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SVEGLIARE IL SOGNATORE (Lo yoga del bardo del sogno)


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Fonte: http://iniziodallafine.blogfree.net/?t=3346633


Svegliare il sognatore, Lo yoga del bardo del sogno - Dzogchen Ponlop Rinpoche




Nel bardo [stato intermedio di transizione fra due condizioni] naturale di questa vita facciamo esperienza del ritmo della veglia e del sonno.

Ogni giorno la nostra mente scivola dallo stato di coscienza della veglia nello stato del sonno, e da quello del sonno nel sogno. Mentre ci troviamo in questo stato intermedio, siamo completamente incosci oppure soltanto debolmente consapevoli di fluttuare in mondi visionari dei quali abbiamo poco o nessun controllo. Poi il processo inizia a svolgersi in senso contrario e la nostra coscienza riemerge riconnettendoci di nuovo al mondo cosiddetto 'reale'. Possiamo essere deliziati, confusi o spaventati da queste esperienze. La fasi di transizione dallo stato di veglia allo stato di sogno e il ritorno alla veglia non sono sempre chiare e nette. Potremmo fare un sogno in cui ci accorgiamo di star sognando e ci risvegliamo; ma poi ci rendiamo conto che anche il risveglio è ancora parte del sogno. Non siamo realmente svegli; stiamo semplicemente sognando di esserlo. Ora, proprio in questo momento, crediamo di essere svegli, ma non pensiamo "Sì, sono sveglio". Raramente siamo coscienti di essere svegli. Se osserviamo attentamente la nostra esperienza, possiamo vedere che spesso funzioniamo come se fossimo semi-addormentati; reagiamo semplicemente a tutto ciò che ci si para davanti, come nei sogni. Dal punto di vista assoluto, o illuminato, la nostra esperienza di questa vita decisamente non è lo stato risvegliato. È un sogno, un sogno più lungo, che chiamiamo samsara. Ciò che chiamiamo sogno è in realtà una 'doppia illusione', un 'doppio sogno', mentre la nostra vita cosciente di tutti i giorni è l'illusione primaria.

Gli insegnamenti di Padmasambhava ci forniscono istruzioni per lavorare sullo stato intermedio del sogno, ovvero il secondo bardo...

Queste pratiche ci insegnano a riconoscere lo stato del sogno e a trasformarlo in un'esperienza di autentico risveglio. Il secondo verso radice dice: E MA In questo momento, quando ti appare il bardo del sogno, Abbandona l'inconsapevolezza, simile al sonno illusorio di un cadavere. Penetra nella natura della presenza mentale e dell'assenza di distrazione. Riconosci i sogni, pratica la trasformazione e la luminosità.

Il bardo del sogno è il lasso di tempo che intercorre tra il dissolversi delle apparenze dello stato di veglia e il sorgere delle apparenze del successivo stato di veglia. In altre parole, ci addormentiamo oggi, e in un certo senso 'lasciamo questo mondo' per entrare nel bar-do del sogno. Il giorno dopo, quando ci alziamo, le apparenze del mondo ci si ripresentano di nuovo. Tra il momento di addormentarci e quello di risvegliarci facciamo esperienza dello stato nel quale si manifestano i sogni. A volte possiamo avere accesso a questo stato anche quando sogniamo a occhi aperti.


APPARENZA E VACUITÀ

Padmasambhava insegna tre metodi principali per lavorare con la confusione propria del bardo del sogno e per portare quell'esperienza sul cammino dell'illuminazione. Si tratta degli addestramenti relativi al corpo illusorio, allo yoga del sogno e allo yoga della luminosità. Queste pratiche coltivano il riconoscimento della vera natura della mente attraverso il riconoscimento delle apparenze diurne e notturne, viste come inseparabile apparenza e vacuità; si basano inoltre sul riconoscimento dello stato di sonno profondo, visto come consapevolezza luminosa.

