disse, in sintesi, quello che don Juan aveva già detto: era un esploratore preso negli intrichi di quel mondo. Poi aggiunse che aveva assunto la forma di una bambina perché quella forma era familiare a entrambi, e lei aveva bisogno del mio aiuto quanto io avevo bisogno del suo. Mi disse tutto questo in un groppo di sensazioni energetiche, e fu come se le parole mi arrivassero a gragnuola, tutte d'un colpo. Non ebbi difficoltà a comprenderla, benché fosse la prima volta che mi accadeva una cosa del genere.

Non sapevo cosa fare. Cercai di comunicarle la mia sensazione d'incapacità. Sembrò comprendermi all'istante. Mi rivolse un muto appello con occhiate ardenti. Mi sorrise perfino, come per farmi sapere di avermi affidato il compito di liberarla dai ceppi. Quando le replicai, col pensiero, che non ne ero capace in assoluto, mi diede l'impressione di una bambina resa isterica dalla disperazione.

Cercai convulsamente di parlarle. La bambina stava piangendo davvero, come avrebbe pianto una sua coetanea disperata e impaurita. Non lo sopportavo. Mi lanciai verso di lei, ma senza alcun risultato concreto. La mia massa energetica le passò attraverso. L'idea era di sollevarla e portarla con me.

Ripetei la stessa manovra molte volte finché non esaurii ogni forza. Mi fermai a riflettere su quale sarebbe stata la prossima mossa. Temevo che la mia Attenzione del sogno potesse indebolirsi: allora l'avrei persa di vista. Dubitavo che gli esseri inorganici mi avrebbero riportato in quella particolare zona del loro regno. Mi sembrava che questa sarebbe stata la mia ultima visita al loro mondo: la visita che avrebbe contato!

Allora feci qualcosa d'impensabile prima che la mia Attenzione del sogno svanisse, urlai forte e chiaro il mio intento di unire la mia energia con quella della guida prigioniera, e di liberarla!

 

 7 
L'esploratore blu 
     Stavo facendo un sogno assolutamente senza senso. C'era Carol Tiggs accanto a me. Mi stava parlando anche se non riuscivo a capire ciò che mi diceva. Nel sogno c'era anche don Juan, con i componenti del suo seguito. Pareva che tutti stessero cercando di strapparmi da un mondo nebbioso, giallastro.

Dopo seri sforzi, durante i quali li persi di vista diverse volte per poi vederli riapparire ancora, riuscirono a districarmi da quel posto. Poiché non arrivavo a comprendere il significato di tutta quella fatica, alla fine immaginai che stavo facendo un normale sogno incoerente.

La mia sorpresa fu enorme quando, al risveglio, mi ritrovai a letto nella casa di don Juan. Ero incapace di muovermi: non avevo più energia. Non sapevo cosa pensare, benché avessi compreso subito la gravità della mia posizione. Avevo la vaga sensazione di aver perso tutta la mia energia per l'affaticamento del Sognare.

I discepoli di don Juan sembravano molto colpiti da quanto mi stava capitando. Continuavano a venire in camera mia, uno alla volta. Ognuno restava un momento, in assoluto silenzio, finché non appariva qualcun altro. Sembrava che facessero a turno a tenermi d'occhio. Ero troppo debole per chiedere loro il motivo di quel comportamento.

Nei giorni che seguirono cominciai a sentirmi meglio, e loro presero a parlarmi del mio Sognare. All'inizio non sapevo che cosa volessero da me. Poi capii, dalle domande, che erano ossessionati dagli esseri d'ombra. Sembravano tutti spaventati, e mi dicevano più o meno la stessa cosa. Insistevano di non essere mai stati nel mondo delle ombre. Alcuni pretendevano addirittura di non sapere che esistesse. Le loro affermazioni e reazioni aumentarono la mia sensazione di stupore e la mia paura.

La domanda che tutti mi facevano era: «Chi ti porta in quel mondo? O come hai fatto a sapere in quale modo arrivarci?». Quando raccontai loro che erano stati gli esploratori a mostrarmi quel mondo, non mi credettero. Ovviamente, avevano dato per scontato che io ci fossi stato, ma poiché non potevano usare la loro esperienza personale come punto di riferimento, non riuscivano a capire quel che stavo dicendo. Tuttavia volevano sentire tutto quanto potevo dire sugli esseri d'ombra e il loro regno. Io li accontentai. Tutti, a eccezione di don Juan, si sedettero accanto al letto, pendendo dalle mie labbra. Ma, ogni volta che ero io a chiedere loro della mia situazione, si dileguavano proprio come gli esseri d'ombra.

Un'altra preoccupante reazione, che non avevano mai avuto prima, li portava a evitare affannosamente ogni contatto fisico con me. Si tenevano a distanza, come se avessi la peste. Questa reazione mi preoccupò tanto che mi sentii obbligato a chiedere il perché. Negarono tutto. Sembravano offesi e arrivarono al punto di insistere per provarmi che avevo torto. Mi veniva da ridere pensando alla tensione che si era creata: ogni volta che cercavano di abbracciarmi, i loro corpi si irrigidivano.

Florinda Donner-Grau, la più vicina a don Juan, era l'unica componente del gruppo che mi prodigava cure e attenzioni fisiche e cercava di spiegarmi quanto stava accadendo. Mi disse che ero stato svuotato di energia nel mondo degli esseri inorganici e poi ero stato ricaricato, ma la nuova carica energetica era un po' fastidiosa per la maggior parte di loro.

Florinda era solita mettermi a letto ogni sera, come se fossi un invalido. Si rivolgeva a me usando un linguaggio infantile, e tutti ridevano come pazzi. Ma incurante degli scherzi, apprezzavo le sue attenzioni, che apparivano sincere.

Ho già scritto in precedenza di Florinda in occasione della nostra conoscenza. Era senz'altro la più bella donna che avessi mai conosciuto. Una volta le dissi, e non scherzavo affatto, che avrebbe potuto fare la fotomodella. «Sì per una rivista del 1910!» mi aveva rimbeccato.

Benché Florinda avesse un bel po' di anni, non sembrava affatto vecchia. Era giovanile e piena di vita. Quando chiesi a don Juan il motivo della sua insolita gioventù, mi rispose che era la stregoneria a mantenerla in uno stato vitale. L'energia della stregoneria, commentò, appariva ai nostri occhi come gioventù e vigore.

Dopo aver soddisfatto la propria iniziale curiosità sui mondi delle ombre, i soci di don Juan smisero di venire in camera mia, e la loro conversazione si limitò a domande casuali sulla mia salute. Ogni volta che cercavo di alzarmi, tuttavia, c'era sempre qualcuno che con bel garbo mi rimetteva a letto. Io non volevo la loro assistenza, ma sembrava che ne avessi bisogno: ero debole. L'accettai. Ma ciò che non finiva mai di stupirmi era che nessuno mi spiegasse che cosa ci facevo in Messico quando ero andato a letto per Sognare a Los Angeles. Lo chiesi più di una volta. Tutti mi diedero la stessa risposta: «Chiedi al Nagual. l'unico che possa spiegarti».

Alla fine Florinda ruppe il ghiaccio. «Sei stato attirato in una trappola; ecco quello che ti è successo» disse. «Dove fui attirato in una trappola?»

«Nel mondo degli esseri inorganici, naturalmente. È il mondo con cui ti stai confrontando da anni, no?»

«Certo, Florinda. Ma sai dirmi di che genere di trappola si trattasse?»

«Non proprio. Tutto quello che posso dirti è che hai perduto tutta l'energia, però combattesti molto bene.»

«Perché sono malato, Florinda?»

«Non hai nessuna malattia, sei solo menomato nell'energia. Sei stato in pericolo di morte, ma ora sei solo ferito grave.»

«Com'è accaduto tutto questo?»

«Hai ingaggiato una lotta micidiale con gli esseri inorganici, e sei stato sconfitto.»

«Non ricordo di aver lottato con nessuno, Florinda.»

«Che lo ricordi o no, è irrilevante. Hai lottato e sei stato surclassato. Non avevi la minima probabilità di successo contro quegli abili manipolatori.»

«Ho combattuto contro gli esseri inorganici?»

«Sì. Hai sostenuto uno scontro mortale con loro. Non so davvero come tu sia sopravvissuto ai loro colpi ferali.»

Si rifiutò di dirmi altro e mi accennò che il Nagual sarebbe venuto da me un giorno o l'altro.

 

Il giorno dopo arrivò don Juan. Era molto gioviale e incoraggiante. Mi annunciò scherzando che mi stava facendo visita nella veste di Dottor Energia. Mi esaminò, scrutandomi da capo a piedi. «Sei quasi guarito» sentenziò.

«Che cosa mi è successo, don Juan?» lo pregai.

«Sei caduto nella trappola che ti avevano preparato gli esseri inorganici» replicò.

«E come ci sono finito?»

«Ecco qual è il gran mistero, già» esclamò, sorridendo con bonomia e cercando ovviamente di non dare peso a una faccenda seria. «Gli esseri inorganici ti avevano ghermito, corpo e tutto. Prima avevano portato nel loro regno il tuo corpo energetico, quando tu eri andato dietro a una delle loro guide; dopo, avevano catturato il tuo corpo fisico.»

I discepoli di don Juan sembravano in stato di shock. Uno di loro gli chiese se gli esseri inorganici potessero rapire chiunque e don Juan rispose che certo avrebbero potuto. Ricordò loro che il Nagual Elias era stato portato in quell'universo e di certo lui non aveva avuto intenzione di andarci.

Annuirono tutti. Don Juan continuò a parlare, riferendosi a me in terza persona. Rivelò che la consapevolezza unificata di un gruppo di esseri inorganici aveva prima consumato il mio corpo energetico imponendomi un'esplosione emotiva: liberare l'esploratore blu. Dopo, la consapevolezza unificata dello stesso gruppo di esseri inorganici aveva trascinato la mia inerte massa fisica nel loro mondo. Don Juan aggiunse che senza il corpo energetico si è soltanto un grumo di materia organica che può essere facilmente manipolato dalla consapevolezza.

«Gli esseri inorganici sono incollati insieme, come le cellule del corpo umano» proseguì don Juan. «Quando mettono insieme le proprie consapevolezze unificandole, diventano imbattibili. Per loro è una cosa da nulla strapparci dai nostri ormeggi e scaraventarci nel loro mondo. Specie se ci facciamo notare e ci rendiamo disponibili, come aveva fatto lui.»

I muri riecheggiavano dei loro sospiri e gemiti: sembravano tutti sinceramente spaventati e preoccupati.

Avrei voluto lamentarmi e dare la colpa a don Juan per non avermi fermato, ma poi mi ricordai che aveva cercato di mettermi in guardia, di sviarmi più volte ma senza successo. Don Juan era certo consapevole di quel che mi passava per la mente: mi fece un sorriso d'intesa.

«Il motivo per cui pensi di essere malato» disse, rivolto a me «è che gli esseri inorganici ti hanno tolto la tua energia e ti hanno dato la loro. Questo sarebbe bastato per uccidere chiunque, ma tu sei un Nagual, hai energia in più, e sei faticosamente sopravvissuto.»

Accennai a don Juan che ricordavo brani sparsi di un sogno molto incoerente, durante il quale mi trovavo in un mondo di nebbie giallastre da cui lui, Carol Tiggs e gli altri compagni mi stavano strappando.

«Il regno degli esseri inorganici all'occhio fisico appare come un mondo di nebbie giallastre» disse.

«Quando pensavi di star facendo un sogno incoerente, stavi in verità guardando, per la prima volta, con i tuoi occhi fisici l'universo degli esseri inorganici. E, per quanto possa sembrarti strano, era la prima volta anche per noi. Sapevamo della nebbia dalle storie degli stregoni e non per esperienza.»

Nulla di quanto mi diceva aveva senso per me. Don Juan mi assicurò che una spiegazione più completa era impossibile a causa della mia carenza energetica; dovevo accontentarmi di quello che mi aveva raccontato e di quanto riuscivo a comprendere.

«Ma io non comprendo affatto» mi lamentai.

«Allora non hai perso niente» ribatté. «Quando sarai più forte troverai da solo la risposta alle tue domande.» Confessai a don Juan di avere le caldane. La mia temperatura corporea saliva di colpo, e, mentre mi sentivo accaldato e sudaticcio, avevo straordinarie ma fastidiose anticipazioni sul mio stato.

Don Juan mi esaminò attento tutto il corpo con il suo sguardo penetrante. Disse che ero in stato di shock energetico: perdere l'energia mi aveva colpito temporaneamente, e quel che io interpretavo come caldane nella realtà erano esplosioni di energia durante le quali io riguadagnavo per un po' il controllo del mio corpo energetico e sapevo tutto quello che mi era capitato.

«Fa' uno sforzo e raccontami tu stesso quanto ti è successo nel regno degli esseri inorganici» mi ordinò.

Gli dissi che di tanto in tanto avevo la netta sensazione che lui e il suo seguito fossero venuti in quel mondo con i loro corpi fisici e mi avessero strappato dalle grinfie degli esseri inorganici.

«Esatto» esclamò. «Vai benissimo. Ora, trasforma quella sensazione in una visione di quanto accadde.»

Non mi riuscì di fare quel che mi aveva chiesto, nonostante ce la mettessi tutta. L'insuccesso mi fece provare un affaticamento insolito, che sembrò prosciugarmi ogni fibra fin nel profondo. Prima che don Juan uscisse dalla mia camera gli feci notare che ero assillato dall'ansia.

«Non vuol dire nulla» mi rassicurò, tranquillo. «Riacquista l'energia, e non preoccuparti delle sciocchezze.»

 

Passarono più di due settimane, durante le quali riguadagnai lentamente l'energia. Tuttavia continuavo a preoccuparmi per ogni minima cosa: mi preoccupavo soprattutto di essere sconosciuto a me stesso, specie per una vena di freddezza in me che non avevo notato prima, una sorta di indifferenza, un distacco che avevo attribuito alla mancanza di energia finché non l'ebbi riacquistata. Poi mi accorsi che si trattava di una nuova componente del mio essere, un elemento che mi teneva di continuo fuori sincronia. Per suscitare i sentimenti a cui ero abituato, dovevo invocarli e aspettare un momento fino a quando non mi comparivano nella mente.

Un'altra nuova componente del mio essere era uno strano desiderio che s'impossessava talvolta di me. Desideravo ardentemente qualcuno che non conoscevo; era un sentimento così insopportabile e devastante che mi costringeva — quando mi assaliva — a muovermi in continuazione per alleviarlo. Quel desiderio restò con me fino a quando non imparai a usare un altro nuovo venuto nella mia vita: un rigido controllo di me stesso, tanto nuovo e potente da aggiungere solo altro carburante alle mie preoccupazioni.

A conclusione della quarta settimana tutti sentirono che ero infine guarito. Ridussero drasticamente le visite; passavo la maggior parte del tempo da solo, dormendo. Il riposo e la distensione erano così totali che la mia energia cominciò ad accrescersi in modo considerevole. Mi sentivo ancora quello di prima. Presi perfino a fare del moto.

Un giorno, verso mezzodì, dopo una leggera colazione, tornai in camera mia per fare un riposino. Prima di cadere nel sonno profondo, mi stavo agitando nel letto per trovare la posizione più comoda quando una strana pressione alle tempie mi fece spalancare gli occhi. La bambina del mondo degli esseri inorganici era ai piedi del letto e mi scrutava con quei suoi occhi di freddo acciaio blu.

Balzai giù dal letto e urlai con quanto fiato avevo in gola, tanto che tre dei compagni di don Juan erano già nella stanza prima che finissi di gridare. Erano sbalorditi. Osservarono con terrore che la bambina mi si avvicinava ed era fermata dai confini del mio luminoso essere fisico. Restammo a guardarci per un'eternità. Lei mi stava dicendo qualcosa che io dapprima non compresi, ma che un attimo dopo divenne chiaro come il sole. Mi diceva che, perché io capissi quanto mi andava enunciando, la mia consapevolezza si doveva trasferire dal mio corpo fisico a quello energetico.

In quel momento entrò nella camera don Juan. Lui e la bambina si fissarono: senza una parola, don Juan girò su se stesso e uscì. La bambina lo seguì con un fruscìo.

Lo scompiglio che questa scena creò tra i seguaci di don Juan fu indescrivibile: persero in blocco la padronanza di sé. Tutti, a quanto pareva, avevano visto la bambina che usciva dalla stanza con il Nagual.

Quanto a me, ero sul punto di esplodere. Mi sentii svenire e dovetti sedermi. Avevo percepito la presenza della bambina come un pugno nel plesso solare. Somigliava in modo straordinario a mio padre. Fui sommerso da una piena di sentimenti. Me ne chiesi il motivo finché non stetti davvero male.

Quando don Juan rientrò nella stanza, avevo ripreso abbastanza il controllo di me stesso. La prospettiva di sentire ciò che aveva da dire sulla bambina mi stava rendendo molto difficile la respirazione. Ognuno era turbato come me. Si rivolsero tutti a don Juan e gli parlarono contemporaneamente, e si misero a ridere quando si accorsero di quello che stavano facendo. Il loro principale interesse era scoprire se c'era stata uniformità nel modo in cui avevano percepito l'apparizione dell'esploratore. Concordavano tutti di aver visto una bambina di sei o sette anni, molto sottile, dai lineamenti spigolosi e stupendi. Erano anche d'accordo che aveva occhi blu acciaio, accesi da una muta emozione: quegli occhi, dicevano tutti, esprimevano gratitudine e lealtà.

Io confermavo ogni dettaglio della bambina che loro descrivevano. I suoi occhi erano così brillanti e potenti che mi avevano provocato una sensazione come di dolore. Avevo sentito il peso del suo sguardo sul mio petto.

Una domanda seria che si ponevano tutti i seguaci di don Juan, e a cui facevo eco anch'io, era quali fossero le implicazioni di questo episodio. Eravamo d'accordo che l'esploratore fosse una parte di energia aliena infiltratasi fra le mura che separavano la Seconda Attenzione da quella del mondo quotidiano. Loro insistevano che, poiché non stavano Sognando eppure avevano visto tutti l'energia aliena proiettata nella figura di un bimbo umano, quel bimbo esisteva.

Insistevano che dovevano esserci centinaia se non migliaia di casi in cui l'energia aliena scivola non vista attraverso barriere naturali nel nostro mondo umano, ma che nella storia del loro lignaggio non c'era mai stata alcuna menzione di un evento del genere. Quello che li preoccupava di più era che non esistessero storie di stregoneria sull'argomento.

«È questa la prima volta nella storia dell'umanità che è accaduto un fatto del genere?» volle sapere uno di loro da don Juan.

«Credo che ne accadano spesso,» replicò lui «ma non si è mai verificato in un modo così aperto, così volitivo.» «Che significato ha per noi?» indagò un altro.

«Nessuno per noi, ma per lui è tutto» disse don Juan, indicandomi. Tutti allora sprofondarono in un silenzio molto preoccupante. Don Juan andò su e giù per un po'. Poi si fermò dinanzi a me e mi osservò attentamente, con l'espressione di chi non sa trovare le parole per esprimere una scoperta devastante.

«Non so nemmeno da dove cominciare per valutare la portata di ciò che hai fatto» mi disse alla fine don Juan, con tono stupefatto. «Sei caduto in una trappola, ma non il tipo di trappola di cui mi preoccupavo io. Questa era stata escogitata apposta per te ed era più pericolosa di qualsiasi cosa alla quale avrei potuto pensare. Io temevo che potessi cadere preda dell'adulazione e del servilismo. Quello cui non avevo pensato era che gli esseri ombra ti tendessero un tranello usando la tua innata avversione per le catene.»

Una volta don Juan aveva fatto un paragone tra la sua reazione e la mia alle cose che più ci tormentavano, nel mondo degli stregoni. Aveva detto, senza farla sembrare una lamentela, che non era mai stato capace di suscitare il tipo di affetto che il suo Maestro, il Nagual Julian, invece suscitava, nonostante lo desiderasse e ci avesse provato.

«La mia reazione spassionata, che ti espongo perché tu l'analizzi, è riuscire a dire, in tutta sincerità: non è mio destino ispirare l'amore cieco e totale. Pazienza!

«La tua reazione spassionata» continuò «è che non puoi sopportare le catene e daresti la vita per spezzarle.»

Non ero affatto d'accordo e gli dissi che stava esagerando. Le mie opinioni non erano così chiare.

«Non preoccuparti,» replicò lui, ridendo «la stregoneria è azione. Quando verrà il momento, manifesterai la tua inclinazione così come io manifesterò la mia. Io accetterò il mio fato, non passivamente, da idiota, ma attivamente, da guerriero. Tu scatterai, e non per capriccio o premeditazione, a tagliare le catene di qualcuno.»

Don Juan spiegò che dopo aver fuso la mia energia con quella dell'esploratore io avevo davvero cessato di esistere. Tutta la mia fisicità era stata così trasportata nel regno degli esseri inorganici e, se non fosse stato per l'esploratore che aveva condotto don Juan e i suoi dov'ero io, sarei morto oppure rimasto in quel mondo, perduto senza rimedio.

«Perché l'esploratore vi ha portati dove mi trovavo io?» domandai.

«L'esploratore è un essere senziente che proviene da un'altra dimensione» fece. «Ora è una bambina, e come tale mi disse che, per acquisire l'energia necessaria a spezzare la barriera che l'aveva intrappolata nel mondo degli esseri inorganici, aveva dovuto prendere tutta la tua. Ora costituisce la sua parte umana. Qualcosa che somiglia alla gratitudine la spinse a venire da me. Quando la vidi, capii subito che eri spacciato.»

«Cosa hai fatto allora, don Juan?»

«Raccolsi quanta più gente potevo, soprattutto Carol Tiggs, e ci precipitammo nel regno degli esseri inorganici.»

«Perché Carol Tiggs?»

«Prima di tutto, perché ha energia a non finire, e poi perché doveva familiarizzarsi con l'esploratore. Tutti abbiamo avuto qualcosa d'inestimabile da questa esperienza. Tu e Carol Tiggs l'esploratore, e noi altri un motivo per raccogliere la nostra fisicità e metterla nei nostri corpi energetici; noi siamo diventati energia.»

«Come ci siete riusciti tutti quanti, don Juan?»

«Abbiamo spostato i nostri punti di unione, all'unisono. Il nostro impeccabile intento di salvarti ha fatto il resto. L'esploratore ci ha portati in un attimo dov'eri tu, mezzo morto, e Carol ti trascinò fuori.

Per me la sua spiegazione non stava in piedi: don Juan rise quando cercai di riportare la conversazione su quell'argomento.

«Come puoi capirlo quando non hai neanche l'energia per alzarti dal letto?» replicò.

Gli confidai che ero sicuro di sapere molto di più di quanto ammettessi con la ragione, ma che qualcosa bloccava ermeticamente la mia memoria.

«È stata la mancanza di energia a sigillare la tua memoria» disse. «Quando avrai energia sufficiente, la tua memoria funzionerà benissimo.»

«Vuoi dire che potrò ricordare tutto quello che voglio?»

«Non proprio. Potrai volere finché ti piace, ma se il tuo livello di energia non è pari all'importanza di quel che sai, potrai ben dire addio alla tua conoscenza: non riuscirai mai ad accedervi.»

«Cosa si deve fare allora, don Juan?»

«L'energia tende a essere cumulativa; se segui impeccabilmente la via del guerriero, giungerà il momento in cui la tua memoria si aprirà.»

Devo ammettere che sentendolo parlare ebbi la sensazione assurda di stare indulgendo nell'autocommiserazione, e di non avere un problema al mondo.

«Non stai affatto indulgendo» disse. «Quattro settimane fa tu eri davvero morto, quanto a energia. Ora sei solo stordito. Lo stordimento e la mancanza di energia... ecco cosa ti fa celare la tua conoscenza. Tu certo sai più di chiunque altro sul mondo degli esseri inorganici. Quel mondo era l'unica preoccupazione degli antichi stregoni. Tutti noi ti abbiamo detto che sappiamo qualcosa al riguardo solo attraverso le storie degli stregoni. Io dico con tutta franchezza che mi sembra strano che per noi tu sia diventato un'altra fonte di storie di stregoneria, anche se a buon diritto.»

Io ripetei che non riuscivo a credere di aver fatto qualcosa che lui non avesse fatto, e però non riuscivo neanche a credere che lo dicesse solo per farmi piacere.

«Non sto cercando di adularti o di compiacerti» esclamò, visibilmente seccato. «Sto constatando un fatto stregonesco. Avere una conoscenza di quel mondo più vasta della nostra non dovrebbe essere motivo di soddisfazione. Non se ne trae alcun vantaggio; infatti, nonostante tutto quello che sapevi, non avresti potuto salvarti. Ti abbiamo salvato noi, perché ti abbiamo trovato. Ma senza l'aiuto dell'esploratore, sarebbe stato inutile persino tentare. Eri talmente sperduto in quel mondo che mi vengono i brividi solo a pensarci!»

Nel mio stato d'animo non trovai affatto strano scorgere una vena di emozione tra tutti i compagni e i discepoli di don Juan. L'unica a non esserne toccata era Carol Tiggs. Sembrava aver accettato senza riserve il suo ruolo. Era un tutt'uno con me.

«Liberasti l'esploratore, certo,» continuò don Juan «ma a prezzo della tua vita. O, peggio ancora, della tua libertà. Gli esseri inorganici lo lasciarono libero, scambiandolo con te.»

«Faccio fatica a crederlo, don Juan. Non che metta in dubbio la tua parola, sai, ma tu descrivi una manovra così subdola che mi lascia sbalordito!»

«Non considerarla subdola e avrai la soluzione in due parole: gli esseri inorganici sono sempre a caccia di consapevolezza ed energia; se tu offri loro la possibilità di averle tutte e due, cosa credi che facciano? Che ti mandino baci dall'altro lato della strada?»

Sapevo che don Juan aveva ragione. Tuttavia, non riuscii a conservare a lungo quella certezza: la lucidità continuava a scivolarmi via.

I compagni di don Juan non smettevano di fargli domande. Volevano sapere se aveva pensato a cosa fare dell'esploratore.

«Sì, certo. È un problema molto serio, che il Nagual qui presente deve risolvere» disse, indicando me. «Lui e Carol Tiggs sono gli unici che possono liberarlo. E anche il Nagual lo sa.»

Naturalmente, gli posi l'unica domanda possibile: «Come posso liberarlo?».

«C'è un modo molto migliore e più giusto di scoprirlo, invece di farlo dire a me» replicò don Juan con un largo sorriso. «Chiedilo all'Emissario. Lo sai, gli esseri inorganici non possono mentire.»

 
8
Il terzo varco del Sognare 
      «Il terzo varco del Sognare lo raggiungi quando ti trovi in un sogno a fissare qualcun altro che sta dormendo. E salta fuori che quel qualcun altro sei tu» disse don Juan.

In quel momento il mio livello di energia si era rianimato a tal punto che cominciai subito a dedicarmi al terzo compito, benché lui non mi avesse offerto altre informazioni in proposito. La prima cosa che notai, nelle mie esercitazioni del Sognare, era che un soprassalto di energia rimetteva immediatamente a fuoco la mia Attenzione del sogno. Ora era focalizzata sullo svegliarmi in un sogno e vedermi addormentato; viaggiare fino al regno degli esseri inorganici per me non rappresentava più un problema.

Pochissimo tempo dopo mi trovai in un sogno a guardare me che dormivo. Lo riferii immediatamente a don Juan. Il sogno era accaduto mentre mi trovavo a casa sua.

«Per ciascuno dei varchi del Sognare ci sono due fasi» commentò. «La prima, come sai, è giungere al varco; la seconda attraversarlo. Sognando ciò che hai Sognato, cioè vederti addormentato, sei arrivato al terzo varco. La seconda fase consiste nel muoverti, una volta che ti sei visto addormentato.

«Al terzo varco del Sognare» proseguì «cominci a mescolare deliberatamente la tua realtà del sogno con la realtà del mondo quotidiano. È questa l'esercitazione, e gli stregoni la chiamano "completare il corpo energetico". La fusione fra le due realtà deve essere tanto completa da richiedere la maggiore fluidità possibile da parte tua. Esamina tutto quel che si trova al terzo varco con grande attenzione e curiosità.»

Mi lamentai perché le sue raccomandazioni erano troppo misteriose e per me non significavano nulla. «Che cosa vorresti dire con grande attenzione e curiosità?» domandai.

«Al terzo varco tendiamo a perderci nei dettagli» replicò. «Guardare le cose con grande attenzione e curiosità vuole dire resistere alla quasi irresistibile tentazione di affondare nei dettagli.

«L'esercitazione proposta al terzo varco, come ti ho accennato, è consolidare il corpo energetico. I sognatori cominciano a forgiare il corpo energetico completando le esercitazioni del primo e del secondo varco. Quando raggiungono il terzo varco, il corpo energetico è pronto a venir fuori, o forse sarebbe meglio dire che è pronto ad agire. Sfortunatamente, questo vuole anche dire che è pronto a essere affascinato dai dettagli.»

«Che vuol dire, affascinato dai dettagli?»

«Il corpo energetico è come un bambino che è rimasto in prigione tutta la vita. Nel momento in cui è libero, assorbe tutto quel che trova, proprio tutto, ti dico. Ogni più piccolo e irrilevante dettaglio assorbe totalmente il corpo energetico.»

Seguì un imbarazzato silenzio; io non sapevo cosa dire. Lo avevo capito bene, ma non c'era nulla tra le mie esperienze che potesse darmi un'idea di cosa volesse dire con esattezza tutto questo.

«Il dettaglio più stupido diventa fondamentale per il corpo energetico» spiegò don Juan. «Lo sforzo che devono fare i sognatori per dirigere il loro corpo energetico è allucinante. So che ti sembra astruso che io ti dica di esaminare le cose con attenzione e curiosità, ma è il miglior modo per descriverti quello che dovresti fare. Al terzo varco, i sognatori devono evitare l'impulso quasi irresistibile di tuffarsi in tutto, e lo evitano essendo così curiosi, così determinati a intrufolarsi nel tutto da non permettere che nessuna cosa particolare li catturi.»

Don Juan aggiunse che le sue raccomandazioni erano mirate direttamente al mio corpo energetico, e lui sapeva benissimo che sembravano assurde. Sottolineò più volte che il mio corpo energetico doveva mettere insieme ogni sua risorsa per poter agire.

«Ma il mio corpo energetico non agisce forse già?» domandai.

«Una parte, sì, altrimenti non avresti potuto recarti nel regno degli esseri inorganici» replicò. «Ora tutto il tuo corpo energetico dovrà impegnarsi a eseguire l'esercizio; del terzo varco. Quindi, per facilitare le cose al tuo corpo energetico, dovresti porre un freno alla razionalità.»

«Temo tu abbia preso lucciole per lanterne» obiettai. «C'è così poca razionalità ancora in me, dopo tutte le esperienze che hai portato nella mia vita!»

«Non dire nulla. Al terzo varco, è colpa della razionalità se i nostri corpi energetici continuano a essere ossessionati da dettagli superflui. Al terzo varco, quindi, abbiamo bisogno di una fluidità irrazionale, di un abbandono irrazionale per controbattere tale ossessione.»

 

La dichiarazione di don Juan secondo cui ogni varco rappresenta un ostacolo non avrebbe potuto essere più veritiera. Per completare la pratica del terzo varco del Sognare m'impegnai più intensamente di quanto avessi fatto per gli altri due compiti messi insieme. Don Juan esercitò su di me un'enorme pressione. Perdipiù, alla mia vita si era aggiunto qualcos'altro: una vera sensazione di paura. Avevo sempre avuto una paura normale, a volte eccessiva, di una cosa o di un'altra; ma nella mia passata esperienza non c'era nulla che potesse reggere il paragone con la paura provata dopo l'avventura con gli esseri inorganici. Eppure tutta questa ricca esperienza non era accessibile alla mia memoria normale. Solo in presenza di don Juan quei ricordi erano di nuovo miei.

Gli chiesi lumi su questa strana situazione una volta che ci trovavamo al Museo Nazionale di Antropologia e Storia, a Città del Messico. Ciò che aveva provocato la mia domanda era che, in quel momento, avevo la straordinaria capacità di ricordarmi tutto quanto mi era accaduto durante il mio apprendistato con don Juan. Questo mi faceva sentire così libero, così audace e agile da indurmi a muovermi a passo di danza.

«Succede che la presenza del Nagual provoca una variazione del punto di unione.»

Mi condusse quindi in una delle sale del Museo dicendomi che la mia domanda toccava l'argomento che contava di affrontare.

«Era mia intenzione spiegarti che la posizione del punto di unione è come un sotterraneo in cui gli stregoni tengono i loro schedari» disse. «Fui esilarato quando il tuo corpo energetico sentì il mio intento e tu volevi sapere tutto in proposito. Il corpo energetico conosce un mondo di cose. Lascia che ti mostri quanto sa.»

Mi pregò di restare in assoluto silenzio, ricordandomi che mi trovavo già in uno speciale stato di consapevolezza in quanto il mio punto di unione era stato spostato dalla sua presenza. Mi assicurò che restando in completo silenzio avrei permesso alle sculture presenti nella sala di farmi vedere e sentire cose inconcepibili. Aggiunse, forse per aumentare la mia confusione, che alcuni dei reperti archeologici di quella sala avevano la capacità di produrre, da soli, una variazione del punto di unione, e che se avessi raggiunto lo stato di silenzio totale avrei assistito a scene risalenti alle vite degli autori di quelle sculture.

