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ERIC BARET (aforismi, riflessioni, insegnamenti)

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eric bar

1° PARTE – (BREVI RIFLESSIONI)

Lasciate bianco il vostro biglietto da visita.
Non aspetto più domani, mi do all’istante. Non ci sarà mai un domani.
L’espiro è un sacrificio, tutto quello che avete ricevuto lo restituite, morite ad ogni espirazione.
La grazia non bussa che in momenti di non sapere. Non arriva mai in un momento di aspettativa, di attesa, in un dinamismo.
Chiunque avanza verso la grazia non incontra che le sue limitazioni.
D: Può farci la differenza fra il silenzio e il mutismo?
R: Il mutismo è l’assenza di parola. Il silenzio non è legato alla parola o alla sua assenza. Non è legato all’assenza di suono.
Il silenzio è lo “sfondo” costante, senza legame con la presenza o l’assenza di percezione”.
“È sempre una immagine quella che aggredisce.
Il ricco è aggredito dall’immagine della povertà.
Il povero è aggredito dall’immagine della ricchezza”.
C’è uno yoga per stare bene: non è qui.
C’è uno yoga per diventare più forti: non è qui.
C’è uno yoga per imparare a morire: è qui!
Non è detto che fisicamente, psicologicamente, certe situazioni non siano più facili di altre. Ma, anche nelle situazioni che ci sono meno familiari, si può trovare una profonda simpatia, una profonda risonanza.
È l’essenza della via tantrica. Tutto quello che si presenta è mio; non in senso personale o psicologico, ma profondamente. Tutto quello che si presenta è la mia risonanza. Non c’è nulla che mi sia estraneo. E’ questo il tantrismo.

Intimo, uguale a senza commenti.

Non abbiamo niente fra le nostre mani, questo è da capire.
Abdicare al dinamismo di voler comprendere.
Abdicare alla speranza di comprendere.
Siate disponibili alla comprensione ma non cercate di comprendere.
D: Nella tradizione shivaita del Kashmir, si parla di dualità e non dualità. Può spiegarci?
R: La dualità è la non-dualità, non è un concetto. La non-dualità è ciò che si trova dietro l’esistenza. Dunque, il problema della dualità non si pone.
La mia unica libertà è vivere il mio condizionamento affettuosamente.
La prima aggressione è la difesa, il no a quello che succede. Ciò che è veramente offensivo è la mia resistenza, solo chi lascia vivere l’aggressione può lasciarla morire, solo chi lascia vivere il passato può lasciarlo morire.
 C’è pratica ma non c’è nessuno che pratica.
Non bisogna prendersi per un praticante, è un altro immaginario.
C’è azione ma non c’è mai attore.
Quando digerite non c’è nessuno che digerisce.
Quando cicatrizzate non c’è nessuno che cicatrizza
Quando pensate non c’è nessuno che pensa.
….c’è pensiero ma non c’è chi pensa.
È vedere questo la vera pratica.
“Volere cambiare la propria vita è una mancanza di maturità”.
Trattate i vostri figli come se provenissero da un orfanotrofio.
Dimenticate il legame filiale perché esiste solamente un legame di rispetto.
Ciò di cui avete paura è esattamente ciò di cui avete bisogno per trovare la vostra bellezza.
La vita è troppo ricca, troppo bella per lasciare il posto a una riuscita o un fallimento. Non ha senso!
Non è una persona che si incontra ma si incontra la propria assenza.
“Lo Yoga non è una attività del corpo: le assomiglia, ma è un’altra cosa. Per questo le nozioni di stiramenti, di contrapposizioni, di fisiologia sono estranee allo Yoga: esse riguardano la ginnastica, il corpo è immaginario.
Il silenzio non si stira.
Il corpo è un’emozione non localizzabile nè pensabile”.
“Lo scopo dello yoga è farvi capire sperimentalmente che il corpo è in voi, voi non siete nel corpo.
La sensazione è in voi, voi non siete nella sensazione.
All’inizio è un’idea filosofica, poi diventa la vostra esperienza diretta.
Essere senza richiesta, ecco lo yoga”
D: Che cos’è il sentire?
R: È un simbolo, come la parola percepire, è un simbolo che mettiamo sull’impensabile.
L’emozione non ci impedisce di essere tranquilli.
Al contrario, ci porta alla tranquillità.
La tensione del corpo permette la presa di coscienza della vera distensione.
In questa distensione, la tensione appare e ci rivela la distensione.
L’emozione ci permette di constatare ciò che è libero in noi.
“Lo scopo dello yoga è farvi capire sperimentalmente che il corpo è in voi, voi non siete nel corpo.
La sensazione è in voi, voi non siete nella sensazione.
All’inizio è un’idea filosofica, poi diventa la vostra esperienza diretta.
Essere senza richiesta, ecco lo yoga”
Cercare di diventare felici è una mancanza di maturità, di rispetto verso la gioia. Chiedere è un insulto. Potete giusto essere aperti a quel che vi viene dato.
Non si può chiedere la grazia. Quando non chiedete più, c’è umiltà. Questa umiltà è l’inizio della grazia.
Quello che cercate è dietro di voi, non davanti.
 Lo yoga è un’arte che non apporta niente.
Concretizza la nostra intuizione profonda che la bellezza della vita è in ogni istante. L’importante è di trovare in noi questa disponibilità di far fronte a ciò che accade quotidianamente.
Quando appare la parola: “io meditò” è una fantasia. Voi non meditate mai, siete semplicemente aperti a ciò che è nell’istante presente, alla sensazione corporea. Non c’è niente da pensare. Siete condotto a questa risonanza, a questa apertura. Sentirete il sole levarsi nella vostra apertura e rischiarare la vostra vita.

2° PARTE – (LUNGHE RIFLESSIONI)

Quando c’è ansia, è questo l’oggetto di meditazione. Quando c’è gelosia è questa l’Istha Devata (guida interiore). Non avete bisogno d’andare in India, questo è sempre con voi. E’ gratuito, non vi porta niente: non diventate liberi, non diventate saggi, non diventate niente. C’è unicamente tranquillità. Non è la vostra, non è nella vostra tasca. Giocare è nell’istante. Domani, la paura viene di nuovo: voi dite grazie, perché non è altro da voi stessi. Questa paura è di nuovo il vostro ascolto, la vostra verità, d’istante in istante. Non si può essere liberi per sempre, perché non c’è che l’istante. Ed è un gioco senza partecipante. Non c’è che il gioco, nessuno gioca. …
D: Quando si fa meditazione senza meta nè profitto, il fatto di fare della meditazione senza perseguire una meta, non è questa una meta in se stessa?
R: No.
Il fatto di sedervi la mattina, è un’emozione che viene dal sonno profondo. È il vostro strato di sonno profondo che vi porta naturalmente a sedervi in silenzio la mattina. Questo è completamente naturale. Non è concentrazione, non si tratta di eliminare certi oggetti a vantaggio di uno solo. La meditazione è un presentimento profondo dell’autonomia. Non è una attività nella quale entriamo per uscirne. La mattina, coscientemente, rendete il vostro corpo e la vostra psiche disponibili a questo presentimento che conserverà il suo sapore in tutte le attività della giornata. (…)
Strano pensare di aver bisogno di qualunque cosa, di dover riuscire in qualcosa. La riuscita è in ogni istante, la perdita in ogni istante. Cosa c’è da riuscire? È una fantasia. Un bambino lo sa. Non deve riuscire: gioca, è felice. Non si deve lavorare nella vita, si deve giocare. Il gioco è rendersi conto che la riuscita e la perdita non sono l’essenziale. Non c’è riuscita, non c’è perdita, non c’è che l’essenziale. Non si rischia niente, possiamo rischiare.
Ma occorre una forma di maturità per giocare. […]
Cosa possiamo perdere? Posso perdere tutto, ma cosa mi manca? Mi può mancare qualcosa. E io non ho bisogno di qualcosa. Ciò di cui ho bisogno è ciò che sento ad ogni istante.
Non vi viene detto dove dirigervi, ma piuttosto come lasciare che la percezione si esprima totalmente. […]
Voler mettere l’accento sulle tensioni fa parte di quello che in India si chiama “la via progressiva”, vale a dire la purificazione. […] In una via diretta si può momentaneamente mettere l’accento su certi nodi, su certi antagonismi. Mettere l’accento vuol dire rendere chiari questi nodi da punto di vista del nostro ascolto, della tranquillità. Voler sistematicamente purificare il proprio corpo e il proprio mentale è unicamente una violenza. È proiezione. Si vive nel futuro. […] Non c’è nulla da attendere. Ciò che si è, è sempre stato presente. Non c’è nulla da trovare. […] Voler sistematicamente lottare contro una tensione rinvia la questione. È un circolo vizioso. Passate tutta la vita a cercare di distendervi.
Bisogna imparare ad ascoltare il corpo senza saperne nulla… Ascoltare l’istante… Non c’è nulla da cambiare. Si vede solo quello che succede. Non c’è niente da escludere. Volere escludere è violenza. Volersi concentrare è violenza. Lasciare la sensazione corporale completamente libera e rimanere aperti. Non si tratta quindi di “arrivare a fare”, ma rendersi ben conto di tutte le limitazioni, dei blocchi, della mancanza di sensibilità che ci abita e maschera la nostra reale corporalità.
Più la percezione è “una tensione a portare a sé”, personale, più ciò che si sente sarà ingombrato da strati dove l’opacità e la densità manifestano tensioni e reazioni. Rimanere in una posizione con delle tensioni consolida la memoria di tensioni nel cervello. Si rischia di ripetere ogni volta le stesse tensioni e di trovarsi la mattina con il corpo pesante, solido. Tante volte prima di iniziare un movimento certe zone del corpo si fissano in anticipo. Bisogna ascoltare. Una tensione è un elemento che si è separato dal tutto. Quando essa si reintegra nella totalità si libera il flusso naturale dell’energia.
La vacuità non è sentire il corpo vacante, ma constatare quanto è teso. Realizzare come si è reattivi, questa è la vacuità che ci interessa. È una vacuità attiva. In questa sensazione di attenzione, senza la minima determinazione a sopprimere la tensione, qualcosa si svuota poco a poco. Quando si abitua il cervello a non fabbricare più tensioni, dopo qualche tempo si verifica una specie di cancellazione in certe sue parti e le tensioni si rivelano inutili. […] Sentite questa intimità […]. Vedete quando, nei movimenti, si crea il corpo di densità. […] Vi accorgete che arrivate a una disponibilità vuota di sapere. Attenzione a […] desiderare di acquisire qualcosa, o tentare di andare ogni volta un po’ oltre […]. È facile creare uno schema, […] un immaginario… Allora, nuovamente vi allontanate; state ancora aspettando qualcosa… […] Proiettare la sicurezza su fantasie spirituali può essere senza fine. Ci si può considerare uno specialista, un maestro, condannati a questa erranza intellettuale. Qui [invece] si resta in un non sapere.
« Se vi e’ troppo sforzo
psicologico, questa pratica non fa per voi.
Se restare in questo spazio di ascolto vi provoca una reazione troppo intensa-e questo vi è insopportabile-
ci sono pratiche più dolci, più adatte a voi.
Il tantrismo porta in se qualcosa di violento.
I passaggi sono violenti.
Se questa via vi riguarda e sentite una risonanza, non vi sarà sforzo.
Noi qui siamo appassionati della tensione.
Scoprire una tensione nuova nel corpo, ci appassiona molto.
Che il corpo riveli una tensione ci permette di rivelare anche la vera tranquillità: se c’è tensione significa che non posso fare finta di essere tranquillo.
Ecco la vera tranquillità.
Una tranquillità non fabbricata.
Ma sentita fin nella più remota tensione del corpo. »
Quando mi rendo conto, ad ogni istante, della ricchezza della vita, non ho più bisogno di fare delle fotografie. La gioia è nell’istante. L’istante dopo, la situazione è finita, morta, non esiste più. La gioia è sempre là, è la sola maniera creativa di vivere. Non c’è niente davanti a me né dietro. Non ho bisogno d’inventarmi una vita, è la paura che crea la carta da visita. La vera carta è la situazione dell’istante. Le caratteristiche compaiono e spariscono senza lasciare tracce psicologiche. Se comprendete questo profondamente, gli psicologi vanno in pensione e le nozioni di sforzo, di lasciar andare e di sviluppo personale ritornano al museo della paura. Respirate un po’; non abbiate paura della vita. Nel vostro ascolto tutto si compie, niente da trattenere né da lasciare.
“Nella tradizione tantrica del kashmir il corpo è ciò che è percepito.. Quello che noi chiamiamo qui organi o gruppo di organi è, dal punto di vista dell’India, considerata una massa vibratoria. Dal punto di vista della fenomenologia, il corpo appare come sonorità, vibrazioni, insieme di suoni a volte armoniosi a volte disarmonici.
L’ascolto corporale in questa tradizione si avvicina all’arte di scoprirne l’armonia fondamentale,  a cancellare le dissonanze e a ritrovare i ritmi originali.
Bisogna imparare ad ascoltare il corpo senza saperne nulla…  Ascoltare l’istante… Non c’è nulla da cambiare. Si vede solo quello che succede. Non c’è niente da escludere. Volere escludere è violenza. Volersi concentrare è violenza.   Lasciare la sensazione corporale completamente libera e rimanere aperti. Non si tratta quindi di “arrivare a fare”,  ma rendersi ben conto di tutte le limitazioni, dei blocchi, della mancanza di sensibilità che ci abita e maschera la nostra reale corporalità.
 Più la percezione è “una tensione a portare a sé”, personale, più ciò che si sente sarà ingombrato da strati dove l’opacità e la densità manifestano tensioni e reazioni. Rimanere in una posizione con delle tensioni consolida la memoria di tensioni nel cervello. Si rischia di ripetere ogni volta le stesse tensioni e di trovarsi la mattina con il corpo pesante, solido. Tante volte prima di iniziare un movimento certe zone del corpo si fissano in anticipo. Bisogno ascoltare. Una tensione è un elemento che si è separato dal tutto. Quando essa si reintegra nella totalità si libera il flusso naturale dell’energia”
di Eric Baret
L’unico desiderio – Nella nudità dei tantra di Eric Baret:
“Più siete disponibili all’esperienza sensoriale, meno traumatismi psicologici avrete. Se, quando ricevete un colpo, lo assorbite, esso si trasmette al vostro corpo, eventualmente fino al suolo, ed è raro che tutto questo lasci delle tracce. Ma quando ricevete un colpo e vi irrigidite, potete avere un problema. […]
C’è percezione, ma nessuno che percepisce. Ecco cosa diviene sperimentale attraverso questo approccio. […]
Prima o poi, la bellezza è così forte che non c’è più posto per qualcuno che sentirebbe la bellezza. Quando vedete un dipinto eccezionale, voi dimenticate di esserci. Se ci siete ancora, è perché il quadro non è bello abbastanza! […]
Il pensiero è la memoria. Non c’è pensiero creativo, profondo, sottile. Ciò che è profondo, è il sentire. Il sentito è non duale. Il pensiero è sempre duale. È per questo che l’approccio attraverso il pensiero è sempre limitato. Il pensiero è agitazione. Ha il suo valore funzionale. Ma il pensiero che riflette è una forma di agitazione.
[…] Il pensiero in quanto riflessione è uno strumento che non concerne l’eco delle cose. In un momento di tranquillità, davanti ad un paesaggio che ci tocca, quando si sente veramente questa tranquillità, questa disponibilità, non c’è movimento mentale. Poi il pensiero ritorna, per diverse ragioni, e c’è una forma di agitazione. Ci si sente allora separati dal resto. Quando ce ne rendiamo conto, di nuovo, rientriamo in questa risonanza non pensata.
Questo capovolgimento non è qualcosa da fare. […] Il sentire è la porta diretta sulla tranquillità. […]
Cosa vuol dire “voi non vi cercate più psicologicamente”?Vuol dire che non vi aspettate più niente da ciò che accade, perché avete profondamente compreso che quel che cercate non è in quel che accade. Quel che cercate è quel che siete. […]
Quando non utilizzate più la situazione per trovarvi, diventate disponibile alla situazione, e potete funzionare armoniosamente con gli elementi della vita.
[…] Quando non chiedete più, vedete chiaramente ciò che è. La relazione con l’ambiente intorno diventa facile. […]
Fino a quando c’è un’aspettativa, c’è una paura. Fintanto che c’è una paura, non si può funzionare. La volontà di vincere, è la paura di perdere. Non si può avere l’una senza l’altra.
[…] Non c’è passione se non per ciò che è qui. Non si può essere appassionati di una cosa piuttosto che di un’altra. Si è appassionati di ciò che si presenta. La vita è appassionante, tranne quando si ha una storia, perché allora tutto ciò che è interessante è laggiù, domani. […]
Il dolore che sento adesso, è questo, la mia passione. La notizia che apprendo adesso, che risuona in me, è questa la mia passione, nient’altro. […] Ma fintanto che si ha un progetto, non si può essere appassionati, si vive in una storia.
Nelle pretese vie spirituali, c’è una specie di fantasia di perfezionamento, la fantasia di depurarsi, di comprendere, di migliorarsi, di cambiare, una specie di moralizzazione patologica che proviene da menti squilibrate. Non c’è niente da raggiungere nella vita, niente da diventare, niente da cambiare. Le difficoltà che si hanno, le patologie, le incertezze, le difficoltà che si incontrano, questo è essenziale.
È questa, la bellezza – ciò che è profondo -, e non il liberarsi di queste cose per arrivare a qualcosa.
[…] Fino a che credo che la bellezza sia per domani – se diventerò così, se capirò quello, se diventerò libero… -, mi allontano dalla mia risonanza di adesso” (pp. 202-209).
Nei suoi seminari, Jean Klein parlava unicamente della bellezza e dell’arte. Nessuno si domandava se sarebbe arrivato a qualcosa. Per fortuna, perché non si è arrivati a niente! Non c’era affatto l’idea di diventare. Le persone non venivano ai seminari per arrivare a qualcosa, venivano per la gioia di essere lì insieme.
Venivano senza ragione. Venivano o non venivano, è lo stesso.
Se ci si domanda: “Devo andarci, vale davvero la pena?” non vale la pena muoversi. Quello che si fa deve essere fatto per la sola gioia di farlo, perché non porta niente.
Ascoltare, è ad ogni istante. Si rispetta ogni istante. Non si rifiuta niente. È un rispetto non direzionato.
Abbiamo parlato troppo questo pomeriggio…
Diamoci al silenzio.
Eric Baret (L’unico desiderio)

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Amare veramente qualcuno, è un concetto.