Allo scopo di addestrarsi efficacemente a queste pratiche, è essenziale comprendere i concetti di 'apparenza' e di 'vacuità'. L'uno non può essere pienamente compreso senza l'altro. Dal punto di vista convenzionale, pensiamo che qualcosa o esista o non esista. Se esiste, possiamo vederlo, sentirlo, e così via. Si tratta di un qualcosa che appare, un'apparenza che può essere percepita e afferrata concettualmente. Se non esiste, non c'è nulla da percepire, da conoscere o concettualizzare. È una mera assenza di essere, una vacuità che è simile a un nulla assoluto. Di conseguenza, ciò che esiste, secondo questo punto di vista, è l'opposto di tutto ciò che non esiste. Perciò, nella nostra esperienza ordinaria, 'apparenza' e 'vacuità' si escludono a vicenda.

Secondo la visione buddhista, l'autentica condizione dei fenomeni è invece l'inseparabilità di apparenza e vacuità, e su questa inseparabilità si basano


le pratiche dello yoga del sogno.

Se la realtà della mente e dei fenomeni è diversa da ciò che normalmente crediamo, come facciamo a saperlo? Per comprendere la visione buddhista di apparenza e vacuità dobbiamo considerare le apparenze dalla prospettiva della verità relativa e della verità assoluta.

Dal punto di vista della verità relativa, ogni cosa nel mondo e nella nostra esperienza appare ed esiste.

Dal punto di vista della verità assoluta, quelle stesse entità non sono ciò che sembrano essere

La loro solidità inizia a sgretolarsi nel momento in cui le esaminiamo più da vicino, usando come fondamento della nostra investigazione sia il ragionamento logico della meditazione analitica sia i metodi empirici della scienza. Ciò significa che la nostra percezione delle cose viene trasformata attraverso un processo graduale che scompone l'oggetto nelle sue componenti, dalle più grandi fino alle più minute, fino ad arrivare al nulla.

È un'idea convenzionalmente accettata che la materia esista, a un livello sottile, come una infinita massa di particelle, o atomi, che costituiscono i mattoni fondamentali di forme più grandi a livelli meno sottili. Ma se analizziamo questi atomi con diversi tipi di ragionamento, non riusciamo a individuare nessuna materia solida, nessuna sostanza fisica che esista realmente. Scopriamo invece che queste sottili particelle sono a loro volta divisibili e non sono perciò dei costituenti irriducibili. Per quanto sia profonda e raffinata la nostra analisi, non riusciremo a individuare nessun genere di mattone fondamentale dal quale gli oggetti più grandi siano composti.

Quando analizziamo a fondo senza trovare niente che esista veramente ai livelli più sottili, cominciamo a chiederci quale sia la base su cui poggiano le forme tangibili che vediamo e utilizziamo tutti i giorni. Tutte le cose possono essere scomposte fino a un livello atomico, dalle più grandi manifestazioni della natura, come oceani e montagne, fino agli oggetti più minuti. Se ad esempio volessimo scoprire la vera esistenza del nostro telefono cellulare, dovremmo compiere la stessa analisi. Prima, identifichiamo l'oggetto: il telefono cellulare. Poi lo scomponiamo nei suoi componenti, dai più grandi ai più piccoli: il guscio, la tastiera, e così via. Poi scomponiamo i componenti nelle loro parti, notando che via via perdono la loro identità. Quando, in seguito a un processo di analisi, ci ritroviamo in mano un pugno di frammenti di plastica, non possiamo più chiamarli 'telefono cellulare'.
Se poi analizziamo questi frammenti di plastica fino al livello atomico, non possiamo più chiamarli neanche 'frammenti di plastica'.

Quando ci rendiamo conto che anche quegli stessi atomi potrebbero essere ulteriormente scomposti, siamo arrivati a un livello molto sottile della materia e della mente. Analizzando queste sottili tracce di materia, scopriamo che non rimane nulla che sia una 'cosa di per sé', dotata di un'esistenza concreta e reale.

C'è solo spazio ed energia, uno stato identico alla mente che analizza.

Sorge allora la domanda:
"Qual è la modalità di esistenza del telefono cellulare?".