Poi iniziò il più stravagante tour di museo cui avessi mai partecipato. Fece il giro di tutta la sala, descrivendo e spiegando stupefacenti dettagli su ognuno dei pezzi più grandi. Secondo lui, ogni reperto archeologico era una memoria intenzionale lasciata dalla gente dei tempi antichi, una testimonianza che don Juan, essendo stregone, mi stava leggendo come si leggerebbe un libro.

«Ogni reperto qui è fatto apposta per far spostare il punto di unione» proseguì. «Fissa lo sguardo su uno qualsiasi, rispetta la regola del silenzio e scopri se il tuo punto di unione può esser fatto spostare o no.»

«Come farei a sapere che si è spostato?»

«Perché vedresti e sentiresti cose che sono oltre la tua normale portata.»

Fissai le sculture e vidi e ascoltai cose che non riuscirei mai a spiegare. In passato, avevo esaminato tutti quei reperti in un'ottica antropologica, tenendo sempre in mente le descrizioni degli esperti del settore. Le loro descrizioni delle funzioni di quei reperti, basate sulla conoscenza del mondo da parte di un uomo moderno, mi apparvero per la prima volta molto prevenute, se non fasulle. Ciò che don Juan disse di quei pezzi e ciò che sentii e vidi io stesso, fissandoli, era lontanissimo da quanto avevo sempre letto su di essi.

Il mio disagio era così grande che mi sentii obbligato a chiedere scusa a don Juan per quel che pensavo fosse la mia suggestionabilità. Non rise e non mi prese in giro, ma mi spiegò pazientemente che gli stregoni erano capaci di lasciare accurate memorie delle loro scoperte sulla posizione del punto di unione. Asseriva che quando si tratta di arrivare al nocciolo di un resoconto scritto, dobbiamo usare il nostro senso di partecipazione sensibile o immaginativa per andare oltre la mera pagina e dentro l'esperienza stessa. Tuttavia, nel mondo della stregoneria, poiché non vi sono pagine scritte, le testimonianze complete, che possono essere rivissute invece che lette, vengono lasciate nella posizione del punto di unione.

Per illustrare la propria tesi, don Juan parlò degli insegnamenti degli stregoni per la Seconda Attenzione. Disse che sono impartiti quanto il punto di unione dell'apprendista è in un posto diverso da quello solito. La posizione del punto di unione diviene, in questo modo, la memoria della lezione. Per risentire la lezione, l'apprendista deve far tornare il suo punto di unione nella posizione che occupava quando la lezione era stata impartita. Don Juan concluse i suoi appunti reiterando che far tornare il punto di unione in tutte le posizioni che aveva occupato durante le lezioni è un'impresa di notevole grandezza.

Per quasi un anno don Juan non mi fece nessuna domanda sul mio terzo compito del sogno. Poi un giorno, quasi all'improvviso, pretese che gli descrivessi tutte le sfumature delle mie pratiche del Sognare.

La prima cosa che menzionai fu uno sconcertante episodio ricorrente. Per mesi avevo fatto sogni nei quali mi ritrovavo a fissare me stesso, il mio altro che dormiva nel mio letto. Era strana la regolarità di quei Sogni: li facevo ogni quattro giorni, con la precisione di un orologio. Negli altri tre giorni, il mio Sognare era come era sempre stato fino a quel momento: esaminavo ogni possibile oggetto nei miei Sogni, cambiavo sogni e, di tanto in tanto, spinto da una curiosità suicida, seguivo gli esploratori di energia aliena, benché mi sentissi molto colpevole a farlo. Immaginavo che fosse come avere una segreta dipendenza dalla droga: la realtà di quel mondo per me era irresistibile.

Segretamente, mi sentivo in qualche modo esonerato dalla responsabilità totale perché don Juan stesso aveva proposto che io chiedessi all'Emissario del sogno che cosa potessi fare per liberare l'esploratore blu rimasto intrappolato tra noi. Voleva che formulassi quella domanda nella mia pratica di ogni giorno, ma io espressi la sua dichiarazione in modo da implicare che dovessi parlare all'Emissario mentre ero nel suo mondo. La domanda che volevo porgli davvero era se gli esseri inorganici avessero piazzato una trappola per me.

L'Emissario non solo mi confermò che tutto ciò che aveva detto don Juan era vero, ma mi diede anche istruzioni su quello che Carol Tiggs e io dovevamo fare per liberare l'esploratore.

«La regolarità dei tuoi sogni è qualcosa che m'aspettavo, sai» notò don Juan, dopo aver ascoltato le mie parole.

«Perché mai ti aspettavi una cosa del genere, don Juan?»

«Per i tuoi rapporti con gli esseri inorganici.»

«Ma quella è roba passata, don Juan» mentii, sperando che non insistesse ulteriormente sull'argomento.

«Stai dicendo così apposta per me, vero? Ma non ce n'è bisogno, io so la vera storia. Credimi, una volta che ti metti a giocare con loro, sei spacciato. Ti staranno sempre dietro. O, peggio ancora, tu starai sempre dietro a loro.»

Mi guardò fisso, e il mio senso di colpa doveva essere così evidente che lo fece scoppiare a ridere.

«L'unica spiegazione possibile per tanta regolarità è che gli esseri inorganici stanno ancora provvedendo ai tuoi bisogni» fece don Juan in tono serio.

Mi affrettai a cambiare argomento e gli dissi che un'altra sfumatura della mia pratica del Sognare degna di nota era la mia reazione alla vista del mio altro profondamente addormentato. Quella vista mi colpiva sempre in modo tale che o mi bloccava dovunque fossi fino a quando il sogno non cambiava, oppure mi spaventava tanto da farmi svegliare urlando con quanto fiato avevo in gola. Ero giunto al punto di aver paura di andare a letto nei giorni in cui sapevo che avrei fatto quel sogno.

«Non sei ancora pronto per una vera fusione della tua realtà del sogno con quella della tua realtà quotidiana» concluse. «Devi ricapitolare la tua vita un po' di più.»

«Ma ho fatto tutta la ricapitolazione possibile» protestai. «Sono anni che lo faccio. Non riesco proprio a ricordare altro della mia vita.»

«Ci deve essere ancora parecchio,» disse in tono fermo «altrimenti non ti sveglieresti urlando!»

Non mi piaceva l'idea di dover ricapitolare ancora. L'avevo fatto, e credevo di averlo fatto tanto bene da non aver bisogno di riprendere più quell'argomento.

«La ricapitolazione delle nostre esistenze non finisce mai, e non importa quanto l'abbiamo fatta bene una volta» disse don Juan. «La ragione per cui la gente comune manca di volontà nei propri sogni è che non ha mai ricapitolato e le loro esistenze sono stracolme di emozioni di grande peso quali le memorie, le speranze, i timori, eccetera eccetera. «Per contrasto, gli stregoni sono relativamente liberi da emozioni importanti e impegnative, grazie alla ricapitolazione. E se qualcosa li ferma, come ha fermato te in questa circostanza, si presume che in loro ci sia ancora qualcosa non del tutto chiaro.»

«Ricapitolare è troppo coinvolgente, don Juan. Forse c'è qualcosa d'altro che posso fare, invece.»

«No, non c'è altro. Ricapitolare e Sognare procedono insieme. A mano a mano che rigurgitiamo le nostre esistenze, siamo sempre più sospesi nell'aria.»

Don Juan mi aveva dato istruzioni molto dettagliate ed esplicite sulla ricapitolazione, che consisteva nel rivivere in toto le esperienze della propria vita ricordandone ogni più piccolo particolare possibile. Egli considerava la ricapitolazione come il fattore essenziale nella ridefinizione e nel reimpiego dell'energia. «La ricapitolazione libera l'energia imprigionata dentro di noi, e senza questa energia liberata il Sognare non è possibile.» Questa era la sua dichiarazione.

 

Anni prima don Juan mi aveva insegnato a fare un elenco di tutte le persone che avevo conosciuto nella mia vita, cominciando dal presente. Mi aveva aiutato a comporre l'elenco con ordine, dividendolo in settori di attività, come i lavori che avevo fatto, le scuole che avevo frequentato. Poi mi aveva indirizzato ad andare, senza deviazioni, dalla prima persona del mio elenco all'ultima, rivivendo ognuna delle interazioni che avevo avuto con loro.

Mi aveva spiegato che la ricapitolazione di un episodio comincia riorganizzando nella propria mente tutto ciò che è pertinente a quello che si sta ricapitolando. Riorganizzare vuol dire ricostruire l'episodio, pezzo per pezzo, partendo dal ricordare i dettagli fisici dell'ambiente, spostandosi poi alla persona con cui si è divisa l'interazione e quindi a se stesso, per esaminare i propri sentimenti.

Don Juan mi aveva insegnato che la ricapitolazione è associata a una respirazione naturale, ritmata. Si fanno lunghe espirazioni, muovendo adagio e delicatamente la testa da destra a sinistra; e lunghe inspirazioni, mentre la testa ritorna da sinistra a destra. Lui chiamava questo muovere la testa da un lato all'altro "sventagliare l'episodio". La mente esamina quanto è accaduto dall'inizio alla fine mentre il corpo sventaglia, e continua a sventagliare, tutto quello su cui la mente si focalizza.

Don Juan diceva che gli stregoni dell'antico, inventori della ricapitolazione, consideravano magica la respirazione, un atto che dava la vita, e la usavano di conseguenza come veicolo di magia: l'espirare per espellere l'energia aliena rimasta dentro durante la ricapitolazione della loro interazione, e l'inspirare per riprendersi l'energia che loro stessi si erano lasciata dietro durante l'interazione.

A causa del mio retroterra accademico, consideravo la ricapitolazione un processo per analizzare la propria vita.

Ma don Juan insisteva a dire che c'era molto di più di una, psicoanalisi intellettuale. Dava per scontato che la ricapitolazione fosse una manovra da stregone per provocare un lieve ma costante spostamento del punto di unione. Diceva che il punto di unione, per l'impatto di rivivere azioni e sentimenti passati, va avanti e indietro tra la posizione che occupa al presente e quella che occupava quando ebbe luogo l'episodio che si sta ricapitolando.

Don Juan dichiarò che la spiegazione razionale fornita dagli antichi stregoni per la ricapitolazione era la loro convinzione che nell'universo esiste una incredibile forza dissolvente, che fa vivere gli organismi prestando loro consapevolezza. Quella stessa forza fa morire gli organismi, per riprendersi la consapevolezza prestata che loro hanno accresciuto con le proprie esperienza di vita. Don Juan spiegò il modo di ragionare degli antichi stregoni: loro credevano che, poiché questa forza cerca la nostra esperienza di vita, è molto importante che sia soddisfatta con una imitazione della nostra esperienza di vita, cioè con la ricapitolazione. Avuto ciò che cerca, la forza dissolvente allora lascia liberi gli stregoni, liberi di espandere la propria capacità di percepire e raggiungere così i confini del tempo e dello spazio.

Quando cominciai di nuovo a ricapitolare, scoprii con mia grande sorpresa che le mie esercitazioni del Sognare erano state automaticamente sospese nel momento in cui era iniziata la ricapitolazione. Chiesi a don Juan il perché di questa indesiderata sospensione.

«Il Sognare richiede ogni atomo dell'energia a nostra disposizione» replicò. «Se nella nostra esistenza c'è una preoccupazione profonda, il Sognare non è possibile.»

«Ma sono stato molto preoccupato altre volte,» ribattei «e le mie esercitazioni non sono mai state interrotte.»

«Forse perché ogni volta che pensavi di essere preoccupato, si trattava di disturbi egocentrici» esclamò ridendo. «Essere preoccupati, per gli stregoni vuol dire che tutte le tue fonti di energia sono impegnate. Questa è la prima volta che tu hai impiegato nella loro totalità tutte le tue fonti energetiche. Le altre volte, anche quando avevi ricapitolato, non eri preso completamente.»

Don Juan questa volta mi diede un nuovo modello di ricapitolazione. Avrei dovuto costruire un puzzle ricapitolando, senza un ordine apparente, differenti episodi della mia vita.

«Ma sarà un disastro!» protestai.

«No, vedrai» mi rassicurò lui. «Sarà un disastro se permetterai che sia la tua futilità a scegliere gli episodi da ricapitolare. Lascia invece che sia lo spirito a decidere. Resta in silenzio, e poi passa all'episodio che ti indica lo spirito.»

I risultati di quello schema di ricapitolazione furono per me stupefacenti a molti livelli. Mi sorprese scoprire che, ogni volta che zittivo la mente, una forza che sembrava indipendente mi faceva subito sprofondare in un ricordo molto dettagliato di qualche episodio della mia vita. Ma ancora di più mi sorprese che ne risultasse una configurazione molto ordinata. Ciò che pensavo dovesse risultare caotico, riuscì invece estremamente efficace.

Chiesi a don Juan perché non mi avesse fatto ricapitolare la mia vita così fin dall'inizio. Mi rispose che ci sono due corsi fondamentali per la ricapitolazione: il primo è chiamato formalità e rigidità, il secondo fluidità.

Non avevo la più pallida idea di quanto sarebbe stata diversa la mia ricapitolazione questa volta. L'abilità di concentrarmi, che avevo acquistato con la pratica del Sognare, mi permetteva di esaminare la mia vita a una profondità che non avrei mai considerata possibile. Mi ci volle più di un anno per vedere e rivedere tutto quel che potevo della mia esperienza di vita. Alla fine, dovetti convenire con don Juan: c'era stata in me una moltitudine di forti emozioni nascoste così nel profondo da essere virtualmente inaccessibili.

Da questa mia seconda ricapitolazione riportai un'attitudine nuova, più rilassata. Il giorno stesso in cui ripresi la pratica del Sognare, Sognai di vedermi addormentato. Mi girai e uscii, audace, dalla mia camera, scendendo una misera rampa di scale fino in strada.

Ero su di giri per quel che avevo fatto e lo riferii a don Juan. La mia delusione fu enorme quando lui non considerò questo sogno parte della mia pratica del Sognare. Mi dimostrò che io non ero andato fino in strada con il mio corpo energetico, perché in quel caso avrei avuto una sensazione diversa da quella di scendere una rampa di scale.

«Di quale sensazione parli, don Juan?» domandai, con genuina curiosità.

«Devi stabilire una guida molto valida per scoprire se stai davvero vedendo il tuo altro che dorme nel tuo letto» disse, invece di rispondere alla mia domanda. «Ricorda, devi trovarti proprio nella tua camera, e guardare proprio il tuo corpo. Altrimenti, si tratta solo di un sogno. Se è così, controlla quel sogno. od osservandone i dettagli o cambiandolo.»

Insistevo perché mi parlasse ancora di questa valida guida a cui aveva fatto riferimento, ma mi interruppe. «Trova tu un modo per confermare il fatto che stai guardando te stesso» disse.

«Hai qualche suggerimento per una guida valida?» provai ancora.

«Usa il tuo buonsenso. Stiamo per concludere il nostro tempo insieme. Molto presto dovrai cavartela da solo.»

Poi cambiò argomento, e io rimasi con l'amaro della mia inettitudine in bocca: non ero capace di scoprire cosa volesse o considerasse come guida valida.

Nel sogno seguente in cui mi vidi addormentato, invece di uscire dalla camera e scendere le scale, o di svegliarmi urlando, restai a lungo inchiodato al punto da cui stavo guardando. Senza innervosirmi o disperarmi, osservai i dettagli del mio sogno. Notai così che, dormendo, indossavo una T-shirt bianca strappata su una spalla. Cercai di avvicinarmi per osservare meglio lo strappo, ma muovermi andava oltre le mie capacità. Sentivo una pesantezza che sembrava parte del mio stesso essere. Ero tutto peso, infatti. Non sapendo cosa fare dopo, entrai subito in una confusione devastante. Cercai di cambiare sogno. ma una forza insolita mi tratteneva lì a fissare il mio corpo addormentato.

Nella mia agitazione sentii che l'Emissario del sogno dichiarava che la mancanza del controllo degli arti mi stava terrorizzando al punto da costringermi forse a fare un'altra ricapitolazione. La voce dell'Emissario e quanto diceva non mi sorpresero. Non mi ero mai sentito incapace di muovermi in modo così netto e spaventoso. Tuttavia non mi abbandonai al terrore. Lo esaminai e scoprii che non si trattava di terrore psicologico, ma di una sensazione fisica di impotenza, disperazione e fastidio. Mi seccava oltremodo di non essere capace di muovere gli arti. La mia irritazione cresceva a mano a mano che mi accorgevo che qualcuno dal di fuori mi aveva brutalmente immobilizzato al suolo. Lo sforzo che facevo per muovere braccia e gambe era così intenso e concentrato che a un certo punto vidi che una gamba del mio corpo, addormentato sul letto, ebbe uno scarto come se stesse dando un calcio.

La mia consapevolezza fu poi risucchiata all'interno del mio inerte corpo addormentato e mi svegliai con tale forza che mi ci volle più di mezz'ora per calmarmi. Il cuore mi batteva all'impazzata. Avevo i brividi e alcuni muscoli delle gambe si contraevano senza che potessi controllarli. Avevo subìto una caduta di calore corporeo tanto radicale da aver bisogno di coperte e borse di acqua calda per far risalire la temperatura.

Naturalmente andai in Messico a chiedere consiglio a don Juan sulla sensazione di paralisi e sul fatto che davvero avevo addosso una T-shirt strappata e, quindi, avevo proprio visto me stesso che dormiva. Per giunta, avevo una paura matta dell'ipotermia. Lo trovai riluttante a discutere la mia situazione. Tutto quello che riuscii a cavargli fu un commento caustico.

«Ti piace il dramma» dichiarò piatto. «Certo, hai visto il tuo altro addormentato. Il guaio è che ti sei innervosito perché il tuo corpo energetico prima non era mai stato consciamente un tutto unico. Se ti capita di nuovo di diventare freddo e nervoso, attaccati agli zebedei: ti rimetterà in sesto la temperatura corporea senza problemi.»

Mi sentii un po' offeso dalla sua rozzezza. Però il consiglio si dimostrò efficace: quando mi capitò ancora di aver paura, facendo quel che mi aveva suggerito lui mi rilassai e tornai normale in pochi minuti. In questo modo scoprii che se non m'innervosivo, se tenevo sotto controllo il fastidio, non ero preso dal panico. Restare controllato non mi aiutò a muovermi, ma di certo mi diede una profonda sensazione di pace e di serenità.

Dopo mesi di inutili tentativi di camminare, cercai di nuovo i commenti di don Juan: questa volta non tanto per chiedergli consiglio ma perché volevo dichiarare la mia sconfitta. Mi trovavo di fronte a una barriera invalicabile e sapevo con certezza di aver fallito.

«I sognatori devono avere immaginazione» dichiarò don Juan, con un sorrisetto malizioso. «E tu non ne hai. Io non ti avevo avvisato che dovevi usare l'immaginazione per muovere il corpo energetico perché volevo scoprire se eri o no in grado di risolvere l'enigma da solo. Non ci sei riuscito, e non ti hanno aiutato nemmeno i tuoi amici.»

Nel passato ero stato costretto a difendermi ferocemente ogni volta che lui mi aveva accusato di mancare d'immaginazione. Io pensavo di averne, ma, con don Juan come Maestro, avevo appreso, per la strada più difficile, di non possederne affatto. Poiché non volevo impiegare la mia energia in futili autodifese preferii invece chiedergli: «Di quale enigma parli, don Juan?».

«L'enigma di quanto sia impossibile eppure facile muovere il corpo energetico. Tu cerchi di farlo muovere come se ti trovassi nel mondo di tutti i giorni. Noi impieghiamo tempo e fatica per imparare a camminare tanto che siamo portati a credere che anche il corpo del sogno debba farlo. Non c'è alcuna ragione per cui dovrebbe, tranne che il camminare per noi è molto importante.»

Mi stupii della semplicità della soluzione, ma seppi all'istante che don Juan aveva ragione. Mi ero di nuovo bloccato al livello interpretativo. Mi aveva detto che dovevo andare in giro una volta che avessi raggiunto il terzo varco del Sognare, e per me andare in giro voleva dire camminare. Gli dissi che avevo compreso il suo punto di vista.

«Non è il mio punto di vista, ma quello degli stregoni» mi rispose laconicamente. «Gli stregoni dicono che al terzo varco del Sognare l'intero corpo energetico può muoversi come si muove l'energia: veloce e diretta. Il tuo corpo energetico sa con esattezza come muoversi. Si può muovere come nel mondo degli esseri inorganici.

«E questo ci porta all'altro problema in discussione» aggiunse don Juan con aria pensosa. «Perché gli esseri inorganici tuoi amici non ti hanno aiutato?»

«Perché li chiami amici miei, don Juan?»

«Sono come i classici amici, non proprio premurosi o gentili con noi, ma neanche cattivi. Amici che aspettano solo che noi ci giriamo per pugnalarci alle spalle.»

Lo capii perfettamente e mi dichiarai d'accordo con lui al cento per cento.

«Che cosa mi porta ad andare nel loro regno? È forse una tendenza suicida?» gli chiesi, più come interrogativo retorico che altro.

«Tu non hai manie suicide» mi disse. «Il tuo completo scetticismo ti porta a non credere di essere mai stato vicino alla morte. Poiché non hai sofferto dolore fisico, non riesci a convincerti di avere corso un pericolo mortale.»

La sua tesi era molto ragionevole, ma io credevo che una paura profonda e sconosciuta stesse dominando la mia vita sin dal mio scontro con gli esseri inorganici. Don Juan ascoltava in silenzio mentre gli descrivevo la mia posizione. Non mi sentivo di rinnegare o giustificare il mio desiderio di andare nel mondo degli esseri inorganici, nonostante ciò che sapevo in proposito.

«Ho una vena di follia» riconobbi. «Quello che faccio non ha molto senso.»

«Oh, sì che ne ha! Gli esseri inorganici ti stanno ancora facendo su, come un pesce preso all'amo di una lunga lenza» disse. «Di tanto in tanto ti gettano un po' di inutili esche per continuare a tenerti lì. Far sì che i tuoi sogni si ripetano senza fallo ogni quattro giorni è un'esca inutile. Non ti hanno insegnato, però, a muovere il tuo corpo energetico.»

«Perché credi che non lo abbiano fatto?»

«Perché quando il tuo corpo energetico avrà imparato a muoversi da solo, tu sarai del tutto fuori dalla loro portata. È stato prematuro da parte mia credere che ti fossi liberato di loro. Lo sei solo relativamente, non completamente. Stanno ancora cercando di acquisire la tua consapevolezza.»

Mi passò un brivido gelido per la schiena. Aveva toccato un punto dolente.

«Don Juan, dimmi cosa devo fare e lo farò» esclamai.

«Sii impeccabile. Te l'ho detto decine di volte. Essere impeccabile significa mettere in riga la tua vita per sostenere le tue decisioni, e poi fare molto di più del tuo meglio per mettere in atto quelle decisioni. Quando non decidi qualcosa, è come se ti giocassi la vita alla roulette, senza rifletterci un attimo.»

Don Juan concluse la nostra conversazione, invitandomi a meditare su quel che aveva detto.

La prima volta che mi si presentò l'occasione, misi alla prova la proposta di don Juan di far muovere il mio corpo energetico. Quando mi ritrovai a guardare il mio corpo addormentato, invece di sforzarmi di camminare in quella direzione, espressi semplicemente la volontà di spostarmi più vicino al letto. All'istante mi trovai tanto vicino al mio corpo da sfiorarlo quasi. Vedevo la mia faccia, anzi, vedevo ogni poro della mia pelle. Non posso dire che mi piacesse tutto quello che vedevo. La vista del mio corpo era troppo dettagliata per essere esteticamente gradevole. Poi qualcosa simile a un vento entrò nella camera, mise tutto sottosopra e cancellò la mia visione.

Durante sogni successivi, dovetti convenire che l'unico modo in cui può muoversi il corpo energetico è scivolare o volare alto. Ne discussi con don Juan. Sembrava soddisfatto in modo particolare di quanto avevo compiuto, e ne fui sorpreso. Ero abituato alla sua reazione fredda per tutto quel che facevo nelle mie esercitazioni del Sognare.

«Il tuo corpo energetico è uso a muoversi solo quando qualcosa lo tira» disse. «Gli esseri inorganici l'hanno tirato a destra e a manca e fino a ora tu non l'hai mai spostato da solo, con la tua volizione. Non sembra che tu abbia fatto molto, per come ti sei mosso, eppure ti assicuro che avevo seriamente pensato di concludere il tuo tirocinio. Per un po' ho creduto che non avresti mai imparato a muoverti da solo.»

«Stavi considerando di concludere la mia pratica perché sono lento?»

«Non sei lento. Gli stregoni impiegano una vita per imparare a muovere il corpo energetico. Stavo per concludere il tuo tirocinio perché non ho più tempo. Ci sono altre materie, più pressanti del Sognare, in cui puoi usare la tua energia.»

«Ora che ho imparato come muovere il mio corpo energetico da solo, che altro dovrei fare, don Juan?»

«Continua a muoverti. Muovere il corpo energetico ti ha aperto un nuovo territorio, un campo di esplorazione straordinario.»

Mi esortò di nuovo a farmi venire un'idea per confermare la sincerità dei miei Sogni; quella richiesta non mi sembrava più così strana come la prima volta in cui l'aveva pronunciata.

«Come sai, il vero compito del Sognare del secondo varco è essere trasportato da un esploratore» spiegò. «È questione molto seria, ma non quanto preparare e muovere il corpo energetico. Quindi, devi riuscire a provare, con qualche mezzo a tua disposizione, se stai davvero vedendo te stesso addormentato o se stai solo Sognando di vederti. La tua nuova esplorazione straordinaria si basa sulla visione reale del tuo altro che dorme.»

Dopo lunghi interrogativi e profonde ponderazioni, mi parve di aver trovato il piano giusto. La vista della mia T-shirt lacera mi diede lo spunto per una guida valida. Partii dall'assunto che, se stessi davvero osservando me che dormivo, avrei anche notato se avevo o meno lo stesso abbigliamento notturno con cui ero andato a letto, un abbigliamento che avevo deciso di cambiare completamente ogni quattro giorni. Ero sicuro che non avrei avuto alcuna difficoltà a ricordare, nei Sogni, ciò che avevo indosso quando ero andato a letto; la disciplina che avevo appreso con la mia pratica del Sognare mi faceva pensare di avere la capacità di registrare cose del genere nella mia mente e poi ricordarle nei Sogni.

Feci ogni sforzo possibile per seguire quest'indirizzo, ma i risultati non furono quelli che speravo. Mi mancava il controllo necessario sulla mia Attenzione del sogno. e non riuscivo a ricordare con esattezza i particolari di come ero vestito. Tuttavia qualcos'altro funzionava: in un modo nell'altro, sapevo sempre se i miei erano sogni comuni o no. L'aspetto rilevante dei sogni che non erano soltanto comuni era che il mio corpo giaceva a letto addormentato mentre la mia consapevolezza lo osservava.

Una parte notevole in questi sogni l'aveva la mia camera. Non era mai come quella del mio mondo di tutti i giorni, ma un'enorme sala vuota con il letto a un'estremità. Ero solito volare per notevole distanza per trovarmi a fianco del letto su cui giaceva il mio corpo. Nel preciso momento in cui arrivavo a fianco del letto, una forza simile al vento mi sollevava e teneva sospeso in alto, come un colibrì. A volte la camera svaniva, scompariva pezzo a pezzo finché rimanevano solo il mio corpo e il letto. Altre volte, mi capitava di sperimentare un'assoluta mancanza di volizione. La mia Attenzione del sogno. allora, sembrava funzionare indipendentemente da me: o era del tutto assorbita dal primo elemento che incontrava nella camera o sembrava incapace di decidere il da farsi. In quelle circostanze, avevo la sensazione di stare galleggiando, impotente, passando da un elemento all'altro.

La voce dell'Emissario del sogno mi spiegò una volta che tutti gli elementi dei sogni — non di quelli solo comuni — erano in realtà configurazioni di energia diverse da quelle del nostro mondo normale. La voce dell'Emissario mi fece notare, per esempio, che le pareti erano liquide e mi spinse a tuffarmi in una di esse.

Senza pensarci due volte, mi precipitai dentro un muro come se mi stessi tuffando in un enorme lago. Non ebbi la sensazione di un muro d'acqua; ciò che sentii non somigliava neanche all'impressione fisica di sprofondare in un corpo liquido. Somigliava più al pensiero di tuffarmi e alla sensazione visiva di passare attraverso l'acqua. Stavo muovendomi, a testa in giù, dentro qualcosa che mi si apriva dinanzi, come fa l'acqua, mentre io continuavo ad andare a fondo.

La sensazione di sprofondare a capofitto era talmente reale che cominciai a chiedermi da quanto mi fossi tuffato, quanto fossi sceso, o fin dove sarei arrivato. Dal mio punto di vista, trascorsi un'eternità là dentro. Vidi nuvole e ammassi di materia simili a rocce sospesi in una sostanza simile all'acqua. C'erano alcuni oggetti scintillanti che sembravano cristalli e bolle dei colori primari più accesi che avessi mai visto. C'erano anche zone di luce intensa e altre di oscurità profonda. Tutto mi passava accanto, adagio o a gran velocità. Pensai di star contemplando il cosmo. Appena formulato quel pensiero, la mia velocità aumentò così tanto che tutto mi diventò sfocato intorno e all'improvviso mi ritrovai sveglio, con il naso schiacciato contro una parete della mia camera.

Un timore nascosto mi spinse a consultarmi con don Juan. Mi ascoltò con grande attenzione.

«A questo punto devi fare alcune manovre drastiche» disse. «L'Emissario del sogno non ha diritto di interferire con le tue esercitazioni del Sognare. O, piuttosto, sei tu che non devi permetterglielo, per nessun motivo.»

«Come posso fermarlo?»

«Esegui una manovra semplice ma difficile. Quando entri nel Sognare, esprimi ad alta voce il tuo desiderio di non avere più l'Emissario del sogno.»

«Vuol dire che non lo sentirò più, don Juan?»

«Proprio così. Te ne libererai per sempre.»

«Ma è consigliabile farlo?»

«A questo punto, è augurabile!»

Con quelle parole, don Juan mi coinvolse in un atroce dilemma. Non volevo concludere il mio rapporto con l'Emissario ma, allo stesso tempo, volevo seguire il consiglio di don Juan. Lui notò la mia esitazione.

«So che è difficile,» concesse «ma se non lo fai, gli esseri inorganici sapranno sempre tutto di te. Se vuoi evitarlo, fa' come ho detto, e subito.»

Durante la mia successiva sequela di Sogni, mentre mi stavo preparando a esternare il mio intento, la voce dell'Emissario m'interruppe. Disse: «Se ti astieni dal dichiarare le tue richieste, ti prometto di non interferire mai nelle tue esercitazioni del Sognare e di parlarti solo se mi fai una domanda diretta».

Accettai all'istante la sua proposta e sentii in tutta sincerità che era un buon affare. Ero perfino sollevato che fosse finita così. Tuttavia, avevo paura che don Juan sarebbe stato deluso.

«Ottima manovra» commentò, e rise. «Tu sei stato sincero: avevi davvero l'intenzione di esprimere la tua richiesta. Ed essere sinceri era l'unico requisito. In fondo, non avevi alcun bisogno di eliminare l'Emissario. Quel che volevi era costringerlo a proporti un'alternativa che fosse conveniente per te. Sono sicuro che l'Emissario non interferirà più.»

Aveva ragione. Io continuai le mie pratiche del Sognare senza più alcuna intromissione da parte dell'Emissario. La notevole conseguenza fu che cominciai a fare sogni nei quali le mie stanze del sogno erano la mia camera nel mondo di tutti i giorni, con una differenza: nei Sogni, la mia camera era sempre così di sghimbescio, così distorta, che sembrava un enorme quadro cubista; tra pareti, soffitto e pavimento gli angoli ottusi e acuti erano la regola invece dei normali angoli retti. Nella mia camera sbilenca, la stessa pendenza creata dagli angoli acuti oppure ottusi, era un espediente per mettere in evidenza qualche assurdo, superfluo ma reale dettaglio; per esempio, le righe intricate del parquet, o la tinteggiatura delle pareti, scolorita dal tempo, o le macchie d'umidità sul soffitto, o le porte con i segni delle ditate.

Nel corso di quei Sogni, inevitabilmente io mi perdevo negli universi acquei del dettaglio enfatizzati dall'inclinazione. Durante tutta la mia esercitazione del Sognare la profusione di dettagli in camera mia era tale e la sua attrazione così forte da costringermi a tuffarmici senza esitare. Non appena fui libero dai miei impegni, mi precipitai da don Juan per consultarlo su questa situazione. «Non riesco a superare la mia camera» gli dissi, dopo avergli raccontato i particolari delle mie esercitazioni del Sognare. «Che cosa ti dà l'idea di doverla superare?» mi chiese, ghignando.

«Sento che devo muovermi oltre la mia camera.»