Non si può amare qualcuno. E’ una fantasia. La personalità non può amare. Amare, è ciò che è essenziale, non è qualcosa che si possa fare o no.

Quando si smette di “fare”, resta l’Amore.

Si ama qualcuno quando corrisponde alla nostra fantasia.

La persona che amate se fa questo o quello, non l’amerete più.

Un amore che comincia e che finisce, non è veramente un amore.

Amare, è ascoltare, è essere presenti.

Amare i figli, significa non chieder loro niente e dare tutto. Un giorno essi spariranno, non saranno più in contatto con voi. Chiedere a vostro figlio di telefonarvi, di darvi notizie, non è amore. Il figlio fa quel che sente il bisogno di fare; non si domanda niente ad un figlio. Ma amare qualcuno su un piano umano, è una fantasia.

L’ego non può amare. Utilizza, pretende, si rassicura.

Quando trovate qualcuno che corrisponde alla vostra fantasia fisica, psicologica, intellettuale, affettiva, dite di amarlo profondamente.

Quando questa persona poi fa qualcosa di diverso, allora diventa detestabile.

Non si può amare qualcuno. Sentire una forma di amore è profondamente giusto.

E’ prima della fantasia del “amo qualcuno”. Il sentimento di amore è profondo, essenziale. Ma , per mancanza di maturità, si pensa di amare “qualcuno”.

In realtà si ama semplicemente, perché l’amore è senza direzione.

Ciò che amo è quel che è presente davanti a me.. Non c’è nient’altro.

Cosa potrebbe esserci di più bello, di più straordinario, di ciò che si presenta nell’istante se non ho la pretesa che la bellezza e la saggezza siano altrove?

L’amore è ciò che è quando si smette di pretendere di amare qualcuno.

Amare qualcuno, voler essere amati, è una storia.

Che vuol dire essere amati?

Nessuno vi ama, nessuno vi amerà mai, nessuno vi ha mai amato, ed è meraviglioso così.

Le persone non possono che pretendere. Se corrispondete ai loro criteri psicologici, fisici, affettivi, vi amano quando vi incontrano. Se non corrispondete, vi detestano.

E allora? Ci sono dei cani che vi amano e altri che non vi amano. E’ biologico.

Perché occuparsi di queste cose? Cosa significa essere amati? E’ una fantasia.

Cosa importa se qualcuno proietta su di me un’attrazione o una repulsione?

E’ completamente fantasmatico!

A un certo punto vi rendete conto di non aver bisogno di amare né di essere amato. Cosa resta? Resta il sentimento d’amore, questa comunione che si ha tra tutti gli esseri e che non è direzionale.

Vi rendete conto che amare spetta a voi. Quel che vi rende felici è amare.

Se qualcuno dice di amarvi profondamente ma voi non lo amate, questo non vi porta niente. Per contro, quando amate questo vi rende felici. Le cose quindi erano viste al contrario: amare spetta a noi.

Quando amo il mio corpo, la mia mente, il mio ambiente, c’è tranquillità. Mentre voler essere amati è solo un concetto.

Quando amate, non amate qualcuno, amate e basta.

La persona con cui vivete, dormite o andate al cinema, è un’altra cosa. Non potete dormire con tutti, abitare con tutti. Una selezione organica s’impone. Ma l’amore non si colloca qui.

Non è perché dormite con qualcuno che lo amate più di un altro con cui non dormite!

Non è perché vivete con una donna che l’amate più di ogni altra con cui non vivete!

E’ funzionale.

Ci sono persone che amiamo profondamente eppure non viviamo con loro. Semplicemente non ci sono le circostanze. Non ho bisogno di amare qualcuno per vivere con lui, dormire o viaggiare. Questo accade ad un altro livello.

Ma vedrete che prima o poi “amare qualcuno” non vorrà dire niente.

E’ come prendersi per qualcuno, è solo un’immagine.

Posso essere stimolato da qualcuno. Quando il mio corpo passa a trenta metri da un certo altro corpo, una forma d’intensità si manifesta, e a dieci metri sarà ancora più intensa, e quando ci si sfiora è come una follia che arriva: il suo odore, la forma del suo corpo, il suono della voce, il modo di muoversi, la sua dolcezza o la sua durezza, la sua ricchezza o la sua povertà fanno si che io sia toccato.

Ma perché chiamare amore tutto questo? E’ puramente chimico.

A seconda di cosa somigliava vostro padre, vostro nonno, se a tre anni eravate picchiati o accarezzati, amerete questa o quella forma di corpo, questo o quell’odore, questo o quel modo di muoversi. La tale persona vi attira, l’altra per niente.

Questo risale a molto , molto lontano. La parola “amore” non c’entra.

E’ solo quando vedete chiaramente tutto questo che potete sposarvi, avere dei figli senza bisogno di recitare. Allora vivete funzionalmente con qualcuno, con tutto il rispetto e l’ascolto che ciò implica. Ma non siete obbligati a credere che i vostri figli siano i vostri figli, che i vostri genitori siano i vostri genitori , che vostro marito sia vostro marito. Lo sono anche, certo, occasionalmente.

Amare è ascoltare.

Siete in presenza di una situazione, con qualcuno? Lo ascoltate.

Ascoltate ciò che è, non solo quello che pretende di essere.

Ascoltate profondamente, senza commenti. Quando ascoltate, i vostri figli sono perfetti, vostro marito è perfetto, il vostro corpo è perfetto, la vostra mente è perfetta.

Tale è la chiara visione che proviene dall’ascolto.

Quando penso che i miei figli, mio marito o il mio corpo devono cambiare, significa che non ascolto.

Parlo, ho un’ideologia a proposito di ciò che è giusto e di ciò che non lo è.

E’ una forma di fascismo: volere che gli altri siano come io decido che dovrebbero essere. Una sorta di fascismo psicologico che non ha senso.

Amare è rispettare.

Rispetto il mio prossimo, mio figlio, mio marito, mio padre, la società e tutte le violenza che ho subito. Rispetto ciò che è qui.

Questo non giustifica niente, io non devo giustificare.

La vita non deve essere giustificata, essa è quello che è.

Affronto la realtà non quello che la realtà dovrebbe essere secondo la mia fantasia intellettuale.

Il vicino è esattamente come deve essere, non può essere diversamente. Quando vedo chiaramente come funziona, ho dei buoni rapporti di vicinato. Quando il vicino picchia sua moglie capisco profondamente che la sua terribile sofferenza lo porta a picchiare la moglie. Questo non vuol dire che in certi casi io non chiami la polizia, non faccia una osservazione o intervenga fisicamente. Vuol solo dire che quando picchia sua moglie so che lo fa per sofferenza, che quando si è violenti è perché ci si sente aggrediti. Ci si può sentire aggrediti persino da un sorriso.

In una totale assenza di critica c’è la comprensione della situazione. Questo è per me il rispetto. Certi lo chiamano amore.

Amare qualcuno? Che favola straordinaria!

Essere amato è una favola ancor più meravigliosa!

E il massimo è soffrire di non essere amati..

Guardate come funziona.

Se do un biscotto al cane , il cane mi ama. Se lo picchio sul muso , non mi ama.

Faccio qualcosa, mio marito mi ama. Vado a letto con suo fratello, mio marito non mi ama più. E allora? …

Lasciate le persone libere. Le persone mi amano, non mi amano è meraviglioso così.

Aver bisogno di essere amati è una forma di malattia molto intensa sul piano somatico. E’ terribile, come la gelosia. Distrugge il sistema ormonale, il sistema cellulare. Questo bisogno di amore è un veleno.

Il rimedio è amare. Non si può fare altro che amare.

Quando si dice: “non amo”, si nega l’essenziale in se stessi, perché non c’è niente che non si possa amare.

Quando dico di non amare la tale persona o la tale circostanza, nego l’amore che è in me. Allora c’è sofferenza.

E’ meraviglioso amare, essere totalmente attenti a qualcuno. Come con un figlio.

Si può impedire al proprio figlio di morire? No! Si ama il figlio come è adesso in ogni istante. Non si sa se l’istante dopo avrà sempre questa forma.

Si è presenti senza richieste

Cosa si può chiedere ad un figlio?

Si fa tutto ciò che si può, senza un domani. E’ gratuito.

Quando si vive con qualcuno, è la stessa cosa. Fate tutto quello che potete senza chiedere nulla. Allora si crea una autonomia, una maturazione.

Se, un giorno, per la natura della vita c’è una separazione dalla persona che ha vissuto 10 anni con voi, anzitutto vedrete che questo amore non vi lascia, e poi, se mate profondamente questa persona, sarà immensamente facile per voi comprendere che lei ha bisogno di incontrare qualcun altro e magari anche voi, oppure no.

L’amore è plasticità. Nessuna richiesta possibile.

Più familiarizzate con l’attitudine di dare tutto e non chiedere niente, più le vostre relazioni affettive diventano semplici, facili e armoniose.

Dal momento in cui domandate la minima cosa, incontrerete l’amarezza, la delusione, i dispiaceri, l’esitazione, l’agitazione, il conflitto.

Questo si traspone a tutti i livelli. Finché aspetto la minima cosa dal mio corpo, sarò deluso. Fino al momento in cui mi renderò conto che, al contrario, sono io che devo dare, amare.

Amo perciò il mio corpo come è, con le sue malattie , con i suoi limiti, le sue debolezze , i suoi incidenti, se è così ci sono delle ottime ragioni .

Non è un caso, e ciò non vuole dire che non potrà cambiare.

Mi rendo disponibile affinché il mio corpo possa esprimersi, nella salute come nella malattia. Ma se chiedo qualcosa al mio corpo, se voglio utilizzarlo, è ancora la dittatura, la volontà d’imporre la salute, lo sport, un regime alimentare…

E’ una forma di violenza.

Ascolto il mio corpo, che trasmette ciò di cui ha bisogno. Tutto quello che devo fare è essere disponibile. Ogni volta che il mio corpo ha una debolezza, capisco che è un regalo che mi permette di scoprirne una che è ancora più importante: quella di credere che il mio corpo debba essere senza debolezze.

Quando vedo chiaramente questo, la debolezza del corpo resta quello che è: semplice debolezza del corpo.

Ma se la debolezza del corpo fa si che io mi senta debole, devo allora far fronte alla mia debolezza psicologica.

La debolezza del mio corpo mi aiuta ad interrogarmi.

Quello che mi tocca è quello che mi fa maturare.

La fantasia dell’amore è molto costante nella vita umana. Non dura che un momento. Un bimbo non ha questa fantasia, è felice senza essere innamorato, a venticinque anni è convinto che senza innamoramento la vita non sia interessante. Più tardi a novantanni non ha più per niente voglia che qualcuno gli salti addosso per cincischiarlo e può essere lo stesso molto felice.

L’amore, per come lo si intende abitualmente, è una manca di amicizia.

E’ un baratto, uno scambio, del commercio.

Tu mi dai questo, io faccio quello. Io non vado a letto con la vicina, tu non vai con il vicino, siamo fedeli…

L’amicizia, è essere disponibili a tutto ciò che è possibile.

Non si è obbligati a sapere se si è l’amante, il marito, il padre , il figlio.

Ci sono un sacco di ruoli umanamente possibili. Ad un certo punto non ci si situa più in funzione dei ruoli. Tutto è flessibile.

Se si incontra qualcuno, non si ha un ruolo. Il ruolo si crea nell’istante e si cancella nell’istante.

Occorre trovare una creatività nelle relazioni umane.

Non esiste una sola alternativa: fare l’amore o non farlo.

Ci sono multiple possibilità d’incontri umani: fisici, mentali, psicologici.

Aprirsi a tutte queste possibilità, corporalmente.

Non esiste solo la tenerezza o la violenza. C’è tutto un ventaglio di emozioni.

Per paura o per bisogno compulsivo di sapere qualcosa di se stessi non si è disponibili alle alternative, si trascurano tutte le infinite sfumature.

Sono facili, le relazioni umane, molto facili.

Basta amare quel che si incontra. Amare è donare la libertà.

Là dove non può esserci conflitto psicologico, non ci si può arrabbiare.

Delle persone si arrabbiano con voi? Lo rispettate.

Ad un certo momento non si può più essere arrabbiati.

Ci sono delle sofferenze inevitabili, le sofferenze fisiche: quando si è torturati, quando si hanno incidenti terribili.

Ma la sofferenza psicologica, soffrire perché mio marito o mia moglie fanno o non fanno quello, è una cosa inutile.

Abbiamo già abbastanza sofferenze inevitabili da affrontare per riservare la nostra capacità di soffrire a quei momenti.

Soffrire perché non si è amati, almeno di questo possiamo dispensarci.

Questo non nega l’intensità dei rapporti umani, al contrario. E’ questa fantasia di amare qualcuno che rende frivoli i rapporti umani.

Si può benissimo vivere tutta la vita in profondo amore con qualcuno, in tal caso non è una fantasia d’amore, è una evidente risonanza.

Se abbandonate l’idea di amare qualcuno, non avete nemmeno bisogno di cambiare partner ogni dieci anni.

Sapete benissimo che con un altro sarà la stessa cosa, si incontrano unicamente le proprie problematiche.

Si può passare tutta una vita in un rapporto meraviglioso, si può passare tutta la vita ad approfondire questo rapporto. E’ un rapporto senza richieste , è un rapporto d’amore nel senso che si ama profondamente ciò che è, ciò che si manifesta.

Altrimenti, c’è sempre delusione. Si è delusi, amari. Si ha il labbro superiore leggermente retratto, sintomo fisiologico dell’amarezza.

Ci si innervosisce e si sussulta facilmente, si è sarcastici perchè si è delusi senza saperlo, perché si è questo qualcosa che non ci può essere dato, perché non esisteva.

Questa presa di conoscenza ci libera da ogni domanda.

Cosa rimane allora?

Rimane l’AMORE, il Non-Bisogno.

Eric Baret (tratto da L’unico desiderio)


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Come conciliare vita familiare, sociale, lavorativa con il concetto di non dualità? Ecco le risposte di Eric Baret.

D: Cosa intendete per spirito libero?