Inoltre, potremmo chiederci:
"Dov'è ora il confine tra il 'mio telefono cellulare' e 'la mia mente'?".

Il telefono cellulare è ancora lì, ma è divenuto forma e vacuità.
E' lì perché potete vederlo e toccarlo, sentite quando suona, lo usate per parlare e pagate la ricarica: ma, da un punto di vista ultimo, non è lì.

Funziona perfettamente al livello della realtà convenzionale senza mai esistere veramente.

Ogni fenomeno, se analizzato in questo modo, si rivela uguale. Nella visione buddhista, ciò viene definito 'apparenza e vacuità'.

Tutte le forme di cui facciamo esperienza sono come l'apparire di arcobaleni colorati, trasparenti e irreali. Sono come il riflesso della luna che fluttua sulla superficie calma di uno specchio d'acqua. Quando vedete il riflesso, l'immagine è così nitida, chiara e reale che a volte viene quasi da chiedersi se sia la luna vera e propria. Eppure non c'è nessuna luna nell'acqua e non c'è mai stata. Questa mancanza di un oggetto concreto ci porta anche a comprendere che la coscienza o sé che percepisce il riflesso è ugualmente un miraggio.

È importante ricordare che lo scopo dell'analisi è accertarsi se un particolare oggetto sia dotato di un'esistenza reale al livello assoluto.

Ecco cosa cerchiamo di stabilire con questo processo.

Non mettiamo in discussione il fatto che sia lì, sotto i nostri occhi, al livello della realtà relativa.

All'inizio, prima di compiere la nostra analisi, abbiamo un oggetto e un soggetto: un oggetto di percezione e una coscienza percepente.

Durante l'analisi, quando arriviamo a un livello più sottile dell'esistenza materiale dell'oggetto, è ancora il soggetto, la coscienza percepente, a farne esperienza. Quando raggiungiamo lo stadio finale, quello in cui non troviamo nulla, la coscienza percepente subisce un trasformazione. Non è più una coscienza che percepisce, perché l'oggetto della percezione e l'atto del percepire si sono interrotti. La concreta esistenza dell'oggetto non c'è più, ora c'è solo un'apparenza trasparente e una consapevolezza ugualmente trasparente. Non vi è più alcuna traccia di esistenza concreta. Senza un'esistenza concreta non c'è modo di tracciare e definire un'identità. Perciò la separazione tra sé e altro, tra soggetto e oggetto, diviene illusoria.

Ciò che accade in quel momento è la diretta percezione della natura ultima della mente, che si trova al di là della scissione in soggetto e oggetto.
Fondamentalmente, c'è solo spazio e consapevolezza.

Da un punto di vista relativo, ovviamente, l'oggetto e il soggetto sono ancora lì.

L'analisi non distrugge il mondo relativo, né lo fa la vacuità.

Quando pratichiamo la meditazione forti di questa visione e di questa comprensione, riconosciamo che all'interno della nostra esperienza non concettuale c'è un'intrinseca chiarezza.

Quando parliamo di vacuità, ci riferiamo a uno stato di consapevolezza che va oltre la dualità di esistenza e non esistenza o di nascita e morte.

E' al di là di ogni possibile concetto. Ben lontana dall'essere una mera 'assenza', questa chiarezza è la vera natura della nostra mente, che è luminosa, brillante, vuota e partecipa dell'essenza del buddha jnana, o saggezza del buddha. È l'unione di spazio e consapevolezza che è l'origine di tutti i fenomeni nel samsara e nel nirvana. È lo stato di illuminazione che unifica tutte le polarità del mondo esterno e interno. Se riconoscete la vera natura della mente e tutti i fenomeni relativi come apparenza e vacuità, sperimentate direttamente la pura apparenza, ovvero la percezione propria degli esseri realizzati che hanno padroneggiato la propria mente. Se, al contrario, non la riconoscete, sperimentate direttamente le apparenze impure, ovvero la percezione propria degli esseri confusi che vedono i fenomeni come permanenti, distintamente separati dalla mente e come base del loro attaccamento.