«Ma ti stai muovendo oltre la tua camera. Forse dovresti chiederti se sei di nuovo preso dalle interpretazioni. Cosa credi che voglia dire "muoversi" in questo caso?»

Gli dissi che camminare dalla mia camera fino in strada era stato un sogno così ossessionante che sentivo un reale bisogno di farlo di nuovo.

«Ma stai facendo cose ben più grandi di quella» protestò. «E andrai in luoghi incredibili: che altro vuoi?»

Cercai di spiegargli che provavo un impulso fisico ad allontanarmi dalla trappola del dettaglio. Ciò che mi sconvolgeva di più era la mia incapacità di liberarmi da tutto quello che attirava la mia attenzione. Avere un briciolo di volontà per me era proprio il nocciolo della questione.

Seguì un lunghissimo silenzio. Aspettavo di sentire qualcos'altro sulla trappola del dettaglio. Dopotutto, mi aveva messo in guardia sui suoi pericoli.

«Te la stai cavando con onore» ammise alla fine. «Ci vuole molto tempo perché i sognatori perfezionino i loro corpi energetici. Proprio ciò che è in ballo qui: perfezionare il tuo corpo energetico.»

Don Juan mi spiegò perché il mio corpo energetico era costretto a esaminare i dettagli e a rimanervi inestricabilmente coinvolto: era colpa della sua inesperienza, della sua incompletezza. Disse che gli stregoni passano tutta l'esistenza a consolidare il corpo energetico facendogli assorbire tutto il possibile.

«Finché il corpo energetico non è completo e maturo, è immerso nei propri interessi» proseguì don Juan. «Non riesce a liberarsi dalla compulsione di essere assorbito da tutto. Se uno considerasse questo, invece di combattere il corpo energetico come stai facendo tu, gli potrebbe dare una mano.»

«Come posso farlo, don Juan?»

«Dirigendo il suo comportamento, cioè, con l'agguato.»

Mi spiegò che, visto che tutto quanto si riferisce al corpo energetico dipende dalla posizione appropriata del punto di unione, e poiché il Sognare non è altro che il mezzo per spostarlo, l'agguato è di conseguenza il modo per far rimanere fermo il punto di unione nella posizione perfetta: in questo caso, la posizione in cui il corpo energetico può consolidarsi, e da cui può finalmente emergere.

Don Juan disse che nel momento in cui il corpo energetico può muoversi da solo, gli stregoni presumono che sia stata raggiunta la posizione ideale del punto di unione. Il prossimo passo è l'agguato, fissarlo cioè in quella posizione per completare il corpo energetico. Osservò che la procedura è di una semplicità assoluta. Per l'agguato si usa l' intento .

A quella dichiarazione seguirono silenzio e sguardi speranzosi. Io m'aspettavo che dicesse di più e lui s'aspettava che avessi capito quel che lui aveva detto. Ma così non era stato.

«Lascia che il tuo corpo energetico usi l'intento per raggiungere la posizione ottimale per Sognare» spiegò. «Dopo, lascia che lo usi per rimanere in quella posizione, e avrai 1'agguato .»

Fece una pausa e, con gli occhi, mi spronò a considerare la sua dichiarazione. «L'intento è il segreto, ma tu lo sai già» disse. «Gli stregoni spostano il loro punto di unione con 1'intento , e sempre con l'intento lo fissano. Non esiste una tecnica per l'intento: si impara con l'uso.»

A questo punto fu inevitabile che io avessi un'altra delle mie folli ostentazioni del mio valore come stregone. Avevo una fiducia illimitata in qualcosa che mi avrebbe posto sulla via giusta per ottenere con l'intento la fissazione del mio punto di unione nella posizione ideale. In passato avevo compiuto con successo ogni genere di manovre senza sapere in quale modo vi fossi riuscito. Lo stesso don Juan si era meravigliato della mia abilità, o fortuna, e io mi sentivo sicuro che questo sarebbe stato uno di quei casi.

Mi sbagliavo profondamente. Qualsiasi cosa facessi, o per quanto aspettassi, non riuscii mai a fissare il mio punto di unione in nessuna posizione, men che meno in quella ideale.

Dopo mesi di seri ma vani tentativi, rinunciai. «Credevo davvero di farcela» dissi a don Juan, appena fui a casa sua. «Temo che di questi tempi io sia più egocentrico che mai.»

«Non esattamente» replicò con un sorriso. «È che tu sei incappato in un'altra delle tue solite interpretazioni sbagliate. Vuoi trovare la posizione ideale, come se stessi cercando le chiavi della macchina che hai perso. Poi, vuoi legare il tuo punto di unione, come se stessi legandoti i lacci delle scarpe. La posizione ideale e la fissazione del punto di unione sono metafore. Non hanno nulla a che vedere con le parole usate per descriverle.»

Mi chiese allora di raccontargli gli ultimi episodi di una mia qualsiasi pratica del Sognare. La prima cosa che menzionai fu che l'impulso a essere assorbito dai dettagli si era parecchio placato. Dissi che, poiché nei sogni mi muovevo di continuo e in modo forzato, era stato forse il movimento a fermarmi prima che mi tuffassi nel dettaglio che stavo osservando. Essere fermato in quel modo mi diede l'opportunità di esaminare questo mio essere assorbito dai dettagli. Giunsi alla conclusione che la materia inanimata possiede in fondo una forza immobilizzante, che io vedevo come un raggio di luce opaca che mi teneva bloccato. Per esempio, molte volte qualche minutissimo segno sulle pareti o nelle venature del parquet della mia camera era solito trasmettermi una lama di luce che mi trafiggeva; dal momento in cui la mia Attenzione del sogno era focalizzata su quella luce, l'intero sogno ruotava intorno a quel minuscolo segno. Lo vedevo ingigantirsi, forse fino alla dimensione del cosmo. Quella vista soleva durare finché non mi svegliavo, di solito con il naso premuto contro il muro o schiacciato sul pavimento. Le mie personali osservazioni erano che, in primo luogo, i dettagli erano reali e, in secondo luogo, mi pareva di averli osservati mentre dormivo.

Don Juan sorrise e disse: «Tutto questo ti sta accadendo perché la preparazione del tuo corpo energetico è stata completata nel momento in cui esso si è mosso da solo. Non te l'avevo detto apertamente, ma l'avevo insinuato. Volevo sapere se tu eri o no capace di scoprirlo per conto tuo, e tu, naturale, ce l'hai fatta».

Non avevo idea di cosa volesse dire. Don Juan mi scrutò al suo solito modo. Il suo sguardo penetrante esaminò il mio corpo.

«Cos'è che ho trovato per conto mio, don Juan?» mi vi di costretto a chiedere.

«Hai scoperto che il tuo corpo energetico era stato completato» rispose.

«Non ho scoperto nulla del genere, ti assicuro.»

«Oh sì, invece! Cominciò qualche tempo fa, quando non riuscivi a trovare una guida che convalidasse la realtà dei tuoi Sogni, ma poi qualcosa cominciò a lavorare per te e ti fece sapere se stavi Sognando regolarmente o no. Quel qualcosa era il tuo corpo energetico. Ora, ti disperi perché non sei riuscito a trovare la posizione ideale per fissare il tuo punto di unione. Io invece ti dico che l'hai trovata. La prova è che, muovendoti, il tuo corpo energetico ha diminuito la sua ossessione per i dettagli.»

Ero confuso. Non riuscivo nemmeno a porre una delle mie trepide domande.

«Quel che ti aspetta adesso è la perla degli stregoni» continuò don Juan. «Stai per esercitarti a vedere l'energia, nel tuo Sognare. Hai completato le pratiche per il terzo varco del Sognare: muovere il tuo corpo energetico da solo. Ora stai per eseguire il compito vero: vedere l'energia con il tuo corpo energetico.

«Hai già visto l'energia in precedenza,» proseguì «molte volte, a dire il vero. Ma ognuna di queste volte, vedere è stato un caso. Ora lo farai deliberatamente.

«I sognatori hanno una regola empirica» continuò. «Se il loro corpo energetico è completo, vedono l'energia ogni volta che fissano un oggetto nel mondo quotidiano. Nei Sogni, se vedono l'energia di un oggetto, sanno di aver a che fare con un mondo reale, per quanto possa apparire di sghimbescio nella loro Attenzione del sogno. Se non riescono a vedere l'energia di un oggetto, sono in un sogno normale e non in un mondo reale.»

«Che cos'è un mondo reale, don Juan?»

«Un mondo che genera energia: l'opposto di un mondo fantasma di proiezioni, dove nulla genera energia, come la maggior parte dei nostri sogni, nei quali nulla ha effetto energetico.»

Poi don Juan mi diede un'altra definizione del Sognare: un processo con i cui sognatori isolano le condizioni di sogno nelle quali possono trovare elementi generatori di energia. Doveva aver notato il mio stupore. Scoppiò a ridere e mi diede un'altra definizione, perfino più contorta: Sognare è il processo tramite cui noi intendiamo trovare posizioni adeguate del punto di unione, posizioni che ci permettono di percepire oggetti generatori di energia in stati di fantasticheria.

Mi spiegò che il corpo energetico è anche capace di percepire energia molto diversa da quella del nostro mondo, come nel caso degli oggetti del regno degli esseri inorganici, che il corpo energetico recepisce come energia "sfrigolante". Aggiunse che nel nostro mondo nulla sfrigola: qui, tutto traballa.

«Da ora in poi,» disse «lo scopo del tuo Sognare sarà determinare se gli oggetti su cui concentri la tua Attenzione del sogno generano energia, sono solo proiezioni fantasmatiche o generatori di energia aliena.»

Don Juan ammise di aver sperato che venissi fuori con l'idea di vedere l'energia come criterio per determinare se stavo o no osservando il mio vero corpo addormentato. Mi derise per il mio piano illogico d'indossare ogni quattro giorni un elaborato paludamento notturno. Mi rivelò che avevo avuto a portata di mano tutte le informazioni necessarie per desumere quale fosse il vero compito del terzo varco del Sognare e quindi venir fuori con l'idea giusta, ma che il mio sistema d'interpretazione mi aveva costretto a cercare soluzioni artificiose, prive della semplicità e della chiarezza proprie della stregoneria.

 

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Nuovo territorio d'esplorazione 
    Don Juan mi disse che per vedere nel sogno non solo dovevo usare l'intento di vedere, ma dovevo annunciarlo ad alta voce. Per motivi che si rifiutò di spiegarmi, insistette perché parlassi forte. Ammise che ci sono altri sistemi per ottenere gli stessi risultati, ma asserì che proclamare il proprio intento è la via più semplice e diretta.

La prima volta che espressi a parole l'intento di vedere, stavo Sognando una fiera di beneficenza parrocchiale. C'erano tanti articoli e io non riuscivo a decidermi quale fissare. Un vaso gigantesco e vistoso che era in un angolo decise in vece mia. Lo fissai mormorando l'intento di vedere. Il vaso rimase nella mia visuale un istante e poi si mutò in un altro oggetto.

In quel sogno fissai quanti più oggetti potei. Dopo aver espresso ad alta voce l'intento di vedere, ogni oggetto che avevo scelto di fissare svaniva, oppure si tramutava in qualcosa d'altro, come era accaduto durante le mie esercitazioni del Sognare. La mia Attenzione del sogno alla fine si esaurì, e io mi svegliai terribilmente frustrato, furibondo, quasi.

Per mesi e mesi fissai centinaia di oggetti nei miei sogni ed espressi con forza l'intento di vedere, ma non accadde mai nulla. Stanco di attendere, alla fine dovetti rivolgermi a don Juan per saperne di più.

«Devi aver pazienza. Stai imparando a fare qualcosa di straordinario» commentò. «Stai imparando a esprimere l'intento di vedere nei tuoi sogni. Un giorno non ci sarà bisogno che tu lo dica ad alta voce, basterà semplicemente la tua volizione, in silenzio.»

«Credo di non aver capito la funzione di ciò che sto facendo» dissi. «Non succede nulla quando urlo l'intento di vedere. Che significa?»

«Vuol dire che i tuoi Sogni, finora, sono stati sogni normali; sono state proiezioni fantasmatiche, immagini che hanno vita solo nella tua Attenzione del sogno.»

Volle sapere con esattezza cos'era accaduto agli oggetti su cui avevo fissato lo sguardo. Risposi che erano svaniti o avevano cambiato forma o perfino provocato vortici che avevano col tempo cambiato i miei Sogni.

«È stato come in tutte le mie quotidiane pratiche del Sognare» dissi. «L'unica cosa fuori dall'ordinario è che sto imparando a urlare nei miei Sogni, con tutto il fiato che ho in gola.»

Quest'ultima dichiarazione provocò in don Juan un vero accesso di risa, che io trovai imbarazzante. Non riuscivo a scorgere spunti d'ilarità nella mia frase né i motivi della sua reazione.

«Un giorno scoprirai anche tu quanto sia buffo tutto ciò» disse, in risposta alla mia silenziosa protesta. «Nel frattempo, non cedere e non scoraggiarti. Continua con i tuoi tentativi. Prima o poi, troverai la nota giusta.»

Come al solito, aveva ragione. Un paio di mesi dopo ebbi un colpo di fortuna. Feci un sogno molto insolito: cominciava con l'apparizione di un esploratore proveniente dal mondo degli esseri inorganici. Emissari ed esploratori erano stati stranamente assenti dai miei sogni. Non ne avevo sentito la mancanza, né mi ero fermato a pensarci sopra. Anzi, mi sentivo così a mio agio senza di loro che avevo perfino dimenticato di informarmi da don Juan sulla loro assenza.

In quel sogno. la guida era stata, sulle prime, un enorme topazio giallo, che avevo trovato in fondo a un cassetto. Non appena ebbi espresso l'intento di vedere, il topazio si tramutò in una bolla di fremente energia. Temetti di essere costretto a seguirlo, spostai lo sguardo dall'esploratore e lo fissai su un acquario di pesci tropicali. Dichiarai l'intento di vedere ed ebbi una grossa sorpresa: l'acquario emanò un debole bagliore verdastro e si tramutò in un grande ritratto surrealista di una donna ingioiellata. Il ritratto emise lo stesso bagliore verdastro quando dichiarai di nuovo l'intento di vedere.

Mentre fissavo quel bagliore, l'intero sogno cambiò. Mi trovai allora a camminare nella strada di una città che mi sembrava familiare: poteva essere Tucson. Fissai delle confezioni femminili nella vetrina di un negozio e proclamai ad alta voce l'intento di vedere. Immediatamente un manichino nero, in bell'evidenza, cominciò a emettere bagliori. Poi fissai una commessa che si apprestava a fare la vetrina: lei mi guardò. Dopo aver espresso il mio intento, vidi che anche lei diventava luminosa. Era così bello che temevo che qualche dettaglio del suo corpo risplendente mi potesse intrappolare, ma la donna si mosse verso l'interno del negozio prima che avessi il tempo di focalizzare la mia attenzione totale su di lei. Avevo certo intenzione di seguirla all'interno, tuttavia la mia Attenzione del sogno fu attratta da un bagliore in movimento. Si dirigeva verso di me, mi caricava pieno di odio. Si sentiva il disprezzo e la cattiveria. Feci un balzo all'indietro. Il bagliore smise di caricarmi: una sostanza nera m'ingoiò, e mi svegliai.

Queste immagini erano così vivide che credetti fermamente di aver visto l'energia e che il mio sogno era stato una di quelle situazioni descritte da don Juan come fantastiche, generanti energia. L'idea che i sogni possono aver luogo nella consensuale realtà del nostro mondo quotidiano m'incuriosiva, proprio come le immagini del mondo degli esseri inorganici.

«Stavolta, non solo hai visto l'energia, ma hai attraversato un pericoloso limite» osservò don Juan, dopo aver ascoltato il mio resoconto.

Mi ripeté che l'esercizio per il terzo varco del Sognare è far muovere da solo il corpo energetico. Nel mio ultimo incontro, disse, involontariamente io avevo sostituito l'effetto di quell'esercizio ed ero passato in un altro mondo.

«Il tuo corpo energetico si mosse» disse. «Viaggiò, da solo. Quel tipo di viaggio va oltre le tue capacità attuali, e qualcosa ti attaccò.»

«Chi credi che fosse, don Juan?»

«Il nostro è un universo predatore. Potrebbe essere stata una fra le mille cose che vivono là fuori.»

«Perché credi che mi abbia attaccato?»

«Per lo stesso motivo per cui ti attaccarono gli esseri inorganici: perché ti sei reso disponibile.»

«Ma è così evidente, don Juan?»

«Certo. È chiaro come quel che faresti tu se uno strano ragno ti attraversasse la scrivania mentre stai scrivendo. Tu lo schiacceresti, per la paura, invece di ammirarlo o esaminarlo.»

Ero imbarazzato e non trovavo le parole per fargli le domande giuste. Volevo chiedergli dove avesse avuto luogo il mio sogno. o in quale mondo mi trovassi in quel sogno. Ma tali domande non avevano senso, lo capivo anch'io. Don Juan fu molto comprensivo.

«Tu vorresti sapere se la tua Attenzione del sogno fosse concentrata o meno, vero?» mi chiese con un sorriso tutto denti.

Ecco, era così che avrei voluto formulare la mia domanda. Sostenni che nel sogno in questione dovevo per forza aver fissato un oggetto reale. Proprio come era accaduto quando avevo visto nei sogni i piccoli dettagli del pavimento o delle pareti o della porta della mia camera, dettagli di cui in seguito avevo confermato l'esistenza.

Don Juan disse che in sogni speciali, come quello che avevo fatto io, la nostra Attenzione del sogno si focalizza sul mondo di tutti i giorni, e che si muove subito da un oggetto reale a un altro nel mondo. Ciò che rende possibile questo movimento è che il punto di unione si trova nella posizione giusta del sogno. Da quella posizione, il punto di unione dà all'Attenzione del sogno tale fluidità che può percorrere in una frazione di secondo distanze incredibili, e facendo questo genera una percezione così rapida, così passeggera da somigliare a un sogno normale.

Don Juan spiegò che nel mio sogno avevo visto un vaso vero e poi la mia Attenzione del sogno aveva percorso grandi distanze per vedere un vero quadro surrealista di una donna ingioiellata. Il risultato, con l'eccezione del vedere l'energia, era stato molto vicino a un sogno normale in cui gli oggetti, quando sono fissati, si trasformano subito in qualcos'altro.

«So quanto sia fastidioso» continuò, consapevole del mio smarrimento. «Per qualche motivo che riguarda la mente, vedere l'energia in sogno è più sconvolgente di qualsiasi altra cosa che si possa pensare.»

Gli feci notare che avevo già visto altre volte l'energia nei Sogni, e tuttavia non mi aveva mai colpito così.

«Ora il tuo corpo energetico è completo e funzionante» disse. «Perciò, l'implicazione che tu vedi l'energia nel tuo sogno è che stai percependo un mondo reale, attraverso il velo di un sogno. Ecco l'importanza del viaggio da te intrapreso. Era reale. Comprendeva oggetti generatori di energia che quasi misero fine alla tua esistenza.»

«E stato pericoloso, don Juan?»

«E come no! La creatura che ti assalì era fatta di consapevolezza pura, ed era mortale come pochi. Tu vedesti la sua energia. Di certo ti sarai accorto ora che, a meno di non vederlo in sogno. non si può distinguere una proiezione fantasmatica da qualcosa di reale che genera energia. Così, anche se hai sconfitto gli esseri inorganici e hai davvero visto gli esploratori e i tunnel, il tuo corpo energetico non sa per certo se erano reali, cioè generatori di energia. Sei sicuro al novantanove, non al cento per cento.»

Don Juan insisteva a parlare del viaggio da me intrapreso. Per ragioni inesplicabili ero riluttante ad affrontare l'argomento. Quanto stava dicendo provocò in me una reazione istantanea. Mi trovai alle prese con uno strano, profondo terrore: cupo e ossessivo, in modo irritante e viscerale.

«Te ne andasti proprio in un altro strato della cipolla» esclamò don Juan, concludendo una frase a cui non avevo fatto attenzione.

«Cos'è questo altro strato della cipolla, don Juan?»

«Il mondo è come una cipolla, ha molte pelli. Il mondo che conosciamo noi è solo una delle tante. A volte, noi attraversiamo i confini ed entriamo in un'altra pelle: un altro mondo, molto simile a questo, ma non lo stesso. E tu entrasti in un altro, tutto da solo.»

«Com'è possibile questo viaggio di cui parli, don ,Juan?»

«È un domanda senza senso, perché non c'è nessuno che possa rispondere. Per quel che dicono gli stregoni, l'universo è costruito a strati, che il corpo energetico può attraversare. Sai dove esistono ancora oggi gli antichi stregoni? In un altro strato, un'altra pelle della cipolla.»

«Per me l'idea di un viaggio vero, pragmatico, fatto in sogno. è molto difficile da capire o accettare, don Juan.»

«Abbiamo esaminato questo argomento fino alla nausea. Ero convinto che tu avessi capito che il viaggio del corpo energetico dipende solo dalla posizione del punto di unione.»

«Me l'hai detto. E io ci ho rimuginato sopra un sacco; tuttavia, sostenere che il viaggio è nella posizione del punto di unione non mi dice ancora niente!»

«Il problema è il tuo cinismo. Io ero identico a te. Il cinismo non ci permette di introdurre drastici mutamenti nella nostra comprensione del mondo. Ci costringe anche a pensare che abbiamo sempre ragione.»

Comprendevo il suo punto di vista alla perfezione, ma gli ricordai la mia lotta contro tutto quello.

«Ti propongo di fare una cosa assurda che potrebbe capovolgere la situazione» disse. «Ripetiti di continuo che il cardine della stregoneria è il mistero del punto di unione. Se te lo ripeti abbastanza, subentra una forza invisibile che opera in te gli appropriati mutamenti.»

Don Juan non dava segni di stare scherzando. Sapevo che le sue non erano facezie, ma mi seccava che insistesse perché io ripetessi la formula in continuazione tra me e me. Mi sorpresi a pensare che fosse da imbecilli.

«Smettila con quell'attitudine cinica» scattò lui. «Ripetilo con convinzione.

«Il mistero del punto di unione è tutto, nella stregoneria» continuò senza guardarmi. «O, piuttosto, tutto nella stregoneria si fonda sulla manipolazione del punto di unione. Tu sai tutto questo, ma devi ripeterlo.»

Per un attimo, sentendo le sue parole, pensai che sarei morto d'angoscia. Un incredibile senso di cupa malinconia mi serrò il petto, facendomi urlare di dolore. Avevo la sensazione che lo stomaco e il diaframma stessero salendo, spostandosi nella cavità toracica. La spinta era così intensa che la mia consapevolezza cambiò livello, ed entrai nello stato normale. Tutto quello di cui avevamo parlato diventò un pensiero vago su qualcosa che avrebbe potuto accadere ma in realtà non era accaduto, secondo il modo di ragionare terreno della mia consapevolezza di ogni giorno.

Quando con don Juan parlammo ancora del Sognare, discutemmo i motivi per cui non ero riuscito a continuare con le mie esercitazioni per mesi di fila. Don Juan mi avvisò che per spiegare la mia situazione era costretto a prenderla alla larga. Mi fece notare, prima di tutto, che c'è un'enorme differenza fra i pensieri e le azioni degli uomini dei tempi antichi e quelli degli uomini moderni. Poi mi fece notare che gli uomini dei tempi antichi avevano una visione realistica della percezione e della consapevolezza perché questa visione scaturiva dalle loro osservazioni dell'universo che li circondava. Gli uomini moderni, invece, hanno una visione assurdamente illusoria della percezione e della consapevolezza perché la loro visione scaturisce dalle loro osservazioni dell'ordine sociale e dai loro rapporti con esso.

«Perché mi stai dicendo questo?» gli domandai.

«Perché sei un uomo moderno coinvolto con le visioni e le osservazioni degli uomini dei tempi antichi» mi rispose. «E nessuna delle loro opinioni e osservazioni ti è familiare. Ora più che mai hai bisogno di sobrietà e padronanza di te. Sto cercando di costruire un solido ponte, un ponte su cui tu possa camminare, tra le opinioni degli uomini dei tempi antichi e quelle degli uomini moderni.

Rilevò che di tutte le osservazioni trascendentali fatte dagli uomini dei tempi antichi, l'unica che mi fosse nota, perché filtrata fino ai giorni nostri, era l'idea di vendere l'anima al diavolo in cambio dell'immortalità che, doveva ammettere,gli sembrava derivasse dritto dritto dai rapporti degli antichi stregoni con gli esseri organici. Mi ricordò come l'Emissario del Sogno avesse cercato di indurmi a rimanere nel suo regno offrendomi la possibilità di mantenere individualità e consapevolezza quasi per l'eternità.

«Come sai, soccombere agli adescamenti degli esseri inorganici non è solo un'idea, è realtà» proseguì don Juan.

«Ma tu non hai ancora realizzato le implicazioni di quella realtà. Anche il Sognare è reale; è una condizione che genera energia. Tu ascolti le mie dichiarazioni e certo comprendi quello che voglio dire, ma la tua consapevolezza non ne ha ancora afferrato tutte le implicazioni.»

Don Juan disse che la mia razionalità conosceva l'importanza di una realizzazione di questa natura, e durante la nostra ultima conversazione aveva costretto la mia consapevolezza a cambiare livello. Finii nella mia consapevolezza normale prima di aver potuto affrontare le sfumature del mio sogno. La mia razionalità si era ulteriormente protetta sospendendo le esercitazioni del Sognare.

«Ti assicuro che sono ben consapevole di cosa voglia dire "condizione generatrice di energia"» dissi.

«E io ti assicuro che non lo sei» mi rimbeccò lui. «Se lo fossi, misureresti il Sognare con maggior cura e deliberazione. Poiché tu credi di star solo Sognando, corri rischi alla cieca. Il tuo modo di ragionare sbagliato ti dice che a un certo momento, qualunque cosa succeda, il sogno finirà e tu ti sveglierai.»

Aveva ragione. Nonostante tutto quello cui avevo assistito nelle mie esercitazioni del Sognare, in qualche modo conservavo ancora il senso generale che si era solo trattato di un sogno.

«Ti sto parlando delle opinioni degli uomini dell'antico e di quelle dell'uomo moderno,» proseguì don Juan «perché la tua consapevolezza, che è la consapevolezza dell'uomo moderno, preferisce trattare un concetto sconosciuto come fosse una vuota idealità.

«Se fosse per te, considereresti il Sognare come un'idea. Naturalmente, sono sicuro che lo prenderesti sul serio, ma tu non credi affatto nella realtà del Sognare.»

«Capisco quello che stai dicendo, don Juan, ma non capisco perché tu lo stia dicendo.»

«Lo dico perché ora, per la prima volta, sei nella posizione giusta per capire che il Sognare è una condizione generatrice di energia. Per la prima volta puoi capire ora che i sogni normali sono gli ingranaggi smerigliatori per abituare il punto di unione a raggiungere la posizione che crea questa condizione generatrice di energia che noi chiamiamo Sognare.»

Mi avvisò che, poiché i sognatori toccano ed entrano in mondi reali di effetti globali, dovrebbero essere in uno stato permanente di vigilanza molto intensa e prolungata; ogni distrazione dalla vigilanza totale mette il Sognatore in condizioni di tremendo pericolo.

A questo punto incominciai a provare di nuovo una sensazione di movimento nella mia cassa toracica, identica a quella che avevo provato il giorno in cui la mia consapevolezza aveva cambiato livello da sola. Don Juan mi scosse il braccio con forza.

«Devi considerare il Sognare qualcosa di molto pericoloso!» mi ingiunse. «E comincia da subito! Non intraprendere una di quelle tue strane manovre.»

Il tono della sua voce era così insistente che smisi di fare ciò che, inconsciamente, stavo facendo.

«Che mi sta succedendo, don Juan?» gli domandai.

«Quel che ti sta succedendo è che sei in grado di spostare il tuo punto di unione con rapidità e facilità» mi rispose. «Tuttavia tanta facilità tende a rendere irregolare lo spostamento. Metti in riga questa facilità. E non permetterti neanche un millimetro di margine di gioco.»

Non avrei avuto difficoltà a rispondergli che non sapevo di cosa stesse parlando, e invece lo sapevo. Sapevo anche che avevo solo pochi secondi per mettere insieme ogni scampolo di energia e cambiare atteggiamento, e lo feci.

La nostra conversazione quel giorno si concluse così. Tornai a casa e per quasi un anno ripetei fedelmente ogni giorno quel che don Juan mi aveva chiesto di dire. I risultati della mia litania di invocazioni furono incredibili: ero più che convinto che avesse avuto sulla mia consapevolezza lo stesso risultato della ginnastica sui muscoli del mio corpo. Il punto di unione divenne più agile, il che significava che vedere energia nel Sognare divenne l'unico scopo delle mie esercitazioni. L'abilità di usare l'intento per vedere crebbe in proporzione agli sforzi. Venne il momento in cui riuscii a formulare l'intento di vedere senza pronunciare parola, e a ottenere proprio lo stesso risultato di quando dichiaravo ad alta voce l'intento di vedere.

Don Juan si congratulò con me del mio successo, e io, logicamente, pensai che stesse facendo una battuta. Mi assicurò che parlava sul serio, ma mi scongiurò di continuare a urlare, almeno quando mi trovavo in difficoltà. La sua richiesta non mi parve affatto strana. Di mia iniziativa avevo urlato a squarciagola nei miei sogni ogni volta che l'avevo creduto necessario.

Scoprii che l'energia del nostro mondo tremola. Manda scintille. Non solo gli esseri viventi ma tutto ciò che appartiene al nostro mondo brilla di una personale luce interiore. Don Juan mi spiegò che l'energia del nostro mondo consiste di strati di colori scintillanti. Lo strato superiore è bianco latte, un altro, subito accanto, è verde pallido, mentre un altro, più distante, è color ambra.

Scoprii tutti questi colori, o meglio ne vidi i bagliori ogni volta che gli oggetti che incontravo nei miei stati di fantasticheria cambiavano forma. Tuttavia una luminosità lattiginosa costituiva l'impatto iniziale di vedere qualsiasi cosa generatrice di energia.

Posi una domanda a don Juan: «Ci sono solo tre colori?».

«Ce n'è un'infinità,» replicò «ma per gli scopi di un ordine agli inizi, tu dovresti interessarti solo di quei tre. In seguito, potrai diventare raffinato finché vuoi e isolarne a dozzine, se ci riesci.

«Lo strato lattiginoso è il colore della posizione attuale del punto di unione dell'umanità» proseguì don Juan. «Diciamo che è un colore moderno. Gli stregoni credono che tutto quello che l'uomo fa oggi è colorato di quel bianco luminescente. In un altro tempo, la posizione del punto di unione dell'umanità rese il colore dell'energia dominante verde pallido, e in un altro tempo, ancora più remoto, lo fece ambrato. Il colore dell'energia degli stregoni è l'ambra, che indica come loro siano uniti energeticamente con gli uomini che vissero in un remotissimo passato.»

«Credi che l'attuale colore latteo un giorno cambierà?»

«Se l'uomo sarà capace di evolversi. Il massiccio compito degli stregoni è portare avanti l'idea che, per evolversi, l'uomo deve prima liberare la propria consapevolezza dai legami d'ordine sociale. Quando la consapevolezza sarà libera, l'intento potrà avviarla su una nuova via evolutiva.»

«Credi che gli stregoni riusciranno nel loro compito?»

«Ci sono già riusciti. Loro stessi ne sono la prova. Convincere gli altri del valore e dell'importanza dell'evoluzione è un'altra faccenda.»

L'altro tipo di energia che trovavo presente nel nostro mondo, ma a esso aliena, era l'energia degli esploratori, quella che don Juan aveva definito "sfrigolante". Avevo incontrato decine di oggetti nei miei sogni che, una volta visti, si trasformavano in bolle di energia che sembravano friggere, ribollire per qualche loro infuocata attività interiore.

«Tieni a mente che non tutti gli esploratori che incontrerai appartengono al regno degli esseri inorganici» commentò don Juan. «Tutti quelli che hai trovato finora, a eccezione dell'esploratore blu, provenivano da quel regno, ma perché gli esseri inorganici stavano occupandosi di te. Erano loro a dirigere lo spettacolo. Ora sei indipendente. Alcuni esploratori che incontrerai non verranno dal regno dagli esseri inorganici, ma da altri, forse persino più remoti, livelli di consapevolezza.»

«Sono consapevoli di sé gli esploratori?» domandai. «Assolutamente sì» replicò.

«Allora perché non prendono contatto con noi quando siamo svegli?»

«Lo fanno, eccome! Ma per nostra grande sfortuna la nostra consapevolezza è così occupata da non aver tempo di prestare attenzione. Tuttavia, durante il nostro sonno si spalanca la botola bidirezionale: noi Sogniamo. E, nei nostri Sogni, stabiliamo i contatti.»

«Esiste un modo per capire se gli esploratori vengono da luoghi che sono al di là del mondo degli esseri inorganici?»

«Più sfrigolano, più vengono da lontano. Sembra semplicistico, ma devi lasciare che sia il tuo corpo energetico a farti la distinzione. Ti assicuro, in presenza di energia aliena farà distinzioni molto sottili, fornendoti giudizi infallibili.»