E.B.: Questo si riferisce a una mente libera dal passato e dal futuro. Non c’è intenzione, nessuna parte dove andare, nessun dinamismo. Il dinamismo è ciò che ci separa dall’ambiente. E’ una personalità che vuole arrivare da qualche parte. Nell’apertura, non c’è più dinamismo. E’ una sensibilità rispetto all’ambiente, e , poi, azione: ma non è più un’azione personale.

Uno spirito libero si riferisce specificatamente a questo stato senza attore, solamente azione. Gli avvenimenti accadono, ma non c’è più centro nell’azione.

D: Allora, non c’è più intenzione nell’azione?

E.B.: No.

D: Se non c’è più intenzione, com’è possibile vivere nella non-dualità, nella verticalità, e di adempiere anche alle proprie funzioni, di lavorare, occuparsi della famiglia, tutto ciò che, nella dualità, richiede intenzione, proiezione e realizzazione di cose materiali e concrete?

E.B: E’ il contrario. Se si vive nell’intenzione, non ci si può occupare della propria famiglia. Ci si occupa unicamente di se stessi. Ci si serve della famiglia per rassicurarsi. Si utilizza la propria moglie per avere piacere, si utilizzano i figli per sentirsi felici, si utilizza il proprio lavoro per darsi un’identità. Non si compie l’attività di cui ha bisogno il paese: si occupa la posizione che ci conviene. Non si fa ciò che è giusto per la propria moglie: si fa ciò che abbisogna perché la nostra donna faccia ciò che ci piace. Non si fa ciò che giusto per i nostri figli, ma eventualmente si spinge perché abbiamo successo perché questo ci soddisfa personalmente.

L’azione che scaturisce da una personalità, da un dinamismo non è mai funzionale. Ci si serve degli altri, non si fa che prendere, domandare. Gli altri diventano uno strumento per soddisfare l’ego, per creare la sicurezza. Ci si sposa per paura di vivere soli, per paura dell’insicurezza. Ci si serve del coniuge e, quando non ci da abbastanza sicurezza o apprezzamento, lo si getta via e se ne trova un altro, ecc. E’ un modo totalmente egoistico di pensare e di vivere. E’ impossibile, da quel punto di vista, compiere una qualunque azione positiva per chi ci circonda.

Solo il presentimento del silenzio al di là dell’attività, può condurre all’ascolto degli altri senza aspettarsi alcunché. Non si domanda più ai propri figli di diventare questo o quello, si ascoltano le loro capacità. Si fa ciò che è appropriato per la propria donna, senza domandarle di stimolare le nostre fantasie o di fare qualcosa per rassicurarci. A quel punto si può davvero diventare un buon cittadino, lavorare per il proprio paese o, se occorre, dare la propria vita per esso, occuparsi della propria famiglia ed essere funzionale in tutte le situazioni. Ma, da un punto di vista egoico, è impossibile. L’ego prende, utilizza e getta.

D: Come potrebbe un uomo d’affari conciliare questi punti i vista? Come fare Yoga al mattino e vivere la non-dualità, quando si vive nel mondo? Voi come fate?

E.B: Abbiamo parlato delle arti marziali. La base delle arti marziali è stimolare in noi la capacità di affrontare la situazione senza commento psicologico. Se qualcuno vi mette un coltello sotto la gola e c’è paura psicologica, voi vi metterete forse a correre inseguito da un attaccante che corre più veloce di voi. L’addestramento nelle arti marziali non consiste nel dirvi che cosa fare, che gesto compiere, ma come affrontare una situazione senza residuo affettivo; in quel momento il corpo, secondo le sue capacità, reagirà in modo chiaro. Molte persone si ritirano per vivere la vita monastica, dove ci sono poche perturbazioni esteriori. Là, si deve meditare e compiere un mucchio di strane attività che mirano a preservare il nostro piccolo confort psicologico. Ma quando un desiderio, una paura o un’emozione sorge, questo stato è turbato dall’emozione. Parliamo qui di un non-stato. Di ciò che è al di là di tutti i nostri stati percepiti, di un presentimento del silenzio, costantemente presente.

E’ la base della danza, della musica, di tutte le arti, di tutte le espressioni. Se un musicista non sentisse il silenzio, non potrebbe comporre. La base di tutta la musica e la danza, è questo presentimento, reso attuale, del silenzio. E’ questa tranquillità che permette all’espressione di manifestarsi. E’ questa assenza di paura che ci permette di combattere.

Per tornare al nostro esempio particolare: che al mattino pratichiate o no lo Yoga, non ha e non avrà mai nessuna importanza per quanto riguarda l’attuare la vostra libertà. Il presentimento del silenzio è con voi al mattino, con o sena meditazione e, prima o poi, questo resta con voi in tutte le attività della giornata. E di là che viene la chiarezza.

Se prendere un binocolo al contrario e guardate i vostri piedi, li vedrete molto chiaramente e molto lontano. Nello stesso modo, quando siete liberi da una situazione, lo vedete chiaramente. E questa sensazione di libertà, vi fa sentire indipendenti dalla situazione. In questa indipendenza, la vedete totalmente, l’assimilante. Se ci si perde nella situazione, la chiarezza scompare. Non se ne vede che l’aspetto esteriore. Quando avevate quindici anni e la vostra amichetta vi ha lasciato, fu un dramma, perché eravate totalmente identificato con la situazione. Ora, quando ci ripensate, vedete in modo totalmente diverso quel fatto. Siccome non vi interessa più, non vi emoziona più, vedete veramente quel che è successo. Lo vedete solo ora perché non c’è più un legame affettivo. Finché c’è un dinamismo personale, non si vede la totalità di un avvenimento. E’ il sentimento di libertà che viene dal presentimento del silenzio, che, solo, porta al chiarezza nell’azione.

E’ come un chirurgo che opera: non può nello stesso tempo soffrire e operare. E’ la sua libertà di fronte al destino del paziente – vita o morte – che gli permette di assolvere al suo compito correttamene; se non siete libero da una situazione, non potete agire correttamente.

D: Nelle nostre società moderne, ci sono molte pressioni, leggi, convenzioni. Come un giovane potrebbe sapere cosa deve fare?

E.B: Esatto; può essere difficile trovare la propria identità in una società il cui scopo è avere di più, diventare di più. E’ normale che, per qualche momento, si creda che una donna, dei figli, la salute e una grossa automobile ci daranno la sicurezza o la gioia.

D: In India ci sono le caste ed è ciò che decide; non ha niente a che fare con la persona.

E.B: Esattamente. Ci sono famiglie di preti e famiglie di musicisti. C’è una corrente. Non parliamo di reincarnazione, ma, a parte questo, è certo che il cervello e il processo d’apprendimento degenerano molto presto. Più apprendete presto qualcosa, più l’integrate. Quando vedete vostro padre esercitarsi nelle arti marziali o nelle arti della medicina, imparate il ritmo. Ora la vista, la competenza, non sono che il ritmo. Il resto non è che l’espressione. I ballerini, i musicisti devono imparare molto presto. Si apprende per mimetismo.

Quando si apprende per mimetismo, c’è sempre competenza. Quando si fa qualcosa bene, ci si sente felici e, generalmente, si può sopravvivere finanziariamente. Forse avreste preferito qualcosa più alla moda, essere avvocato,per esempio, o prete. Ma se siete mercante di tè, questo può bastare a una vita funzionale.

In una società dove si impara tardi un lavoro, le capacità restano generalmente concettuali. Se siete incapace di fare qualcosa di creativo, diventare agente immobiliare, terapeuta, uomo politico o guru.

D: Non siamo in India, ma in occidente.

E.B: La difficoltà, nei nostri paesi, se si vuole restare sul piano sociologico, è l’assenza d’esempio dato dalla famiglia. Su un certo piano, nelle nostre società, per molta gente lo scopo del lavoro è di guadagnarsi da vivere e dobbiamo accettare questa forma d’inettitudine. Poca gente ha la fortuna di avere un lavoro che sente. Ma il problema è soprattutto psicologico. In uno spirito libero da pregiudizi, se siete un musicista e dovete lavorare in una officina, restate un musicista nel cuore e lavorate come un operaio: non c’è nessun problema. Praticamente, più siete liberi da una qualunque idea di esser qualcosa, più sarà facile adattarsi ad una situazione particolare.

Non domandate al vostro lavoro di essere gradevole. Lo vedete in modo funzionale. In quel momento, vi rilassate. E poiché vi rilassate, la complessità, la bellezza, la giustificazione del vostro lavoro – che fino a questo momento trovavate mediocre e non interessante per pregiudizio – si presenta. A quel punto, potete sopravvivere felicemente in qualsiasi attività. Il vostro corpo potrebbe preferire coricarsi più presto, lavorare meno, ma non è un problema. Così come il vostro corpo può sentirsi più in accordo con certi cibi più che con altri, se non c’è che del cadavere da mangiare, non ci sarà problema psicologico, forse solo una costipazione. Il conflitto viene solo da un punto di vista patologico. Possono esserci conflitti funzionali, ma sono totalmente senza ramificazioni psicologiche: non esistono che nell’istante e non lasciano tracce nella piche. Non potete più sentirvi a disagio in nessun ambiente.

Non dovete sentire psicologicamente il vostro lavoro, né vostra moglie; non dovete sentire nulla. Quando non sentite più niente psicologicamente, voi sentite veramente.

Eric Baret

Non – dualità e vita sociale

(3mè Millenarie n. 54) – Traduzione di Luciana Scalabrini

 

 