Tali concezioni erronee sulla natura delle apparenze ci impediscono di capire come possiamo trasformare gli stati negativi che sorgono in ognuno dei sei bardo (la paura, la rabbia o lo smarrimento intensi) in stati positivi e addirittura gioiosi.

È per questo che, quando ci addestriamo alle pratiche del corpo illusorio e dello yoga del sogno, lavoriamo specificamente con le apparenze relative come mezzo per riconoscere la natura trascendente della mente.


SOGNI PURI E IMPURI

Entrare nello stato di sogno Mentre ci addormentiamo facciamo esperienza della dissoluzione delle cinque coscienze sensoriali in un livello della mente pi ù profondo denominato 'coscienza deposito' o alayavijnana. Nel momento in cui le percezioni sensoriali si dissolvono totalmente, c'è un momento di vuoto, simile all'esperienza dello svenimento. In effetti diventiamo incoscienti; è un'esperienza molto simile a quella della morte. Guardare questo processo di dissoluzione è perciò una pratica assai utile per lavorare con l'esperienza della morte. Ciò che accade durante il processo di dissoluzione è che le nostre co scienze sensoriali iniziano a ritirarsi dal contatto attivo con gli oggetti esterni (Secondo la visione buddhista, il processo della percezione, ovvero dell'intera esperienza mentale e sensoriale, implica tre componenti: (1) le sei coscienze dell'occhio, del naso, dell'orecchio, della lingua, del corpo e la mente; (2) la facoltà sensoriale che le percepisce; (3) gli oggetti esperiti, ovvero la forma, il suono, l'odore, il sapore, la sensazio ne fisica e i fenomeni mentali, quali pensieri, concetti, eccetera. ) Di conseguenza iniziamo a sentire un senso di sfocatura o assenza di chiarezza. Ma allo stesso tempo abbiamo un'esperienza non concettuale di quelle stesse percezioni. A volte ad esempio, quando stiamo per addormentarci, vediamo qualco sa, come la sagoma di una lampada o il colore delle tende al chiaro di luna, senza farci davvero caso; di conseguenza, non vi sono concetti riguardo a quell'oggetto. Allo stesso modo potremmo avere una vaga consapevolezza di un suono, come il ticchettio di un orologio, ma rimarr à una semplice esperienza non concettuale del suono poiché la mente non appone alcuna etichetta su di esso. Come anche potremmo sentire il peso o il tessuto della coperta senza formulare nessun pensiero concreto. In questi momenti è possibile osservare l'esperienza non concettuale delle percezioni.

La confusione continua Quando ci siamo addormentati, dopo la dissoluzione dei sensi, entriamo nello stato di sogno, dove a causa delle nostre tendenze abituali sorge un altro insieme di apparenze. Dato che, quando sorgono queste apparenze, non ci rendiamo conto di sognare, siamo portati a crederle altrettanto solide e reali delle apparenze di cui facciamo esperienza da svegli. Perciò, per gli esseri ordinari, i sogni sono una continuazione della confusione. Nei sogni sono presenti tutte e sei le coscienze. Vediamo forme e sentia mo suoni; possiamo sentire odori, sapori e sensazioni tattili. Abbiamo di versi pensieri (una funzione della coscienza mentale) e reagiamo alle espe rienze oniriche con tutta le speranza e la paura, la passione e l'aggressivit à che sperimentiamo durante la veglia. Sono presenti ogni sorta di oggetti e di esperienze in modo altrettanto vivido e c oncreto. Ad esempio, se in un sogno posate una mano su un tavolo, la mano vi rimane poggiata senza attraversare la superficie del tavolo. Se vedete un serpente velenoso, reagite naturalmente con paura e scappate. Se invece vedete un bell'oggetto, lo desiderate e cercate di avvicinarvi a esso. Tutto ciò vale fino a quando non riconosciamo di stare sognando.