Aveva ragione anche stavolta. Senza troppa fatica, il mio corpo energetico distinse due tipi generali di energia aliena. Al primo appartenevano gli esploratori del regno degli esseri inorganici: la loro energia frizzava appena. Non emetteva alcun suono, ma aveva tutta l'aria dell'effervescenza, o dell'acqua che va in ebollizione.

L'energia del secondo tipo di esploratori mi diede l'impressione di un potere considerevolmente maggiore. Sembravano sul punto di bruciare. Vibravano dal profondo come se fossero colmi di gas pressurizzato.

I miei incontri con l'energia aliena erano sempre fuggevoli perché io seguivo alla lettera quanto don Juan mi aveva raccomandato: «A meno che tu non sappia con esattezza quello che stai facendo e quello che vuoi dall'energia aliena, devi accontentarti di un rapido sguardo. Tutto, oltre lo sguardo, è pericoloso e stupido come accarezzare un serpente a sonagli».

«Perché è pericoloso, don Juan?» chiesi.

«Le guide sono sempre molto aggressive e audaci» rispose. «Devono essere così per predominare nelle loro esplorazioni. Mantenere la nostra Attenzione del sogno su di loro equivale a sollecitare la loro consapevolezza a focalizzarsi su di noi. Se lo fanno, noi siamo costretti ad andare con loro. Ed è quello, naturalmente, il pericolo: potremmo finire in mondi che travalicano le nostre possibilità energetiche.»

Don Juan mi spiegò che c'erano molti altri tipi di esploratori oltre ai due che avevamo classificato ma, al mio attuale livello di energia, io potevo concentrarmi solo su tre. Mi descrisse i primi due come i più semplici da individuare. I loro travestimenti nei nostri sogni sono così stravaganti, disse, da attrarre subito la nostra Attenzione del sogno. Secondo lui gli esploratori del terzo tipo sono i più pericolosi, per aggressività e potenza, e perché si nascondono con abili dissimulazioni.

«Una delle cose più strane che scoprono i Sognatori, e che tu stesso scoprirai presto,» continuò don Juan «è questo terzo tipo di esploratori. Fino a questo momento, tu hai incontrato solo esempi dei primi due tipi, ma è perché non hai guardato nel posto giusto.»

«Qual è il posto giusto, don Juan?»

«Sei di nuovo caduto preda delle parole: stavolta la parola responsabile è "oggetto" che secondo te vuole indicare solo una cosa concreta. Be', l'esploratore più feroce nei nostri sogni si nasconde dietro la gente. Nel mio Sognare trovai una formidabile sorpresa, quando focalizzai lo sguardo sull'immagine di sogno di mia madre. Dopo aver espresso l'intento di vedere, lei si trasformò in una feroce, terrificante bolla di energia sfrigolante.»

Don Juan fece una pausa perché assorbissi bene le sue dichiarazioni. Mi sentivo uno stupido perché mi dava fastidio l'idea di poter trovare un esploratore nascosto dietro l'immagine di sogno di mia madre.

«È seccante che siano sempre associati alle immagini di sogno di genitori o di amici intimi» proseguì. «Forse è per questo che spesso ci sentiamo a disagio quando li Sogniamo.» Il suo sorrisino mi diede l'impressione che si divertisse a vedermi sconvolto. «La regola pratica per i sognatori è dare per scontato che il terzo tipo di esploratore sia presente ogniqualvolta si sentono turbati dai genitori o dagli amici in sogno. È consigliabile evitare quelle immagini di sogno. Sono come veleno!»

«Qual è la posizione dell'esploratore blu in rapporto agli altri?»

«L'energia blu non sfrigola» rispose. «È come la nostra: traballa, ma è blu invece di bianca. L'energia blu non esiste allo stato naturale nel nostro mondo.

«E questo ci porta a qualcosa di cui non abbiamo mai parlato prima. Di che colore erano gli esploratori che hai visto finora?»

Non ci avevo mai pensato, fino a quando non me lo domandò. Dissi a don Juan che le guide che avevo visto erano rosa o rossastre. Lui disse che i pericolosi esploratori del terzo tipo erano di un brillante color arancione.

Scoprii da me che il terzo tipo di esploratori è proprio spaventoso. Ogni volta che ne trovavo uno, era dietro l'immagine di sogno dei miei genitori, specie di mia madre. Quando lo vedevo mi tornava sempre alla memoria la bolla di energia che mi aveva assalito nel sogno in cui avevo visto per la prima volta deliberatamente. Ogni volta che la trovavo, l'energia aliena in esplorazione sembrava pronta a saltarmi addosso. Il mio corpo energetico era solito reagire con orrore prima ancora che io vedessi.

Durante la seguente discussione sul Sognare, interrogai don Juan sull'assenza totale degli esseri inorganici nelle mie pratiche del sogno.

«Perché non si fanno più vedere?» gli chiesi.

«Si mostrano solo all'inizio» mi spiegò. «Dopo che gli esploratori ci portano nel loro mondo, le proiezioni degli esseri inorganici non sono più necessarie. Se vogliamo vedere gli esseri inorganici, una guida ci porta da loro. Infatti nessuno, dico nessuno, può recarsi in quel regno da solo.»

«E perché, don Juan?»

«Il loro mondo è sigillato. Nessuno può entrare o uscire senza il consenso degli esseri inorganici. L'unica cosa che si può fare per proprio conto — una volta che si è dentro, ovvio — è dar voce all'intento di rimanere. Dirlo ad alta voce vuol dire mettere in moto correnti di energia che sono irreversibili. Nei tempi antichi, le parole erano incredibilmente potenti: ora non lo sono più, ma nel regno degli esseri inorganici non hanno perduto il loro potere.»

Don Juan scoppiò a ridere dicendo che non aveva motivo di dirmi nulla sul mondo degli esseri inorganici perché in realtà io ne sapevo molto più di quanto ne sapessero lui e i suoi compagni messi insieme.

«C'è un'ultima questione che non abbiamo discusso, in riferimento a quel mondo» fece. Stette zitto a lungo, come se cercasse le parole più appropriate. «In ultima analisi,» esordì «la mia avversione per le attività degli antichi stregoni è molto personale. Come Nagual, detesto quello che fecero: cercarono vigliaccamente rifugio nel mondo degli esseri inorganici. Loro sostenevano che, per noi, in un universo predatore, pronto a sbranarci, l'unico rifugio possibile è laggiù.»

«Perché lo credevano?» mi meravigliai.

«Perché è così» ribatté. «Poiché gli esseri inorganici non possono dire bugie, l'imbonimento dell'Emissario del sogno è tutto vero. Quel mondo può darci rifugio e prolungare la nostra consapevolezza per un'eternità.»

«La parlantina dell'Emissario, anche se è solida verità, non mi attira» dichiarai.

«Vuoi dire che rischieresti una scelta che potrebbe distruggerti?» indagò, con una nota di stupore nella voce.

Confermai a don Juan che rifiutavo il mondo degli esseri inorganici senza badare ai vantaggi che offriva. La mia dichiarazione sembrò fargli molto piacere.

«Allora sei pronto ad ascoltare un'ultima dichiarazione su quel mondo, la dichiarazione più tremenda che io possa fare» disse, e provò a sorridere, ma non ci riuscì.

Don Juan cercò il mio sguardo, forse per un barlume di intesa o di comprensione. Rimase un attimo in silenzio.

«L'energia necessaria a muovere i punti di unione degli stregoni viene dal regno degli esseri inorganici» dichiarò, come se si stesse affrettando a concludere la faccenda.

Il mio cuore smise quasi di battere. Ebbi una vertigine, e dovetti battere i piedi in terra per non svenire.

«È la verità» andò avanti don Juan «il retaggio degli antichi stregoni che ci tiene inchiodati ancora oggi. Questo è il motivo della mia avversione per loro. Mi fa rabbia dover attingere a una sola fonte. Ho cercato di tenertene lontano, ma senza successo perché qualcosa ti attira in quel mondo, come una calamita.»

Capivo don Juan meglio di quanto avrei pensato. Recarmi in quel mondo, a livello energetico, aveva sempre significato per me una carica di energia cupa. Avevo pensato già in quei termini molto prima che don Juan facesse questa rivelazione.

«Cosa possiamo fare al riguardo?»

ù La mia soluzione è stata prendere la loro energia ma non cedere alla loro influenza. Si chiama "l'ultimo agguato". Si fa mantenendo il deciso intento della libertà, anche se nessuno stregone sa cosa sia veramente la libertà.»

«Puoi spiegarmi, don Juan, perché gli stregoni devono prendere l'energia dal regno degli esseri inorganici?»

«Non c'è altra energia possibile per loro. Per manovrare il punto di unione come fanno, gli stregoni hanno bisogno di una quantità di energia fuori dall'ordinario.»

Gli ricordai la sua stessa dichiarazione: che era necessario riciclare energia per il Sognare.

«Giusto» ribatté. «Per cominciare a Sognare gli stregoni hanno bisogno di ridefinire le loro premesse e risparmiare energia, ma quella ridefinizione è valida solo per avere l'energia necessaria per iniziare a Sognare. Volare in altri regni, vedere energia, preparare il corpo energetico, eccetera eccetera, è tutta un'altra storia. Per quelle operazioni, gli stregoni necessitano di un sacco di energia, cupa e aliena.»

«Ma come fanno a prenderla dal mondo degli esseri inorganici?»

«Con il semplice atto di recarsi in quel mondo. Tutti gli stregoni del nostro lignaggio devono farlo. Tuttavia, nessuno di noi è così idiota da fare quel che hai fatto tu, ma questo perché nessuno di noi ha le tue tendenze.»

Don Juan mi mandò a casa a riflettere su quanto mi aveva rivelato. Io avevo un'infinità di domande da fargli, ma lui non voleva sentirle.

«Puoi trovare da solo le risposte a tutte le tue domande» disse, salutandomi con un cenno della mano.

 
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Agguati ai cacciatori 
      Una volta a casa, mi accorsi subito di non essere assolutamente in grado di rispondere a nessuna delle mie domande. A dire il vero, non riuscivo nemmeno a formularle. Forse ciò era dovuto al fatto che il confine della Seconda Attenzione aveva cominciato a crollarmi addosso. Ciò accadde quando incontrai Florinda Donner-Grau e Carol Tiggs nel mondo della vita di ogni giorno. La confusione di non conoscerle affatto eppure conoscerle così intimamente da esser pronto a dare la vita per loro senza alcun indugio, mi fece molto male. Avevo conosciuto Taisha Abelar qualche anno prima, e stavo appena cominciando ad abituarmi alla maledetta sensazione di conoscerla senza avere la minima idea di come ciò fosse avvenuto.       Aggiungere altre due persone al mio sistema nervoso già sovraccarico fu troppo per me. Crollai per l'esaurimento e dovetti rivolgermi a don Juan. Andai a chiedergli aiuto nella cittadina del Messico meridionale dove abitava con i suoi adepti.

Don Juan e i suoi risero a crepapelle solo a sentire parlare delle mie agitazioni. Don Juan mi spiegò che non ridevano di me, ma di loro stessi. I miei problemi conoscitivi ricordavano loro quelli che avevano avuti quando il limite della Seconda Attenzione gli era crollato addosso nello stesso modo in cui adesso era crollato su di me. La loro consapevolezza, come la mia, non era stata preparata a questo, disse.

«Ogni stregone prova lo stesso disagio» continuò don Juan. La consapevolezza è uno sconfinato territorio di esplorazione per gli stregoni e per l'uomo in generale. Per accrescere la nostra consapevolezza non c'è rischio che non correremmo, né mezzi che rifiuteremmo. Non dimenticare, tuttavia, che solo in perfetta sanità di mente si può accrescere la consapevolezza.»

Don Juan ripeté allora che il suo tempo stava volgendo alla fine e che io dovevo usare con oculatezza le mie risorse per coprire più terreno che potevo prima che lui se ne andasse. Discorsi del genere solevano farmi precipitare in uno stato di profonda depressione, ma poiché l'ora della sua dipartita si avvicinava, avevo cominciato a reagire con maggiore rassegnazione. Non mi sentivo più depresso, ma ero sempre in preda al panico.

Non dicemmo altro, dopo. Il giorno seguente, a sua richiesta, portai don Juan in macchina a Città del Messico. Arrivammo verso mezzogiorno e andammo direttamente all'Hotel del Prado nel pasco Alameda, il posto dove scendeva di solito quando si fermava in città. Quel giorno don Juan aveva un appuntamento con un avvocato, alle quattro di pomeriggio. Poiché avevamo un sacco di tempo, andammo a far colazione al Cafè Tacuba, un ristorante in pieno centro dove si diceva ci fossero piatti succulenti.

Don Juan non aveva fame. Ordinò solo due tamales2 dolci, mentre io m'ingozzavo di ogni ben di Dio.

Mi prese in giro, ridendo e facendo segni di silenziosa disperazione per il mio sano appetito.

«Sto per proporti una linea d'azione» disse in tono brusco quando avemmo finito di fare colazione. «È l'ultimo compito del terzo varco del Sognare, e consiste nel tendere l'agguato ai cacciatori, una manovra molto misteriosa che vuol dire attingere intenzionalmente energia dal regno degli esseri inorganici per compiere un'impresa stregonesca.»

«Che genere d'impresa, don Juan?»

«Un viaggio, un viaggio che usi la consapevolezza come un elemento ambientale» mi spiegò. «Nel mondo della vita d'ogni giorno l'acqua è un elemento dell'ambiente che noi usiamo per viaggiare. Immagina che la consapevolezza sia un elemento simile che può essere usato per viaggiare. Per il tramite della consapevolezza gli esploratori vengono a noi da ogni angolo dell'universo, e viceversa: attraverso la consapevolezza, gli stregoni vanno fino agli estremi limiti dell'universo.»

Tra le miriadi di concetti che don Juan mi aveva illustrato nel corso del mio apprendistato, ce n'erano alcuni che attiravano tutto il mio interesse senza bisogno di nessuno stimolo esterno: e questo era uno di quelli.

«L'idea che la consapevolezza sia un elemento fisico è rivoluzionaria» dissi con timore reverenziale.

«Non ho detto elemento fisico,» mi corresse «ma elemento energetico. Occorre fare questa distinzione. Per gli stregoni che vedono, la consapevolezza è luminosità. Loro possono attaccare il proprio corpo energetico a quella luminosità e seguirla.»

«Qual è la differenza fra un elemento fisico e uno energetico?»

«La differenza è che gli elementi fisici sono parte del nostro sistema interpretativo mentre gli elementi energetici non lo sono. Gli elementi energetici, come la consapevolezza, esistono nel nostro universo. Ma noi, gente comune, percepiamo solo gli elementi fisici perché ci hanno insegnato così. Gli stregoni percepiscono gli elementi energetici per la stessa ragione: glielo hanno insegnato.»

Don Juan mi spiegò che l'uso della consapevolezza come elemento energetico del nostro ambiente è l'essenza della stregoneria; che, in termini di praticità, la traiettoria della stregoneria è, primo, liberare l'energia esistente in noi seguendo impeccabilmente la via degli stregoni; secondo, usare quell'energia per sviluppare il corpo energetico per mezzo del Sognare; e, terzo, usare la consapevolezza come elemento dell'ambiente per entrare con il corpo energetico e tutta la nostra fisicità in altri mondi.

«Ci sono due tipi di viaggi energetici in altri mondi» proseguì. «L'uno, quando la consapevolezza prende il corpo energetico dello stregone e lo porta dove capita, e l'altro, quando lo stregone decide, in piena coscienza, di usare il tramite della consapevolezza per compiere il viaggio. Tu hai fatto il primo tipo di viaggio; per fare il secondo ci vuole grande disciplina.»

Dopo un lungo silenzio, don Juan dichiarò che nella vita degli stregoni ci sono problemi che richiedono una mano esperta, e che avere a che fare con la consapevolezza, come elemento di energia aperto al corpo energetico, è la più importante, vitale e pericolosa di quelle questioni.

Non avevo commenti da fare. Mi sentivo a un tratto sulle spine, aspettando le sue parole come quelle di un oracolo.

«Da solo, non hai energia sufficiente per portare a termine l'ultimo compito del terzo varco del Sognare,» aggiunse «ma di sicuro tu e Carol Tiggs insieme potete fare ciò che ho in mente.»

S'interruppe, spingendomi di proposito con il suo silenzio a chiedergli cosa mai avesse in mente. E io lo feci. Le sue risate ebbero l'effetto di accrescere il mio umor nero.

«Voglio che tu spezzi i limiti del mondo normale ed entri in un altro, usando la consapevolezza come elemento energetico» enunciò. «Spezzare ed entrare corrispondono a tendere l'agguato ai cacciatori. Usare la consapevolezza come elemento ambientale supera l'influenza degli esseri inorganici, anche se usa ancora la loro energia.»

Non voleva darmi altre informazioni — per non influenzarmi — disse. Era convinto che meno sapevo prima e meglio sarei stato. Io non ero d'accordo, ma lui mi assicurò che, in caso d'emergenza, il mio corpo energetico sarebbe stato capace di sbrogliarsela.

Dal ristorante andammo allo studio legale. Don Juan concluse molto in fretta i suoi affari e, in men che non si dica, eravamo in taxi, diretti all'aeroporto. Don Juan mi informò che Carol Tiggs stava arrivando con un volo da Los Angeles, e che veniva a Città del Messico esclusivamente per seguire con me questo ultimo compito del Sognare.

«La valle del Messico è uno splendido posto per eseguire il tipo di impresa stregonesca che vuoi tu» disse.

«Non mi hai ancora detto con esattezza quali sono i passi da seguire» osservai.

Non mi rispose. Non parlammo più, ma mentre aspettavamo che l'aereo atterrasse, mi spiegò la procedura da seguire. Dovevo andare nella camera di Carol nell'Hotel Regis, che si trovava dirimpetto al nostro albergo, sull'altro lato della strada e, dopo essere entrato in uno stato di totale silenzio interiore, dovevo scivolare lentamente con lei nel Sognare, enunciando ad alta voce il nostro intento di andare nel regno degli esseri inorganici.

Lo interruppi per ricordargli che avevo dovuto sempre attendere che arrivasse un esploratore prima di poter manifestare a parole il mio intento di andare nel mondo degli esseri inorganici.

Don Juan sghignazzò e disse: «Non hai ancora sognato con Carol Tiggs. Scoprirai che è fantastica. Le streghe non hanno bisogno di supporti. Loro vanno in quel mondo ogniqualvolta lo desiderano; per loro, c'è una guida a disposizione permanente».

Non riuscivo a convincermi che una maga fosse capace di fare quel che lui asseriva. Pensavo di avere un certo grado di competenza nel trattare con il mondo degli esseri inorganici. Quando gli accennai ciò che mi passava nella mente, ribatté che io non avevo alcuna competenza rispetto a quel che sono capaci di fare le maghe.

«Perché credi che mi fossi portata dietro Carol Tiggs per trascinarti via di peso da quel mondo?» domandò. «Pensi che l'abbia fatto per la sua bellezza?»

«Allora perché mai, don Juan?»

«Perché non potevo farcela da solo. Mentre per lei, che ha un'inclinazione speciale per quel mondo, fu una sciocchezza.»

«È un caso eccezionale, lei, don Juan?»

«Le donne in genere hanno una tendenza naturale per quel regno; le streghe sono, è naturale, il massimo, e Carol Tiggs è migliore di qualsiasi altra. Lo so perché, come donna Nagual, ha un'energia spettacolosa.»

Credevo di aver colto don Juan in una seria contraddizione: mi aveva detto che gli esseri inorganici non erano affatto interessati alle donne. Ora stava asserendo l'opposto.

«No, non sto affatto asserendo l'opposto» controbatté quando glielo feci notare. «Ti ho detto che gli esseri inorganici non vanno dietro alle donne: vanno solo dietro ai maschi. Ma ti ho anche detto che gli esseri inorganici sono femminili e che l'intero universo è in larga parte femminile. Così, trai le tue conclusioni.»

Poiché non avevo modo di trarre nessuna conclusione, don Juan mi spiegò che in teoria le streghe vanno e vengono a loro piacere in quel mondo grazie all'accresciuta consapevolezza e alla femminilità.

«Lo sai per certo?» azzardai.

«Le donne del mio seguito non l'hanno mai fatto,» confessò «non perché non potessero, ma perché le avevo dissuase io. Le donne del tuo seguito, invece, lo fanno con la stessa facilità con cui si cambiano una gonna.»

Provai un senso di vuoto allo stomaco. A dire il vero, non sapevo nulla delle donne del mio seguito. Don Juan mi consolò, dicendo che le mie circostanze erano diverse dalle sue, e così pure il mio ruolo come Nagual. Mi assicurò che io non ce l'avrei fatta a dissuadere nessuna delle donne del mio seguito, nemmeno se mi fossi messo a testa in giù.

Mentre il taxi ci portava al suo albergo, Carol ci divertì facendo le imitazioni di persone che conoscevamo. Io cercai di rimanere serio e le chiesi del nostro compito. Lei balbettò delle scuse perché non era in grado di rispondermi con la serietà che meritavo. Don Juan si sganasciò dalle risa quando lei imitò il mio tono di voce solenne.

Dopo aver registrato Carol all'albergo, tutti e tre gironzolammo nel centro della città, alla ricerca di venditori di libri usati. Facemmo una cena leggera al Sanborn's, il ristorante nella House of Tiles. Verso le dieci tornammo all'Hotel Regis, e andammo direttamente all'ascensore. Il timore aveva accentuato la mia capacità di notare i dettagli. La struttura dell'albergo era vecchia e massiccia. I mobili della hall avevano chiaramente visto giorni migliori, tuttavia c'era ancora intorno qualche resto dell'antico splendore che aveva una certa attrattiva. Non avevo difficoltà a capire perché quell'albergo piacesse tanto a Carol.

Prima di entrare in ascensore, la mia ansia toccò un tale livello che dovetti chiedere a don Juan istruzioni d'emergenza. «Dimmi di nuovo come dovremo procedere» lo supplicai.

Don Juan ci trascinò fino alle enormi, vecchie poltrone imbottite della hall e ci spiegò con infinita pazienza che, una volta che fossimo entrati nel mondo degli esseri inorganici, dovevamo dar voce al nostro intento di trasferire la normale consapevolezza ai nostri corpi energetici. Ci suggerì di esprimere il nostro intento insieme, Carol e io, benché quella parte, in fondo, non fosse importante. Quel che invece era importante, disse, era che ognuno di noi avesse l'intento di trasferire la consapevolezza totale del mondo quotidiano al corpo energetico.

«Come opereremo questo trasferimento di consapevolezza?» gli chiesi.

«Trasferire la consapevolezza richiede solo la dichiarazione ad alta voce del nostro intento e la quantità di energia necessaria» disse. «Carol sa tutto. L'ha già fatto. Lei è entrata fisicamente nel mondo degli esseri inorganici quando te ne ha tirato fuori, ricordi? La sua energia produrrà l'effetto desiderato. Farà mutare l'equilibrio in vostro favore.»

«In che senso, mutare l'equilibrio? Mi sento nel limbo, don Juan.»

Don Juan spiegò che mutare l'equilibrio significava aggiungere la propria totale massa fisica al corpo energetico. Disse che utilizzare la consapevolezza come un mezzo per fare il viaggio in un altro mondo, non è il risultato di aver applicato qualche tecnica, ma il corollario dell'aver espresso l'intento e di avere energia sufficiente. La massa dell'energia di Carol Tiggs aggiunta alla mia, oppure la massa della mia energia aggiunta a quella di Carol, ci avrebbe trasformati in un'unica entità, energeticamente capace di attirare la nostra fisicità e di porla sul corpo energetico per compiere quel viaggio. Carol volle sapere:

«Che cosa dobbiamo fare con esattezza per entrare in quell'altro mondo?». La sua domanda mi spaventò a morte: credevo che lei sapesse quanto stava accadendo.

«La tua massa fisica totale deve essere aggiunta al tuo corpo energetico» replicò don Juan, guardandola negli occhi. «La grande difficoltà di questa operazione è addestrare il corpo energetico, cosa che voi due avete già fatto. La mancanza di allenamento è l'unico motivo per cui voi due potreste non riuscire a portare a termine questa impresa dell'agguato finale. Qualche volta, per un puro caso, una persona comune riesce a compierla e a entrare in un altro mondo. Ma questo di solito si spiega come pazzia o allucinazione.»

Avrei dato non so cosa perché don Juan continuasse a parlare, ma lui ci infilò nell'ascensore, e, nonostante le mie proteste e il mio razionale bisogno di sapere, noi salimmo al secondo piano dov'era la camera di Carol. Nel profondo, tuttavia, la mia agitazione non era tanto dovuta al bisogno di sapere: il nocciolo della questione era la paura. In un certo qual modo, questa impresa stregonesca mi spaventava più di qualsiasi altra cosa avessi mai fatto.

Le ultime parole di don Juan, lasciandoci, erano state: «Dimenticate il nucleo del sé e non avrete paura di nulla». Il suo ghigno, lo scuotere il capo erano inviti a riflettere sulla sua dichiarazione.

Carol rise e cominciò a far pagliacciate, imitando la voce di don Juan mentre ci impartiva quelle enigmatiche istruzioni. Il suo modo di parlare bleso aggiungeva un bel tocco di colore a quel che don Juan aveva detto. Qualche volta trovavo deliziosa la sua pronuncia, ma perlopiù mi dava fastidio. Per fortuna quella sera si notava appena.

Andammo in camera sua e ci sedemmo sul bordo del letto. Il mio ultimo pensiero conscio fu che il letto risaliva agli inizi del secolo. Prima che avessi il tempo di proferire verbo, mi trovai in un letto molto strano. C'era Carol con me. Si tirò su a sedere contemporaneamente a me. Eravamo nudi, ognuno coperto da un leggero copriletto.

«Cosa succede?» chiese lei, con voce fioca.

«Sei sveglia?» feci io, stupido, di rimando.

«Certo che sono sveglia!» scattò Carol, in tono impaziente.

«Ti ricordi dove eravamo?» le domandai.

Ci fu un lungo silenzio, mentre lei cercava ovviamente di mettere ordine nei suoi pensieri.

«Io penso di essere reale, ma tu non lo sei» disse alla fine. «So dov'ero prima di questo, e tu mi vuoi raggirare.»

Io credevo che anche lei stesse facendo la stessa cosa: sapeva quel che stava accadendo e mi stava mettendo alla prova oppure prendendomi in giro. Don Juan mi aveva detto che i suoi demoni e i miei erano furbizia e diffidenza. Ne stavo avendo un esempio in grande stile.

«Mi rifiuto di partecipare a tutti gli affari merdosi che comandi tu» sibilò Carol. Mi lanciò sguardi avvelenati. «Ehi, sto parlando con te, chiunque tu sia!»

Afferrò uno dei copriletti con cui ci eravamo coperti e se lo avvolse addosso. «Ora mi sdraio qui e me ne torno da dove sono venuta» disse, con tono deciso. «Tu e il Nagual potete andare a giocare tra voi.»

«Piantala con quest'idiozia» esclamai perentorio. «Siamo in un altro mondo.»

Non badò alle mie parole e mi girò le spalle come un bambino viziato e stufo. Non volevo sprecare la mia Attenzione del sogno in futili discussioni sulla realtà. Cominciai a osservare l'ambiente: l'unica luce della stanza era il chiarore lunare che entrava dalla finestra, proprio di fronte a noi. La camera era piccola, e noi eravamo su un letto alto. Notai che il letto era fatto in modo molto primitivo: quattro robusti montanti conficcati in terra e l'armatura era un graticcio di lunghi pali attaccati ai montanti. C'era un materasso spesso, o meglio compatto, niente lenzuola o cuscini. Appoggiati alle pareti erano impilati dei sacchi di tela ruvida, pieni. Due sacchi posti l'uno sull'altro ai piedi del letto servivano da scala per salirvi.

Cercando l'interruttore della luce mi accorsi che il letto era posto in un angolo, addossato alle pareti. Avevamo le teste contro il muro; io ero nella parte esterna del letto e Carol in quella interna. Quando mi sedetti sul bordo notai che era a un buon metro da terra.

Carol si rizzò a sedere all'improvviso e brontolò, con una forte pronuncia blesa: «Questo è disgustoso. Il Nagual non mi aveva affatto detto che sarei finita cosi!».

«Neanch'io lo sapevo» feci io. Volevo aggiungere altro e magari cominciare una conversazione, ma la mia ansia aveva raggiunto proporzioni esagerate.

«Tu, zitto» abbaiò lei, in tono furibondo. «Tu non esisti. Sei un fantasma. Va' via! Sparisci!!»

La lisca della sua pronuncia era buffa e mi distrasse dalla mia ossessiva paura. La scossi, afferrandola per le spalle. Lei lanciò un urlo, non tanto per il dolore, quanto per la sorpresa o il fastidio.

«Non sono un fantasma» esclamai. «Abbiamo compiuto questo viaggio perché abbiamo unito le nostre energie.»

Carol Tiggs era famosa fra noi per la rapidità con cui si adattava a ogni situazione. In un attimo si convinse della realtà del nostro problema e cominciò a cercare i propri vestiti nella semioscurità. Mi stupivo che non avesse paura. Era tutta indaffarata, e si chiedeva ad alta voce dove avrebbe messo i suoi abiti se fosse andata a letto in quella camera.

«Vedi qualche sedia?» mi chiese.

Scorsi indistintamente tre sacchi accatastati che avrebbero potuto servire da seggiola o sgabello. Lei scese dal letto, andò verso i sacchi e vi trovò i suoi abiti e i miei, ben piegati, come era solita disporre le sue cose. Mi porse la mia roba: sì, era roba mia, ma non quella che indossavo qualche minuto prima, nella camera di Carol all'Hotel Regis.

«Questi non sono i miei vestiti» si lamentò lei. «Eppure sono miei. Che strano!»

Ci vestimmo in silenzio. Volevo dirle che stavo per esplodere dall'ansia; volevo anche far commenti sulla rapidità del nostro viaggio ma, nel tempo che avevo impiegato a vestirmi, il pensiero del viaggio era diventato molto vago. A stento riuscivo a ricordarmi dove eravamo stati prima di svegliarci in quella camera. Era come se avessi sognato la camera d'albergo. Feci un supremo sforzo per ricordare, per respingere l'imprecisione che aveva cominciato ad avvilupparmi. Riuscii a scacciare la nebbia, ma quell'atto esaurì tutta la mia energia. Alla fine ero ansante e in un bagno di sudore.

«Per un pelo non sono stata catturata» disse Carol. La guardai. Come me, era madida di sudore.

«Quel qualcosa, quasi quasi prendeva anche te. Cosa credi che sia?»

«La posizione del punto di unione» affermai con assoluta certezza.

Lei non la pensava allo stesso modo. «Sono gli esseri inorganici che raccolgono quanto è loro dovuto» sussurrò rabbrividendo. «Il Nagual mi aveva detto che sarebbe stato tremendo, ma non avrei mai immaginato nulla di così orribile!»

Ero completamente d'accordo con lei; eravamo in una situazione disastrosa e tuttavia non riuscivo a capire dove fosse l'orrore. Carol e io non eravamo dei novellini, avevamo visto e fatto un'infinità di cose, alcune davvero terrificanti. Ma c'era qualcosa in quella stanza del sogno che mi raggelava oltre ogni dire.

«Stiamo Sognando, vero?» volle sapere Carol.

Senza esitare, glielo confermai, rassicurandola, anche se avrei dato quanto di più caro avevo al mondo pur di avere lì accanto don Juan a rassicurarmi, dicendomi la stessa cosa.

«Perché sono così terrorizzata?» mi domandò, come se io fossi capace di spiegarlo razionalmente.

Prima che potessi formulare un pensiero sull'argomento, rispose da sola alla propria domanda: disse che ciò che la terrorizzava era l'essersi accorta, a livello del corpo, che percepire è un atto onnicomprensivo quando il punto di unione è stato immobilizzato in una posizione. Mi rammentò che don Juan ci aveva detto che il potere del mondo quotidiano su di noi è il risultato dell'immobilità del nostro punto di unione nella sua posizione abituale. Questa immobilità è ciò che rende la nostra percezione del mondo così inclusiva e opprimente da non poterle sfuggire. Carol mi ricordò anche un'altra cosa che aveva detto il Nagual: se volevamo vincere questa forza globalmente inclusiva, non dovevamo fare altro che disperdere la nebbia, cioè spostare il punto di unione formulando l'intento di farlo muovere.

Non avevo mai davvero capito quello che volesse dire don Juan fino al momento in cui dovetti portare il mio punto di unione in un'altra posizione, per disperdere la nebbia del mondo che aveva cominciato a ingoiarmi.

Carol e io, senza aggiungere un'altra parola, andammo alla finestra a guardare fuori. Eravamo in campagna. Il chiaro di luna rivelava alcune sagome, scure e basse, di strutture abitative. A quanto sembrava, eravamo nel locale caldaia o nella dispensa di una fattoria o di una grande casa di campagna.

«Ti ricordi di essere andato a letto qui?» domandò Carol.

«Quasi» risposi, credendoci. Le dissi che dovevo lottare per conservare nella mente l'immagine della sua camera d'albergo, come punto di riferimento.

«Anch'io sono costretta a fare lo stesso» ammise in un mormorio spaventato. «So che se lasciamo andare quel ricordo siamo perduti.»