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la meditazione come via vipassana e zazen home presentazione meditare le lezioni buddhismo zen gli esercizi testi bibliografia insegnante dizionario zen links "Essere senza progetto, ecco il grande progetto!" (Eric Baret) Oggi iniziamo a leggere dal testo L'unico desiderio - Nella nudità dei tantra di Eric Baret, il massimo esponente occidentale vivente della tradizione tantrica kashmira, sulla scia di Jean Klein: "Di momento in momento, vi rendete conto che siete costantemente nella tecnica, che cercate di avere una vita riuscita. [...] Vedete che siete sempre in procinto di pretendere, di sapere quello che è giusto. Non potete fare diversamente! Quando avete paura, non potete non aver paura. Quando avete un desiderio, non potete non averlo. Quando siete agitati, non potete non esserlo. Non c'è che emozione nella vita. Vivete con questa emozione chiaramente. Non siete nell'emozione: l'emozione è in voi. Lasciate che la tristezza, la paura, l'avidità, il desiderio vi visitino. È una carezza, qualcosa che si libera. Ma non c'è tecnica, scopo. C'è ciò che si compie ad ogni istante, quando non si rovina questo istante volendo avere successo [...]. Rendersi conto che si è sempre in procinto di imporre al proprio corpo, alla propria mente e al proprio prossimo un'idea: «Sarebbe meglio così». Vedere che si agisce come un dittatore. Quando lasciate che la vostra mente e il vostro ambiente siano come sono, allora si rivelano. Una chiarezza nasce. C'è azione. Ma volere qualcosa, essere agitati e voler essere tranquilli, aver paura e non volere aver paura, a quel punto interviene una tecnica e non si fa altro che rimandare. [...] È sufficiente rendersi conto che avere un progetto equivale a imbavagliare la vita [...]. Quando non prendo più in carico il mondo [...], divento disponibile a ciò che è: la chiarezza. [...] Nessuno scopo è più possibile. Lo scopo, è la vita, ad ogni istante, senza scelta. Non c'è nessuna tecnica possibile. [...] Vedere che si è costantemente nel futuro: «Sarò felice quando sarò così, sarò felice quando avrò [...]». È sempre domani. Ad un certo momento, non avete più bisogno di tutto questo. [...] Quando non avete più scopo, quando non c'è più niente da compiere, allora si rivelano la gioia e la bellezza. È allora che c'è azione! Le vostre notti di sonno si riducono. La vostra capacità di agire aumenta. Non c'è più la paura di fallire: non c'è fallimento per voi. Tutto è un successo. I vicini pensano che sia un fallimento, ma per voi è un successo. Non c'è che il successo, istante dopo istante. Siete malato: è un successo. È questa la verità dell'istante. newsletter aggiunti ai preferiti stampa la pagina cerca nel sito email IN EVIDENZA SEMINARI IN PROGRAMMA Voi potete ascoltare la verità dell'istante. Il resto è una fantasia: come il mondo dovrebbe essere, come vostro figlio, il vostro corpo dovrebbero essere, come vostra moglie dovrebbe essere... tutte queste cose sono perfette! Quando non me ne rendo conto, ho un problema. Ogni volta che qualcosa mi aggredisce, dico grazie. Guardo e vedo che sono io che mi aggredisco pensando che dovrei essere trattato diversamente. Smetto di aggredirmi e guardo di nuovo: vedo che si tratta di un regalo affinché io mi liberi della mia propria aggressione. Tutto ciò che ci aggredisce, è un regalo per mostrarci le nostre paure. Lì c'è veramente creatività, azione. Essere disponibili. Quando siete con uomini d'affari, vibrate agli affari. Quando siete con musicisti, vibrate alla musica. Se siete con dei fuorilegge, vibrate a loro. Non c'è nulla che vi sia estraneo. Di fronte al violato e al violentatore, siete chiari. [...] Al contrario, quando avete un progetto, un desiderio, un'ambizione, tutto ciò che lo contrasta diventa un nemico. Voi colpite a destra e a manca tutto ciò che ostacola il vostro miserabile progetto. Essere senza progetto, ecco il grande progetto! La non azione, è la vera azione: tutto è possibile. Tutte le arti provengono da questa non azione. La rapidità, la potenza, la bellezza, tutto questo proviene dalla non azione. L'intenzione blocca la corrente. Un pugile che vuole picchiare non può picchiare. La volontà tende il corpo, le spalle salgono, i colpi sono frenati. Il vero colpo arriva da solo, senza intenzione, senza richiamo, ed è quasi impossibile prevederlo. Non c'è più pugile: c'è pugilato. La vita è troppo bella perché possa esservi un attore, una personalità" (pp. 10-12; 18-19). w This file was downloaded with an evaluation copy of the SuperBot Offline Browser. This message is not added by licensed copies ofSuperBot. la meditazione come via vipassana e zazen home presentazione meditare le lezioni buddhismo zen gli esercizi testi bibliografia insegnante dizionario zen links "Niente in cui riuscire e niente in cui fallire" (Eric Baret) newsletter aggiunti ai preferiti stampa la pagina cerca nel sito email Continuiamo oggi a leggere da L'unico desiderio - Nella nudità dei tantra di Eric Baret: "Strano pensare di aver bisogno di qualunque cosa, di dover riuscire qualcosa. La riuscita è in ogni istante, la perdita in ogni istante. Cosa c'è da riuscire? È una fantasia. Un bambino lo sa. Non deve riuscire: gioca, è felice. Non si deve lavorare nella vita, si deve giocare. Il gioco è rendersi conto che la riuscita e la perdita non sono l'essenziale. Non c'è riuscita, non c'è perdita, non c'è che l'essenziale. Non si rischia niente, possiamo rischiare. Ma occorre una forma di maturità per giocare. [...] Cosa possiamo perdere? Posso perdere tutto, ma cosa mi manca? Mi può mancare qualcosa. E io non ho bisogno di qualcosa. Ciò di cui ho bisogno è ciò che sento ad ogni istante. [...] Cosa si può perdere nella vita? Non c'è niente in cui riuscire e niente in cui fallire. È come una nuvola che passa: è un successo, è un fallimento? Tutti questi concetti non hanno senso. È una fantasia. La bellezza della vita è far fronte, ad ogni istante, a ciò che è. Il vento mi carezza la guancia, un cane mi lecca la mano, qualcuno mi lecca i piedi, qualcun altro mi dà un calcio: sono presente, chiaramente, istante dopo istante. Non c'è domani. È il solo modo di vivere. Il resto non è la vita, ma una miserabile accozzaglia di concetti. La vita è troppo ricca, troppo bella per lasciare il posto a una riuscita o un fallimento. Non ha senso! [...] Dagli antagonismi sorge la comprensione. Ma,generalmente, non si vogliono gli antagonismi: non si vuole aver paura, non si vuole essere tristi, non si vuole essere angosciati, non si vuole essere malati, non si vuole che i bambini muoiano, non si vuole che si droghino, non si vuole essere in prigione... perché abbiamo un progetto. Ogni volta che accade qualcosa, diciamo: «No, no, non questo, non è questo. La vita è un'altra cosa». A un dato momento, mi rendo conto che dico costantemente no alla vita. La vita è ciò che mi accade adesso. Non può essere diversamente. La mia vita non è domani. Vivere come se si dovesse morire fra un quarto d'ora. Avete ancora un quarto d'ora per respirare, per sentire, per vedere, per IN EVIDENZA SEMINARI IN PROGRAMMA ascoltare, per gustare, per provare, per essere totalmente qui. Siete su un aereo che cade, c'è follia intorno a voi: siete totalmente presente, approfittate di questi ultimi istanti. Non vi mettete a pensare. Ogni istante è così. [...] È l'ambiente intorno che mi benedice. Tutto quel che mi accade è una benedizione. Familiarizzarsi con la gioia di vivere, che è senza ragione. Sognare un ottimo pasto, un bellissimo figlio, una bellissima casa, tutto questo vi abbandonerà. Vi sentirete felici senza un motivo. Vostro marito vi tradisce, avete perso il vostro denaro, non siete in buona salute: la vita è come è. Vi sentirete disponibile a quel che accade. Ci sono talmente tanti momenti di gioia senza motivo che non c'è più motivo di essere felice nella situazione. Tutte le situazioni conducono a questa disponibilità. La bellezza è come è. Ci sono momenti che ci toccano più di altri, per questioni genetiche. Ma non si ha più bisogno di quei momenti. Se capitano, è meraviglioso. Anche se siete solo, senza amanti, senza soldi, senza salute, senza casa, resta questa gioia di vivere. Non c'è più relazione tra causa ed effetto. È in questi momenti che si è efficaci. Se avete un harem da gestire, lo gestite organicamente, in maniera armoniosa. Se avete una fortuna da amministrare, lo fate in maniera intelligente, armoniosa, in modo che la società ne benefici. Si gestisce il proprio corpo in maniera intelligente, non per qualcosa. Non c'è più ragione, scopo a ciò che si fa... Allora ci si familiarizza con la gioia che è senza motivo. [...] Non c'è niente da chiedere alla vita. Non chiedo niente: chiedo quello che è. L'armonia non è il risultato di una riflessione. Non c'è niente da comprendere. Si tratta di vivere con questo sentito, familiarizzarsi con lui, essere disponibile! Ogni avvenimento vi accarezza, vi tocca: respirate tutti gli avvenimenti. Guardate la televisione, c'è un terremoto: sentite la tristezza delle persone, il loro malessere, siete disponibili a questo. Può darsi che andrete ad aiutare, ma sarete in pace. Si sentono le cose. Si vive nel sentito. Non c'è da pensare. [...] È il sentito che nutre. Non è una situazione, siamo noi stessi che ci nutriamo di questa disponibilità ad essere senza progetto, senza scopo. Gustare ogni istante. Rendermi conto che, nel momento in cui ho uno scopo, nego la bellezza, nego la gioia di essere: pretendo ancora che sia per domani. Non aspetto più domani, mi do all'istante. Non ci sarà mai un domani" (pp. 26-31). w This file was downloaded with an evaluation copy of the SuperBot Offline Browser. This message is not added by licensed copies ofSuperBot. la meditazione come via vipassana e zazen home presentazione meditare le lezioni buddhismo zen gli esercizi testi bibliografia insegnante dizionario zen links "La vera sicurezza" (Eric Baret) Continuiamo oggi a leggere da L'unico desiderio - Nella nudità dei tantra di Eric Baret: "Cosa fare della paura, della collera e delle tensioni? Voi non fate niente. Voi sentite. A un certo momento, è troppo per voi, non potete più sopportarlo. È perfetto così. Telefonate a un amante. Più tardi, la paura ritorna. Stendetevi. Sentite ancora di più. Di nuovo, non potete più sopportare il sentire. Andate al cinema. Un altro giorno, la paura si rimanifesta. Voi restate disponibile, l'ascoltate, vi rendete conto che la paura è un ritmo e che si espande in tutto il corpo... Possono occorrere parecchie volte, ma, prima o poi, qualunque sia l'emozione provata, la sua integrazione sensoriale vi riporterà nel ritmo della tranquillità. Poiché siete nella tranquillità, l'eco profondo della paura continuerà ad attualizzarsi e voi comprenderete che questa paura si riferisce direttamente alla tranquillità, che è senza causa. [...] In pratica: avete ricevuto un colpo, non vi occupate di cosa possa essere, restate con l'eco, vivete con essa, sentite. [...] Se restate mentalmente con la causa apparente (colui che vi picchia) col vostro giudizio, la vostra opinione sulla situazione, abbandonate la realtà. [...] Tutte le emozioni provengono dal silenzio. Se dimorate nell'attualità sensoriale dell'emozione - per esempio, la sensazione dei colpi - questo vi riporta alla sua essenza, al suo sapore. È giusto dire che dapprima la paura è all'esterno, poi è nel copo senza che ne siate cosciente, in seguito ve ne rendete conto e, in quel momento, essa si libera? Sì. Lo si vede come una reazione, ci si stacca da ciò che non è sé? No. Non c'è nulla da cui ci si debba staccare. Tutto ciò che si presenta accade nella coscienza. Voi sentite la reazione alla paura. Ma non è più la paura di qualcosa, non è più una separazione da questo e da quello: è la paura originale, che si esprime attraverso tutte le nostre piccole paure. [...] Come trovare la sicurezza? La sicurezza non esiste: è una favola. [...] La vera sicurezza si newsletter aggiunti ai preferiti stampa la pagina cerca nel sito email IN EVIDENZA SEMINARI IN PROGRAMMA presenta quando vivete scientemente nell'insicurezza. [...] Come tutti abbiamo potuto constatare, c'è, nella soddisfazione di un desiderio, un momento di sicurezza. Ma, quando si osserva profondamente ciò che accade, ci si accorge che questo momento di sicurezza è meno dovuto all'ottenimento di quello che cerchiamo che all'assenza di ego inerente allo stato di soddisfazione del desiderio soddisfatto. Si può dire che nel vuoto c'è la vera sicurezza? Il bisogno di sicurezza è della persona. Finché ho la pretesa di essere qualcosa o qualcuno, mi sento insicuro perché presento sempre che ciò che sembra procurarmi la sicurezza non è che temporaneo. Cercare di diventare qualcuno mi è necessario per rendermi conto che questa stessa cosa mi è d'impaccio. [...] Il bisogno di diventare è ciò che mi impedisce di respirare. Questo desiderio congestiona tutta la mia struttura. [...] Quando dico «sì» profondamente all'insicurezza assoluta, alla vita, alla morte, sono preso da un sentimento di totale sicurezza. Non c'è altra possibilità" (pp. 106-108, pp. 129-130). w This file was downloaded with an evaluation copy of the SuperBot Offline Browser. This message is not added by licensed copies ofSuperBot. la meditazione come via vipassana e zazen home presentazione meditare le lezioni buddhismo zen gli esercizi testi bibliografia insegnante dizionario zen links "Sentire che nulla manca" (Eric Baret) Continuiamo oggi a leggere da L'unico desiderio - Nella nudità dei tantra di Eric Baret: "Se si sente una forma di agitazione, perché cercare di essere tranquilli? Se c'è una forma di agitazione, è perché c'è un progetto nella vita, perché c'è sempre una forma di attesa. Solo l'attesa può agitare. Non si può essere agitati nell'istante. Si è sempre agitate in funzione di un futuro. Rendersi conto di questo: sono agitato perché ho un progetto per il futuro, perché penso che sarebbe meglio che la tal cosa non accadesse, che la tal altra invece sì [...]. Allora, quando ho la fortuna di essere agitato, mi rendo conto che sono nella pretesa. Non si sono eccezioni. Parlo dell'agitazione mentale. L'agitazione nervosa - vale a dire se qualcuno vi pianta una lama di coltello nel braccio - è un'altra cosa. L'agitazione di cui parliamo ora è una agitazione che non ha una base di dolore fisiologico. [...] Sentirsi senza progetto, ecco quel che si chiama meditazione. [...] Come togliere l'agitazione? Anzitutto smettendo di non volere essere agitati. L'agitazione non vi agita. L'agitazione è una constatazione. Ciò che vi agita, è il non voler essere agitato. È questo che vi incolla all'agitazione. Siete agitati perché avete un progetto [...]. Altrimenti, siete tranquilli. Rendersi conto della propria pretesa, chiaramente, senza voler eliminare la pretesa. [...] Quando non ho la pretesa di essere tranquillo, quando sono disponibile all'agitazione, al desiderio, alla paura, alla pretesa, questi stati non costringono più. Detto altrimenti: voi sentite l'agitazione, ma non siete più agitati. Un po' come durante il lavoro corporeo: posso sentire la tensione nel corpo, ma non sono teso. Sento la tensione nel mio ginocchio, nel mio bacino: non sono teso, la tensione è in me. [...] Voi sentite l'agitazione, vi familiarizzate con la disponibilità all'agitazione. Vedrete che ad un certo momento sentirete l'agitazione e sarete totalmente tranquilli. Allora, l'agitazione si vuota. Una pietra cade sull'alluce, potete avere alcuni istanti intensi, ma non siete agitati; la sera, quando andrete a dormire, l'alluce continuerà a far male, ma tutto questo appare nella vostra disponibilità. newsletter aggiunti ai preferiti stampa la pagina cerca nel sito email IN EVIDENZA SEMINARI IN PROGRAMMA Per il fatto che non cercate più di non essere agitati, a poco a poco arriveranno dei momenti in cui non lo sarete, dei momenti senza oggetto. Non è una tranquillità che dipende da qualcosa, ma una tranquillità senza causa. Sentire che nulla manca. [...] È importante avere questi momenti senza mancanza, momenti in cui non fareste un metro per vedere il più grande saggio della terra, anche se fosse sul pianerottolo di fronte alla vostra porta. [...] Quando si lasciano vivere le emozioni, esse si riferiscono a ciò che sembra un'emozione primordiale, che abbiamo chiamato «tranquillità». [...] La tranquillità non è un oggetto di ricerca. Non si cerca niente. La vita si presenta d'istante in istante e si ascolta, si sente. La vita è una sensazione, non un pensiero. Allora si vive sempre più sensorialmente, si pensa molto poco. Quando un pensiero si presenta, si pensa, ma la vita è sentita. [...] Non c'è niente da sapere. Quando si vive in un non-sapere, chiaramente, c'è disponibilità. [...] Non si sentono più problemi psicologici. C'è questa disponibilità... [...] Essere disponibile. Essere pronto. Non aspettarsi niente. Aspettarsi tutto. Presenza". (pp. 131-133, pp. 186-187). w This file was downloaded with an evaluation copy of the SuperBot Offline Browser. This message is not added by licensed copies ofSuperBot. la meditazione come via vipassana e zazen home presentazione meditare le lezioni buddhismo zen gli esercizi testi bibliografia insegnante dizionario zen links "Fantasia di perfezionamento" (Eric Baret) Continuiamo oggi a leggere da L'unico desiderio - Nella nudità dei tantra di Eric Baret: "Più siete disponibili all'esperienza sensoriale, meno traumatismi psicologici avrete. Se, quando ricevete un colpo, lo assorbite, esso si trasmette al vostro