SVEGLIARSI NEL SOGNO

Una volta che i sogni vengono riconosciuti come sogni, possono diventa re antidoti alla confusione. Com' è possibile? Se i sogni che non vengono riconosciuti come tali sono la confusione, e perciò samsarici, come può il loro riconoscimento diventare un agente di trasformazione della nostra confusione? Ciò è possibile perché quando ci 'risvegliamo' nello stato di sogno e riconosciamo la natura delle apparenze oniriche come apparenza e vacuità, il sogno non è più legato alla confusione. Non è più mescolato alle nostre tendenze abituali e alle afflizioni mentali che scambiano le co se per realmente esistenti. Possiamo dire: "So di stare sognando, so che queste apparenze sono illusioni". Perciò, quando i sogni vengono ricono sciuti come tali, diventano antidoti. Quando non vengono riconosciuti, sono solo altra confusione nella confusione. Lo stesso vale per la confusione in senso generale. Se riconosciamo la confusione, essa diviene un antidoto. Se non la riconosciamo, essa diviene il fondamento di un'ulte riore confusione. Cos'è lo stato di sogno una volta purificato? A questo punto, tutto ciò che sorge nello stato di sogno è apparenza e vacuità, come un arcobaleno. Le apparenze della mente sono la mente stessa. Oltre a essere la nostra mente, forme, suoni, e tutto il resto non esistono secondo una modalità dualistica di percettore e percepito. In questo modo si elimina la tendenza abituale a percepire le apparenze come reali. Vedendo la vera natura delle apparenze, si padroneggia la propria mente, in modo che essa non sia mai trascinata là dove non vogliamo, né sia sopraffatta dalla paura, dal desiderio o dall'odio. La confusione viene di spersa e la saggezza viene accumulata. I metodi principali che vengono insegnati per realizzare la natura della mente e delle apparenze durante il bardo del sogno sono gli addestramenti del corpo illusorio, dello yoga del sogno e dello yoga della luminosit à. La pratica del corpo illusorio lavora sulle apparenze diurne, mentre lo yoga del sogno sulle apparenze che sorgono la notte durante i sogni. Lo yoga della luminosità lavora sullo stato di sonno profondo. Le pratiche relative allo yoga del sogno, come il corpo illusorio e il sogno lucido che vengono qui illustrate, sono simili ad alcuni metodi sviluppati da studiosi occidentali e ri cercatori come Stephen La Berge dell'universit à di Stanford. Gli esercizi sviluppati in occidente e i metodi qui proposti possono essere usati indifferentemente, poiché si tratta essenzialmente della stessa cosa. Si tratta di metodi profondi e a volte molto impegnativi, ma la comprensione che ne risulta è estremamente utile al momento di attraversare il bardo della morte. Ancor più che nel bardo di questa vita, le apparenze che si incontrano nel bardo della morte vengono generalmente scambiate per fenomeni esterni privi di relazione con la propria mente. Addestrarsi al corpo illusorio Il primo metodo dello yoga del sogno, l'addestramento al corpo illusorio, consta di due elementi: addestrarsi al corpo illusorio impuro e addestrarsi al corpo illusorio puro. In entrambe le pratiche è importante mantenere la presenza mentale durante la vita quotidiana e ricordarsi la motivazio ne del bodhicitta. La ricordiamo dicendo a noi stessi che stiamo facendo queste pratiche allo scopo di raggiungere l'illuminazione per il bene di ogni essere vivente; e che tutti questi esseri viventi possano avere la possibilità di fare esperienza della natura illusoria del mondo. Il corpo illusorio impuro Prima ci addestriamo al corpo illusorio impuro. Osserviamo il nostro mon do e ricordiamo a noi stessi che si tratta di un'illusione, come un sogno o un arcobaleno. Questo mondo non è reale in senso assoluto. Gli esseri che lo abitano non esistono veramente. Ricordiamo a noi stessi che in queste apparenze non c'è nulla di concreto: né la metafisica né le scienze possono trovare un modo per affermarne la reale esistenza. Alla fine entrambi gli approcci portano alla