Poi mi chiese se volevo uscire dalla casupola per avventurarci fuori. Risposi di no. La mia apprensione era così acuta che non riuscivo a dar voce alle parole. Potei solo farle un cenno con la testa.

«Hai proprio ragione a non voler andare fuori» disse. «Ho la sensazione che se lasciamo questa capanna, non riusciremo mai a tornarci.»

Stavo per aprire la porta, solo per guardare fuori, ma lei mi bloccò: «No, no!» mi gridò. «Potresti far entrare l'esterno.»

Il pensiero che mi passò per la mente in quell'istante fu che eravamo stati posti in una fragile gabbia. Qualsiasi cosa, come aprire una porta, avrebbe sconvolto il precario equilibrio di quella gabbia. Nel momento in cui ebbi quel pensiero, tutti e due sentimmo lo stesso impulso. Ci togliemmo i vestiti, come se ne andasse della nostra vita, poi saltammo sull'alto letto — senza usare i sacchi che facevano da gradini — solo per balzare giù l'istante successivo.

Era evidente che Carol e io realizzammo le stesse cose nello stesso momento. Lei confermò la mia supposizione dicendo: «Qualsiasi cosa di questo mondo che noi usiamo non può che indebolirci. Se me ne sto qui nuda, lontana dal letto e lontana dalla finestra, non ho nessun problema a ricordarmi da dove provengo. Ma se entro in quel letto o mi metto quei vestiti o guardo fuori della finestra, sono finita».

Rimanemmo nel mezzo della stanza a lungo, stretti l'uno all'altra. Uno strano sospetto mi torturava dentro. «Come faremo a tornare nel nostro mondo?» chiesi, immaginando che lei lo sapesse.

«Il rientro nel nostro mondo è automatico se noi non lasciamo calare la nebbia» disse con la ragguardevole autorità che era la sua caratteristica.

Ed ebbe ragione. Carol e io ci svegliammo, contemporaneamente, nel letto della sua camera all'Hotel Regis. Era così ovvio che eravamo tornati nel mondo della vita quotidiana che non facemmo domande o commenti in proposito. La luce del sole era quasi accecante.

«Come siamo tornati indietro?» chiese Carol. «O piuttosto, quando siamo tornati indietro?»

Non sapevo cosa dire o pensare. Ero troppo intontito per le congetture, che era comunque il massimo che avrei potuto fare.

«Credi che siamo appena tornati?» insisteva Carol. «O forse siamo stati qui a dormire tutta la notte.

Ma guarda un po'! Siamo nudi! Quando ci siamo spogliati?»

«Ci siamo spogliati in quell'altro mondo» risposi, e mi sorpresi per il suono della mia voce.

La mia risposta parve imbarazzare Carol. Guardò sconcertata prima me, poi il proprio corpo nudo.

Restammo seduti immobili per un'eternità. Sembrava che fossimo entrambi privi di volizione. Però, a un tratto, avemmo lo stesso pensiero esattamente nello stesso istante. Ci vestimmo a tempo di record, ci precipitammo fuori della camera e giù per le due rampe di scale, attraversammo la strada e irrompemmo nell'albergo di don Juan.

Inspiegabilmente a corto di fiato, visto che non avevamo certo fatto sforzi fisici, a turno gli spiegammo quello che avevamo fatto.

Ci sentimmo confermare le nostre teorie. «Quello che avete fatto voi due è in pratica la cosa più pericolosa che si possa immaginare» dichiarò.

Si rivolse a Carol e le disse che la nostra impresa era stata al tempo stesso un successo completo e un fiasco. Eravamo riusciti a trasferire la nostra consapevolezza del mondo quotidiano ai nostri corpi energetici, compiendo così il viaggio con tutta la nostra fisicità, ma avevamo fallito nell'evitare l'influenza degli esseri inorganici. Disse che di solito i sognatori vivono tutta l'operazione come una serie di lente transizioni, e che devono manifestare ad alta voce l'intento di usare la consapevolezza come elemento. Nel nostro caso, eravamo stati dispensati da tutti questi passaggi. Per l'intervento degli esseri inorganici, noi due eravamo stati scaraventati in un mondo micidiale a una velocità davvero terrificante.

«Non fu la somma delle vostre energie a rendere possibile il vostro viaggio» continuò. «Fu qualcos'altro. Io avevo perfino scelto gli abiti giusti per voi.»

«Vuoi dire, Nagual, che i vestiti, il letto e la stanza si materializzarono solo perché noi eravamo guidati dagli esseri inorganici?» domandò Carol.

«Ci puoi scommettere!» replicò lui. «Di solito i sognatori sono solo dei voyeur, ma, da come è andato il vostro viaggio, voi due avete avuto un posto di prima fila per rivivere la dannazione degli antichi stregoni. Quel che accadde loro è precisamente quello che è accaduto a voi. Gli esseri inorganici li portarono in mondi da cui non potessero tornare. Avrei dovuto sapere — ma non ci pensai affatto che gli esseri inorganici avrebbero preso il controllo e cercato di tendervi lo stesso tranello.»

«Vuoi dire che volevano tenerci laggiù?» chiese Carol.

«Se foste usciti da quel tugurio, a quest'ora vaghereste raminghi e senza speranza in quel mondo» affermò don Juan.

Ci spiegò che, poiché noi eravamo entrati in quel regno con tutta la nostra fisicità, la fissazione dei nostri punti di unione sulla posizione prescelta dagli esseri inorganici era così soverchiante da creare una specie di nebbia che cancellava ogni memoria del nostro mondo originario. Poi aggiunse che la conseguenza naturale di un'immobilità del genere è — come era stato per gli antichi stregoni — che il punto di unione del Sognatore non può tornare nella sua posizione abituale.

«Pensateci un po' su» ci stimolò lui. «Forse è proprio questo che sta accadendo a tutti noi nel mondo della vita quotidiana. Noi siamo qui, e la fissazione del nostro punto di unione è così soverchiante da averci fatto dimenticare da dove proveniamo e qual è lo scopo per il quale siamo venuti qui.»

Don Juan non volle dire altro sul nostro viaggio. Sentii che ci stava risparmiando ulteriore disagio e paura. Ci portò a pranzo, un po' fuori orario: quando arrivammo al ristorante, un paio di isolati più in giù lungo l'avenue Francisco Madero, erano le sei del pomeriggio! Carol e io avevamo dormito — se era quello che avevamo fatto — circa diciotto ore.

Don Juan era l'unico che avesse fame. Carol osservò, piuttosto irritata, che stava mangiando come un maiale. Parecchie teste si girarono dagli altri tavoli alla fragorosa risata di don Juan.

Era una sera calda. Il cielo terso. C'era una lieve, carezzevole brezza quando ci sedemmo su una panchina del paseo Alameda.

«Ho un dubbio che mi assilla» disse Carol a don Juan. «Non abbiamo usato la consapevolezza come mezzo per il nostro viaggio, vero?»

«Proprio così» disse don Juan, e fece un profondo sospiro. «Il compito era infilarsi di soppiatto fra gli esseri inorganici, non farsi dominare da loro.»

«Che accadrà ora?» insistette Carol.

«Dovrete rinviare l'agguato ai cacciatori finché non sarete più forti» dichiarò. «O forse non ce la farete mai. Non ha importanza, in fondo; se una cosa non va, ne andrà un'altra. La stregoneria è una sfida senza fine.»

Ci spiegò ancora, come se stesse tentando di imprimere la spiegazione nelle nostre menti, che per usare la consapevolezza come un elemento dell'ambiente, i sognatori devono prima fare un viaggio nel regno degli esseri inorganici. Poi devono usare quel viaggio come un trampolino e, fintanto che sono in possesso dell'energia cupa necessaria, devono esprimere l'intento di essere scagliati in un altro mondo per mezzo della consapevolezza.

«Il vostro viaggio fallì perché non aveste il tempo di usare la consapevolezza come elemento per viaggiare. Prima di giungere al mondo degli esseri inorganici, voi due eravate già in un altro mondo.»

«Cosa ci consigli di fare?» chiese Carol.

«Vi consiglio di vedervi il meno possibile» rispose. «Sono sicuro che gli esseri inorganici non si lasceranno sfuggire l'opportunità di catturarvi, specie se unite le vostre forze.»

Così, da quel momento in poi, Carol Tiggs e io stemmo apposta lontani l'uno dall'altra. L'idea che potessimo inavvertitamente provocare un viaggio del genere era per noi un rischio troppo grande. Don Juan incoraggiò la nostra decisione ripetendo più volte che insieme avevamo sufficiente energia per indurre gli esseri inorganici a tentare di adescarci di nuovo.

Don Juan riportò le mie esercitazioni del Sognare a vedere energia in stati di fantasticheria, generatori di energia. Nel corso del tempo, vidi tutto quello che mi si presentava. In questo modo entrai in uno stato molto particolare: diventai incapace di descrivere intelligentemente quel che vedevo. Avevo sempre la sensazione di aver raggiunto stati di percezione per i quali non possedevo il lessico.

Don Juan spiegava le mie incomprensibili e indescrivibili visioni come dovute al mio corpo energetico che non usava la consapevolezza quale elemento per viaggiare - perché io non avevo mai abbastanza energia — ma per entrare nei campi energetici della materia inanimata o degli esseri viventi.

 

11
L'Inquilino 
    Non ci furono più pratiche del Sognare per me, come ero abituato a farne. Quando incontrai ancora don Juan, egli mi affidò alla guida di due donne del suo seguito, Florinda e Zuleica, le sue più strette collaboratrici e compagne. Le loro lezioni non riguardavano affatto i varchi del Sognare, ma diverse maniere di usare il corpo energetico, e non durarono abbastanza per essere influenti. Tutte e due mi davano l'impressione di essere più interessate a controllarmi che non a insegnarmi qualcosa.

«Non c'è niente altro che io possa insegnarti sul Sognare» mi disse don Juan quando gli chiesi come stavano le cose. «Il mio tempo su questa Terra si è concluso. Ma Florinda resta. È lei che dirigerà non solo te, ma tutti i miei altri apprendisti.»

«Proseguirà lei le mie esercitazioni del Sognare?»

«Non lo so e non lo sa neanche lei. Dipenderà dallo spirito. Il vero giocatore è lui. Noi non siamo giocatori: siamo solo pedine nelle sue mani. Seguendo i comandi dello spirito, devo dirti che cos'è il quarto varco del Sognare, benché non possa più farti da guida.»

«A quale scopo vuoi stuzzicarmi l'appetito? Preferirei non sapere.»

«Lo spirito non lascia decidere a me o a te. Io devo descriverti il quarto varco del Sognare, che ti piaccia o no.»

Don Juan mi spiegò che al quarto varco del Sognare, il corpo energetico viaggia verso luoghi specifici, concreti, e che ci sono tre modi di usare il quarto varco: uno, viaggiare verso luoghi concreti di questo mondo; due, viaggiare verso luoghi concreti fuori da questo mondo; tre, viaggiare

verso luoghi che esistono solo nell'intento degli altri. Dichiarò che l'ultimo è il più difficile e pericoloso dei tre e, di gran lunga, il prediletto degli antichi stregoni.

«Cosa vuoi che faccia della conoscenza?» gli chiesi. «Nulla per ora. Mettila in serbo fino a quando non ne avrai bisogno.»

«Vuoi dire che posso passare attraverso il quarto varco del Sognare per mio conto, senza aiuti?»

«Che tu possa o non possa farlo dipende dallo spirito.»

Lasciò cadere di colpo l'argomento, ma non mi diede l'impressione che potessi accingermi ad attraversare il quarto varco tutto da solo.

Poi don Juan mi fissò un ultimo appuntamento per darmi, disse, l'addio dello stregone: il tocco conclusivo delle mie pratiche del Sognare. Mi disse di andare da lui nella cittadina del Messico meridionale dove viveva con il suo seguito.

Arrivai nel tardo pomeriggio. Ci sedemmo nel patio della sua casa su scomode seggiole di vimini, coperte di cuscini spessi e troppo grandi. Don Juan rise e mi strizzò l'occhio: quelle sedie gliele aveva regalate una delle donne del suo seguito e noi dovevamo starcene seduti lì tranquilli, come se non avessimo un pensiero al mondo, specie lui. Le sedie erano state acquistate a Phoenix, in Arizona, e portate in Messico con grandi difficoltà.

Don Juan mi chiese di leggergli una poesia di Dylan Thomas che secondo lui aveva un significato molto pertinente per me, a quel punto della mia vita.

 

Ho desiderato allontanarmi

dal sibilo delle trascorse menzogne

e dall'urlo eterno degli antichi terrori

che più mostruoso ingigantisce mentre il giorno

s'inabissa oltre le colline nel mare profondo...



Ho desiderato allontanarmi ma ho paura:

un alito di vita, ancora non spento,

potrebbe esplodere dalla vecchia bugia che brucia ai miei piedi,

e, scoppiando alto nell'aria, spegnermi lo sguardo.

 

Don Juan si alzò e annunciò che sarebbe andato a fare una passeggiata in piazza al centro della città. Mi chiese di accompagnarlo. Io pensai subito che la poesia avesse rivangato in lui qualcosa di negativo e volesse scacciarlo.

Raggiungemmo la piazza quadrata senza aver detto una sola parola. La percorremmo in lungo e in largo un paio di volte, sempre senza parlare. C'erano parecchie persone in giro per i negozi che si aprivano lungo le strade sui lati est e nord del parco. Tutte le strade intorno alla piazza avevano una pavimentazione irregolare. Le case erano massicce costruzioni di mattoni a un solo piano, con tetti ricoperti di tegole, muri imbiancati a calce, porte verniciate in blu o marrone. In una strada laterale, a un isolato dalla piazza, gli alti muri di una chiesa coloniale, che sembrava una moschea moresca, incombevano minacciosi sul tetto dell'unico albergo della città. Sul lato sud c'erano due ristoranti che inesplicabilmente coesistevano fianco a fianco facendo buoni affari, offrendo quasi lo stesso menu agli stessi prezzi.

Ruppi il silenzio e domandai a don Juan se anche lui trovava strano che i due ristoranti fossero più o meno uguali.

«In questo posto tutto è possibile» rispose.

Il modo in cui lo disse mi fece provare una sensazione di disagio.

«Perché sei così nervoso?» mi domandò, con espressione seria. «Sai qualcosa che non mi vuoi dire?»

Sembrava che stesse facendo grandi sforzi per non ridere. «I Nagual in fondo non sono gli esseri più amichevoli della Terra» disse, in tono di scusa. «L'ho imparato sulla mia pelle, quando ero contrapposto al mio Maestro, il terribile Nagual Julian. Bastava la sua sola presenza per terrorizzarmi oltre ogni dire. E quando focalizzava la sua attenzione su di me, pensavo sempre che la mia vita non valesse un soldo bucato.»

«Ti garantisco, don Juan, che tu fai lo stesso effetto a me.»

Rise apertamente. «No, no. Sei tu che stai esagerando. Io sono un angelo, a paragone.»

«Potrai ben essere un angelo, a paragone, ma io non ho il Nagual Julian con cui confrontarti.»

Rise un momento, poi ridiventò serio.

«Non so perché, ma ho proprio paura» gli spiegai. «Pensi di aver motivo di essere spaventato?» mi chiese, e si fermò per scrutarmi.

Il suo tono di voce e le sopracciglia inarcate mi diedero l'impressione che sospettasse che io sapessi qualcosa che non volevo dirgli. Si aspettava chiaramente qualche rivelazione da parte mia.

«La tua insistenza mi stupisce» dissi. «Sei sicuro di non essere tu ad avere qualche asso nella manica?»

«Ce l'ho davvero questo asso» ammise ghignando. «Ma non è questo il problema. Il problema è che in questa città c'è qualcosa che ti sta aspettando. E tu non sai bene cosa sia, o lo sai ma non osi dirmelo, o non ne hai la più pallida idea.»

«Che cosa mi sta aspettando qui?»

Invece di rispondermi, don Juan riprese bruscamente la sua passeggiata, e continuammo a girare per la piazza in assoluto silenzio. Andammo su e giù parecchie volte, cercando un posto per sederci. Poi, un gruppetto di ragazze si alzò da una panchina e andò via.

«Sono anni ormai che ti descrivo le pratiche aberranti degli stregoni dell'antico Messico» disse don Juan, sedendosi e invitandomi a sedere accanto a lui.

Cominciò a raccontarmi di nuovo — con il fervore di chi non l'ha mai raccontato prima — ciò che mi aveva detto tante volte: che quegli stregoni, guidati da interessi molto egoistici, avevano impiegato ogni loro sforzo a perfezionare le pratiche che li spingevano sempre più lontano dalla sobrietà o dall'equilibrio mentale; e che essi furono alla fine sterminati quando la loro complessa mole di credenze e pratiche divenne così ingombrante da divenire insostenibile.

«Gli stregoni dell'antichità vissero e proliferarono in questa zona» disse, osservando le mie reazioni.

«Qui, in questa città, costruita proprio sui resti di una delle loro. Qui, in questa zona, gli stregoni dell'antichità svolsero tutte le loro operazioni.»

«Lo sai per certo, don Juan?»

«Eccome, e lo saprai anche tu molto presto.»

La mia crescente ansia mi stava costringendo a fare una cosa che detestavo: focalizzarmi su di me. Don Juan, avvertendo la mia frustrazione, mi istigò.

«Tra poco sapremo se tu sei come gli stregoni antichi o quelli moderni» disse.

«Mi stai facendo impazzire con questa strana e minacciosa conversazione» protestai io.

Stare con don Juan per tredici anni mi aveva condizionato, soprattutto, a concepire il panico come qualcosa che era lì, girato l'angolo, pronto a essere scatenato.

Don Juan parve titubare. Notai i suoi sguardi furtivi in direzione della chiesa. Era perfino distratto. Quando gli parlai, non mi stette a sentire. Dovetti ripetere la domanda. «Aspetti qualcuno?»

«Sì» rispose. «Più che certamente. Stavo sentendo che aria tira. Mi hai sorpreso mentre stavo analizzando la zona con il mio corpo energetico.»

«Che hai sentito, don Juan?»

«Il mio corpo energetico sente che è tutto a posto. Si va in scena stasera, e tu sei il principale protagonista. Io sono un caratterista con una parte piccola ma molto significativa. Esco al primo atto.»

«Di che diavolo stai parlando?»

Non mi rispose, ma mi sorrise con aria furba. «Sto preparando il terreno» disse. «Ti sto riscaldando, per così dire, insistendo sul fatto che gli stregoni moderni hanno imparato una dura lezione. Si sono accorti che solo se rimangono totalmente distaccati potranno avere l'energia per essere liberi. Il loro è un caso peculiare di distacco, che scaturisce non dalla paura o dall'indolenza, ma dalla convinzione.»

Don Juan fece una pausa e si alzò, distese le braccia davanti a sé e poi sui fianchi, quindi dietro la schiena.

«Fallo anche tu, ti rilassa» mi consigliò. «E hai bisogno di essere rilassato per far fronte a ciò che sta per capitarti stanotte.» Mi rivolse un largo sorriso. «O distacco totale o completa condiscendenza, stanotte. È una scelta che ogni Nagual del mio lignaggio deve fare.» Si sedette di nuovo e respirò profondamente. Quel che aveva detto pareva avergli tolto ogni energia.

«Credo di poter capire il distacco e la condiscendenza,» proseguì «in quanto ho avuto il privilegio di conoscere due Nagual: il mio benefattore, il Nagual Julian, e il suo benefattore, il Nagual Elias. Ho visto con i miei occhi la differenza fra i due. Il Nagual Elias era distaccato al punto che poté mettere da parte un dono di potere. Anche il Nagual Julian era distaccato, ma non abbastanza da mettere da parte regali simili.»

«A giudicare da quello che stai dicendo,» esclamai «mi pare che per stanotte tu mi stia preparando un test a sorpresa, vero?»

«Io non ho il potere di farti test di nessun genere, così all'improvviso, ma lo spirito sì» replicò con un ghigno, poi aggiunse: «Sono soltanto il suo agente, io».

«Cosa mi farà lo spirito, don Juan?»

«Tutto quel che posso dire, è che stanotte avrai una lezione sul Sognare, una lezione come quelle che si facevano una volta, ma non sarò io a tenertela. Stanotte sarà qualcun altro tuo Maestro e guida.»

«Chi sarà mio Maestro e guida?»

«Una visita, che potrebbe risultare una grossa sorpresa per te, o non esserlo affatto.»

«E qual è la lezione sul Sognare che avrò?»

«È una lezione sul quarto varco del Sognare, ed è divisa in due parti. La prima parte te la spiegherò subito. La seconda non te la può spiegare nessuno, perché è qualcosa che riguarda solo te. Tutti i Nagual del mio lignaggio hanno avuto questa lezione in due parti, ma nessuna di quelle lezioni era eguale alle altre; erano fatte su misura perché rispondessero alle naturali inclinazioni personali di quei Nagual.»

«La tua spiegazione non mi aiuta affatto, don Juan. Sto diventando sempre più nervoso.»

Rimanemmo silenziosi per un bel po'. Ero scosso e irrequieto, e non sapevo cos'altro dire senza continuare a fare critiche.

«Come tu già sai, per gli stregoni moderni percepire direttamente l'energia è questione di conquiste personali» disse don Juan. «Noi manovriamo il punto di unione tramite l'autodisciplina. Per gli antichi stregoni, lo spostamento del punto di unione era conseguenza della soggezione ad altri, i loro Maestri, che compivano quegli spostamenti con operazioni misteriose e li concedevano ai loro discepoli come doni di potere.

«E possibile che qualcuno con un'energia maggiore della nostra possa farci qualsiasi cosa» continuò.

«Per esempio, il Nagual Julian avrebbe potuto trasformarmi in tutto quello che gli fosse piaciuto, un diavolo o un santo. Ma era un Nagual impeccabile e mi lasciò essere me stesso. Gli antichi stregoni non erano così impeccabili e, con i loro incessanti sforzi per ottenere il controllo sugli altri, crearono una situazione di oscurità e terrore che si tramandò da Maestro a discepolo.»

Si alzò in piedi e fece spaziare lo sguardo tutt'intorno. «Come puoi vedere, questa città non è un gran che, ma ha questo fascino unico per i guerrieri del mio lignaggio. Qui è la fonte di quel che siamo e la fonte di quel che non vogliamo essere.

«Poiché io sono arrivato alla fine del mio tempo, devo passarti certe idee, raccontarti certe storie, metterti in contatto con certi esseri, proprio qui, in questa città, esattamente come fece con me il mio benefattore.»

Don Juan affermò di stare ripetendo cose che mi erano già familiari, e che tutto quello che lui era e conosceva l'aveva ricevuto in eredità dal suo Maestro, il Nagual Julian. Questi, a sua volta, aveva ereditato tutto dal suo Maestro, il Nagual Elias, e il Nagual Elias dal Nagual Rosendo; questi dal Nagual Lujan; il Nagual Lujan dal Nagual Santisteban; e il Nagual Santisteban dal Nagual Sebastian.

Mi raccontò ancora, in tono molto formale, quello che mi aveva spiegato prima molte volte: che c'erano stati otto Nagual prima del Nagual Sebastian, e tutti molto diversi. Avevano un diverso comportamento verso la stregoneria, un diverso concetto, benché fossero sempre direttamente collegati al suo lignaggio stregonesco.

«Ora devi ricordarti — e ripetermi — tutto quello che ti ho detto sul Nagual Sebastian» pretese.

La sua richiesta mi parve strana, ma io gli ripetei tutto quanto mi era stato detto, da lui o dai suoi compagni sul Nagual Sebastian e il vecchio mitico stregone, lo Sfidante della Morte, noto anche come l'Inquilino.

«Tu sai che lo Sfidante della Morte ci fa doni di potere per ogni generazione» disse don Juan. «E la natura particolare di quei doni di potere è ciò che ha cambiato il corso del nostro lignaggio.»

Mi spiegò che l'Inquilino, essendo uno stregone della vecchia scuola, aveva appreso dai suoi Maestri tutte le complessità dello spostamento del punto di unione. Poiché aveva probabilmente migliaia d'anni di strana esistenza e consapevolezza — tempo sufficiente per migliorare qualsiasi cosa — ora sapeva come raggiungere e mantenere centinaia, se non migliaia, di posizioni del punto di unione. I suoi doni erano simili a mappe per spostare il punto di unione in luoghi particolari, o a manuali su come bloccarlo in una qualsiasi di quelle posizioni in modo da acquisire coesione.

Don Juan era al massimo della sua forma di narratore. Non l'avevo mai visto più drammatico. Se non l'avessi conosciuto bene, avrei giurato che la sua voce aveva l'inflessione profonda e preoccupata di chi è in preda alla paura o all'angoscia. I suoi gesti mi diedero l'impressione di un buon attore che stesse interpretando alla perfezione nervosismo e preoccupazione.

Don Juan mi guardò attento e, col tono di chi fa una dolorosa rivelazione, mi disse che, per esempio, il Nagual Lujan aveva ricevuto dall'Inquilino il dono di cinquanta posizioni. Scosse la testa ritmicamente, come se in silenzio mi stesse chiedendo di considerare quello che aveva appena detto. Io restai zitto.

«Cinquanta posizioni!» esclamò, meravigliato. «Per un dono, una o al massimo due posizioni del punto di unione sarebbero state più che adeguate.»

Si strinse nelle spalle, esprimendo a gesti la sua perplessità. «Mi è stato detto che all'Inquilino piaceva moltissimo il Nagual Lujan» continuò. «Strinsero un'amicizia tanto intima da diventare praticamente inseparabili. Lujan e l'Inquilino erano soliti presentarsi tutte le mattine in quella chiesa laggiù, per la prima messa.»

«Proprio qui, in questa città?»

«Proprio qui» rispose. «Forse si sedettero in questo stesso posto, su un'altra panchina, più di cent'anni fa.»

«Davvero il Nagual Lujan e l'Inquilino passeggiarono in questa piazza?» domandai ancora, incapace di vincere la mia sorpresa.

«Ma certo!» esclamò. «Ti ho portato qui stasera perché la poesia che mi stavi leggendo mi ha segnalato che era ora tu conoscessi l'Inquilino.»

Il panico mi invase a velocità supersonica. Per un attimo dovetti respirare a bocca aperta.

«Siamo stati a discutere delle strane conquiste degli stregoni dei tempi passati» proseguì don Juan. «Ma è sempre difficile quando si deve parlare soltanto di idealità, senza una conoscenza di prima mano. Posso ripeterti da ora fino al giorno del giudizio qualcosa che per me è chiara come l'acqua ma per te impossibile da capire o credere, perché tu non ne hai una conoscenza pratica.»

Si alzò e mi scrutò da capo a piedi. «Andiamo in chiesa» disse. «All'Inquilino piacciono la chiesa e i suoi dintorni. Sono sicuro che questo è il momento giusto per andarci.»

Nel corso della mia associazione con don Juan, avevo provato rarissime volte un'apprensione come quella che provavo adesso. Ero inebetito. Quando m'alzai, tremavo tutto come una foglia. Avevo l'impressione di avere lo stomaco legato in tanti nodi, eppure, quando s'avviò verso la chiesa, lo seguii senza dire una parola con le ginocchia che tremavano e cedevano a ogni passo. Quando ebbi percorso il breve isolato dalla piazza ai gradini di tufo del portico della chiesa, stavo per svenire. Don Juan mi mise un braccio intorno alle spalle per sostenermi.

«Ecco l'Inquilino!» disse, come se niente fosse, quasi avesse scorto un vecchio amico.

Guardai nella direzione che mi stava indicando, e vidi un gruppo di cinque donne e tre uomini all'estremità più lontana del portico. La mia occhiata rapida e spaventata non registrò nulla d'insolito in quelle persone. Non so neanche dire se stessero entrando o uscendo dalla chiesa. Notai, tuttavia, che sembravano riunite lì per caso. Non erano insieme.

Quando don Juan e io raggiungemmo la porticina, ritagliata nei massicci portali lignei della chiesa, erano già entrate tre donne. I tre uomini e le altre due donne stavano andando via. Provai un momento di confusione e guardai don Juan per avere indicazioni. Mi indirizzò con il mento verso il fonte battesimale.

«Dobbiamo seguire le regole, e fare il segno della croce» mormorò.

«Dov'è l'Inquilino?» gli chiesi, sempre sussurrando.

Don Juan intinse la punta delle dita nell'acquasantiera e fece il segno della croce. Con un perentorio cenno del mento, mi invitò a fare altrettanto.

«L'Inquilino era uno dei tre uomini che sono usciti?» gli sussurrai io all'orecchio.

«No» sussurrò anche lui in risposta. «È una delle tre donne che sono rimaste. Quella nell'ultima fila.»

In quel momento, una donna dell'ultima fila si girò verso di me, sorrise e mi fece un cenno col capo.

Raggiunsi la porta in un sol balzo e mi precipitai fuori. Don Juan mi corse dietro. Con agilità incredibile mi raggiunse e mi afferrò per un braccio.

«Dove stai andando?» chiese, contorcendosi dalle risate.

Mi tenne saldamente mentre inspiravo a pieni polmoni. Stavo proprio soffocando. Don Juan continuava a ridere fragorosamente, a ondate. Mi staccai a forza e mi diressi verso la piazza. Mi venne dietro.

«Non avrei mai immaginato che ti saresti tanto scombussolato» disse, mentre lo scuotevano altre risate.

«Perché non mi hai detto che l'Inquilino era una donna?»

«Lo stregone lì dentro è lo Sfidante della Morte» disse solennemente. «Per uno stregone del genere, così versato negli spostamenti del punto di unione, essere uomo o donna è questione di scelta o di convenienza. Questa è la prima parte della lezione del Sognare che ti ho detto avresti avuto. E lo Sfidante della Morte è il visitatore misterioso che sta per guidarti.»

Si tenne i fianchi, mentre tossiva per l'eccessivo ridere. Io ero ammutolito. Poi mi prese una furia improvvisa: non ce l'avevo con don Juan, con me o con qualcuno in particolare. Era una furia fredda, che mi faceva sentire come se stessero per esplodermi tutti i muscoli del collo e del torace.

«Torniamo in chiesa!» urlai: non riconoscevo la mia stessa voce.

«Dai, dai» mi disse, piano. «Non devi prenderla così. Pensa. Rifletti. Valuta le cose. Modera gli impulsi. In vita tua, non sei mai stato sottoposto a una prova del genere. Ora hai bisogno di calma.

«Non posso dirti io quel che devi fare. Come ogni altro Nagual, posso solo metterti di fronte alla tua sfida, dopo averti elencato, in termini indiretti, tutto quanto è pertinente. Questa è un'altra delle operazioni del Nagual: dire tutto senza dirlo, o chiedere senza chiedere.»

Volevo farla finita in fretta. Ma don Juan disse che un attimo di pausa mi avrebbe fatto recuperare quanto restava della fiducia in me stesso. Mi stavano cedendo le ginocchia. Pieno di attenzioni, don Juan mi fece sedere sul bordo del marciapiede, e si mise accanto a me.

«La prima parte della lezione sul Sognare è che la mascolinità e la femminilità non sono stati finali, ma il risultato di un posizionamento specifico del punto di unione» disse. «E questo atto è questione di volizione e allenamento. Poiché stava a cuore agli antichi stregoni, sono loro i soli che possono far luce sull'argomento.»

Forse perché era l'unica cosa razionale da fare, cominciai a discutere con don Juan. «Non posso accettare o credere a quello che stai dicendo» scandii. Mi sentivo arrossire.

«Ma l'hai vista, la donna» replicò don Juan. «Credi che sia tutto un imbroglio?»

«Non so cosa pensare.»

«Quell'essere nella chiesa è una vera donna» ribatté con veemenza. «Perché la cosa ti disturba tanto? Che lei sia nata uomo dimostra solo il potere delle macchinazioni degli antichi stregoni, e questo non dovrebbe sorprenderti. Tu hai già espresso tutti i princìpi della stregoneria.»

Le mie viscere erano sul punto di scoppiare per la tensione. In tono accusatorio, don Juan disse che stavo solo facendo polemica. Con pazienza forzata ma vera pomposità, gli spiegai i fondamenti biologici della mascolinità e della femminilità.

«Io comprendo tutto ciò» ammise. «E tu dici cose esatte. Il tuo errore è cercare di rendere universali i tuoi giudizi.»

«Quelli di cui stiamo discutendo sono princìpi fondamentali» urlai. «Riguarderanno l'uomo qui o in qualsiasi altro angolo dell'universo.»

«Questo è vero. Vero» replicò con tono pacato. «Tutto quello che dici è vero purché il tuo punto di unione rimanga nella sua posizione abituale. Ma nel momento in cui è spostato oltre certi confini e il nostro mondo quotidiano non è più in funzione, nessuno dei princìpi che ti sono tanto cari ha il valore totale di cui parli.

«Il tuo errore sta nell'aver dimenticato che lo Sfidante della Morte ha superato quei confini migliaia e migliaia di volte. Non ci vuole un genio per realizzare che l'Inquilino non è più vincolato da quelle forze che trattengono te adesso.»