corpo, eventualmente fino al suolo, ed è raro che tutto questo lasci delle tracce. Ma quando ricevete un colpo e vi irrigidite, potete avere un problema. [...] C'è percezione, ma nessuno che percepisce. Ecco cosa diviene sperimentale attraverso questo approccio. [...] Prima o poi, la bellezza è così forte che non c'è più posto per qualcuno che sentirebbe la bellezza. Quando vedete un dipinto eccezionale, voi dimenticate di esserci. Se ci siete ancora, è perché il quadro non è bello abbastanza! [...] Il pensiero è la memoria. Non c'è pensiero creativo, profondo, sottile. Ciò che è profondo, è il sentire. Il sentito è non duale. Il pensiero è sempre duale. È per questo che l'approccio attraverso il pensiero è sempre limitato. Il pensiero è agitazione. Ha il suo valore funzionale. Ma il pensiero che riflette è una forma di agitazione. [...] Il pensiero in quanto riflessione è uno strumento che non concerne l'eco delle cose. In un momento di tranquillità, davanti ad un paesaggio che ci tocca, quando si sente veramente questa tranquillità, questa disponibilità, non c'è movimento mentale. Poi il pensiero ritorna, per diverse ragioni, e c'è una forma di agitazione. Ci si sente allora separati dal resto. Quando ce ne rendiamo conto, di nuovo, rientriamo in questa risonanza non pensata. Questo capovolgimento non è qualcosa da fare. [...] Il sentire è la porta diretta sulla tranquillità. [...] Cosa vuol dire "voi non vi cercate più psicologicamente"? Vuol dire che non vi aspettate più niente da ciò che accade, perché avete profondamente compreso che quel che cercate non è in quel che accade. Quel che cercate è quel che siete. [...] Quando non utilizzate più la situazione per trovarvi, diventate disponibile alla situazione, e potete funzionare armoniosamente con gli elementi della vita. [...] Quando non chiedete più, vedete chiaramente ciò che è. La relazione con l'ambiente intorno diventa facile. [...] newsletter aggiunti ai preferiti stampa la pagina cerca nel sito email IN EVIDENZA SEMINARI IN PROGRAMMA Fino a quando c'è un'aspettativa, c'è una paura. Fintanto che c'è una paura, non si può funzionare. La volontà di vincere, è la paura di perdere. Non si può avere l'una senza l'altra. [...] Non c'è passione se non per ciò che è qui. Non si può essere appassionati di una cosa piuttosto che di un'altra. Si è appassionati di ciò che si presenta. La vita è appassionante, tranne quando si ha una storia, perché allora tutto ciò che è interessante è laggiù, domani. [...] Il dolore che sento adesso, è questo, la mia passione. La notizia che apprendo adesso, che risuona in me, è questa la mia passione, nient'altro. [...] Ma fintanto che si ha un progetto, non si può essere appassionati, si vive in una storia. Nelle pretese vie spirituali, c'è una specie di fantasia di perfezionamento, la fantasia di depurarsi, di comprendere, di migliorarsi, di cambiare, una specie di moralizzazione patologica che proviene da menti squilibrate. Non c'è niente da raggiungere nella vita, niente da diventare, niente da cambiare. Le difficoltà che si hanno, le patologie, le incertezze, le difficoltà che si incontrano, questo è essenziale. È questa, la bellezza - ciò che è profondo -, e non il liberarsi di queste cose per arrivare a qualcosa. [...] Fino a che credo che la bellezza sia per domani - se diventerò così, se capirò quello, se diventerò libero... -, mi allontano dalla mia risonanza di adesso" (pp. 202-209). w This file was downloaded with an evaluation copy of the SuperBot Offline Browser. This message is not added by licensed copies ofSuperBot. la meditazione come via vipassana e zazen home presentazione meditare le lezioni buddhismo zen gli esercizi testi bibliografia insegnante dizionario zen links "Tutte le regioni del corpo diventano viventi" (Eric Baret) newsletter aggiunti ai preferiti stampa la pagina cerca nel sito email Leggiamo per l'ultima volta brani tratti dall'opera di Eric Baret, L'unico desiderio - Nella nudità dei tantra: "Quando realizzate che non avete da pensare, da compiere, da raggiungere o da rifiutare, ciò che rimane è la sensibilità corporea. Finché desiderate una vita volta al successo, e volete diventare illuminato o cercate qualsiasi cosa, voi anestetizzate la sensibilità corporea, vivete in un sogno, nelle vostre idee. Nel momento in cui realizzate che non c'è niente che possiate chiamare voi stesso, allora la sensibilità corporea viene naturalmente. Nessuno sforzo né esercizio è richiesto. La tradizione non consiste nel sentire di più, ma nello scoprire che non sentiamo. Dunque approcciate il corpo per esplorarlo, per realizzare fino a che punto non ne siete coscienti. La sensibilità sopraggiunge quando vi rendete conto di non sentire. [...] La sensibilità corporea, è scegliere di non sfuggire. La persona vive in una fantasmagoria, in un sogno, nell'intenzione. [...] Sentire che il corpo vive nella restrizione è un'esperienza magnifica. Sentire la paura nella gola, nel ventre, nelle spalle, la prensione della mano, la violenza nei muscoli della mascella. Sentire la maniera in cui posate i piedi a terra, come reagite al vostro risveglio. Sentirlo. Solo in quel momento, può accadere qualcosa. Se penso: «Sono depresso», non succede niente. Quando «sentite» la depressione e lasciate che questa sensazione si attualizzi in voi, allora c'è lucidità. Ma il più sovente si pensa: «Sono depresso, sono bloccato». È un concetto. [...] Dapprima c'è una esplorazione, un approfondimento della sensibilità. Ad un certo momento [...] il corpo si apre totalmente, è libero da densità. [...] Tutte le regioni del corpo diventano viventi. [...] Per noi, ciò che è scoperto, è la sottigliezza. Non è sottile scoprire un oggetto magnifico, ma lo è scoprire la tranquillità. [...] L'importante è sentirsi nella tranquillità. [...] Tutto proviene dall'ascolto di ciò che è, non di ciò che si vuole, di ciò che si spera, di ciò che si aspetta. [...] Le emozioni vengono, la tristezza viene, la paura viene, se ne va. Non cercate IN EVIDENZA SEMINARI IN PROGRAMMA di essere liberi da emozioni. Non cercate di essere liberi da niente. Non dovete cercare di fare niente. Lasciate che l'emozione prenda il suo posto nel vostro cuore. Questa emozione è la vita. Non c'è che il sacro. Quando non intervenite, realizzate che piangete per niente, che avete paura per niente. Tranquillità. La paura, la tristezza possono riapparire. Giungono in quanto bellezza. [...] L'apertura nei confronti delle emozioni è totalmente in voi. È molto importante. [...] Voi sentite che l'essenziale, nella vita, non è quel che diventerete, né quel che potete cambiare, né altro. Viene allora un presentimento di tranquillità; diventate attenti [...]. Quando smettete di volere questo, di rifiutare quello, sentite la tranquillità. Il movimento del desiderio e il suo contrario è considerevolmente ridotto perché realizzate che niente è male per voi e che niente è «meglio». [...] In breve, smettete di battervi. Quando diventate sensibili, economizzate il 99% della vostra energia, perché vivete nell'istante. Un enorme paniere di energia è a vostra disposizione che vi aiuta ad attualizzare le vostre capacità. [...] Rendersi conto di come passiamo le nostre giornate a scegliere e rifiutare. È rivoltante! Non ve ne rendete conto, poi all'improvviso realizzate che state costantemente dicendo no a quel che vi si presenta! Talvolta sembra che diciate sì, ma profondamente è no. Tutto il corpo cerca di dire no, o, talvolta, «sì, ma». Non dite mai totalmente sì ad una situazione. È straordinario vederlo. Bisogna vederlo in maniera vivente, sentirlo. Posso davvero dire sì ad una situazione, senza alcun pensiero di sottofondo? Non chiedere ad essa qualcosa, ma veramente dire sì. Quando dite sì, siete pronti a lasciare tutto. Cosa ne è allora della vostra identità? Perché allora non siete più niente, più nessuno... Un ego non può dire sì. Nel sì, non c'è spazio per la sicurezza. In un sì, non c'è che vacuità, apertura, accettazione"
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-Gaming Channel: ... "Le seul desir: dans le nudité des Tantra" Capitolo 2 - Cos'è il tantrismo? Trait d'Union - 2002 - di Eric Baret Tradotto da Stefania Redini "Ogni nozione, qualunque sia, è fallace" Vajracchedika. La parola "tantrismo" suscita parecchi pregiudizi. Può parlarcene? Cos'è il tantrismo? Tantrismo è una parola. In certi periodi della storia appare, poi scompare. Attualmente, i media occidentali si servono di questa parola per vendere dei giornali inutili. In Oriente ugualmente, in certe epoche, questa parola è sorta: ogni volta significava delle cose diverse. Sarebbe bello dire che il tantrismo è ciò che si trova nei Tantra. Purtroppo, certi Tantra non sono tantrici e certi testi che non sono dei Tantra contengono degli elementi tantrici. Non si può perciò rispondere seriamente a questa domanda. O allora si sarebbe obbligati a rispondere dal punto di vista di una scuola particolare. Ogni aspetto della tradizione indiana può essere appreso da un punto di vista tantrico. Così, secondo il tantrismo del Kashmir, tutte le attività umane fanno parte del Tantra. Perché? Perché il Tantra è l'attualizzazione del presentimento del silenzio nello spazio-tempo. Il presentimento del silenzio è la non-dualità. L'espressione della non-dualità nella vita di tutti i giorni è il tantrismo. In india coesistono due grandi vie. La maggior parte degli approcci alla tradizione contengono l'una e l'altra: la via della mano destra e quella della mano sinistra. Il metodo ortodosso, detto della mano destra, adotta le forme che sono in accordo con la cultura, la filosofia e la moralità del periodo in cui essa si esprime. Incluse nella ortodossia religiosa, esse partecipano alle nozioni di casta, di proibizione e di gerarchia che vi predominano. Il metodo della mano sinistra si riferisce ad una codifica di tecniche e di precetti che possono sembrare in contraddizione con la situazione culturale del periodo in essa si esprime. Nel loro simbolismo, queste forme si riferiscono a trasgressioni di codici stabiliti. Esistono peraltro dei rituali tantrici ortodossi e dei rituali della mano sinistra non tantrici. Eccoci così di nuovo al punto di partenza di questa discussione: il tantrismo non è che una parola e non può essere seriamente definito. Pensare che una persona possa diventare impersonale indica un'assoluta mancanza di chiarezza riguardo il principio metafisico - una sorta di sacrilegio. Questa visione semplicistica si trova anche in certi correnti indù : i Pasupatas, per esempio, o, più vicino a noi, le scuole di tendenza Goraksanata. Altro esempio della confusione che circonda la parola "tantrismo" ; il tantrismo indù è estremamente diverso dal tantrismo buddista. Il buddismo tantrico è un approccio dualista che si cammuffa sotto dei concetti non dualisti presi dallo shivaismo dell'India. E' un approccio imbevuto di intenzione, di volontà, di tentativi disperati per arrivare a qualcosa, da qualche parte, per qualcuno. Questo approccio è considerato come una via rapida che parte dallo sviluppo dell'energia appartenente ad una personalità, la quale personalità vuole diventare illuminata. Per realizzare questo fantasma, si pretende di utilizzare tutte le situazioni capaci di accelerare questa illuminazione. Nella tradizione indiana, la coscienza, il silenzio, è simboleggiato come maschile, mentre la sua espressione nello spazio-tempo, lo spazio tempo esso stesso, è simboleggiato come femminile. Il mascolino è la verità ultima, il principio metafisico. Il femminile è la sua proiezione. La via tantrica è l'arte della reintegrazione cosciente del principio manifestato, dell'energia, nel suo principio. E' una scoperta, un ritorno a sé stessi, e non un compimento. Su un altro piano, si può dire che il tantrismo è una codificazione tecnica specifica legata ad una localizzazione geografica. Il tantrismo del Bengala è diverso da quello di Orissa, e quello del sud dell'India, molto simile su un certo piano al Trika del Kashmir, è ancora diverso. Dovremmo anche parlare dei tantra vishnuiti come quelli dei Sahajiya del Bengala o anche quelli, meno conosciuti, derivati dall'Islam, come nell'ismaelismo. Tutte queste correnti esplorano il principio soggiacente alla manifestazione e il suo motore essenziale: il desiderio. Tutti mettono l'accento sulla sensibilizzazione dei corpi di energia per approcciare il grande mistero. Ma la maniera in cui la tecnicità si approfondirà differisce molto secondo le varie correnti. Per supportare la sua trasmissione, un insegnante di una certa linea potrà anche utilizzare dei metodi appartenenti ad altre scuole. Il mio maestro ha incluso alcuni esercizi provenienti dall'Himalaya nel suo insegnamento. Tutte queste tecniche mirano ad affinare la sensibilità alle correnti essenziali della vita. Ma che cosa è chiamato "tantrismo? Dal punto di vista della via kashmira, il tantrismo è l'arte di celebrare l'Ultimo nella vita quotidiana. In una sensibilità disponibile, ogni dinamismo di diventare, di raggiungere, si elimina. Si smette di utilizzare la propria vitalità e la propria intelligenza per impedire o per volere. Si scoprono le diverse sfaccettature della corporeità. La paura svanisce, Ci si sente a proprio agio, in pace. Quando il corpo è tranquillo, si rivela come una massa di difese, di paure. Nella nostra disponibilità, lentamente si trasformerà in luce, energia, bellezza e piacere. Ciò che ostacola la finezza della sensibilità corporea e mentale, è la tensione di voler arrivare a qualcosa. L'approccio tantrico propone di approfondire la questione delle nostre restrizioni fisiche e mentali. Strumento per farci scoprire cos'è il cibo, l'assimilazione, la digestione, ecc., ci porta nel contempo a scoprire cosa c'è di sacro nel cibo, nella sessualità, e ciò che vi è di volgare in certe forme di oblio di sé, nella comunione romantica, nella soddisfazione di un piacere. In questo modo i cibi putridi, cadaverici, e i prodotti raffinati della nostra civiltà scompaiono dalla vostra vita. La via tantrica è un modo per riavvicinarsi alle regole cosmiche, un modo di sentire i legami di unità con tutti gli esseri. Il nostro modo di pensare, di toccare, di fare eco all'ambiente si trasforma chiaramente. Certi rituali specifici partecipano a queste scoperte. Il sentimento dei ritmi costanti che presiedono alle situazioni umani si chiarisce sempre di più. Il tantrismo è veramente la scoperta di tutte le espressioni di questi ritmi. Non è un concetto. Questo deve essere sentito in tutti gli aspetti della vita : quando la polizia vi arresta, quando vostra moglie vi lascia, quando scrivete un libro….Quando il dolore invade il vostro corpo o quando non avete di che comprarvi il biglietto del metrò: siete presenti, la bellezza della vita anche. Il tantrismo è l'arte di riconoscere la maestà della vita in tutte le espressioni. Lei ha detto che certi elementi, che non sono tantrici, sono considerati come tali in Occidente… Utilizare il pensiero o la sessualità per cercare di raggiungere ciò che è al di là del mentale, non è tantrico, è una mancanza di chiarezza. Il tantrismo è l'arte di esplorare il presentimento della vita, continuamente. Certo, ci sarà un'attività. Certo, ci sarà risveglio, canalizzazione delle energie. Certo, ci saranno dei rituali incomprensibili per una società borghese….Ma mai con l'intenzione di ottenere qualcosa. Tutta questa fantasmagoria si esprimerà per accordare il vostro corpo, il vostro spirito e la vostra sensibilità col presentimento dell'essenziale. L'umiltà è il solo terreno di queste espressioni. Visto dall'esterno, lo stesso rituale, lo stesso esercizio - che è per noi un'espressione della bellezza della vita - potrà essere compreso come un mezzo per ottenere che ne so io. Da un punto di vista pedagogico, si possono utilizzare certi aspetti delle vie progressive nella via diretta. Ma ci se ne servirà solo per accentuare la comprensione che lo spazio nel quale la libertà può scaturire è la disponibilità e non l'accumulo delle qualifiche, quali che siano. Ai nostri giorni, il tantrismo è spesso compreso come l'utilizzo della sessualità al fine di ottenere la coscienza cosmica…. La sessualità è spazzata dal presentimento assordante del silenzio. In sé, essa non ha alcun nesso con il tantrismo. Se questo è stato tanto espresso, è perché l'iconografia religiosa e metafisica del pantheon tantrico indù e buddista si esprime, per ragioni puramente concettuali, sotto forma di divinità sovente abbracciate. Ma siete in presenza di pure trasposizioni di comprensioni metafisiche e non di esercizi da praticare con la luna piena. Quando la sensibilità corporea diventa non concettuale, la sessualità, come tutte le funzioni della nostra corporeità, esplode. La sessualità psicologica non trova posto nella tranquillità, nel sentire di un corpo senza paure e senza bisogno. Questo non vuol dire che non esistano, nella tradizione tantrica, dei rituali per esplorare certe ramificazioni della sessualità, come ne esistono per esplorare le ramificazioni del respiro o altro. Come rendersi conto se qualcuno è un gaudente o se ha veramente sperimentato la gioia? Solo chi ha presentito un silenzio non oggettivo può riconoscere colui che è veramente in silenzio. Un po' come un pittore riconosce subito un altro pittore, un ballerino un altro ballerino, e un pescatore un pescatore. E' un sentire, una unità La gioia non è legata alle sue espressioni. E non si può riconoscere la gioia che attraverso le sue espressioni. Io ho visto il mio maestro a teatro, con dei banchieri, con dei trafficanti di droga, con uomini politici, degli allievi fuorilegge, uomini d'affari, persone pie. Dall'esterno, era molto difficile vedere la sua libertà. Le persone che gli erano vicine - non vicine al suo insegnamento concettuale ma che vibravano di questo stesso sguardo sulla vita - si rendevano conto tuttavia della sua disponibilità in tutte le situazioni. In ogni espressione della vita che proviene dalla tranquillità, voi ritrovate questa tranquillità. Tutto ciò che proviene direttamente dall'apertura conserva sempre una certa forma di discrezione, di moralità. La vera originalità è l'espressione diretta della tranquillità e si esprime con una grande discrezione. "Le seul desir: dans le nudité des Tantra" Capitolo 10 - Il respiro, ultima porta prima del silenzio Trait d'Union - 2002 - di Eric Baret Tradotto da Stefania Redini Il respiro, ultima porta prima del silenzio. "Se mi si domandasse di cosa è fata la parola, risponderei, credo : di silenzio" Jacques Lusseyran, Le monde commence aujourd'hui. Può parlarci del respiro? Su un certo piano, il respiro è il riflesso ultimo del silenzio, l'ultima porta prima del silenzio. Dapprima, si diventa coscienti del corpo, poi il corpo diventa il respiro. Quando il corpo diventa respiro, tutte le identificazioni, restrizioni e compensazioni smettono di essere sentite come ostacoli e il corpo si presenta come luce. Il respiro si presenta sotto forma di ritmi. Questi ritmi si attualizzano nell'espiro, il riposo e l'inspiro. Nello yoga, secondo i momenti, si accentuano l'inspiro e l'espiro come mezzi di purificazione. L'espiro conduce all'eliminazione dei residui dei ricordi, di tutto ciò che crea un sentimento di separazione. L'inspiro stimola l'energia sottile, che si integra progressivamente nei differenti corpi. Più tardi, l'inspiro e l'espiro perderanno la loro importanza, I momenti di riposo fra questi due movimenti diventeranno l'essenziale. La ritenzione dopo l'inspiro chiarifica il corpo, gli fa realizzare il suo potenziale magico. Il momento di riposo dopo l'espiro diventa coscientemente lo sfondo dei tre tempi respiratori. Poco a poco, questo momento dopo l'espiro sarà sperimentato come sempre presente durante l'inspiro, ritenzione ed espiro, che da lì si presenteranno come una sovrapposizione a questo silenzio. Questo momento dopo l'espiro è la porta più vicina al silenzio, e l'inspiro, la ritenzione e l'espiro diventano una frise che si dispiega e si riassorbe in questo silenzio. Essi non sono che silenzio. L'approccio del respiro, anzitutto sul piano fisiologico, e poi nel suo aspetto di energia sottile, è considerato in India come l'arte regale. Nella pratica, prima o poi la respirazione scompare per diventare corrente di energia. Voi non respirate più: c'è un sentire. Voi sentite questa inspirazione, questa corrente di luce, come un albero di Natale che si illumina; nella ritenzione questa luce si espande ancora di più; nell'espirazione questa luce lentamente si riassorbe; e il riposo è una notte senza luna - unità senza separazione. Questa notte stessa fonderà. La luna piena della ritenzione diventerà ugualmente notte totale. Il silenzio parla a se stesso. Non c'è niente da comprendere. Si può parlare ben poco di questa arte, perché la sua sofisticazione è estrema e necessita di essere insegnata in maniera eminentemente pedagogica. L'espirazione diventa una sacrificio. Il respiro è offerto al silenzio. Nell'inspirazione, il silenzio vi offre il respiro, la vita, Questo respiro non è più il vostro respiro, ma la vita stessa. E' il respiro cosmico. I tre mondi sono creati dall'inspiro; nella ritenzione, questo respiro cosmico irradia in tutte le direzioni; e di nuovo, all'espiro, questa creazione, con le sue innumerevoli possibilità, ritorna nel cuore del suo maestro e lì si dissolve. Ecco l'aspetto sacro del respiro. Vi sono numerose altre couches di quest'arte, ma sono tutte più o meno non formulabili. Questo riguarda lo yoga e non se ne può discutere se non in modo pratico, in una relazione privilegiata. Le ramificazioni dell'arte del respiro sono infinite. Ogni aspetto della creazione è creato dal respiro. Un oggetto non è che respiro cristallizzato. Diventando sensibile a questi movimenti di energia, si diventa disponibili ai movimenti della vita e della morte, alla vera essenza, alla vera firma degli oggetti e delle specie. Per capire che cos'è un coniglio, dovete diventate intimi col suo respiro. Quando sentite il respiro dell'albero, allora capite l'albero…La mavia non è che il presentimento del respiro e non può essere formulata. Come diceva una grande maestro di karatè: "Il karatè è fatto per combattere, non per discuterne". La vita è creata dal respiro. In India, un'immagine rappresenta la deità. Ma è chiaro che la statua non è la deità. Si deve far sì che la deità si incarni nella statua. Il prete respirerà nella statua per farvi discendere la vita. Vi proietta il suo respiro ed essa diventerà la deità…per un attimo. Allo stesso modo, la sensibilità del respiro può condurci a liberare una situazione o a curare una parte del corpo, o del mondo. Evidentemente, l'arte del respiro di cui parliamo non è l'arte del respiro in senso fisiologico. Ciò che generalmente si definisce la respirazione non è che l'espressione più grossolana di quest'arte. E' il primo contatto dello studente con questa scoperta…e l'inizio di una nuova vita. Nella sensibilità del respiro, si diventa ricettivi alle situazioni, all'ambiente. Quando, in un museo, vedete una statua che è stata guardata troppo a lungo come un oggetto e quando le infondete vita con l'arte del respiro, vedete la differenza. Potete sentire la statua craquer come una casa di legno quando accendete un fuoco nel camino. Qualcosa si risveglia. Il colore cambia, la vibrazione cambia, la forma cambia. Di nuovo, la vita si esprime. Non è un concetto. E' la stessa cosa per una casa. Quando entrate in una casa colma di depressione, di restrizione, il vostro respiro può rischiararla, liberarla. Voi entrate e sentite la restrizione. E' un riflesso che si dispiega naturalmente, senza alcuna volontà: come tirare su un bimbo che è caduto. Tutte le arti, la musica, la danza, le arti marziali, la costruzione dei templi, tutto si fonda sul presentimento del respiro. Anche il pensiero! Quando il respiro è purificato, il pensiero ugualmente si purifica. Quando il pensiero funziona in termini di divenire, di arrivare, di provare, la respirazione è sempre ristretta, agitata. Quando un leone salta su una zebra, è il respiro che per primo si proietta, e il corpo segue, Talvolta si può vedere la zebra fermarsi, essere schiacciata, prima ancora che gli artigli la raggiungano. Allo stesso modo, quando si colpisce un essere umano, è l'energia che tocca prima del corpo. Il respiro può uccidere, il respiro può danzare, creare la vita, la bellezza e l'arte. Il suono non è solamente un suono. Il suono non è che respiro. La pratica dei mantra è fatta per presentire la corrente del respiro. L'espressione sul piano dei suoni e della vibrazione non è che un aspetto assai limitato dell'effetto del mantra. Il suo vero effetto è il presentimento della corrente del respiro. Quando recitate certe sillabe nella maniera giusta, con il ritmo giusto, questo ritmo diventa mantra e modifica il cervello. Questi suoni sono fatti di respiro, altrimenti il mantra sonoro non è che morto. L'arte del respiro è l'arte dello yoga, l'arte dello yoga è l'arte del respiro. Darsi al sentire del respiro, come un danzatore, come un attore sulla scena, sentire il respiro, sentire lo spazio del respiro. Non esiste altro che il respiro. E' giusto dire che il respiro è ritmo? Profondamente, il respiro non è ritmo. Il ritmo è una espressione del respiro. La respirazione è ritmo: è il livello grossolano. Questo ritmo si semplifica, si raffina fino a diventare corrente di energia, poi silenzio. Il respiro è al di là del ritmo. E' il vero silenzio. E' il silenzio attualizzato come ritmo. L'espressione esteriore è : inspirazione, ritenzione, espirazione. Ma il riposo è lo sfondo immutabile. Certo, se delle persone intelligente sentono questa risposta, vi troveranno una totale contraddizione: "il respiro non è ritmo", "il respiro è il silenzio attualizzato in ritmo". Ma la comprensione intuitiva di ciò di cui parliamo non è possibile che in una totale assenza di riflessione di comprensione mentali. L'approccio al respiro può portarci al silenzio? Niente può portare al silenzio. Ma, come abbiamo detto, il presentimento del respiro è l'espressione più vicina al silenzio, la prima espressione. Il respiro è all'origine delle specie. Ciò che fa che un coniglio sia un coniglio, è il suo respiro. Un coniglio non è che ritmo. Un corpo umano è fatto dal respiro. Tutte le specie sono una solidificazione delle infinite possibilità del respiro. Allo stesso modo, lasciando che il respiro si dissolva nella tranquillità, si ritorna all'origine delle specie, e l'origine delle specie non è altro che silenzio. Ma non è un mezzo. E' una constatazione, una esperienza riservata ad uno spirito senza intenzione di fronte all'istante. In un momento di stupore, non c'è più il respiro, la respirazione è sospesa, talvolta si arresta anche il ritmo del cuore. C'è unità. Di nuovo, il respiro sorge e si può dire che si abbandona lo stupore. Più avanti, è possibile rimanere nel silenzio in presenza dell'attività del respiro o del pensiero. Pedagogicamente parlando, spesso c'è anzitutto questa tranquillità, questa assenza di pensiero, l'arresto del processo mentale, il sentire la tranquillità. Più tardi, si potranno sentire dei movimenti organici nei quali i movimenti del respiro, del pensiero, dell'emozione, sorgeranno direttamente dalla tranquillità Si sente anzitutto la non-dualità dopo che la dualità si è riassorbita, ma, più tardi, la non -dualità irradia attraverso la dualità…Ma questo diventa troppo complesso. Non è qualcosa di cui discutere. Non deve diventare oggetto di riflessione. Sarebbe appropriato dire che si passa dalla respirazione alla tranquillità e in seguito dalla tranquillità all'azione? Per approcciare il respiro, dobbiamo diventare sensibili allo sfondo, al riposo dopo l'espirazione. La creazione sorge dal mescolarsi dei cinque elementi e dà luogo a tutti i principi del mondo fenomenico. Tutte le espressioni si riassorbiranno nella tranquillità durante l'espiro. Secondo l'approccio kashmiro, si considerano tre aspetti della creazione. L'essenza (Para), che non è che tranquillità. È lo sfondo costante sul quale questi tre aspetti vanno e vengono senza mai toccarlo, come la proiezione di un'immagine sullo schermo. Da questa tranquillità nasce un primo impulso, come una scintilla, da se stessa verso se stessa. Questo primo fremito dell'energia, ancora totalmente umida dell'essenza delle cose, si frammenta, diventa sostanziale, sotto forma di presentimento di un concetto, di una nozione. Al terzo stadio, questa nozione diventa parola o pensiero. Così, quando il pensiero scompare, quando la parola scompare, c'è di nuovo tranquillità. Le tre tappe (Pashyanti, Madhyama e Vaikhari) restano sempre fatti di silenzio; Para, la loro origine, è presente anche nella minima loro espressione. Pashyanti è la tranquillità vibrante del primo impulso creativo; Madhyama è questa tranquillità che si concretizza come presentimento pensato: e Vaikhari è il pensiero chiaro che si esprime tramite la parola. Nella meditazione, ci diamo totalmente a questo sfondo (Para) e talvolta questo impulso (Pashyanti) sorge lungo la colonna vertebrale. Se si resta totalmente liberi da intenzione e da difesa, questa energia non arriva alla seconda tappa e si riassorbe nel retro della testa. In una meditazione intenzionale, Madhyama colpisce il cervello e crea un concetto. L'energia, anziché riassorbirsi a partire dal centro di purezza all'origine delle cose, colpisce il centro di comando. Sebbene nella tradizione kashmira la creazione sia descritta attraverso trentasei principi, e nel Samkhya attraverso venticinque, in realtà non vi è alcuno stadio separato, ma una corrente di luce. Il presentimento del respiro è ciò che più facilmente può farci approcciare lo sfondo, libero dalla sua colorazione proiettata. Parlando correttamente, non si può sentire la tranquillità, poiché essa non è un oggetto di esperienza. Noi siamo questa tranquillità. Ma possiamo sentire, meravigliarci dell'atto della creazione. Il mondo fiorisce di bellezza. Questo sentimento ci porta a comprendere cosa è la vita, la civilizzazione e tutta la creazione. Se si comprende chiaramente l'arte del respiro, c'è il presentimento di questa libertà. Non c'è più bisogno di piangere per i morti e gioire per le nascite. La gioia è ciò che è : la realtà. La tristezza è illusoria, non è che una chimera. "Le seul desir: dans le nudité des Tantra" Capitolo 24 - La paura non ha cause. Trait d'Union - 2002 - di Eric Baret Tradotto da Stefania Redini "Il mondo comincia oggi. E' una realtà per me, ogni volta che non ho paura." Jacques Lusseyran, Il mondo comincia oggi. Lei sembra dirci che non esiste il passato…Tuttavia, se si viene morsi da un cane, per esempio, in seguito si avrà paura dei cani. Il passato non esiste, perché è presente. Se siete stato morso da un cane, non c'è bisogno di andare in un passato; lo sentite adesso. Se, quando eravate giovane, siete stato accarezzato o violentato, questo lo si vede in voi adesso. Il passato è un'esperienza presente. Non sempre si capisce quello che si prova… Più vi renderete disponibile sensorialmente, senza riflessione, più potrete non comprendere ma sentire ciò che chiamate il passato. Non sarà più un concetto del passato, ma uno spazio in voi. Voi capite sempre il passato in funzione della vostra capacità intellettuale. Nell'istante, voi comprendete profondamente qualcosa, ma fra dieci anni, alla luce delle capacità che avrete allora, direte che prima non avevate compreso. La parola "comprensione" non è giusta; è una riduzione alla vostra ideologia, alla vostra intelligenza del momento. Secondo che vostra moglie vi abbia dato un figlio o stia per lasciarvi, la vostra comprensione sarà diversa. Arriva un momento in cui questa comprensione, anche se rimane, non è più il vostro cibo; non le chiedete più niente. Cosa rimane? E' come con un figlio. Quando smettete di cercare di capire vostro figlio, cosa resta? Vi resta l'ammirazione, il sentire, il gioco, l'amore, e vi accorgete che c'è allora una comprensione non intellettuale. E' questo che vi spingerà a portare vostro figlio da un insegnante di musica o di taekwondo, non il ragionamento. Nella situazione, è la stessa cosa. Funzionate col vostro sentire…E vedrete che la vostra paura dei cani non è la paura dei cani. Il cane che vi ha morso a fatto affiorare un'altra paura, che c'era già e che aveva apparentemente un'altra causa. Se risalite più indietro nel preteso "passato", vedrete che prima di quello c'era ancora un'altra cosa, e così via. Altre persone oltre a voi sono state morse da quel cane e non ne hanno paura. Se voi conservate la paura o io conservo la paura, è perché sia io che voi avevamo un terreno favorevole per questo … Inutile risalire ad Adamo ed Eva. Finisco per accorgermi che la mia paura della tale situazione non proviene dalla situazione, ma che la situazione fa affiorare in me una paura immensa, originale. Nell'approccio dello yoga kashmiro, noi ci lasciamo accarezzare da questa paura non causale profondamente ancorata in noi. Il cane, l'abbandono di mio padre, i colpi ricevuti me l'hanno ricordata; non l'hanno creata. Ad un certo momento, capisco che tutto questo ha risvegliato la mia paura; rimane un sentire la paura. Quando smetto umilmente di pretendere di sapere perché o di che ho paura, quando smetto di puntare il dito, mi libero dell'immagine della paura ma il sentito della paura è qui. Allora, è straordinario. Sentire in sé la paura senza causa è l'inizio di una vita profonda. Ma finché credo di aver paura di questo, di quello, non sono pronto a vedere ciò che è qui. La paura è una emozione straordinaria, come ogni emozione. La vita non è che emozione. Ad un certo punto, ci si familiarizza con il fatto di vivere sensorialmente le proprie emozioni, e una forma di humour appare. Vedo il cane, vedo la mia paura, vedo che il cane non potrebe farmi niente se non avessi questa paura, vedo che non è il cane che crea la mia paura, che non fa che risvegliarla in me…..Quando comprendo questo, una vita sensoriale profonda si apre e molti chiarimenti appaiono. Mi picerebbe sapere che cosa ne pensa di tecniche come la psicoanalisi che consistono nel ritornare al passato per , in qualche modo, risvegliare le paure… Perché andare nel passato per ritrovare la paura che si presenta adesso nella gola? Lasciar venire la paura non è andarla a cercare. La paura è costantemente presente, in ogni istante. Non c'è bisogno di cercarla! Mi rendo disponibile sensorialmente e quando, nella giornata, ho la fortuna die ssere aggredito da un cane, un uomo, un capo, una critica o un'idea, la sera lascio vivere in me questo disagio, questa paura. Non è il passato: è presente. Sono disooinibile e, sensorialmente, questa paura gonfiata da immagini - paura di questo o di quello - si libera da quelle immagini . Sale allora in me come un gigantesco urlo, ma non necessariamente in una volta. Si produce un alleggerimento. Poco a poco, ma si produce; non ho più paura, la paura è in me. Questa è una differenza essenziale dalle tecniche analitiche. Con queste, fino