Gli dissi che la mia divergenza d'opinione, se potevamo chiamarla così, non era con lui, ma con l'accettazione del lato pratico della stregoneria che, fino a quel momento, era stato tanto improbabile da non avermi mai creato un reale problema. Ripetei che, come Sognatore, faceva parte della mia esperienza dichiarare che ogni cosa è possibile, nel Sognare. Gli ricordai che anche lui aveva sostenuto e coltivato questa convinzione, insieme con l'estrema necessità della fermezza di mente. Quello che lui proponeva come "Il caso dell'Inquilino" non stava in piedi. Era un soggetto buono solo per il Sognare, certamente non per il mondo di tutti i giorni. Gli comunicai che a mio parere la proposta era odiosa e insostenibile.

«Perché questa reazione violenta?» mi chiese con un sorriso.

La sua domanda mi colse di sorpresa. Mi sentii imbarazzato. «Credo che mi minacci fin nel profondo» ammisi. E parlavo in tutta serietà. Pensare che la donna nella chiesa fosse un uomo mi causava un certo disgusto.

La mia mente si trastullava con un pensiero: "Forse l'Inquilino è un travestito". Interrogai don Juan, seriamente, su una possibilità del genere. Rise così forte che sembrava sul punto di star male.

«Quella possibilità è troppo terrena» osservò. «Forse i tuoi vecchi amici avrebbero fatto una cosa così; i nuovi sono più ricchi di risorse e meno masturbatori. Ripeto: quell'essere nella chiesa è una donna. É una lei. E ha tutti gli organi e gli attributi di una femmina.» Sorrise malizioso. «Tu sei sempre stato attratto dalle donne no? Pare che questa situazione sia stata tagliata su misura per te.»

La sua allegria era tanto intensa e infantile da essere contagiosa. Scoppiammo a ridere tutti e due. Lui, con abbandono totale, io con totale apprensione.

Allora presi una decisione. Mi alzai e dichiarai ad alta voce che non avevo alcun desiderio di aver rapporti con l'Inquilino, di qualsivoglia forma o specie. La mia scelta mirava a evitare tutta questa storia e a tornare alla casa di don Juan e poi alla mia.

Don Juan replicò che la mia decisione gli andava benissimo, e così tornammo a casa. I miei pensieri correvano freneticamente: "Sto facendo la cosa giusta? Sto scappando per paura?". Come era ovvio, razionalizzai la mia decisione come quella giusta e inevitabile. Dopotutto, mi rassicurai, non ero interessato agli acquisti, e i doni dell'Inquilino equivalevano ad acquisizioni di proprietà. Poi mi colpirono il dubbio e la curiosità. C'erano tante domande che avrei potuto porre allo Sfidante della Morte!

Il cuore cominciò a battermi così intensamente che me lo sentivo contro lo stomaco. Il battito all'improvviso si trasformò nella voce dell'Emissario. Ruppe la promessa di non interferire e disse che una forza incredibile stava accelerando le mie pulsazioni cardiache per costringermi a ritornare nella chiesa; avviarmi verso la casa di don Juan era come camminare verso la mia morte.

Mi fermai e ripetei in fretta a don Juan le parole dell'Emissario. «È vero?» volli sapere.

«Temo di sì» ammise, in tono remissivo.

«Perché non me lo hai detto tu stesso, don Juan? Mi avresti lasciato morire perché mi ritieni vigliacco?» gli chiesi, furibondo.

«Non saresti morto così, in quattro e quattr'otto! Il tuo corpo energetico ha infinite risorse. E non mi è mai accaduto di pensare che fossi un vigliacco. Io rispetto le tue decisioni, e non me ne frega niente di quel che le provoca.

«Anche tu sei giunto al termine del tuo cammino, proprio come me: sii un vero Nagual! Non vergognarti di ciò che sei. Se fossi stato vigliacco credo che saresti morto di paura anni fa. Ma se ti spaventa troppo incontrare lo Sfidante della Morte, allora muori invece di affrontarlo. Non c'è da vergognarsene.»

«Torniamo alla chiesa» dissi, con quanta calma potei.

«Adesso sì, che arriviamo al dunque» esclamò don Juan. «Ma prima, torniamo al parco e sediamoci a considerare attentamente le tue opzioni. Nessuno ci fa fretta e inoltre è troppo presto per quanto ti attende.»

Tornammo al parco, trovammo subito una panchina libera e ci sedemmo.

«Devi capire che solo tu puoi decidere, per tuo conto, se vuoi o non vuoi incontrare l'Inquilino, e se vuoi accettare o rifiutare i suoi doni di potere» spiegò don Juan. «Ma la tua decisione deve essere comunicata a voce alla donna che è nella chiesa, in un faccia a faccia, voi due da soli, altrimenti non sarà valida.»

Don Juan disse che i regali dell'Inquilino erano straordinari, ma il prezzo da pagare era tremendo. Lui stesso non approvava né i doni né il loro prezzo.

«Prima di prendere la decisione definitiva,» continuò «devi conoscere tutti i dettagli delle nostre transazioni con quello stregone.»

«Preferirei non sentirne più parlare, don Juan» pregai. «È tuo dovere essere informato, altrimenti, come potresti mai prendere una decisione?»

«Non ti pare che starei meglio se sapessi il meno possibile dell'Inquilino?»

«No. Qui non si tratta di nascondersi finché non è finito il pericolo. Questo è il momento della verità. Tutto quello che hai fatto o sperimentato nel mondo della stregoneria ti ha condotto a questo punto. Io non volevo dirtelo, perché sapevo che te l'avrebbe riferito il tuo corpo energetico, ma non c'è modo di evitare questo appuntamento, neanche morendo. Hai capito?» Mi afferrò per le braccia, scuotendomi.

«Hai capito?» ripeté.

Io avevo capito tanto bene che gli chiesi se gli sarebbe stato possibile farmi cambiare livello di consapevolezza per alleviarmi paura e disagio. L'esplosione del suo «no» mi fece quasi sobbalzare.

«Devi affrontare lo Sfidante della Morte con freddezza e determinazione» proseguì. «E non puoi chiedere questo ad altri.»

Don Juan cominciò a ripetermi adagio tutto quello che già mi aveva detto sullo Sfidante della Morte. Mentre parlava, mi resi conto che parte della mia confusione era dovuta al suo particolare uso delle parole. In spagnolo, el desafiante de la muerte ed el enquilino (come in italiano, a differenza dal neutro dell'inglese), si riferiscono automaticamente a un uomo. Nel descrivermi il rapporto fra l'Inquilino e i Nagual del suo lignaggio, tuttavia, don Juan continuò ad alternare in spagnolo il maschile e il femminile, creando in me una gran confusione.

Disse che l'Inquilino era tenuto a pagare l'energia che lui aveva preso dai Nagual del nostro lignaggio, ma che quale che fosse la cifra da lui pagata, aveva bloccato quegli stregoni per generazioni. In pagamento dell'energia sottratta a tutti quei Nagual, la donna della chiesa aveva insegnato loro cosa fare esattamente per spostare i loro punti di unione fino a una posizione specifica, che lei stessa aveva scelto.

In altre parole, lei aveva legato ciascuno di quegli uomini con un dono di potere consistente in una specifica, preselezionata posizione del punto di unione, con tutte le sue implicazioni.

«Cosa vuoi dire con "tutte le implicazioni", don, Juan?»

«Voglio dire i risultati negativi di quei doni. La donna nella chiesa conosce solo la condiscendenza. Non c'è sobrietà o temperanza in lei. Per esempio, lei insegnò al Nagual Julian a sistemare il proprio punto di unione per essere, proprio come lei, una donna. Insegnare questo al mio benefattore, che era un inguaribile libertino, fu come dare liquori a un beone.»

«Ma non siamo noi i responsabili dalle nostre azioni individuali?»

«Sì, certo. Tuttavia alcuni di noi trovano più difficoltà di altri in questa responsabilizzazione. Aumentare volutamente quella responsabilità, come fa quella donna, significa fare su di noi troppa pressione, non necessaria.»

«Come sai che la donna nella chiesa lo fa apposta?»

«L'ha fatto a ciascuno dei Nagual del mio seguito. Se ci guardiamo in modo onesto e leale, dobbiamo ammettere che lo Sfidante della Morte ci ha trasformati, con i suoi doni, in una casata di stregoni molto condiscendenti e condizionati.»

Non potevo ignorare ancora l'illogicità del suo uso della lingua, e me ne lamentai con lui. «Quando parli di quello stregone, devi trattarlo da uomo o da donna, non tutti e due insieme» dichiarai in tono aspro. «Io sono troppo rigido, e il tuo arbitrario uso dei generi mi mette ancora più a disagio.»

«Anch'io mi sento molto a disagio» mi confessò. «Ma la verità è che lo Sfidante della Morte è sia maschio sia femmina. Non sono mai riuscito a prendere con buona grazia quel mutamento dello stregone. Ero sicuro che anche tu avresti reagito allo stesso modo, avendolo visto in precedenza come uomo.»

Don Juan mi fece ricordare di una volta, anni prima, quando mi aveva portato a conoscere lo Sfidante della Morte, e io avevo conosciuto un uomo, uno strano indio, non vecchio ma neanche giovane, di struttura delicata. Ricordo soprattutto il suo strano accento e l'uso di una insolita metafora per descrivere le cose che presumibilmente aveva visto. Diceva, mis ojos se pasearon, i miei occhi passarono su. Per esempio, disse: «I miei occhi passarono sugli elmi dei conquistatori spagnoli».

L'episodio era così vago nella mia mente che avevo sempre pensato che fosse durato solo pochi minuti. In seguito don Juan mi disse che ero rimasto con lo Sfidante della Morte per l'intera giornata.

«Il motivo per cui stavo cercando di scoprire prima se tu sapevi quel che stava accadendo,» continuò don Juan «era perché pensavo che anni prima tu stesso avessi fissato un appuntamento con lo Sfidante della Morte.»

«Mi attribuivi un credito non meritato, don Juan. In questo caso non so proprio quel che mi sta succedendo. Ma cosa ti ha fatto credere che io sapessi?»

«Lo Sfidante della Morte sembrava averti preso in simpatia. E ciò per me significava che avrebbe già potuto averti dato un dono di potere, benché tu non te ne ricordassi. O avrebbe potuto averti fissato un appuntamento con lui, nella sua veste di donna. Sospettai perfino che ti avesse dato precise istruzioni.»

Don Juan mi fece notare che lo Sfidante della Morte, essendo chiaramente una creatura di abitudini rituali, incontrava sempre i Nagual del suo lignaggio prima come uomo, come era accaduto con il Nagual Sebastian, e in seguito come donna.

«Perché chiami "doni di potere" i regali dello Sfidante della Morte? E perché tanto mistero?» domandai. «Tu da solo puoi spostare il tuo punto di unione in qualsiasi luogo tu voglia, no?»

«Si chiamano "doni di potere" perché sono i prodotti della conoscenza specializzata degli stregoni dell'antichità» disse. «Il mistero dei doni è che nessuno su questa Terra, con l'eccezione dello Sfidante della Morte, può darci un esempio di quella conoscenza. E, naturalmente, io posso spostare il mio punto di unione in qualsiasi posizione desideri, all'interno o all'esterno della forma di energia dell'uomo. Ma quel che io non posso, e che soltanto lo Sfidante della Morte può fare, è sapere come usare il mio corpo energetico in ciascuna di quelle posizioni per ottenere totale percezione e coesione.»

Mi spiegò poi che gli stregoni dei tempi moderni non conoscono i dettagli delle migliaia e migliaia di possibili posizioni del punto di unione.

«Cosa intendi per dettagli?» chiesi.

«Modi particolari di trattare il corpo energetico per mantenere il punto di unione fisso su posizioni specifiche» rispose.

Prese a esempio se stesso. Disse che il dono di potere fattogli dallo Sfidante della Morte era stata la posizione del punto di unione di un corvo e le procedure di manipolare il proprio corpo energetico per ottenere la percezione totale del corvo. Don Juan spiegò che la totale percezione e coesione, era ciò che gli antichi stregoni avevano cercato a ogni costo, e che, per quanto riguardava il suo dono di potere, la percezione totale lui l'aveva ottenuta tramite un deliberato procedimento che aveva dovuto apprendere, grado a grado, come s'impara a far funzionare una macchina molto complessa.

Inoltre don Juan spiegò che la maggior parte degli spostamenti sperimentati dagli stregoni dei tempi moderni sono limitati all'interno di un fascio sottile di filamenti luminosi di energia dentro l'uovo luminoso, un fascio chiamato la banda dell'uomo, o l'aspetto puramente umano dell'energia dell'universo. Oltre quella banda, ma sempre dentro l'uovo luminoso, c'è il regno dei grandi spostamenti. Quando il punto di unione si sposta in una posizione qualsiasi di quella zona, la percezione ci è ancora comprensibile, ma perché la percezione sia totale servono procedure dettagliatissime.

«Gli esseri inorganici ingannarono te e Carol Tiggs nel vostro ultimo viaggio aiutandovi a ottenere la coesione totale su un grande spostamento» disse don Juan. «Spostarono il tuo punto di unione nel luogo più lontano possibile, poi ti aiutarono a percepire in quel mondo come se ti trovassi in quello di tutti i giorni: una cosa quasi impossibile! Per quel tipo di percezione, uno stregone ha bisogno di conoscenza pragmatica o di amici influenti.

«I tuoi amici ti avrebbero tradito alla fine, lasciando te e Carol a cavarvela da soli e ad apprendere misure pragmatiche per sopravvivere in quel mondo. Voi due avreste potuto finire imbottiti di procedure pragmatiche fino a scoppiare, proprio come quegli antichi stregoni che tanto sapevano.

«Ogni grande spostamento ha funzioni interne diverse, che gli stregoni moderni potrebbero imparare se sapessero come fissare abbastanza a lungo il punto di unione durante tutti i grandi spostamenti. Solo gli stregoni dell'antico avevano la conoscenza specifica indispensabile per farlo.»

Don Juan proseguì dicendo che la conoscenza di specifiche procedure usate negli spostamenti non era stata disponibile per gli otto Nagual che avevano preceduto il Nagual Sebastian e che l'Inquilino aveva mostrato al Nagual Sebastian come raggiungere la percezione totale in dieci posizioni nuove del punto di unione. Il Nagual Santisteban ne ricevette sette, il Nagual Lujan cinquanta, il Nagual Rosendo sei; il Nagual Elias quattro; il Nagual Julian sedici e gliene mostrarono due; così si raggiunse un totale di novantacinque posizioni specifiche del punto di unione di cui era a conoscenza il suo lignaggio. Disse che se io gli avessi chiesto se considerava questo un vantaggio per la propria stirpe, avrebbe dovuto rispondere di no, perché il peso di quei doni li metteva più vicino allo stato d'animo degli antichi stregoni.

«È il tuo turno d'incontrare l'Inquilino, adesso» continuò. «Forse i doni che ti darà controbilanceranno il nostro equilibrio totale e il nostro lignaggio dovrà affondare nell'oscurità che sterminò gli antichi stregoni.»

«Tutto questo è tremendamente serio, mi fa star male» esclamai.

«Ti compiango di cuore» replicò con espressione grave. «So che non ti consolerà se ti dico che questa è la prova più difficile per un Nagual moderno. Aver di fronte qualcosa di antico e misterioso come l'Inquilino non provoca timore ma nausea. Almeno, era questo l'effetto che faceva e ancora fa a me.»

«Perché devo continuare, don Juan?»

«Perché, senza saperlo, tu hai accettato l'impresa con lo Sfidante della Morte. Durante il tuo apprendistato io ti strappai un'accettazione, e allo stesso modo me la strappò il mio Maestro, a mia insaputa.

«Ho vissuto anch'io il tuo stesso orrore, solo un po' più brutalmente di te.» Cominciò a ridacchiare.

«Il Nagual Julian era portato a fare scherzi tremendi. Mi disse che c'era una vedova, bellissima e passionale che era innamorata pazza di me. Il Nagual mi portava spesso in chiesa con lui, e io avevo visto che una donna mi fissava. A mio parere era una gran bella donna, e io ero un giovane voglioso: così, quando il Nagual mi disse che le piacevo, ci cascai. Il risveglio fu molto brusco!»

Dovetti farmi forza per non ridere al gesto di innocenza perduta di don Juan. Poi l'idea della sua situazione mi colpì: non era divertente ma agghiacciante.

«Don Juan, sei sicuro che quella donna sia l'Inquilino?» gli domandai, sperando che si trattasse, forse, di un errore o di un brutto scherzo.

«Sono molto, molto sicuro» disse. «Inoltre, anche se fossi così stupido da dimenticare l'Inquilino, il mio vedere non può sbagliare.»

«Vuoi dire, don Juan, che l'Inquilino ha un diverso tipo di energia?»

«No, non un tipo diverso di energia, ma certo caratteristiche di energia diverse da quelle di una persona normale.»

«Sei assolutamente sicuro, don Juan, che quella donna sia l'Inquilino?» insistetti, preso da una strana repulsione e paura.

«Quella donna è l'Inquilino» affermò don Juan, con voce che non ammetteva dubbi.

Restammo zitti. Aspettavo la prossima mossa in preda a un panico indescrivibile.

«Ti ho già detto che dipende dalla posizione del punto di unione essere un uomo — o una donna — naturale» disse don Juan. «Per "naturale" intendo chi è nato uomo o donna. Per un veggente, la parte più luminosa del punto di unione è rivolta verso l'esterno nelle donne, e verso l'interno negli uomini. Il punto di unione dell'Inquilino in origine era rivolto verso l'interno, ma lui lo cambiò attorcigliandolo, e rendendo la sua forma di energia a uovo simile a una conchiglia ripiegata su se stessa.»

 
12
La donna nella chiesa 
     Don Juan e io restammo seduti in silenzio. Io avevo esaurito tutte le mie domande, lui pareva mi avesse detto tutto quel che c'era da dire. Non dovevano essere più delle sette di sera, ma la piazza era insolitamente deserta. Faceva caldo e in città, a quell'ora, la gente di solito andava su e giù per la piazza fino alle dieci o alle undici.

Per un attimo considerai quanto mi stava accadendo: il mio tempo con don Juan era agli sgoccioli. Lui e il suo seguito stavano per soddisfare il sogno di ogni stregone, lasciare questo mondo ed entrare nelle dimensioni incommensurabili. Sulla base dei miei limitati successi nel Sognare, credevo che le loro pretese non fossero illusorie, ma sobrie, anche se contro ogni razionalità. Il loro fine era percepire l'ignoto, e ci erano riusciti.

Don Juan aveva ragione quando diceva che il Sognare, provocando lo spostamento sistematico del punto di unione, libera la percezione, allargando il campo di quel che può essere percepito. Infatti, il Sognare non solo aveva spalancato le porte di altri mondi percepibili agli stregoni del suo seguito, ma li aveva preparati perché entrassero in quei regni in totale consapevolezza. Il Sognare, per loro, era diventato ineffabile, senza precedenti, qualcosa alla cui natura e portata si poteva solo alludere, come quando don Juan aveva detto che è il varco verso la luce e l'oscurità del cosmo.

Per loro c'era solo una cosa in sospeso: il mio incontro con lo Sfidante della Morte. Mi spiaceva che don Juan non me ne avesse informato in modo da potermi preparare meglio. Ma lui era un Nagual che faceva tutte le cose importanti d'impulso, senza alcun preavviso.

Per un attimo sembrò che tutto andasse bene; me ne stavo seduto con don Juan nel parco, in attesa che le cose si sviluppassero. Ma poi la mia stabilità emotiva subì un moto verso il basso e, in men che non si dica, mi trovai sull'orlo della disperazione. Fui assalito da meschine considerazioni sulla sicurezza, le mie mete, le mie speranze nel mondo, le mie preoccupazioni. A un più attento esame, tuttavia, dovetti ammettere che forse l'unica preoccupazione vera riguardava le mie tre compagne nel mondo di

don Juan. Eppure, ripensandoci, anche quello non era un problema: don Juan aveva insegnato loro a essere un tipo di maghe che sanno sempre cosa fare e, più importante di tutto, le aveva preparate a sapere sempre cosa fare di quel che sapevano. Avendo tutti i possibili motivi di questa terra per sentirmi ormai da parecchio liberato dall'angoscia, l'unica cosa che mi rimaneva era il pensiero di me stesso. Mi ci dedicai senza vergogna. Un'ultima condiscendenza: la paura di morire per mano dello Sfidante della Morte. La paura si tramutò in terrore, tanto che diedi di stomaco. Cercai di scusarmi, ma don Juan scoppiò a ridere.

«Non sei mica l'unico tanto sconvolto da vomitare per la paura» disse. «Quando io incontrai lo Sfidante della Morte, me la feci nei calzoni, sai.»

Aspettai in silenzio per un lungo, insopportabile momento. «Sei pronto?» mi domandò. Dissi di sì. E lui aggiunse, alzandosi: «Allora andiamo a scoprire come te la caverai sulla linea del fuoco».

S'incamminò per tornare alla chiesa. Per quanti sforzi faccia, tutto ciò che ricordo di quella camminata, a tutt'oggi, è che lui fu costretto a trascinarmi di peso lungo il percorso. Non ricordo di essere arrivato alla chiesa o di esservi entrato. La prima cosa di cui mi accorsi fu che ero inginocchiato su un lungo banco di legno consunto, accanto alla donna che avevo visto prima. Lei mi stava sorridendo. Mi guardai intorno, disperato, cercando con gli occhi don Juan, ma non riuscii a scorgerlo. Sarei volato via come un pipistrello fuori dall'inferno se la donna non mi avesse trattenuto afferrandomi il braccio.

«Perché hai tanta paura di una poverina come me?» mi chiese la donna in inglese.

Rimasi incollato al banco su cui ero inginocchiato. La sua voce mi aveva conquistato subito e senza remore. Non so descrivere cosa fosse nel suono velato che evocava le mie memorie più recondite. Era come se quella voce io l'avessi sempre conosciuta.

Restai lì, immobile, ipnotizzato da quel suono. Lei mi chiese qualcos'altro in inglese, ma non riuscii ad afferrare cosa stesse dicendo. Lei mi sorrise, comprensiva. «Non ti preoccupare» mi mormorò in spagnolo: si era inginocchiata alla mia destra. «Io comprendo la vera paura. Ci vivo insieme.»

Stavo per rivolgerle la parola quando sentii all'orecchio la voce dell'Emissario. «È la voce di Ermelinda, la tua balia» disse. L'unica cosa che io avessi mai saputo di Ermelinda era che era stata uccisa accidentalmente da un camion pirata. Ero scioccato che la voce della donna risvegliasse dal profondo antichi ricordi sopiti. Provai un'ansia straziante.

«Sono la tua balia!» esclamò piano la donna. «È straordinario! Vuoi poppare?» Un convulso di risate le scuoteva il corpo.

Feci uno sforzo sovrumano per rimanere calmo, eppure sapevo di star perdendo rapidamente terreno: tra pochissimo sarei andato fuori di testa del tutto.

«Non fare caso ai miei scherzi» disse la donna a bassa voce. «La verità è che tu mi piaci molto. Sei pieno di energia; vedrai che noi due staremo bene insieme.»

Due uomini anziani s'inginocchiarono proprio davanti a noi. Uno si girò a guardarci con curiosità. Lei non gli badò e continuò a bisbigliarmi all'orecchio.

«Lascia che ti tenga la mano» mi supplicò. Ma la sua richiesta era come un ordine. Le abbandonai la mia mano, incapace di dire no. «Grazie. Grazie per la fiducia che poni in me» sussurrò.

Il suono della sua voce velata mi faceva impazzire, così esotica, così terribilmente femminile. In nessun caso l'avrei mai presa per quella di un uomo che stesse cercando di passare per donna. Era una voce roca, ma non gutturale o stridula. Ricordava il suono di piedi scalzi che camminano adagio sulla ghiaia. Mi sforzai di rompere un invisibile manto di energia che pareva avermi avviluppato. Credevo di avercela fatta. Mi alzai, pronto ad andarmene, e ci sarei riuscito se anche la donna non si fosse alzata, mormorandomi all'orecchio: «Non scappar via, ho tante cose da dirti».

Mi sedetti come un automa, bloccato dalla curiosità. Strano, la mia ansia era sparita all'improvviso, e anche la mia paura. Ebbi anche la presenza di spirito di chiederle: «Sei davvero una donna?».

Lei ridacchiò piano, come una ragazzina. Poi si espresse con una frase contorta: «Se osi pensare che potrei trasformarmi in un orrido uomo e farti del male, sei gravemente in errore» disse, accentuando ancora di più quella strana, mesmerica voce. «Tu sei il mio benefattore. Io sono la tua serva, come lo sono stata per tutti i Nagual che ti hanno preceduto.»

Raccogliendo tutta la mia energia, le parlai con franchezza. «Sei libera di servirti della mia energia» le dissi. «È un regalo da parte mia, ma non voglio alcun dono di potere da te. Te lo dico molto seriamente.»

«Non posso prendere la tua energia gratis» mormorò. «Io pago quello che prendo, l'accordo è questo. È da stupidi dar via l'energia per nulla.»

«Sono stato uno stupido tutta la vita, credimi» aggiunsi. «Posso certo permettermi di farti un regalo. Non ci sono problemi, per me. Tu hai bisogno dell'energia, prendila. Ma io non intendo caricarmi di cose non necessarie. Non possiedo nulla e sto bene così.»

«Forse» esclamò, pensosa.

In tono aggressivo le chiesi se voleva dire che forse avrebbe preso la mia energia, o che non credeva che non avessi nulla e ne fossi contento.

Fece una risatina deliziata e disse che avrebbe preso la mia energia, visto che gliela offrivo con tanta generosità, ma avrebbe pagato: doveva darmi qualcosa dello stesso valore.

Sentendola parlare, mi resi conto che il suo spagnolo aveva uno stranissimo accento straniero. Aggiungeva un fonema nella sillaba centrale di ogni parola. Non avevo mai sentito nessuno parlare a quel modo.

«Il tuo accento è molto insolito» notai. «Da dove viene?»

«Quasi dall'eternità» fece, e sospirò.

Avevamo stabilito un primo contatto: io capii perché sospirasse. Era la cosa più vicina al permanente, mentre io ero temporaneo. Era questo il mio vantaggio. Lo Sfidante della Morte si era messo all'angolo da sé, e io ero libero. La scrutai con attenzione. Poteva avere da trentacinque a quarant'anni. Era un'india scura di pelle, imponente, ma non grassa o pesante. La pelle degli avambracci e delle mani era liscia, i muscoli sodi e giovani. Alta sull'uno e settanta. Indossava un abito lungo, uno scialle nero e guaraches.3

Poiché era inginocchiata, potevo anche vedere i suoi calcagni lisci e i potenti polpacci. Aveva stomaco e ventre piatti, e grossi seni che non poteva — o forse non voleva — nascondere sotto lo scialle. I capelli erano neri corvini, legati in una lunga treccia. Non era bella, ma neanche brutta. I lineamenti non avevano nulla di speciale.

Sentivo che non avrebbe mai attirato l'attenzione di nessuno se non fosse stato per gli occhi, che lei teneva volti in basso, nascosti sotto le palpebre abbassate. Erano occhi magnifici, limpidi, sereni. Oltre a quelli di don Juan, non avevo mai visto occhi più brillanti, più vivi.

Quegli occhi mi facevano sentire perfettamente a mio agio. Occhi così non potevano essere malvagi. Provai un impulso di fiducia e ottimismo, e la sensazione di averla sempre conosciuta. Ma ero anche consapevole di qualcos'altro: della mia instabilità emotiva. Mi aveva sempre afflitto nel mondo di don Juan, costringendomi a essere come uno yo-yo: avevo momenti di fiducia e comprensione totale solo perché fossero seguiti da miserevoli dubbi e sospetti. Questo episodio non sarebbe stato diverso. La mia mente sospettosa saltò su all'improvviso con un pensiero ammonitore: stavo per subire il fascino della donna!

«Hai imparato tardi lo spagnolo, vero?» dissi, giusto per uscire dai miei pensieri ed evitare che lei li leggesse.

«Solo ieri» ribatté, e scoppiò in una risata argentina, rivelando denti piccoli e stranamente bianchi, scintillanti come perle. La gente si girò a guardarci. Io abbassai la fronte, come se fossi assorto in preghiera. La donna mi si fece più vicina.

«C'è un posto dove potremmo parlare?» le chiesi.

«Stiamo parlando qui» rispose. «Ho parlato qui con tutti i Nagual del tuo lignaggio. Se tu bisbigli, nessuno saprà che stiamo parlando.»

Morivo dalla voglia di chiederle quanti anni avesse, ma un ricordo mi venne in soccorso, facendomi ragionare. Un mio amico per anni aveva continuato a pormi ogni genere di trabocchetti per farmi dichiarare la mia età. Io detestavo la sua piccineria, e ora ero qui a tenere lo stesso comportamento. Smisi all'istante.

Volevo raccontarglielo, solo per continuare a far conversazione. Sembrava che lei sapesse quanto mi passava per la mente. Mi strinse il braccio con gesto amichevole, quasi a dirmi che avevamo avuto lo stesso pensiero.

«Invece di farmi un regalo, non potresti dirmi qualcosa che possa aiutarmi nella mia strada?» le domandai.

Scosse il capo. «No» sussurrò. «Siamo terribilmente diversi. Più diversi di quanto ritenevo possibile.»

Si alzò e scivolò lungo il banco per uscire. Si genuflesse di fronte all'altare maggiore, poi si fece il segno della croce e a gesti mi invitò a seguirla a un piccolo altare laterale, alla nostra sinistra.

Ci inginocchiammo davanti a un crocefisso di grandezza naturale. «Sono viva da un tempo molto, molto lungo» disse. «Il motivo per cui ho avuto una vita così lunga è che io controllo gli spostamenti e i movimenti del mio punto di unione. Inoltre, non resto troppo a lungo qui nel tuo mondo. Devo salvare l'energia che ricevo dai Nagual del tuo lignaggio.»

«Com'è, vivere negli altri mondi?» domandai.

«È come nel tuo Sognare, tranne che io ho maggiore mobilità. E posso rimanere più a lungo dovunque voglia. Proprio come se tu volessi restare in qualcuno dei tuoi Sogni, a tuo piacimento.»

«Quando sei in questo mondo, sei bloccata in questa zona soltanto?»

«No. Vado dovunque voglio.»

«Vai sempre come donna?»

«Sono stata donna più a lungo di quanto non sia stata uomo. Decisamente, mi piace molto di più. Credo di aver quasi dimenticato come essere uomo. Mi sento tutta femmina!»

Mi afferrò la mano e la guidò a toccarle l'inforcatura. Il cuore mi batteva in gola: era davvero una femmina.

«Non posso prendere la tua energia, e basta» proseguì, cambiando argomento. «Dobbiamo fare un altro tipo di patto.»

Un'altra ondata di ragionamenti terreni mi colpì allora. Avrei voluto chiederle dove vivesse quando era in questo mondo. Non ebbi bisogno di esprimere la domanda per ricevere la risposta.

«Sei molto, molto più giovane di me» disse «e hai già delle difficoltà a dire alla gente dove abiti. E anche se li porti alla casa che possiedi o dove paghi l'affitto, non è lì che vivi.»

«Ci sono tante cose che vorrei domandarti, e invece non faccio che avere idee cretine.»

«Non c'è bisogno che tu mi chieda nulla. Tu già sai quello che io so. Ti era solo necessaria una scrollata perché potessi fare sfoggio di quello che sai e io te la sto dando, quella scrollata.»

Avevo idee cretine, ma non solo: ero così suggestionabile che, non appena lei ebbe finito di parlare, sapevo quello che sapeva lei e avevo la sensazione di sapere tutto e di non aver più bisogno di porre altre domande. Con tono scherzoso le feci notare la mia credulità.

«Non sei affatto un credulone» mi assicurò, perentoria. «Sai davvero tutto perché ora sei totalmente nella Seconda Attenzione. Guardati attorno!»

Per un attimo non riuscii a mettere a fuoco lo sguardo, come se mi fosse entrata acqua negli occhi. Quando la visione mi fu tornata normale, mi accorsi che era accaduto qualcosa di portentoso. La chiesa era diversa, più cupa, più sinistra, e in qualche modo più severa. Mi alzai e feci qualche passo verso la navata. Mi colpirono i banchi: non erano fatti con legname da costruzione, ma con pali sottili e contorti. Erano banchi messi insieme alla bell'e meglio, all'interno di un magnifico edificio di pietra. Anche la luce nella chiesa era diversa: era giallastra e la sua ridotta luminosità creava le ombre più nere che avessi mai visto. Proveniva dalle candele dei numerosi altari. Riuscii a vedere come la luce delle candele si sposasse bene con i massicci muri di pietra e gli ornamenti di una chiesa coloniale.

La donna mi stava fissando; lo splendore dei suoi occhi era eccezionale. Capii allora che stavo Sognando e lei stava dirigendo il mio Sognare. Ma io non avevo paura né di lei né del sogno.

Mi allontanai dall'altare laterale e guardai di nuovo la navata. C'erano fedeli inginocchiati che pregavano. Erano numerosissimi, persone stranamente piccole, scure, severe. Riuscivo a scorgere teste piegate per tutta la navata, fino ai piedi dell'altare maggiore. Quelli che mi erano più vicini mi fissarono con ovvia disapprovazione. Stavo osservando loro e ogni altra cosa intorno con estrema attenzione. Non si sentiva alcun rumore, però. La gente si muoveva, ma non c'era rumore.