ad un certo punto, il paziente ha paura. Nel nostro percorso, io sento la paura, non ho paura. Come un soldato che deve combattere. Sente la paura e corre più in fretta. E' una paura che aiuta, perché la sis ente. Ma quando si dice "ho paura", ci si irrigidisce, si blocca il processo. Lasciare che l'emozione ci accarezzi sensorialmente allo stesso modo in cui, rientrando dopo una serata all'opera, si sente ancora il respiro, la carezza dell'opera. Allo stesso modo, quando avete avuto paura di un cane e rientrate a casa, lasciate questa paura del cane, presente, ancora vibrante, parlarvi. La paura sale. Eventualmente altre immagini arrivano : vostro padre, vostra madre o quello che avete associato alla paura. Ad un dato momento, non ci sono più immagini, ma una paura essenziale. Questa paura allora abbandona la sua caratteristica di paura e diventa una emozione senza paura, una emozione profonda. La paura non è più per voi un antagonismo. Potete aver paura di un cane, il vostro corpo può sentire di nuovo questa paura, ma non è più una paura psicologica. Incidente, abbandono od ogni altra proiezione in un preteso futuro: non avete più paura di quel che potrebe accadere. La paura diventa allora poetica: come per un musicista, un poeta, un artista che può creare sulla paura, esprimerla e mostrarne la bellezza. Dopo aver visto Rigoletto all'opera, non dite :"E' meraviglioso!" Cos'era meraviglioso? Vedere la giovane farsi assassinare? No. E' la bellezza. La bellezza è nella paura, nella sofferenza, dappertutto. Ad un certo punto, la bellezza e la gioia diventano vive in tutte le emozioni, compresa la paura, l'ansia, la gelosia o latristezza. Scoprire in noi questo sottofondo di emozioni dove esse si liberano dalle immagini e dove ognuna di riporta a ciò che è essenziale, è l'arte di vivere secondo lo shivaismo kashmiro. Dietro ogni paura, non c'è la paura della morte? Ciò di cui l'essere umano ha più paura, è della gioia! Questa umiltà, questo spazio libero da direzioni, da concetti, dove non c'è nulla che possa chiamare me stesso, lo sento in me quando smetto di pretende qualsiasi cosa. E' la gioia più intensa che si possa provare; è la paura più grande che si possa proiettare. Eventualmente, la paura della morte diventa una paura come un'altra, come la paura delle malattie, dei ladri o dei cani: una immagine che copre un'altra cosa. Più vi date a momenti di sentito corporeo in cui lasciate parlare il vostro corpo, senza pensiero, senza sapere, senza ideologia, più vedrete ridurre in voi i pretesti per la paura; non saranno più molte le cose che avranno il potere di farvi paura. Meno avete paura di qualcosa, più la paura cresce in voi, questa paura enorme. Un giorno, può darsi che un semplice ragno che intrappola una mosca, un film apparentemente insignificante, un pensiero o una parola in un poema saranno sufficienti a produrre questa apertura della paura in voi. La paura perderà il suo aspetto patetico, patologico, ed essere rivelata da cose via via più leggere. Diventerete sempre più paurosi, la minima cosa vi riconduce a questa paura. Poco a poco, questa paura si e in seguito si vuota in voi….E tutto questo nella vostra chiarezza. "Non ho paura, sento la paura", ecco il vostro strumento pedagogico. Quando dico "ho paura", non posso granchè. Quando sento la paura nel ventre, nella gola, nell petto, è allora il mio oggetto di meditazione. E' più profondo che meditare sulla tranquillità, sulla saggezza o su Krishna. La paura, la gola, la tensione, la vibrazione, il dolore della paura, la secchezza della paura, l'acidità della paura, è questo che diventa la mia meditazione. Non c'è nulla da pensare. Ho una domanda a proposito del paradosso in generale. Per dare un esempio : la paura della morte, è la paura di non essere più. In effetti, la paura di non essere più impedisce di essere. Si arriva ad un paradosso. Molto spesso, quando si cerca di riflettere sulle cose e si va fino in fondo, si arriva ad un paradosso. Certo, dal momento che il pensiero non può pensare in termini di opposti. E' per questo che ad un certo punto vi rendete conto che il pensiero ha il suo valore per parecchie attività, ma non per trovare in noi questa disponibilità. Quando leggete Meister Eckart, non pensate. C'è una corrente, una emozione, e, quando finite il testo, rimane un silenzio libero da ogni processo mentale, da ogni intenzione, da ogni comprensione. Nei pezzi di musica ispirati, come la cantata n. 198 o l'Arte della fuga di Bach, o la musica orientale, ci sono questi momenti di non-pensiero, di risonanza. Questi momenti sono più vicini a ciò di cui parliamo di qualunque riflessione. Il paradosso non è giustamente il capitolare del processo del pensiero, la porta aperta al non-pensiero? Non c'è dunque da rimettere in causa il pensiero, ma di portarlo fino al suo termine. Si. Portare il pensiero alla sua fine, mostrargli che non può pensare che in termini di opposti e di senso. Non c'è pensiero astratto : ogni pensiero si fonda su una immagine sensoriale. Quando lo comprendete, quando cercate di pensare chi pensa, ad un certo momento vedete il paradosso e capite, in modo non mentale, che ciò che deve essere visto, trovato, non è qualcosa che si trova davanti al pensatore ma dietro. E' il pensatore che deve essere visto. Il pensiero non può vedere niente. Il pensiero non esiste; è un dinamismo, un impulso. In un solo istante, voi vedete il dinamismo del pensare, questo dinamismo di andare verso qualcosa, e vi rendete conto che voi siete spazio, il luogo ove sorge e ove si riassorbe questo dinamismo. Non c'è più la minima intenzione di non pensare, come è sostenuto in certe scuole, né di pensare, come si invita in altre. Il pensiero c'è, il pensiero non c'è, assenza, presenza: resta questa disponibilità. Ma il pensiero deve essere portato verso questa porta dove esso vede il suo limite. Allora arriva una forma di tranquillità. Quando il pensiero di rende conto di essere impotente, trova il suo riposo. Scopro questa dialettica dell'osservazione, del sentire, del ritorno a sé, della differenza fra ciò che è me e ciò che non è me…Credo di capire l'utilità di questa ginnastica, è che si forma qualcosa che potrei chiamare la coscienza…Detto altrimenti, ciò che può vedere tutto questo in me, è la sola cosa che è me; tutto il resto, sono delle costruzioni temporanee. Questa ginnastica non è un'attività che proviene dall'intenzione. Per alcuni, è un movimento spontaneo. Non tutti hanno la capacità di presentire questa disponibilità nell'albero, nella musica, nella danza, nel tiro con l'arco o nelle passeggiate in campagna. Alcuni di noi, vittime della malasorte, hanno bisogno di pensare. Allora vanno di oggetto in oggetto, alla ricerca di quello che li soddisferà. Entrati in questo processo, si pensa di aver bisogno di qualcosa. Ad un certo momento, occorre rendersi conto di questo pensiero, di questa credenza di aver bisogno e lasciarla svuotarsi di ogni densità. E' una ginnastica spontanea che concerne poche persone. Quelli che l'hanno trovata nella vita funzionale scopriranno uno spazio di vita semplice. Non occorre alcuna riflessione, alcuna comprensione. E' ciò che è costantemente in noi ed è sufficiente prestargli attenzione. Generalmente, siamo talmente nel divenire, talmente in attesa di avere, che si trascura questa risonanza, che appare dapprima come un leggero brivido che, a mano a mano che lo si lascia libero, diventa come un torrente sempre più impetuoso. In quel momento, anche questa ginnastica di cui stiamo parlando si elimina. Perché non c'è nulla da pensare. La bellezza, l'emozione, la gioia, l'amore, la sofferenza, la tristezza sono al di là del pensiero. Il pensiero non può nulla. Il pensiero sorgerà di tanto in tanto, per domandare l'ora, ma nei momenti di intimità non c'è pensiero. Non ho domande, ma un ringraziamento perché lei ha accettato di scrivere dei libri e perché possiamo scambiare dei punti di vista e domandare, come ad uno specchio, ciò che siamo. E' importante vedere in noi questa facoltà di ascolto. Per mancanza di abitudine, si proietta questo su una situazione, ma quel che mi tocca, nell'ascolto, è l'ascolto. Niente di ciò che è ascoltato potrà mai toccarmi più dell'ascolto stesso. Prestare attenzione a se stesso. Quando sono commosso all'opera, da una discussione, da qualsiasi cosa, accetto il supporto, ma assai in fretta vedo che ciò che supponevo avermi emozionato sparisce: è un accidente che aveva il suo valore nel momento. Resto in questo ascolto ove, naturalmente, ciò che è sentito è non-scelta, azione senza riflessione. Ma finché ascolto qualcosa o qualcuno, tradisco il mio ascolto, sono ancora all'esterno. Il grazie, è all'ascolto che presto. Ringrazio questo ascolto essenziale. E' il mio stesso essere. Per esso, il ringraziamento è giusto. Ma non c'è niente né nessuno da ringraziare. Quando vi date a lui completamente, senza aspettativa, il vostro ascolto è il suo stesso ringraziamento. Non c'è posto per una persona. Nessuno per ascoltare. Questo è l'ascolto che abbiamo tutti in comune, è ciò che rende possibile l'amore tra noi. Ciò che amo profondamente nell'altro, è questo ascolto. Io credo di amare un corpo, uno psichismo, una voce, ma in verità è questo ascolto che io amo. Ma, per mancanza di chiarezza, traspongo. Come il credere di aver paura dei cani, dei colpi o di essere abbandonato. E' una trasposizione. Dunque, di tanto in tanto, ritornare a questo ascolto, senza ascoltare nulla. Restare tranquilli a casa. Non pretendere più di aver bisogno di qualunque cosa, futuro, passato, di diventare, di acquisire qualcosa. Semplicemente restare tranquilli. Si ascolta anzitutto il corpo. Vedrete che la sensazione del corpo passa attraverso un certo numero di trasformazioni e, in un momento, il sentito del corpo si svuota, muore nel vostro ascolto. Allora c'è un ascolto libero da ogni direzione, da ogni oggetto. L'essenziale in noi, è questo : questo ascolto che non contiene alcuna memoria. Occorre dimenticare tutti i nostri argomenti. Ciò che non si può dimenticare, occorre conservarlo. Grazie. "Sentire che nulla manca" (Eric Baret) Continuiamo oggi a leggere da L'unico desiderio - Nella nudità dei tantra di Eric Baret: "Se si sente una forma di agitazione, perché cercare di essere tranquilli? Se c'è una forma di agitazione, è perché c'è un progetto nella vita, perché c'è sempre una forma di attesa. Solo l'attesa può agitare. Non si può essere agitati nell'istante. Si è sempre agitate in funzione di un futuro. Rendersi conto di questo: sono agitato perché ho un progetto per il futuro, perché penso che sarebbe meglio che la tal cosa non accadesse, che la tal altra invece sì [...]. Allora, quando ho la fortuna di essere agitato, mi rendo conto che sono nella pretesa. Non si sono eccezioni. Parlo dell'agitazione mentale. L'agitazione nervosa - vale a dire se qualcuno vi pianta una lama di coltello nel braccio - è un'altra cosa. L'agitazione di cui parliamo ora è una agitazione che non ha una base di dolore fisiologico. [...] Sentirsi senza progetto, ecco quel che si chiama meditazione. [...] Come togliere l'agitazione? Anzitutto smettendo di non volere essere agitati. L'agitazione non vi agita. L'agitazione è una constatazione. Ciò che vi agita, è il non voler essere agitato. È questo che vi incolla all'agitazione. Siete agitati perché avete un progetto [...]. Altrimenti, siete tranquilli. Rendersi conto della propria pretesa, chiaramente, senza voler eliminare la pretesa. [...] Quando non ho la pretesa di essere tranquillo, quando sono disponibile all'agitazione, al desiderio, alla paura, alla pretesa, questi stati non costringono più. Detto altrimenti: voi sentite l'agitazione, ma non siete più agitati. Un po' come durante il lavoro corporeo: posso sentire la tensione nel corpo, ma non sono teso. Sento la tensione nel mio ginocchio, nel mio bacino: non sono teso, la tensione è in me. [...] Voi sentite l'agitazione, vi familiarizzate con la disponibilità all'agitazione. Vedrete che ad un certo momento sentirete l'agitazione e sarete totalmente tranquilli. Allora, l'agitazione si vuota. Una pietra cade sull'alluce, potete avere alcuni istanti intensi, ma non siete agitati; la sera, quando andrete a dormire, l'alluce continuerà a far male, ma tutto questo appare nella vostra disponibilità. Per il fatto che non cercate più di non essere agitati, a poco a poco arriveranno dei momenti in cui non lo sarete, dei momenti senza oggetto. Non è una tranquillità che dipende da qualcosa, ma una tranquillità senza causa. Sentire che nulla manca. [...] È importante avere questi momenti senza mancanza, momenti in cui non fareste un metro per vedere il più grande saggio della terra, anche se fosse sul pianerottolo di fronte alla vostra porta. [...] Quando si lasciano vivere le emozioni, esse si riferiscono a ciò che sembra un'emozione primordiale, che abbiamo chiamato «tranquillità». [...] La tranquillità non è un oggetto di ricerca. Non si cerca niente. La vita si presenta d'istante in istante e si ascolta, si sente. La vita è una sensazione, non un pensiero. Allora si vive sempre più sensorialmente, si pensa molto poco. Quando un pensiero si presenta, si pensa, ma la vita è sentita. [...] Non c'è niente da sapere. Quando si vive in un non-sapere, chiaramente, c'è disponibilità. [...] Non si sentono più problemi psicologici. C'è questa disponibilità... [...] Essere disponibile. Essere pronto. Non aspettarsi niente. Aspettarsi tutto. Presenza". (pp. 131-133, pp. 186-187). L'emozione essenziale (Eric Baret) 3ème Millénaire n. 82 – Traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini 3M.    Succede a volte o spesso, nella vita quotidiana, che abbiamo l’impressione di “mancare d’energia”. Come comprendere  la fatica generale che pesa a tanta gente? E.B.   La fatica è dovuta a una cattiva utilizzazione della struttura psicofisiologica, quando l’alimentazione, l’attività, o ancora il rapporto con la vita emozionale non sono appropriate alla  corporalità. E’ un problema di gestione puramente funzionale ed è molto difficile entrare nelle generalità quando si tratta di consigli terapeutici. Ciascuno, secondo la sua morfologia o il suo modo di pensare deve trovare una alimentazione, una attività professionale, una vita affettiva o una sessualità adeguate. Non tutti possono essere pompiere, gangster, monaco, prostituta o contadino; bisogna trovare una professione conforme alle vostre possibilità, o un comportamento sessuale in accordo con la vostra sensibilità e quella del vostro partner. Lo stesso, la vostra vita affettiva deve integrarsi armoniosamente rispettando i vostri limiti. Se ogni volta che vedete le notizie alla televisione, siete traumatizzati dalle immagini dei bambini assassinati in Irak o altrove, astenetevi dal guardare la televisione. E’ una fuga, ma risponde alla non disponibilità del momento e deve essere ascoltata per potervi lasciare un giorno. Un militare avrà un altro sguardo! 3M.   Affrontando la situazione in termini di dispersione energetica, c’è una prescrizione generale che si basa su un certo ascolto di sé, orientato verso una “riorchestrazione dell’energia”, secondo i termini usati da Klein? E.B.    L’orchestrazione di cui parlava Jean Klein si riferisce a colui che, avendo trovato un equilibrio funzionale, o avendo rinunciato a trovarlo, diventa disponibile all’interrogazione profonda della vita. Solo chi cerca quell’equilibrio fattivo è escluso da quella integrazione, perché le sue energie sono stimolate verso l’esterno e non tranquille e disponibili. Quando Klein parlava di riorchestrazione di energie, non si riferiva affatto alla fatica convenzionale dovuta alla nostra mancanza d’intelligenza per affrontare il quotidiano, né a quella provocata dalle nostre mancanze affettive. L’apertura di cui parlava vi trova quando cessate di cercare un equilibrio ideologico, quando smettete di seguire un metodo di salute, d’alimentazione, un metodo spirituale, religioso, e quando,  invece di tentare di assomigliare a un’immagine, voi diventate ascolto della vostra corporalità, del vostro psichismo, della vostra sessualità. In quel momento, ognuno funziona secondo la sua sensibilità e la sua intelligenza, per trovare un altro modo di vivere che non corrisponde necessariamente ai costumi alla moda. Ciascuno scopre una relazione emozionale, che risponde alle sue capacità e non in funzione agli ideali di cui parlano i media. Solo questa rinuncia ad ogni tentazione di “sviluppo personale” permette un vero orientamento. Così, quando non c’è più dispersione ideologica, cioè quando  si è trovato un funzionamento armonioso con il proprio marito, il proprio amante, la propria amante, la propria religione o la propria assenza di religione, col proprio corpo, con la società, quando non ci sono più antagonismi con la natura stessa di quell’adeguamento, il sonno si riduce a qualche ora, la vitalità è disponibile senza fatica e le energie non sono più dirette in maniera eccentrica per la rassicurazione della personalità. L’energia diviene allora concentrica e riposa naturalmente nell’ascolto. La riorchestrazione dell’energia allora è possibile, lascia la sua tendenza dispersiva e, in quel riposo, può diventare essenziale in ciò che sta diventando una domanda non concettuale, che si può schematizzare volgarmente con la domanda “Chi sono?”