«Non sento nulla» dissi alla donna, e la mia voce rimbombò, riecheggiando come se la chiesa fosse una conchiglia vuota.

Quasi tutte le teste si girarono verso di me, per guardarmi. La donna mi tirò indietro, nell'oscurità dell'altare laterale.

«Sentirai, se non ascolti con le tue orecchie» disse. «Ascolta con la tua Attenzione del sogno.»

Quello di cui avevo bisogno, dunque, era la sua intromissione. Fui di colpo inondato dal suono monotono di una moltitudine in preghiera. Ne fui subito conquistato. Lo trovavo il suono più stupendo che avessi mai sentito. Volevo esprimere il mio entusiasmo in proposito alla donna, ma non era più al mio fianco. La cercai con lo sguardo, era quasi arrivata al portale. Si voltò per farmi con la mano il segno di seguirla. La raggiunsi sotto il portico. Non c'erano lampioni, l'unica illuminazione era quella del chiaro di luna. Anche la facciata della chiesa era diversa, non ancora terminata. C'erano dappertutto blocchi quadrati di pietra calcarea. Intorno alla chiesa non c'erano case o altre costruzioni. Nel chiarore lunare la scena aveva del soprannaturale.

«Dove stiamo andando?» le domandai.

«In nessun posto» mi rispose. «Siamo venuti qui solo per avere più spazio, più intimità. Qui possiamo parlare fino a stancarci!»

Mi invitò a sedermi su un blocco di pietra di cava, mezzo scalpellato. «La Seconda Attenzione ha infiniti tesori da scoprire» cominciò. «La posizione iniziale in cui il Sognatore mette il proprio corpo ha un'importanza chiave. Sta lì il segreto degli antichi stregoni, che erano già antichi ai miei tempi. Pensaci.»

Mi sedeva tanto vicino che io sentivo il calore del suo corpo. Mi mise un braccio intorno alle spalle e mi serrò contro il petto. Il suo corpo aveva una fragranza molto insolita, mi ricordava gli alberi o la salvia. Non che lei si fosse messa un profumo; era tutto il suo essere che sembrava emanare il caratteristico odore delle pinete. Anche il calore del suo corpo non era come il mio o come quello di tutti quelli che conoscevo. Il suo era un calore fresco, mentolato, uniforme, equilibrato. Il pensiero che mi venne in mente fu che il suo calore sarebbe continuato ininterrotto, ma senza conoscere la fretta.

Poi lei cominciò a bisbigliare nel mio orecchio sinistro. Disse che i doni che lei aveva fatto ai Nagual del mio lignaggio avevano a che fare con quel che gli antichi stregoni chiamavano "le posizioni gemelle". Cioè, la posizione iniziale in cui un Sognatore mette il proprio corpo fisico per cominciare a Sognare è riflessa dalla posizione in cui, nei Sogni, egli mette il suo corpo energetico per fissare il punto di unione in una qualsiasi posizione di sua scelta.

Le due posizioni formano un'unità, disse, e gli antichi stregoni impiegarono migliaia di anni per scoprire il rapporto perfetto fra due posizioni qualsiasi. Commentò, con una risatina, che gli stregoni di oggi non avrebbero mai avuto il tempo o l'inclinazione per fare tutto quel lavoro, e che gli uomini e le donne del mio lignaggio erano davvero fortunati ad avere lei che faceva loro simili regali. La sua risata aveva un suono molto notevole, cristallino.

Non avevo capito bene la spiegazione delle posizioni gemelle. Con una bella faccia tosta le dissi che non intendevo praticare quelle cose lì, ma solo saperne qualcosa, come possibilità intellettuali.

«Che cosa vuoi sapere con esattezza?» mi chiese a bassa voce.

«Spiegami cosa intendi per posizioni gemelle, o per la posizione iniziale in cui il sognatore mette il corpo per iniziare a Sognare.»

«Come ti sistemi... sdraiandoti per cominciare a Sognare?» domandò.

«In un modo qualsiasi, non ho uno schema particolare. Don Juan non ha mai dato importanza a questo punto.»

«Be', io gliene do» disse e si alzò.

Cambiò posizione. Si sedette alla mia destra e mi sussurrò all'altro orecchio che, secondo quel che sapeva, la posizione in cui si mette il corpo è estremamente importante. Lei proponeva un sistema per dimostrarlo, eseguendo un esercizio molto delicato ma semplice.

«Comincia a Sognare sdraiato sul lato destro, con le ginocchia un po' piegate» disse. «La disciplina richiede di mantenere quella posizione e di addormentarsi così. Durante il Sognare, poi, bisogna fare l'esercizio di Sognare di stare esattamente nella stessa posizione e addormentarsi di nuovo così.»

«Che cosa succede?» domandai.

«Non fa spostare il punto di unione, voglio dire che non lo fa muovere davvero, quale che fosse la sua posizione nell'istante in cui ci si è addormentati per la seconda volta.»

«Quali sono i risultati di questo esercizio?»

«La percezione totale. Sono certa che i tuoi Maestri ti abbiano già detto che i miei doni sono doni di percezione totale.»

«Sì. Ma credo di non avere ben chiaro cosa voglia dire percezione totale» le mentii.

Lei mi ignorò e andò avanti a raccontarmi che le quattro variazioni dell'esercizio erano addormentarsi sul lato destro, sul sinistro, sulla schiena e a pancia in giù. Poi, nel sogno. l'esercizio consisteva nel Sognare di addormentarsi una seconda volta nella stessa posizione in cui si era cominciato a Sognare. Lei prometteva risultati straordinari che, disse, non era possibile prevedere.

Poi di colpo cambiò argomento e mi chiese: «Qual è il dono che vuoi per te?».

«Nessuno. Te l'ho già detto.»

«Insisto. Io devo farti un regalo, e tu devi accettarlo. Il nostro accordo è questo.»

«Il nostro accordo prevede che noi ti diamo energia. Dunque, prendila da me. Stavolta offro io: è il mio regalo per te.»

La donna sembrava ammutolita dalla sorpresa. E io continuavo a dirle che mi stava bene che prendesse la mia energia. Le dissi persino che mi piaceva moltissimo: naturalmente, lo pensavo. C'era in lei una tristezza suprema e, nel contempo, una profonda attrattiva che conquistavano.

«Ritorniamo in chiesa» balbettò.

«Se davvero vuoi farmi un regalo,» feci «portami a fare una passeggiata sotto la luna in questa città.»

Assentì col capo. «Purché tu non dica una parola» si raccomandò.

«Perché no?» domandai, ma sapevo già la risposta. «Perché stiamo Sognando» disse. «Ti porterò più giù, nella profondità del mio sogno.»

Spiegò che, finché restavamo in chiesa, io avevo abbastanza energia per pensare e conversare, ma che oltre i confini della chiesa la situazione era diversa.

«Perché?» chiesi con audacia.

In tono serissimo che non solo accrebbe la sua misteriosità ma mi terrorizzò, la donna disse: «Perché non esiste nulla, lì fuori. Questo è un sogno. Tu sei al quarto varco del Sognare, e stai Sognando il mio sogno..

Lei mi disse che la sua arte consisteva nell'essere capace di proiettare il suo intento, e che tutto ciò che vedevo intorno a me era frutto del suo intento. Mi mormorò che la chiesa e la città erano il risultato del suo intento: non esistevano, eppure c'erano. Aggiunse, fissandomi negli occhi, che questo era uno dei misteri di usare l'intento nella Seconda Attenzione per le posizioni gemelle del Sognare. Si poteva fare, ma non si poteva né spiegare né capire.

Mi raccontò che lei discendeva da un retaggio di stregoni che sapevano come muoversi nella Seconda Attenzione proiettando il loro intento. La storia era che gli stregoni della sua famiglia praticavano l'arte di proiettare i propri pensieri nel Sognare in modo da ottenere la perfetta riproduzione di qualsiasi oggetto o struttura o punto di riferimento o paesaggio di loro scelta.

Riferì che gli stregoni del suo lignaggio erano soliti iniziare fissando un oggetto semplice e memorizzandone ogni dettaglio. Poi chiudevano gli occhi e visualizzavano l'oggetto, correggendo quindi queste visualizzazioni confrontandole con l'oggetto reale, fino a quando riuscivano a vederlo, nella sua interezza, a occhi chiusi.

Nel loro schema di sviluppo il passo seguente era Sognare con l'oggetto e creare nel sogno una materializzazione totale di questo oggetto, dal punto di vista della loro percezione. Questo passo, disse la donna, era chiamato "il primo passo verso la percezione totale".

Da un oggetto semplice quegli stregoni passavano ad altri sempre più complessi. Il loro scopo ultimo era visualizzare, tutti insieme, un mondo totale, poi Sognare quel mondo e ricreare così un regno totalmente genuino dove loro potessero esistere.

«Se qualche stregone del mio lignaggio fosse capace di farlo,» proseguì la donna «potrebbe con facilità attirare chiunque nel suo intento, nel suo sogno. È quello che farò ora a te, e quello che feci a tutti i Nagual del tuo lignaggio.»

La donna ridacchiò. «Farai bene a credermi» continuò, come se non lo facessi già. «Intere popolazioni sono sparite Sognando così. È questo il motivo per cui ti dissi che questa chiesa e questa città sono uno dei misteri dell'intento nella Seconda Attenzione.»

«Intere popolazioni sono sparite in quel modo. Com'è stato mai possibile?» domandai.

«Visualizzarono e poi ricrearono nel sogno lo stesso paesaggio» rispose. «Tu non hai mai visualizzato nulla, così per te è molto pericoloso entrare nel mio sogno.»

Allora mi avvertì che attraversare il quarto varco del Sognare e viaggiare fino a posti che esistono solo nell'intento di qualcun altro era pericoloso, poiché ogni oggetto in questo sogno doveva essere qualcosa di molto personale.

«Hai ancora voglia di andare?» mi chiese.

Risposi di sì. Allora lei mi raccontò dell'altro sulle posizioni gemelle. L'essenza della sua spiegazione era che se, per esempio, io stessi Sognando della mia città natale e il mio sogno fosse cominciato quando ero sdraiato sul lato destro, avrei potuto molto facilmente rimanere nella città del mio sogno se fossi rimasto sul lato destro, nel sogno. e Sognare di essermi addormentato. Il secondo sogno non solo sarebbe necessariamente stato un sogno sulla mia città natale, ma sarebbe stato il sogno più concreto che si possa immaginare.

Era sicura che durante il mio tirocinio del Sognare avevo fatto infiniti sogni di grande concretezza, ma lei mi assicurò che ognuno di essi era stato un colpo di fortuna, in quanto l'unico modo di avere il controllo assoluto dei sogni era usare la tecnica delle posizioni gemelle.

«E non chiedermi perché» aggiunse. «Capita. Come tutto il resto.» Mi fece alzare e ancora mi ammonì di non parlare e non allontanarmi da lei. Mi prese per mano con gentilezza, come se fossi un bambino, e ci dirigemmo verso una macchia di scuri profili di case. L'acciottolato della strada che stavamo seguendo era stato ottenuto martellando di traverso nel terreno duri ciottoli di fiume. L'ineguale martellamento aveva creato superfici irregolari: sembrava che gli stradini avessero seguito i contorni del terreno senza preoccuparsi di livellarlo.

Le case erano grandi costruzioni polverose a un piano, imbiancate a calce e con il tetto di tegole. C'era gente in giro, tranquilla. Ombre scure all'interno delle case mi diedero la sensazione di vicini curiosi ma spaventati, che pettegolavano dietro le porte chiuse. Riuscivo anche a scorgere le montagne piatte che circondavano la città.

Contrariamente a quanto mi accadeva sempre nel Sognare, i miei processi mentali restarono indenni. I pensieri non furono spazzati via dalla forza degli avvenimenti del sogno. I miei calcoli mentali mi dissero che mi trovavo nella versione sogno della città in cui abitava don Juan, ma in epoca diversa. La mia curiosità era al massimo. Io ero con lo Sfidante della Morte, nel suo sogno. ma era un sogno. Lei stessa mi aveva detto che era un sogno. Volevo osservare tutto, essere più che attento. Volevo mettere tutto alla prova vedendo l'energia. Mi sentivo in imbarazzo, ma la donna mi strinse più forte la mano come per darmi il segnale della sua approvazione.

Sentendomi ancora assurdamente timido, d'istinto dichiarai ad alta voce il mio intento di vedere. Nelle mie pratiche del Sognare, avevo sempre usato la frase «Voglio vedere energia.» Ogni tanto avevo dovuto ripeterla più volte, finché non ottenevo quel che volevo. Questa volta, nella città di sogno della donna, quando cominciai a ripeterla al mio solito modo, lei cominciò a ridere. La sua risata era come quella di don Juan, profonda, grassa, irrefrenabile.

«Che c'è di così buffo?» chiesi, quasi contagiato dalla sua allegria.

«Juan Matus non ama gli antichi stregoni in generale e me in particolare» disse la donna, tra convulsi di risa. «Tutto quel che dobbiamo fare, per vedere nei nostri Sogni, è indicare col mignolo l'oggetto che vogliamo vedere. Farti urlare nel mio sogno è il suo modo di mandarmi un messaggio. Devi ammettere che è davvero bravo.» Si interruppe un momento, poi continuò, con il tono della rivelazione:

«Naturalmente, anche urlare come un vitello scannato funziona».

Il senso dell'umorismo degli stregoni mi sorprendeva sempre molto. Lei rideva così forte che non riusciva più a camminare. Io mi sentivo un idiota. Quando si fu calmata ed ebbe riacquistata tutta la sua compostezza, mi disse gentilmente che avrei potuto indicare qualsiasi cosa volessi nel suo sogno. lei inclusa.

Io indicai una casa, con il mignolo della sinistra. In quella casa non c'era energia. La casa era come qualsiasi altro oggetto di un sogno regolare. Indicai tutto quello che avevo intorno, con lo stesso risultato.

«Indica me» mi sollecitò. «Devi confermare che è questo il metodo seguito dagli stregoni per vedere.»

E aveva ragione in tutto e per tutto: il metodo era quello. Nell'istante in cui le puntai addosso il dito, si trasformò in un globo di energia. Un globo di energia molto insolito, se posso aggiungere. La sua forma energetica era identica a come l'aveva descritta don Juan: sembrava un enorme conchiglia, girata in dentro lungo una spaccatura che la tagliava nel senso della lunghezza.

«Sono l'unico essere generatore di energia in questo sogno. disse. «Così la miglior cosa che puoi fare è startene lì a guardare.»

In quel momento fui per la prima volta colpito dalla grandiosità dello scherzo di don Juan. Aveva escogitato di farmi imparare a urlare nel mio Sognare in modo che io potessi urlare nell'intimità del sogno dello Sfidante della Morte. Trovavo quel tocco così buffo che le risate mi travolsero fin quasi a soffocarmi.

«Continuiamo la nostra passeggiata» mormorò la donna, quando ebbi esaurito le risate che avevo dentro.

C'erano solo due strade che si intersecavano: ognuna aveva tre isolati di case. Percorremmo tutte e due quelle strade, non una, ma quattro volte. Io guardavo tutto e ascoltavo con la mia Attenzione del sogno ogni rumore. Ce ne furono pochissimi, solo l'abbaiare lontano dei cani o i bisbigli della gente al nostro passaggio.

L'abbaiare dei cani mi provocò una sconosciuta e profonda nostalgia. Dovetti smettere di camminare. Cercai sollievo appoggiandomi con le spalle a un muro. Il contatto con il muro fu scioccante, non perché il muro fosse anomalo, ma perché era un muro solido, simile a ogni altro muro che avevo mai toccato. Lo tastai con la mano libera, feci scorrere le dita sulla sua superficie: era davvero un muro!

La sua sconcertante realtà fece di colpo cessare la mia nostalgia e rinnovò il mio interesse a guardare tutto ciò che mi circondava. Cercavo in particolare elementi che si potessero correlare con la città dei miei giorni. Tuttavia, per quanto attentamente osservassi, non cavai un ragno dal buco. C'era una piazza in quella città, ma era davanti alla chiesa, oltre il portico.

Al chiaro di luna le montagne che circondavano la città erano ben visibili e quasi riconoscibili. Cercai di orientarmi, osservando la luna e le stelle, come se mi trovassi nella realtà consensuale della vita di ogni giorno. Era luna calante, forse un giorno dopo il plenilunio. Ancora alta sull'orizzonte. Doveva essere tra le otto e le nove di sera. Potevo vedere Orione alla destra della luna; le sue due stelle maggiori, Betelgeuse e Rigel, erano su una linea retta in posizione orizzontale rispetto alla luna. Calcolai che

ci trovassimo ai primi di dicembre. Il mio tempo era maggio. In maggio Orione non si vede affatto a quell'ora. Guardai fisso la luna finché potei. Non si spostò niente. Era la luna, per quanto potevo vedere. La differenza di tempo mi interessò molto.

Mentre riesaminavo l'orizzonte verso sud, mi parve di distinguere la vetta a campana visibile dal patio di don Juan. Poi cercai di immaginare dove poteva essere situata casa sua. Per un attimo credetti di averla trovata. Ero così affascinato che strappai la mano dalla stretta della donna. Immediatamente s'impossessò di me un'ansia terribile. Capii che dovevo tornare in chiesa perché altrimenti sarei morto all'istante in quel punto stesso. Mi girai e scattai di corsa in direzione della chiesa. La donna mi afferrò la mano e mi venne dietro.

Mentre ci avvicinavamo di corsa alla chiesa, mi accorsi che in quel sogno la città si trovava dietro alla chiesa. Se avessi considerato questo, forse sarebbe stato possibile orientarmi. Così com'era, non avevo più Attenzione del sogno. Concentrai quanto ne rimaneva sui dettagli architettonici e ornamentali sul retro dell'edificio sacro: non avevo mai visto quella parte nel mondo della vita di ogni giorno e pensavo di poter registrare gli elementi nella memoria. Dopo avrei potuto paragonarli con quelli della chiesa reale.

Fu quello il piano che buttai giù in quattro e quattr'otto. Qualcosa dentro di me, tuttavia, non prendeva sul serio la mia ricerca di una convalida. Durante tutto l'apprendistato, mi aveva ossessionato il bisogno di obiettività che mi costringeva a controllare e ricontrollare tutto ciò che riguardava il mondo di don Juan. Eppure non era sempre in discussione la convalida per sé, ma il bisogno di usare questa ricerca di obiettività come un bastone cui appoggiarsi nei momenti di più intensa rottura cognitiva; quando era il momento di controllare quanto avevo convalidato, non giunsi mai alla conclusione.

All'interno della chiesa, la donna e io ci inginocchiammo dinanzi al piccolo altare sulla sinistra, dove eravamo prima, e il momento seguente mi risvegliai nella chiesa dei miei tempi, ben illuminata.

La donna si fece il segno della croce e si alzò. Automaticamente, io feci lo stesso. Lei mi prese a braccetto e ci avviammo verso il portone.

«Aspetta, aspetta» dissi, sorpreso di poter parlare. Non riuscivo a pensare con chiarezza, eppure volevo porle una domanda contorta. Quel che volevo sapere era come potesse qualcuno avere l'energia per visualizzare ogni dettaglio dell'intera città.

Sorridendo, la donna rispose alla mia domanda non formulata; lei disse di essere molto brava a visualizzare perché, dopo aver passato una vita a farlo, aveva avuto molte, molte altre vite per perfezionarlo. Aggiunse che la città che avevo visitato e la chiesa in cui avevamo chiacchierato erano esempi delle sue recenti visualizzazioni. La chiesa era la stessa in cui Sebastian aveva fatto il sagrestano. Lei si era prefissa il compito di memorizzare ogni particolare di ogni angolo di quella chiesa e di quella città, logicamente, per il bisogno di sopravvivere.

Concluse il discorso con un ripensamento che mi turbò molto: «Poiché sai parecchio su questa città, anche se non hai mai pensato di visualizzarla, ora mi stai aiutando a usare l'intento per lei. Scommetto che non mi crederai se ti dico che questa città che stai guardando ora non esiste veramente, fuori dal tuo intento e dal mio».

Mi osservò di sottecchi e rise per l'orrore che provavo, in quanto avevo appena compreso quanto stava dicendo. «Stiamo ancora Sognando?» le chiesi, stupefatto.

«Certo, ma questo sogno è più reale dell'altro perché tu mi stai aiutando. Non è possibile spiegarlo, oltre a dire che sta accadendo. Come ogni altra cosa.» Indicò tutt'intorno a lei. «Non c'è modo di spiegare come accade, ma accade. Ricordati sempre quello che ti ho detto: questo è il mistero di usare l'intento nella Seconda Attenzione.»

Gentilmente mi tirò più vicino a lei. «Andiamo a passeggiare nella piazza di questo sogno. Disse.

«Ma forse mi dovrei sistemare un po', così tu sarai più a tuo agio.»

La guardai senza capire mentre lei con abilità cambiava il proprio aspetto. Lo fece con gesti semplici, terreni. Si tolse la lunga gonna, rivelando quella normalissima, a metà polpaccio, che indossava al di sotto. Poi avvolse in uno chignon la lunga treccia e cambiò le guaraches con scarpe a tacco basso che teneva in un sacchetto di stoffa. Rivoltò lo scialle in double nero, rivelando una stola beige. Aveva l'aspetto di una tipica messicana della capitale, appartenente alla classe media, forse di passaggio in quella città.

Mi prese sottobraccio con disinvoltura tutta femminile e mi guidò verso la piazza.

«Che ne è stato della tua lingua?» disse in inglese. «Te l'ha mangiata il gatto?»

Ero tutto assorto nella incredibile possibilità di trovarmi ancora in un sogno. e, come se non bastasse, stavo cominciando a credere che se fosse stato vero, correvo il rischio di non svegliarmi più.

Con un tono nonchalant che non riuscivo a riconoscere come mio, domandai: «Finora non mi ero accorto che tu prima mi parlassi in inglese. Dove l'hai imparato?».

«Nel mondo là fuori. Parlo molte lingue, io.» Fece una pausa e mi osservò. «Ho un sacco di tempo per impararle. Visto che passeremo molto tempo insieme, qualche volta t'insegnerò la mia.» Rise, senza dubbio per la mia aria di disperazione.

Mi fermai. «Passeremo molto tempo insieme?» volli sapere, tradendo i miei sentimenti.

«Naturale» rispose in tono allegro. «Tu stai per darmi — molto generosamente, ammetto — la tua energia, gratis. L'hai detto tu stesso, vero?»

Ero atterrito.

«Cosa c'è?» chiese la donna, ritornando allo spagnolo. «Non mi dire che rimpiangi la tua decisione. Noi siamo stregoni: è troppo tardi per cambiare idea. Non avrai mica paura, eh?»

Ero ancora più che atterrito, ma se mi avessero chiesto di descrivere che cosa mi terrorizzava non avrei saputo dirlo. Non avevo certo paura di trovarmi con lo Sfidante della Morte in un altro sogno o di perdere la testa o perfino la vita. Avevo forse paura del Male? Me lo chiesi. Ma il pensiero del Male non avrebbe resistito a un esame: come risultato di tutti gli anni trascorsi sulla via della stregoneria, sapevo senza ombra di dubbio che nel cosmo esiste solo l'energia; il Male è una mera concatenazione della mente umana, sconvolta dalla fissazione del punto di unione nella sua posizione abituale. Logicamente, non avevo in fondo nessun motivo di aver paura. Lo sapevo, ma sapevo anche che la mia reale debolezza era la mancanza di fluidità per fissare all'istante il mio punto di unione in qualsiasi nuova posizione in cui era stato spostato. Il contatto con lo Sfidante della Morte stava spostando il mio a un ritmo tremendo, e io non avevo il coraggio di continuare a spingere. Il risultato finale era una vaga pseudo-sensazione di paura di non riuscire a svegliarmi.

«Non ci sono problemi» dissi. «Continuiamo la nostra passeggiata di sogno.»

Mi prese a braccetto, e arrivammo al parco in silenzio. Non era affatto un silenzio forzato, ma il cervello girava a vuoto: che strano, pensavo, solo qualche tempo fa avevo passeggiato con don Juan dal parco alla chiesa, in preda alla più tremenda paura. Ora facevo lo stesso percorso in senso inverso, dalla chiesa al parco, con la causa della mia paura, ed ero più terrorizzato che mai, ma in una maniera diversa, più matura, più micidiale.

Per allontanare le preoccupazioni, presi a guardarmi intorno. Se tutto era un sogno. come io credevo, c'era modo di provarlo o confutarlo. Puntai il dito verso le case, la chiesa, l'acciottolato della strada. Indicai la gente, ogni cosa. Con audacia, giunsi perfino ad afferrare un paio di persone, che parvero considerevolmente spaventate. Sentii la massa dei loro corpi. Erano reali come tutto quello che io considero reale, tranne che non generavano energia. In quella città niente generava energia. Tutto sembrava reale e normale, eppure era un sogno.

Mi rivolsi alla donna che mi teneva il braccio e l'interrogai sull'argomento.

«Stiamo Sognando» disse con quella sua voce velata, e ridacchiò.

«Ma come fanno a essere così reali, così tridimensionali le persone e le cose tutt'intorno?»

«É il mistero dell'intento nella Seconda Attenzione!» esclamò in tono reverenziale. «Quelle persone là fuori sono così reali da avere anche pensieri.»

Quella fu l'ultima goccia. Non volevo sapere niente altro, volevo abbandonarmi a quel sogno. Un considerevole scossone al braccio mi fece tornare al presente. Eravamo arrivati in piazza. La donna si era fermata e stava spingendomi a sedere su una panchina. Seppi di essere nei guai quando non sentii la panchina sotto di me, sedendomi. Cominciai a girare vorticosamente. Mi sembrava di salire: ebbi per un attimo la fugace visione del parco, come se lo stessi guardando dall'alto.

«È la fine!» urlai. Credevo di morire. L'ascesa roteante si tramutò in discesa vertiginosa nel buio profondo.

 
 
13
Sulle ali dell'intento 
      «Metticela tutta, Nagual!» mi incitava una voce di donna. «Non affogare. Sta' a galla, a galla! Usa le tecniche del sogno.»

Cominciò a funzionarmi il cervello. Pensai fosse la voce di un anglofono, e pensai anche che, se dovevo usare le tecniche del sogno. dovevo trovare un punto di partenza per energizzarmi.

«Apri gli occhi» disse la voce. «Aprili adesso. Usa la prima cosa che vedrai come punto di partenza.»

Feci un enorme sforzo e aprii gli occhi. Vidi alberi e un cielo azzurro. Era giorno! Una faccia dai contorni indistinti mi stava fissando, ma io non riuscivo a mettere a fuoco lo sguardo.

«Usa la mia faccia» suggerì la voce. Mi era familiare, ma non riuscivo a identificarla. «Prendi come base la mia faccia: poi guarda tutto il resto» proseguì la voce. Le orecchie mi si stavano liberando e anche gli occhi stavano tornando alla normalità. Fissai il volto della donna, poi gli alberi del parco, la panchina in ferro battuto, la gente che passeggiava nei pressi, e di nuovo quel volto.

Nonostante cambiasse ogni volta che lo fissavo, cominciai a provare un minimo di controllo. Quando ebbi meglio ripreso il possesso delle mie facoltà, mi accorsi che c'era una donna seduta sulla panchina e mi teneva la testa in grembo. Non era la donna della chiesa, era Carol Tiggs.

«Che fai qui, tu?» boccheggiai.

Paura e sorpresa erano così intense che avrei voluto saltar su e scappare, ma il mio corpo non era governato dalla mia consapevolezza mentale. Seguirono momenti angosciosi in cui cercai con disperazione di alzarmi, ma invano. Il mondo intorno era troppo chiaro e distinto perché potessi credere di stare ancora Sognando, eppure il menomato controllo dei miei movimenti mi induceva a sospettare che si trattasse davvero di un sogno. Inoltre, la presenza di Carol era troppo inattesa: non c'erano precedenti che la giustificassero.

Prudentemente tentai di alzarmi con la volizione, come avevo fatto centinaia di volte nel Sognare, ma non accadde nulla. Se mai avevo avuto bisogno di essere obiettivo, era adesso. Con quanta più attenzione potevo, cominciai a guardare tutto quel che era nel mio campo visivo, prima con un occhio solo. Ripetei l'operazione con l'altro occhio. La coerenza tra le immagini dei miei due occhi la presi come il segnale che mi trovavo nella realtà consensuale della vita quotidiana.

Dopo osservai Carol. In quel momento mi accorsi di poter muovere le braccia. In effetti, era soltanto la parte inferiore del mio corpo a essere paralizzata. Toccai il volto e le mani di Carol, l'abbracciai. Era solida e concreta e, mi pareva, la vera Carol Tiggs. Provai un enorme sollievo, perché per un attimo avevo avuto l'atroce sospetto che fosse lo Sfidante della Morte che aveva assunto le sembianze di Carol.

Con ogni cautela, Carol mi aiutò a sedermi sulla panchina. Prima ero sdraiato sulla schiena, per metà sulla panchina e per metà a terra. Notai allora qualcosa assolutamente fuori del normale: indossavo un paio di jeans Levi's sbiaditi e stivali di cuoio marrone consunti, una camicia di cotone e un giubbotto jeans.

«Aspetta un secondo» urlai a Carol. Guardami! É mia questa roba? E io, sono io?»

Carol rise e mi scosse prendendomi per le spalle, come faceva sempre per esprimere cameratismo, carattere, appartenenza al gruppo.

«Sto guardando la tua stupenda persona» disse in quel suo buffo falsetto forzato. «Oh, padrone chi altri potrebbe mai essere?»

«Come diavolo posso avere addosso Levi's e stivali?» insistetti. «Io non ne ho.»ù

«Sono miei. Ti ho trovato nudo.»

«Dove? Quando?»

«Vicino alla chiesa; circa un'ora fa. Venni qui in piazza a cercarti. Il Nagual mi mandò a vedere se riuscivo a trovarti. M'ero portata dietro qualche indumento, in caso...»

Le confessai di sentirmi tremendamente vulnerabile e imbarazzato, all'idea di essere andato in giro senza vestiti.

«Strano però, non c'era in giro nessuno» mi assicurò lei, ma capii che lo stava dicendo solo per alleviarmi il disagio. Me lo diceva quel suo sorriso scherzoso.

«Devo essere rimasto con lo Sfidante della Morte tutta la notte scorsa, forse anche di più» osservai.

«Che giorno è, oggi?»

«Non pensare alle date» esclamò, ridendo. «Quando sarai più concentrato, conterai i giorni da solo.»

«Piantala di menare il can per l'aia, Carol Tiggs. Che giorno è oggi?» La mia voce era dura, diretta, non sembrava la mia.

«È il giorno dopo la grande fiesta» disse, e mi diede un colpetto sulla spalla. «Ti stavamo cercando tutti dalla notte scorsa.»

«Ma che sto facendo qui?»

«Io ti avevo portato all'albergo sull'altro lato della piazza: non potevo trascinarti fino alla casa del Nagual! Tu sei scappato dalla camera qualche minuto fa, e così siamo finiti qui.»

«Perché non hai chiesto l'aiuto del Nagual?»

«Perché questa storia riguarda solo te e me. Dobbiamo risolverla insieme.»

Mi zittii. Quanto aveva detto non faceva una piega. Le chiesi solo un'altra cosa che mi tormentava.

«Che cosa ho detto, quando mi hai trovato?»

«Hai detto che eri sprofondato così tanto e così a lungo nella Seconda Attenzione da non essere ancora razionale. Non desideravi altro che dormire.»

«Quando ho perso il controllo dei movimenti?»

«Solo poco fa. Ti ritornerà. Tu sai che è normale perdere il controllo della parola o degli arti, quando si entra nella seconda attenzione e si riceve una considerevole scossa di energia

«E da quando hai perso la lisca, Carol?»

La colsi proprio di sorpresa. Mi guardò e scoppiò in una gran risata. «Mi ci sono dedicata per un pezzo» confessò. «Penso che dia molto fastidio sentire un'adulta che parla bleso. Inoltre, a te non piace.»

Non fu difficile ammettere che la sua pronuncia blesa non mi piaceva. Don Juan e io avevamo tentato di curarla, ma avevamo concluso che a lei non interessava. La lisca la faceva sembrare carina a tutti, e don Juan credeva che piacesse anche a lei e non volesse rinunciarvi. Sentirla parlare normalmente fu per me un'emozione molto gratificante. Mi dimostrava che Carol era capace di operare mutamenti radicali per conto suo, cosa di cui né don Juan né io eravamo mai stati sicuri.

«Che altro ti disse il Nagual quando ti mandò a cercarmi?»

«Che stavi avendo uno scontro con lo Sfidante della Morte.»

In tono confidenziale, rivelai a Carol che lo Sfidante della Morte era una donna. Con noncuranza lei disse che lo sapeva.

«Come fai a saperlo?» gridai. «Nessuno l'ha mai saputo, tranne don Juan. Te l'ha detto lui?»

«Sicuro» rispose, imperturbabile alle mie urla. «Quello che ti è sfuggito è che anch'io ho conosciuto la donna della chiesa. L'ho conosciuta prima di te. Abbiamo chiacchierato piacevolmente per un bel po', in chiesa.»