. Ma quella interrogazione è un concetto ed è l’intensità, l’ardore che si può formulare con la domanda “Chi sono?” che genera una centratura dell’energia, non verso qualcosa che sarebbe sempre una direzione oggettiva, ma verso il cuore della domanda, verso l’interrogante. Questa riorchestrazione è possibile, quando la struttura trova una integrazione armoniosa. Tranne nel caso di individui, ma il termine qui può forse non avere il suo senso, eccezionali come Ramana Maharshi, che possono, senza alcun movimento esteriore, capovolgersi verso quel fuoco interiore. La via diretta accetta effettivamente la possibilità di una orchestrazione totale (mentale, corporea, sessuale, affettiva) in quel fuoco interiore senza che alcun cambiamento esteriore abbia preparato il risveglio. A livello pratico, Jean Klein ha sempre indicato che questo è vero per un essere come Ramana Maharshi, ma per la maggioranza delle persone che si svegliano affaticate al mattino, agitate per l’infedeltà della loro moglie, per la digestione pesante o no, è una follia pensare che quella integrazione profonda potrebbe avvenire senza una indagine molto concreta sul loro stile di vita. 3M.  Ci sarebbe allora dapprima necessità di riorchestrarsi su un piano funzionale perché, nel senso dell’Essere, una riorchestrazione più essenziale si produca? Queste due tappe devono necessariamente succedersi una all’altra? E.B. Queste due tappe non sono legate nel senso di causa e effetto. Se si guarda più profondamente, la tappa che sembrerebbe ulteriore, quella dell’interrogazione intima, precede l’orchestrazione esteriore. Infatti, perché quell’uno mette in questione il fatto di risvegliarsi affaticato o di deprimersi ogni volta che la propria moglie lo tradisce? Perché qualcuno mette in questione il fatto di non trovare l’armonia o la soddisfazione? E’ perché ha il presentimento di una realtà non oggettiva; se no, sarebbe contento con la sua piscina, la sua donna, la sua amante, il suo cane e la sua fatica. Il fatto di mettere in questione quegli elementi prova che la riorchestrazione si sta già facendo. Il presentimento interiore  stimola la riorchestrazione esterna, e l’insegnamento di Jean Klein precisa sempre che la sadhana è un’espressione del presentimento, non il presentimento un risultato della sadhana. Diceva che la sua pratica dello yoga era diventata intensa dopo la sua apertura. Ha visto allora che il suo corpo, il suo psichismo, le sue emozioni non erano adeguate all’apertura. Allora si è messo a lavorare per integrare il suo corpo, il suo psichismo e le sue emozioni in quella esperienza della verità. La pratica tradizionale dello yoga comincia dopo il presentimento della verità e non può mai esserne il mezzo. Il prima e il dopo sono valori soggettivi, e non si può dire che non c’è orchestrazione esteriore, il presentimento non si risveglia. Se c’è la tendenza ad un’orchestrazione esteriore, è che finalmente il presentimento si è già risvegliato. L’insegnamento tradizionale mostra che non si va verso qualcosa. Al contrario, il percorso negativo non mette l’accento su ciò che è, che allora diventerebbe un riferimento obbiettivo, ma permette di vedere ciò che non è. Per Jean Klein, non c’è mai opposizione tra la via diretta e la via progressiva. Nella sua concettualizzazione, la via progressiva è un allontanamento, una mancanza di chiarezza, ma nella sua realtà pratica è una concretizzazione del presentimento della via diretta. 3M.    La via progressiva consiste nell’ottenere qualcosa. E.B.    E’ immaginare che abbiamo bisogno d’una esperienza oggettiva per essere. 3M.   In un seminario di lavoro su di sé, e con un approccio corporale, si produsse un’apertura, un rilassamento, un’energia più profonda, che, di ritorno alla vita quotidiana, disparve molto rapidamente. Che fare con quella constatazione, percepita negativamente dal ricercatore, che è molto spesso in una strategia d’acquisizione di uno stato? E.B.   Il cuore di un seminario è di rendersi conto dei propri impedimenti. Quando si esplorano il corpo e le emozioni, lo scopo non è liberarsi da una tensione, ma di divenire disponibile alla manifestazione di quella tensione e di quella emozione. Non è che manifestandosi chiaramente che una tensione o una emozione possono morire. Una vera via spirituale non è provare ad arrivare a qualcosa, ma constatare e vivere quella constatazione con rispetto. E’ nell’ascolto che ciò che si rispetta può vivere e morire. Finché una paura o una tensione non possono vivere, rimangono. La natura della vita è la morte. L’apparire e lo scomparire sono il cuore stesso dell’energia. Generalmente, quando si prova l’emozione della paura, la si rifiuta e la si caccia. Ciò che allora si chiama sentire la paura, per la verità è sentire le difese, le tensioni muscolari create dal corpo per non avere paura. Quando si dice sentire l’angoscia, non è l’angoscia, sono le contrazioni prodotte dal corpo per non sentire l’angoscia. In una esplorazione terapeutica e pedagogica, ci rendiamo conto di quanto ci rifiutiamo di sentire. Quando siamo gelosi, rifiutiamo la gelosia, pensiamo ad altro. Oppure la giustifichiamo, o la critichiamo; mettiamo in opera tutto piuttosto che sentirla nella gola, nelle spalle, nel ventre, ecc. Così, più mi rendo conto di quei processi, più mi offro luoghi nei quali, quando la gelosia viene, smetterò di volermi identificare con l’immagine di una persona che non è gelosa. In quel silenzio mentale, il corpo comincia a parlare. Perché il corpo parli, occorre che la mente sia tranquilla; silenzioso nell’intenzione, nel sapere, nel commentare, nell’approvare, nel riprovare. Così, nel mio silenzio sento in me la gelosia, vedo l’immagine della mia donna col mio vicino e immediatamente  dentro la gola, il plesso solare, il ventre che si contraggono… io non faccio niente, lascio fare, lascio che le sensazioni di tensione che non sono la gelosia, che sono le reazioni alla gelosia, sicuro, ma è tutto quello che ho a mia disposizione. Parto di là, e lascio parlare tutti quegli elementi tattili. Il corpo è una totalità e di conseguenza, quando sento la gelosia in una regione del corpo, si tratta ancora di una reazione di difesa. E’ solo quando sento la gelosia nella totalità del corpo che essa si libera. Con la paura fissiamo l’emozione in una localizzazione. Il corpo non è limitato dal corpo visivo, ma dal sentire del corpo, dunque anche quella sensazione d’emozione va, a un certo momento, a sorpassare i riferimenti anatomici della sventurata scienza moderna. Allora sentiamo le emozioni, che sorpassano totalmente la fisiologia, espandersi nello spazio e bruciarsi…  Infatti, una tensione che si apre sempre più, perde le sue caratteristiche di tensione e non è più un’energia separata dall’ambiente. Quando quella energia si reintegra nell’ambiente, non è più una tensione. E’ quando la frammentazione interviene in noi che l’ascolto ha tutto il suo posto. Non si tratta di diventare senza paura o senza gelosia, ma di diventare intimi con quei momenti. Più mi rendo conto di quanto la mia vita sia fatta ad ogni istante di commenti affettivi, di gelosia, di paura, d’intenzione, di strategie, più vedo che non ho bisogno di essere libero da tutto quello. Quando la mia gelosia appare, è quella la realtà. La gelosia non è all’esterno della coscienza; si tratta di lasciar vivere quello che c’è. Quando lascio vivere la gelosia in me, lei mi libera da ogni immagine di me stesso e, a un certo punto,  mi conduce alla tranquillità. Tutta la tecnica, se ce n’è una, è lì per condurvi ad essere disponibile al momento in cui rifiutate la via dell’evidenza. E non consiste nell’immaginario egotico di non essere più geloso, o di non avere più paura, ma al contrario di lasciar vivere liberamente ogni percezione. 3M.   L’idea di apertura che consiste nel lasciare l’emozione, alla quale si resiste, vivere in sé, è un’attitudine che può essere allontanata dal nostro funzionamento di difesa egotico. Possiamo dirci, inconsciamente: “Ecco un buon modo per eliminare l’emozione!”. E.B.    Certo, è inevitabile perché si funziona per schemi. Ciò che si è proiettato sul seno della propria madre a sei mesi, i giocattoli a tre anni, la squadra di scout a otto anni, i professori a sedici, nei genitori, nei terapeuti, le donne, i cani, i mestieri, i partiti politici, la squadra di calcio, o nella vittoria del proprio paese in una guerra economica o militare, è la stessa cosa che si proietta nell’ascolto, o, per i più sfortunati di noi, nell’immaginario del risveglio. Non si può fare altro che proiettare un’immagine della tranquillità. Per uno è un’auto rossa, per un altro diventare un Budda, per un altro una terza amante, tutti e tre sperano la stessa cosa. Vogliono ciò che immaginano essere la fine della separazione: poter infine lasciare. L’origine di tutte quelle motivazioni è lo scopo non cosciente di non essere niente, di non appropriarsi più di un’identità, perché è quello la tranquillità. Qualunque sia la motivazione, è sempre profonda e nobile perché non ce n’è che una. Spesso è poco chiara. L’insegnamento consiste nel rendersi conto che ciò che si cerca è la tranquillità. Un insegnamento non è fatto per lasciare sopravvivere l’immagine di una persona depressa quando una situazione non si svolge secondo la sua preferenza, ma di condurre a vedere che si è liberi e anteriori ad ogni problematica. La bellezza della vita è là, qualsiasi siano le modalità delle sue espressioni. 3M.   Lasciar vivere un’emozione in sé quando si è condizionati a respingerla, è molto lontana dalla nostra comprensione ordinaria. Bisogna già aver compreso che l’emozione non è più una nemica. E.B.   Sicuro; ci vuole un minimo d’intelligenza per capire che l’emozione non vuole che una sola cosa: eliminarsi. E che da parte mia non voglio che una cosa: rifiutare di sentirla. Per l’ego l’emozione è ciò che c’è di peggio, perché in lei non c’è più volontà possibile, più intenzione, si è andati oltre. L’ego ha sempre un’immagine da vendere ed è traumatizzato all’idea di non controllare più; ne ha una paura folle. Ma l’emozione, che è il cuore della vita, non è negoziabile. 3M.   Quando l’emozione è lasciata libera, non è la gioia che si rivela? E.B.   Ogni emozione è gioiosa. E’ meraviglioso lasciar vivere l’emozione della tristezza. La lettura di un romanzo triste vi porta a vivere una depressione sapientemente orchestrata e profondamente sentita, è per questo che l’apprezzate. Avete ascoltato quella tristezza. Di conseguenza, sappiamo tutti che l’emozione è gioiosa. Vi sentite bene quando avete visto un film dell’orrore. La persona che ha pagato 10 euro per un giro sulle montagne russe, urla la sua paura. Esce da quella distrazione calma e gioiosa. Se durante l’avventura constata che la sua cintura è mal agganciata, durante la discesa, tutto il corpo, che prima era completamente libero nell’espressione della paura, si ritrae nella paura d’essere lanciato. Dov’è la differenza? Nella prima paura che ha lasciato libera, non aveva paura: sentiva la paura. Nella seconda paura, ha creato “ho paura”; e siccome tutto il suo organismo è organizzato per difendersi dalla paura, tre mesi dopo può ancora avere lo shock psicologico di aver creduto di aver potuto essere scagliato dalle montagne russe. Non è la paura che traumatizza, è la paura della paura. Non è il colpo che fa male, è la paura del colpo. E’ l’immaginario “non devo ricevere il colpo”, che aggredisce; è l’immaginario della paura che aggredisce. Quando ricevo un colpo, mi tendo, ed è la tensione che mi aggredisce, non è il colpo in sé. Parliamo del dolore psicologico, s’intende… Il colpo crea una reazione fisica non immaginaria, ma anche in quel caso, colui che può assorbire lo shock ne sarà molto meno traumatizzato che chi si tende e si difende. Per questo le arti del combattimento a mani nude mettono spesso l’accento sulla capacità di incassare, assorbire i colpi con la totalità del corpo e non di reagire bloccando, tendendo la regione colpita. Nella musica indiana, si trovano “raga” della paura, della tristezza, della gioia, della separazione, della riunione. Tutte le emozioni culminano forse, come formula l’Abhinavagupta, in una emozione superiore, che è lo spazio nel quale tutte le emozioni si qualificano, e si può dire che puntano tutte verso quella emozione essenziale. Contrariamente ai percorsi volontari come quelli degli Yoga Sutra, e a quelli purificatori, che mirano a escludere l’emozione come distrazione, Abhinavagupta e Jean Klein hanno sempre accentuato l’approccio del teatro e della musica, come tutto ciò che esalta l’emozione. 3M.   Le emozioni, nel modo patologico in cui si vivono, sono come la tranquillità legate al modo con cui respiriamo. La respirazione può essere contratta per la paura, o libera di riempire lo spazio nella libertà. Come è legato il respiro a un’energia, una vibrazione fondamentale? E.B.   A livello puramente tecnico, la parola energia è un concetto che varia l’interpretazione secondo il suo impiego: in fisica quantica, nello yoga o in ogni ambito. Nello Shivaismo del Cashmire, è utilizzato il termine spanda e si traduce con vibrazione. La vostra immagine del termine energia è sicuramente differente dalla mia, e però ne parliamo insieme essendo d’accordo, ma  siamo d’accordo su qualcosa di diverso. Quando parliamo al livello dello yoga, affrontiamo un’arte di decostruzione di tutto a priori cerebrale. I circuiti di neuroni costruiti per difendere e affermare, sono poco a poco decostruiti dallo yoga. Di conseguenza, lo yoga è proibito a tutte le persone che hanno problemi psicologici, perché bisogna essere in buona salute per imparare a morire. L’adepto senza antagonismo può entrare in quella destrutturazione tecnica dello yoga e lasciare morire tutti i suoi concetti e le idee sull’energia, per divenire sensibile a ciò che è lì, senza nominarlo mai. La prima esperienza, quando ci si siede o ci si allunga sul tappeto e si smette di pensare il corpo, è un sentire non concettuale. Sentire che, per sua natura, passa da un cammino di pesantezza, di densità, di calore e che arriva a un certo momento a ciò che possiamo definire vibrazione. Quella vibrazione è un vero sentire che non è né dentro né fuori. Nello yoga lasciamo ogni rappresentazione geografica d’essere situati in un corpo. Il corpo è percezione, vibrazione fatta del movimento della vita. La respirazione è una delle polarizzazioni di quel movimento… Quando un dinamismo precede l’esplorazione, come un’onda tattile che s’incarna poi psicologicamente, l’inspirazione fisiologica s’arresta e si sente un flusso di energia, che continua al di là di quell’arresto. Quell’onda ridiscende e inizia l’espirazione fisiologica; poi l’espirazione fisiologica s’arresta, ma non il prolungamento energetico e un’onda continua. L’entrare nel rito del pranayama è quella scoperta, quel movimento tattile d’energia che precede, succede e irriga la respirazione fisiologica. L’inspirazione e l’espirazione diventano allora completamente passive e quell’onda completamente attiva. Un po’ come quando facciamo un movimento del braccio nell’acqua, il braccio si ferma mentre le ondulazioni dell’acqua continuano. Più esploro ciò che prolunga quei movimenti, più mi accorgo che dopo l’ispirazione il movimento dell’energia è sentito come una chiusura, una forma di silenzio. E’ un silenzio dell’ispirazione e dell’espirazione, ma non è un silenzio dell’energia. Durante il punto di riposo, un immenso dispiegamento dell’energia si produce, poi l’energia si concretizza nell’espirazione. L’espirazione si compie, l’energia si dispiega nel vuoto e qualcosa ricrea l’inspirazione. All’inizio dell’esplorazione i riposi sono vuoti in rapporto all’inspirazione e all’espirazione. Più tardi la disponibilità a quei momenti d’arresto, dopo l’inspirazione e l’espirazione fisiologiche, nei quali l’energia si prolunga, diventa il cuore di quell’arte magica. I due momenti d’arresto sono allora il punto faro della pratica, il sole e la luna dell’atto rituale. L’astro raggiante del riposo dopo l’inspirazione sarà poco a poco assorbito, divorato dalla luna nera del riposo dopo l’espirazione. Quella magnificenza della ritenzione positiva e la sua dissoluzione nel retroterra è l’essenza delpranayama cachmiriano. 3M.   Quel processo si svolge nell’assenza di pensiero? E.B.   Quando c’è il sentire, non c’è pensiero. La parola energia è una costruzione mentale. Ciò che i fisici concepiscono in termini di energia oggi, non sarà più la stessa cosa tra 50 anni. Non possono spiegare le loro esperienze, perché non hanno i concetti necessari alla comprensione. Non è l’esperienza che è limitata, ma i concetti. Non si può pensare che in termini di passato e di futuro, di materia, di energia, di causalità, mentre là c’è un’altra cosa. Non è una mancanza di tecnica, ma l’incapacità di comprendere cosa succede. Altri concetti ci saranno, molto più fini di quelli della materia, coscienza, energia, spazio, tempo, centro, che diventeranno caduchi, perché il sentire, la realtà, saranno sempre al di là di ogni concetto. Alla fine la parola energia deve essere riconosciuta come un’immagine, dove ciascuno proietta il suo limite mentale. Il percepito non può essere diverso dall’ultimo osservatore. Prima o poi il ricercatore dovrà rinunciare ad ogni tentativo, per trovarsi nel corpo, l’energia, il pensiero e riconoscersi come ultimo percipiente. L’apparente studio, ascolto, disponibilità verso le modalità dell’energia non sono che per lasciar gli oggetti percepiti dissolversi nella coscienza, da dove rinasce non differenziata, legata all’ultimo come il fuoco e il suo potere di bruciare. Da: http://www.revue3emillenaire.com/it/?p=651

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