Credevo che Carol mi stesse dicendo la verità. Quello che mi stava descrivendo era proprio ciò che don Juan avrebbe fatto. Con tutta probabilità avrebbe mandato Carol a esplorare per poter tirare delle conclusioni.

«Quando hai visto lo Sfidante della Morte?» le chiesi.

«Un paio di settimane fa» replicò, indifferente. «Per me non è stato un evento eccezionale. Non avevo energia da regalare, o almeno non il tipo di energia che vuole una donna.»

«Allora perché l'hai vista? Fa parte dell'accordo fra lo Sfidante della Morte e stregoni avere anche rapporti con la donna Nagual?»

«L'ho vista perché il Nagual disse che tu e io siamo intercambiabili e per nessun'altra ragione. I nostri corpi energetici si sono fusi molte volte, non ti ricordi? La donna e io abbiamo parlato della facilità con cui ci fondiamo. Sono rimasta con lei forse tre o quattro ore, finché il Nagual non venne a farmi uscire.»

«Sei sempre rimasta nella chiesa?» domandai, perché non riuscivo a credere che fossero rimaste là inginocchiate per tre o quattro ore a parlare solo della fusione dei nostri corpi energetici.

«Mi portò in un altro aspetto del suo intento» concesse Carol, dopo averci pensato un attimo. «Mi fece vedere in quale modo riuscì a sfuggire ai suoi catturatori.»

Carol raccontò allora una storia molto avvincente. Disse che, secondo quanto le aveva fatto vedere la donna nella chiesa, ogni stregone dell'antico era caduto inesorabilmente preda degli esseri inorganici.

Dopo averli catturati, gli esseri inorganici avevano dato loro il potere di essere gli intermediari fra il nostro mondo e il loro, che la gente chiamava il Netherworld, o Mondo Basso.

Lo Sfidante della Morte non poté evitare di cadere nelle reti degli esseri inorganici. Carol calcolava che lui avesse trascorso migliaia di anni, forse, come prigioniero, fino al momento in cui era stato capace di trasformarsi in donna. Infatti, aveva visto con chiarezza che per lui era questa la via d'uscita da quel mondo, il giorno in cui aveva scoperto che gli esseri inorganici considerano indistruttibile il principio femminile. Credono infatti che il principio femminile abbia una tale duttilità e una portata così vasta che le donne restino indifferenti alle trappole e ai trabocchetti e a fatica possano esser tenute prigioniere. La trasformazione dello Sfidante della Morte fu così completa e perfetta nei particolari da farla espellere all'istante dal regno degli esseri inorganici.

«Ti ha detto che gli esseri inorganici le stanno ancora dietro?» chiesi.

«Certo che le stanno dietro» mi confermò Carol. «La donna mi disse che deve difendersi dai suoi inseguitori in ogni momento della sua vita.»

«Cosa possono farle?»

«Accorgersi che lei prima era un uomo e ricacciarla in cattività, suppongo. Credo che lei li tema più di quanto tu ritieni sia possibile temere qualcosa.»

Con noncuranza, Carol mi disse che la donna della chiesa era perfettamente al corrente del mio episodio con gli esseri inorganici e sapeva anche dell'esploratore blu.

«Lei sa tutto di te e di me» continuò. «E non perché glielo abbia detto io, ma perché è parte delle nostre vite e del nostro lignaggio. Lei ha menzionato di aver sempre seguito tutti noi, te e me in particolare.»

Poi mi riferì i casi che la donna conosceva, in cui Carol e io avevamo agito insieme. Mentre lei parlava, cominciai a provare una incredibile nostalgia proprio per la persona che avevo davanti, Carol Tiggs. Desideravo ardentemente stringerla a me. Allungai le braccia e mi spostai in avanti, ma perdetti l'equilibrio e caddi dalla panchina.

Carol mi aiutò a tirarmi su da terra ed esaminò con attenzione le mie gambe, le pupille, il collo e il fondo schiena. Disse che soffrivo ancora a causa di uno scossone energetico. Si appoggiò la mia testa sul petto come se fossi un bambino che si fingesse malato e che lei volesse coccolare.

Dopo un po' mi sentii davvero meglio; cominciavo perfino a indagare il controllo dei movimenti.

«Ti piace come sono vestita?» mi chiese Carol all'improvviso. «Pensi che sia troppo elegante per la circostanza? Ti pare che stia bene?»

Carol vestiva sempre in modo stupendo. Il gusto impeccabile in fatto d'abiti era il suo punto di forza. Infatti, da quando la conoscevo, la battuta ricorrente fra don Juan e tutti noi altri era che la sua sola virtù fosse saper acquistare begli abiti e portarli con grazia e stile.

La sua domanda mi parve quindi molto strana e glielo feci notare. «Come mai sei insicura sul tuo aspetto? Non te ne se mai preoccupata prima. Cerchi di far colpo su qualcuno?»

«Su di te, è sottinteso!» fece.

«Ma non è il momento» protestai. «Ciò che importa ora non è il tuo aspetto, ma quanto succede con lo Sfidante della Morte.»

«Quanto sia importante il mio aspetto ti sorprenderebbe molto» rise lei. «E questione di vita o di morte per tutti e due.»

«Ma di che diavolo parli? Mi fai venire in mente il Nagual quando stava organizzando il mio incontro con lo Sfidante della Morte: mi ha fatto quasi ammattire con quel suo parlare misterioso!»

«Era giustificato, quel suo parlare misterioso?» domandò Carol con un'espressione terribilmente seria. «Direi proprio di sì» dovetti ammettere.

«Anche il mio aspetto lo è. Dai, concedimelo! Come mi trovi? Attraente, ripugnante, invitante, così così, disgustosa, irresistibile, autoritaria?»

Riflettei un attimo ed espressi la mia valutazione: trovavo Carol molto attraente. Era piuttosto insolito, in quanto non avevo mai pensato consciamente alle sue attrattive. «Ti trovo divina,» dissi «di più, la tua è una bellezza strabiliante.»

«Allora devo avere l'aspetto giusto.» Sospirò.

Stavo cercando di intuire cosa volesse dire, quando parlò di nuovo. Chiese: «Come hai passato il tempo con lo Sfidante della Morte?»

Le raccontai in breve la mia esperienza, soprattutto il primo sogno. Dissi che secondo me lo Sfidante della Morte mi aveva fatto vedere quella città, però in un altro momento del passato.

«Ma non è possibile» sbottò. «Nel cosmo non c'è passato o futuro. C'è solo il momento attuale.»

«Io so che era il passato» replicai. «La chiesa era la stessa, ma la città era diversa.»

«Pensa un attimo» insistette lei. «Nell'universo c'è solo l'energia, e l'energia ha solo un hic et nunc, un infinito, onnipresente ed eterno qui-e-ora.»

«Quindi, cosa credi che mi accadde, Carol?»

«Con l'aiuto dello Sfidante della Morte hai attraversato il quarto varco del Sognare» dichiarò. «La donna nella chiesa ti ha portato nel suo sogno. nel suo intento. Ti trascinò nella sua visualizzazione di questa città. Ovvio che lei la visualizzasse nel passato, e quella visualizzazione è ancora intatta dentro di lei, così come dev'essere anche quella attuale.»

Dopo un lungo silenzio, mi fece un'altra domanda. «Che altro ha fatto con te, quella donna?»

Raccontai a Carol il secondo sogno. Il sogno della città com'è oggi.

«Ecco qui» disse lei. «Non solo la donna ti ha portato nel suo intento passato, ma ti ha aiutato ulteriormente ad attraversare il quarto varco facendo viaggiare il tuo corpo energetico fino a un altro posto che esiste oggi solo nel suo intento.»

Carol s'interruppe e mi chiese se la donna nella chiesa mi avesse spiegato il significato di usare l'intento nella Seconda Attenzione.

Mi ricordavo che me l'aveva menzionato, ma senza spiegarmene il significato. Carol stava affrontando dei concetti di cui don Juan non mi aveva mai parlato.

«Dove hai preso tutte queste idee nuove?» le domandai, davvero ammirato della sua lucidità.

In tono indifferente, Carol mi assicurò che la donna nella chiesa le aveva spiegato moltissime cose su quelle complicazioni.

«Ora stiamo usando l'intento nella Seconda Attenzione» continuò. «La donna nella chiesa ci fece addormentare tutti e due, tu qui e io a Tucson. E poi ci addormentammo di nuovo nel nostro sogno. Ma tu non ricordi quella parte, mentre io sì: il segreto delle posizioni gemelle. Ricorda ciò che la donna ti disse: il secondo sogno è usare l'intento nella Seconda Attenzione, cioè l'unico modo per attraversare il quarto varco del Sognare.»

Dopo una lunga pausa, durante la quale non riuscii ad articolare parola, Carol continuò: «Credo che la donna nella chiesa ti abbia fatto veramente un regalo, anche se tu non volevi riceverne. Il suo dono è stato aggiungere la sua energia alla tua per spostarsi avanti e indietro sull'energia qui-e-ora dell'universo».

Ero molto eccitato. Le parole di Carol erano precise, calzavano. Mi avevano chiarito alcune cose che pensavo non si potessero chiarire, anche se poi non sapevo con esattezza cosa lei mi avesse chiarito. Se avessi potuto muovermi sarei balzato ad abbracciarla. Lei sorrideva beata mentre io continuavo a blaterare con toni nervosi sul significato che le sue parole avevano per me. Feci anche un commento retorico: don Juan non mi aveva mai detto nulla di simile!

«Forse lui non sa» replicò Carol, non in tono offensivo, ma conciliatorio.

Non controbattei. Restai zitto per un po', stranamente privo di pensieri. Poi, pensieri e parole eruppero fuori di me come da un vulcano. La gente passava per la piazza guardandoci con tanto d'occhi o fermandosi davanti a noi a fissarci. E dovevamo essere una macchietta: Carol Tiggs che mi carezzava e baciava il viso mentre io continuavo il mio logorroico bla-bla-bla sulla sua lucidità e il mio incontro con lo Sfidante della Morte.

Quando fui in grado di camminare, lei mi accompagnò all'unico albergo della città, al di là della piazza. Mi assicurò che non avevo ancora l'energia per andare a casa di don Juan, ma che tutti lì sapevano dove ci trovavamo.

«Come fanno a saperlo?» le chiesi.

«Il Nagual è uno stregone molto abile» rispose, ridendo. «Fu lui a dirmi che, se ti avessi trovato malridotto quanto a energia, avrei dovuto portarti in albergo invece di rischiare di attraversare tutta la città con te dietro.»

Le sue parole e soprattutto il suo sorriso mi fecero sentire così sollevato che continuai a camminare in stato di grazia. Girammo l'angolo, andando verso l'entrata all'albergo che era a metà isolato, proprio di fronte alla chiesa. Percorremmo lo squallido atrio, salimmo la scala di cemento fino al secondo piano, direttamente in una camera ostile che non avevo mai visto prima. Carol disse che c'ero già stato, tuttavia io non ricordavo affatto né l'albergo né la camera. Ero tanto stanco che non riuscivo neanche a pensarci. Mi lasciai solo sprofondare nel letto, a faccia in giù. Dormire era tutto ciò che volevo, eppure ero troppo teso. C'erano troppe cose che non quadravano, benché tutto sembrasse a posto. Ebbi un improvviso impulso nervoso e mi alzai a sedere sul letto.

«Non ti avevo mai detto di non aver accettato il regalo dello Sfidante della Morte» dissi, in faccia a Carol. «Come hai fatto a saperlo?»

«Ma se me l'hai detto proprio tu» protestò sedendosi accanto a me. «Ne eri tanto orgoglioso! Fu la prima cosa che ti lasciasti scappare quando ti trovai.»

Finora questa era l'unica risposta che non mi convincesse del tutto. Quel che mi riferiva non somigliava alla mia dichiarazione.

«Credo tu mi abbia frainteso» dissi. «Io non volevo nulla che mi allontanasse dalla mia meta, tutto qua.»

«Vuoi dire che non ti sentivi orgoglioso di rifiutare?»

«No. Non sentivo niente. Non sono capace di sentire altro che la paura.»

Allungai le gambe e posai la testa sul cuscino. Sapevo che se avessi chiuso gli occhi o non avessi continuato a chiacchierare mi sarei addormentato in un attimo. Raccontai a Carol come, all'inizio della mia associazione con don Juan, avessi litigato con lui per il motivo da lui addotto per stare sulla via del guerriero. Aveva detto che la paura continuava a farlo andare diritto e che quello che lui temeva di più era perdere il Nagual, l'astratto, lo spirito.

«Paragonata alla perdita del Nagual, la morte è niente» aveva dichiarato con una nota di vera passione nella voce. «La paura di perdere il Nagual è l'unica cosa reale che possiedo, perché senza sarei peggio che morto.»

Raccontai a Carol che avevo immediatamente contraddetto don Juan, dichiarando con spocchia che, poiché ero refrattario alla paura, se dovevo restare nei limiti di un percorso, la forza per farmi andare avanti doveva essere l'amore.

Don Juan aveva replicato che, quando viene il vero richiamo, la paura è l'unica condizione degna di un guerriero. Dentro di me ce l'avevo con lui per quella che ritenevo una sua segreta meschinità.

«La ruota ha compiuto tutto il suo giro» dissi a Carol «e guardami adesso. Ti posso giurare che l'unica cosa che mi tiene in vita è la paura di perdere il Nagual.»

Carol mi fissò con uno strano sguardo che non le avevo mai visto. «Oso dissentire» replicò, a bassa voce. «La paura è nulla paragonata all'affetto. La paura ti fa correre all'impazzata; l'amore ti fa muovere con intelligenza.» «Ma che dici, Carol Tiggs? Gli stregoni sono innamorati, adesso?» Lei non mi rispose. Si sdraiò accanto a me e mi appoggiò la testa sulla spalla. Restammo lì, in quella strana camera ostile, a lungo, nel silenzio più totale.

«Io provo quello che tu provi» disse all'improvviso Carol. «Ora, cerca di provare quel che provo io. Puoi farlo. Ma facciamolo al buio.»

Carol allungò il braccio e spense la luce dall'interruttore a capo del letto. Balzai a sedere con un solo movimento: la paura mi aveva attraversato con una scossa simile a quella elettrica. Appena Carol ebbe spenta la luce, nella camera fu la notte. In grande agitazione, volli che Carol mi spiegasse.

«Non sei ancora tutto in sesto» mi rassicurò. «Hai avuto una crisi di proporzioni monumentali. Andare così a fondo nella Seconda Attenzione ti ha lasciato un po' malconcio, per così dire. È pieno giorno, naturalmente, ma i tuoi occhi non riescono ad adattarsi alla fioca luce di questa camera.»

Più o meno convinto, tornai a sdraiarmi. Carol continuava a parlare, ma io non la stavo a sentire. Toccai le lenzuola: erano lenzuola reali. Feci scorrere le mani sul letto: era un vero letto! Mi sporsi dal bordo del letto e passai le palme delle mani sulle fredde piastrelle del pavimento. Scesi dal letto e controllai ogni oggetto nella camera e nel bagno. Tutto era perfettamente normale, perfettamente reale.

Dissi a Carol che, quando aveva spento la luce, io avevo provato la netta sensazione di stare Sognando.

«Rilassati un attimo» esclamò lei. «Piantala con questa mania investigativa e vieni a letto a riposarti.»

Aprii le tende della finestra che dava sulla strada. Fuori era giorno, ma appena le chiusi dentro fu notte. Carol mi pregò di tornare a letto. Temeva che scappassi e finissi in strada come avevo fatto prima. Le sue erano parole sensate. Tornai a letto senza notare che non mi era mai passato per la testa — ma neanche per un secondo! — di indicare le cose con un dito. Era come se quella informazione mi fosse stata del tutto cancellata dalla memoria.

Il buio di quella camera d'albergo era straordinario. Mi dava una meravigliosa sensazione di pace e armonia, ma mi provocava anche una profonda tristezza, un desiderio di calore umano, di amicizia. Ero stupefatto. Non mi era mai capitata una cosa del genere. Restavo a letto, cercando di ricordare se quel desiderio fosse un sentimento noto: no, non lo era. I desideri che conoscevo non erano di amicizia umana; erano astratti, più simili a un senso di tristezza per non aver raggiunto qualcosa di indefinito.

«Sto crollando» rivelai a Carol. «Sto per piangere per la gente!»

Pensai che avrebbe considerato buffa la mia dichiarazione. Per me era una battuta. Ma non disse nulla; sembrava la pensasse come me. Sospirò. Ancora mentalmente instabile, fui subito indotto all'emotività. La fissai nel buio e mormorai qualcosa che in un momento di maggior lucidità sarebbe stato irrazionale: «Sai, ti adoro!».

Parole simili erano inconcepibili fra gli stregoni del lignaggio di don Juan. Carol Tiggs era la donna Nagual. Tra noi due non erano necessarie dimostrazioni di affetto. A dire il vero, non sapevamo neanche cosa provassimo l'uno per l'altra. Don Juan ci aveva insegnato che tra stregoni non c'era bisogno di, o tempo per, questi sentimenti.

Carol mi sorrise e m'abbracciò. Io ero colmo di un affetto così struggente per lei che senza rendermene conto cominciai a piangere.

«Il tuo corpo energetico sta avanzando lungo i filamenti luminosi di energia dell'universo» mi sussurrò all'orecchio. «Siamo trasportati dal dono d'intento dello Sfidante della Morte.»

Avevo sufficiente energia per capire quanto stava dicendo. Le chiesi perfino se lei capiva ciò che tutto questo significava. Lei mi zittì, mormorandomi: «Certo che capisco. Il dono che ti ha fatto lo Sfidante della Morte sono le ali dell'intento. Con queste, tu e io voleremo Sognando in un altro tempo. In un tempo che deve ancora venire.»

La respinsi e mi misi seduto. Il modo in cui Carol stava esprimendo quei complicati pensieri stregoneschi mi scombussolava. Lei non era portata a prendere sul serio i discorsi "concettosi". Avevamo sempre scherzato fra noi sul fatto che lei non avesse la mente del filosofo.

«Che hai?» le chiesi. «Sei una rivelazione, per me: Carol, la maga-filosofa. Parli come don Juan!»

«Non ancora.» E rise. «Ma ci sto arrivando. Sto andando avanti bene, e quando infine avrò fatto centro, essere una maga-filosofa sarà per me la cosa più facile sulla faccia della Terra. Vedrai. E nessuno riuscirà a spiegarselo perché, semplicemente, accadrà.»

Un segnale d'allarme mi suonò nel cervello. «Tu non sei Carol» gridai. «Sei lo Sfidante della Morte travestito da Carol. Lo sapevo!»

Carol rise, indifferente alla mia accusa. «Non essere assurdo» commentò. «Perderai la lezione. Sapevo che, prima o poi, avresti ceduto alla tua debolezza. Credimi, io sono Carol. Ma stiamo facendo qualcosa che non abbiamo mai fatto: stiamo usando l'intento nella Seconda Attenzione, come erano soliti fare gli stregoni dell'antichità.»

Non ero convinto, però non avevo altra energia per insistere sull'argomento, perché qualcosa che somigliava ai grandi vortici del mio Sognare stava cominciando a trascinarmi giù. Sentii la voce di Carol che mi diceva piano all'orecchio: «Ci stiamo Sognando. Sogna il tuo intento di me. Avanti, con l'intento, avanti!».

Con un enorme sforzo, diedi voce ai miei pensieri più intimi. «Resta qui con me per sempre!» dissi con la lentezza di un registratore fuori fase. Lei rispose con qualcosa d'incomprensibile. Volevo ridere della mia voce, ma poi fui inghiottito dal vortice.

Quando mi risvegliai, ero solo nella camera d'albergo. Non avevo idea di quanto avessi dormito. Fui molto deluso di non ritrovarmi accanto Carol. Mi vestii in fretta e scesi nella hall a cercarla. Inoltre, volevo scuotermi di dosso una strana sonnolenza che m'era rimasta attaccata.

Alla reception, il responsabile mi disse che la signora americana che aveva preso la camera era andata via un minuto prima. Corsi in strada, sperando di raggiungerla, ma di lei non c'era alcuna traccia. Era mezzogiorno; il sole brillava in un cielo sgombro di nuvole. Faceva un po' caldo.

Mi diressi verso la chiesa. La mia sorpresa fu genuina ma apatica nello scoprire che in quel sogno ne avevo davvero notato i dettagli della struttura architettonica. Con indifferenza, feci l'avvocato del diavolo contro me stesso e mi concessi il beneficio del dubbio. Forse don Juan e io avevamo ammirato il retro della chiesa e io non me ne ricordavo. Ci pensai, ma in fondo non importava. Il mio schema di convalida non significava comunque nulla per me. Avevo troppo sonno per curarmene.

Di là, a lenti passi, mi diressi verso la casa di don Juan, sempre cercando Carol. Ero sicuro che l'avrei trovata lì che mi aspettava. Don Juan mi accolse come se tornassi dal mondo dei più. Lui e i suoi compagni erano in preda a viva agitazione mentre mi esaminavano con aperta curiosità.

«Ma dove sei stato?» domandò don Juan.

Non riuscivo a capire il motivo di tanto trambusto. Gli dissi che avevo passato la notte con Carol nell'albergo vicino alla piazza perché non avevo l'energia per tornare dalla chiesa a casa, ma tanto questo loro lo sapevano già.

«Noi non sapevamo un bel niente» commentò brusco.

«Carol non vi aveva avvisato che era con me?» chiesi in preda a cupi sospetti che, se non fossi stato tanto stanco, sarebbero stati allarmanti.

Nessuno rispose. Si guardarono, interrogativamente. Io mi rivolsi a don Juan e gli dissi che avevo l'impressione che fosse stato lui a mandare Carol a cercarmi. Don Juan andava su e giù per la stanza senza proferire parola.

«Carol Tiggs non è mai stata con noi» dichiarò. «E tu manchi da nove giorni.»

L'estrema stanchezza m'impedì di essere stroncato da quelle dichiarazioni. Il suo tono di voce e la preoccupazione mostrata dagli altri erano ampie prove che si trattava di cosa seria. Ma io ero così intontito che non ebbi alcuna reazione.

Don Juan mi chiese di raccontare loro, con tutti i particolari possibili, quel che era successo fra lo Sfidante della Morte e me. Ero scioccato della mia capacità di ricordare tanto e di riuscire a comunicarlo nonostante fossi esausto. La tensione fu rotta per un attimo di allegra frivolezza quando dissi loro che la donna si era sganasciata dalla risate perché, sciocco, avevo urlato nel suo sogno il mio intento di vedere.

«Indicare con il ditino funziona meglio» dissi a don Juan, ma senza alcun desiderio di recriminazione.

Don Juan chiese se la donna avesse avuto altre reazioni alle mie urla, oltre al riso. Io non mi ricordavo altro, a parte l'ilarità e il suo commento su quanto intensamente lui la detestasse.

«Io non la detesto» protestò don Juan. «Solo che non mi va giù la coercizione degli antichi stregoni.»

Rivolgendomi a tutti dissi che, per quanto mi riguardava, quella donna mi era piaciuta moltissimo e senza pregiudizi. E che avevo voluto bene a Carol Tiggs come non avevo mai pensato di poter amare.

Non sembrarono apprezzare quello che stavo dicendo. Si guardarono l'un l'altro come se fossi impazzito all'improvviso. Volevo aggiungere dell'altro, spiegarmi. Ma don Juan, credo solo per impedirmi di farfugliare idiozie, mi trascinò fuori dalla casa, fino all'albergo.

Lo stesso responsabile della reception a cui avevo parlato prima ascoltò, cortese, le nostre descrizioni di Carol Tiggs, ma negò recisamente di aver mai visto lei o me prima. Chiamò perfino le cameriere, e quelle confermarono le sue dichiarazioni.

«Quale potrà essere il significato di tutto questo?» chiese ad alta voce don Juan. Si sarebbe detta una domanda rivolta a se stesso. Con garbo mi accompagnò fuori dall'albergo. «Andiamocene da questo maledetto posto» disse.

Una volta fuori, mi ordinò di non voltarmi a guardare l'albergo o la chiesa sull'altro lato della strada, ma di tenere la testa bassa. Mi guardai le scarpe e subito realizzai che non avevo più addosso la roba di Carol, ma la mia. Non riuscii tuttavia a ricordare, per quanti sforzi facessi, quando mi ero cambiato. Immaginai che dovesse essere stato quando mi ero svegliato in albergo. Dovevo essermi infilati i miei vestiti allora, anche se nella memoria c'era un vuoto.

A quel punto eravamo arrivati in piazza. Prima di attraversarla per dirigerci verso la casa di don Juan, gli spiegai la storia dei vestiti. Scosse la testa ritmicamente, ascoltando ogni parola. Poi si sedette su una panchina e, con voce che esprimeva una sincera preoccupazione, mi avvisò che in quel momento non avevo alcuna maniera di sapere quanto era accaduto nella Seconda Attenzione fra la donna nella chiesa e il mio corpo energetico. La mia interazione con la Carol Tiggs dell'albergo era stata solo la punta dell'iceberg.

«È orrendo pensare che tu rimanesti nella Seconda Attenzione per nove giorni» continuò don Juan. «Per lo Sfidante della Morte, nove giorni sono appena un secondo, ma per noi sono un'eternità.» Prima che io potessi protestare o spiegare o dire qualsiasi cosa, mi bloccò con un commento. «Considera questo» disse. «Se tu non riesci ancora a ricordare tutte le cose che ti ho insegnato o fatto con te nella Seconda Attenzione, immagina quanto deve essere più difficile ricordare quello che lo Sfidante della Morte ti ha insegnato o ha fatto con te. Io ti ho fatto solo cambiare livelli di consapevolezza; lo Sfidante della Morte ti ha fatto cambiare universi.»

Mi sentivo umile e sconfitto. Don Juan e i suoi compagni mi spinsero a fare uno sforzo titanico per cercar di ricordare dove mi ero cambiato i vestiti. Non ci riuscivo. Non c'era nulla nella mia mente: nessun sentimento, nessun ricordo. In qualche modo, non ero del tutto con loro.

L'agitazione nervosa di don Juan e dei suoi due compagni raggiunse il colmo. Non lo avevo mai visto così sconvolto. C'era sempre stato un tocco di humour, un non prendersi del tutto sul serio in ogni cosa che si diceva o faceva insieme. Non questa volta, però.

Di nuovo, cercai di pensare, di tirar fuori qualche ricordo che potesse far luce su tutto questo; di nuovo non ci riuscii, ma non mi sentii sconfitto: un improbabile senso di ottimismo s'impadronì di me. Mi pareva che tutto stesse progredendo come avrebbe dovuto.

Don Juan non era preoccupato perché non sapeva nulla sul Sognare che avevo fatto con la donna nella chiesa.

Creare un albergo di sogno. una città di sogno. una Carol Tiggs di sogno per lui era solo un esempio dell'abilità del Sognare degli antichi stregoni, la cui portata totale sfidava l'immaginazione umana.

Don Juan allargò le braccia e alla fine sorrise con il solito piacere. «Possiamo solo dedurre che la donna nella chiesa ti abbia mostrato come fare» disse in tono fermo e lento. «Per te sarà un compito gigantesco rendere comprensibile un'operazione incomprensibile. Un colpo da maestro sulla scacchiera, la mossa dello Sfidante della Morte come donna nella chiesa. Ha usato il corpo energetico di Carol e il tuo per sollevarsi, per staccarsi dai propri ormeggi. Ti ha preso in parola quando le offrivi gratis la tua energia.»

Quanto lui andava dicendo non significava niente per me, ma, a quel che sembrava, voleva dire molto per i suoi due compagni. Si agitarono tantissimo. Rivolgendosi a loro, don Juan spiegò che lo Sfidante della Morte e la donna nella chiesa erano diverse espressioni della stessa energia; la donna nella chiesa era la più potente e complessa delle due. Dopo aver preso il controllo, lei aveva usato il corpo energetico di Carol Tiggs — in qualche oscura, misteriosa maniera adeguata alle macchinazioni degli antichi stregoni — e aveva creato la Carol Tiggs dell'albergo, la Carol Tiggs di puro intento. Don Juan aggiunse che Carol e la donna potevano aver raggiunto una sorta di accordo energetico nel loro incontro.

In quell'istante un pensiero parve farsi strada fino a don Juan. Fissò i suoi due compagni incredulo. I loro occhi dardeggiarono di qua e di là, passando dall'uno all'altro. Ero sicuro che non stessero solo cercando conferme, in quanto sembrava che avessero scoperto qualcosa tutti insieme.

«Tutte le nostre congetture sono inutili» disse don Juan in tono calmo e pacato. «Credo che non ci sia più nessuna Carol Tiggs, come non c'è più neanche la donna nella chiesa. Le due si sono fuse e sono volate via sulle ali dell'intento, credo, in avanti.

«Il motivo per cui la Carol Tiggs dell'albergo era tanto preoccupata del suo aspetto era perché lei era la donna nella chiesa, che ti faceva Sognare una Carol Tiggs di altro genere; una Carol Tiggs infinitamente più potente. Non ti ricordi cosa disse: "Sogna il tuo intento di me. Avanti, con l'intento, avanti!".»

«Che vuol dire, don Juan?» domandai, stupito.

«Vuol dire che lo Sfidante della Morte ha visto la sua via d'uscita totale. Ha avuto un passaggio da te. Il tuo fato è il suo.»

«Cosa significa, don Juan?»

«Significa che se raggiungi la libertà, la raggiunge anche lei.»

«Ma come può farlo?»

«Tramite Carol Tiggs; ma non preoccuparti per Carol.» Lo disse prima ancora che esprimessi la mia apprensione. «Lei è capace di manovre così e di ben altro.»

Su di me si ammucchiava l'immensità. Sentivo già il suo peso schiacciante. Ebbi un attimo di lucidità e chiesi a don Juan: «Quale sarà il risultato di tutto questo?».

Non rispose. Mi fissò, scrutandomi ben bene da capo a piedi. Poi parlò, scandendo adagio le parole: «Il dono dello Sfidante della Morte consiste di infinite possibilità di Sognare. Una di queste fu il tuo sogno di Carol Tiggs in un altro tempo, in un altro mondo; un mondo più vasto, senza limiti precisi; un mondo dove l'impossibile magari potrebbe perfino diventare fattibile. L'implicazione era non solo che tu vivessi quelle possibilità, ma che un giorno le comprendessi».

Si alzò, e in silenzio cominciammo a camminare nella direzione di casa sua. I miei pensieri presero a correre all'impazzata. A dire il vero, non erano pensieri ma immagini, un misto di ricordi dalla donna nella chiesa e di Carol Tiggs che mi parlava nel buio della camera d'albergo del Sogno. Un paio di volte fui vicino a condensare quelle immagini in un sentimento del mio sé usuale, ma dovetti rinunciarvi; non avevo abbastanza energia per un compito simile.

Prima di arrivare alla casa, don Juan si fermò e si mise davanti a me. Mi scrutò di nuovo con occhio attento, come se stesse cercando dei segni sul mio corpo. Allora mi sentii obbligato a chiarirgli le idee su un punto su cui, secondo me, sbagliava di grosso.

«All'albergo, io sono stato con la vera Carol Tiggs» dichiarai. «Per un attimo ho creduto anch'io che fosse lo Sfidante della Morte, ma dopo attenta valutazione non posso continuare a crederlo. Era Carol. In qualche modo oscuro e terribile lei era all'albergo, proprio come c'ero anch'io.»

«Certo che era Carol» convenne don Juan. «Ma non la Carol che tu e io conosciamo. Questa era una Carol di sogno. te l'ho detto, una Carol fatta di puro intento. Tu hai aiutato la donna nella chiesa a tessere quel sogno. La sua arte rese quel sogno una realtà onnicomprensiva: l'arte degli antichi stregoni è la cosa più terrificante che ci sia. Ti avevo avvisato che avresti avuto la lezione conclusiva sul Sognare, no?»

«Che ne sarà stato di Carol Tiggs?»

«Carol Tiggs è andata» rispose. «Ma un giorno troverai la nuova Carol Tiggs, quella della camera d'albergo del sogno.»

«Cosa intendi per "andata"?»

«È andata da questo mondo» rispose.

Provai una serie di crampi nervosi al plesso solare. Mi stavo svegliando. La consapevolezza del mio io aveva cominciato a diventarmi familiare, ma non ne avevo ancora ripreso del tutto il controllo. Aveva cominciato, però, a farsi strada nella nebbia del sogno, aveva cominciato come un misto fra il non sapere quel che stava accadendo, e la sensazione di presagio che l'incommensurabile era appena dietro l'angolo.

Dovevo avere un'espressione incredula, perché don Juan aggiunse in tono forte: «Questo è il Sognare. Dovresti saperlo, ormai, che le sue transazioni sono definitive. Carol Tiggs è andata».

«Ma dove credi che sia andata, don Juan?»

«Dovunque sono andati gli stregoni dell'antichità. Ti avevo detto che il dono dello Sfidante della Morte consisteva in infinite possibilità di Sognare. Tu rifiutasti qualsiasi dono concreto, così la donna nella chiesa te ne fece uno astratto: la possibilità di volare sulle ali dell'intento.»

 











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