stessa conclusione. Un modo per comprendere la qualità onirica della nostra esperienza presente è considerare l'esperienza del pa ssato dalla prospettiva del presente. Così facendo vediamo che tutto ciò che è accaduto ieri esiste oggi solo come ricordo. Le nostre conversazioni, le azioni, i pensieri e le sensazioni, come anche le cose viste e udite ieri, non sono più reali delle immagini apparse in sogno la notte scorsa. Dal punto di vista del presente, non sono così diversi. Ora sono solo rico rdi, sebbene il ricordo delle esperienze che abbiamo vissuto ieri durante la veglia possa essere più forte del ricordo del sogno. Vediamo anche che l'esperienza dell'oggi, che ora ci sembra così tangibile e reale, ci apparirà simile a un sogno quando ce ne ricorderemo domani. All'inizio dobbiamo orientare la mente verso tale concezione delle cose e abituarci a vedere il mondo da questo punto di vista. Ricordiamo a n oi stessi ripetutamente, in ogni situazione della vita, che la nostra esperienza è "Come un sogno, come un'illusione". Sia q uando ci troviamo in una situazione positiva e ci divertiamo, sia quando ci troviamo in una condizione negativa e stiamo malissimo, dobbiamo ricordar e a noi stessi che tutte le apparenze dell'esperienza presente sono la manifestazione illusoria della mente e che la loro vera natura è quella di apparenza e vacuità. Quando ci divertiamo tendiamo a dimenticarcene, e forse, qua ndo passiamo un brutto momento, non abbiamo la forza d'animo o la presenza di spirito per ricordarcene. Se però riusciamo a ricordarlo quando le cose vanno relativamente bene, cioè né troppo bene né troppo male, potremo generare un'abitudine al ricordo, che ci verrà naturale quando ne avremo bisogno. Nel momento in cui ci accadrà qualcosa di terribile, come la fine di una relazione, un incidente, una malattia oppure la morte, saremo in grado osservare quella esperienza e dire: "È come un sogno, come un'illusione". Allo stesso tempo, gli insegnamenti buddhisti ci dicono che i momenti migliori e più efficaci per praticare sono quelli in cui le cose vanno malissi mo e abbiamo toccato il fondo. In questi momenti d ifficili ci è più facile esaminare la nostra vita e trovare una reale connessione tra ciò che stiamo vivendo e la pratica. Sono momenti potenti per ché abbiamo abbandonato la speranza e perciò non c'è paura. C'è allo stesso tempo un senso di assen za di speranza e assenza di paura. Non siamo così tenacemente e dolorosamente attaccati a questo senso del 'me' o cos ì assorbiti in preoccupazioni egocentriche. Al contrario, non abbiamo una visione così rigida e le preoccupazioni egocentriche ci rendono meno ansiosi. Possiamo semplicemente dire: "Le cose non sono andate come avevo previsto". Ovviamente, saranno i giorni peggiori della vostra vita samsarica; ma saranno dei grandi momenti di pratica, perché non avrete nulla da perdere. La nostra esperienza qui e ora è un'illusione, simile a un sogno. Proprio ora siamo immersi in un sogno. Dal punto di vista del domani, non è reale. Quando consideriamo la nostra esperienza di un sogno notturno dal punto di vista della veglia, ci rendiamo conto di quanto sembrassero concrete e credibili quelle apparenze durante il sogno. Ma, una volta svegli, le apparenze del sogno sono scomparse. È stata solo un'illusione. Allo stesso modo, l'illusione di un mondo solido e reale si dissolve quando ci risvegliamo dal sogno del samsara per trovarci nello stato di risveglio o buddhità. Forma e vacuità Le pratiche del corpo illusorio impuro comprendono l'addestramento ai tre aspetti dell'apparenza relativa: forma e vacuit à, suono e vacuità, consapevolezza e vacuità. Quando ci addestriamo alla forma e vacuit à, ci addestriamo a vedere come il mondo fisico sia illusorio. Il metodo suggerito da Padmasambhava è quello di guardare in uno specchio e concentrarsi sui riflessi che vi appaio no. Guardate il vostro viso, il corpo e tutto ciò che è visibile nello spazio in torno, come i mobili nella stanza, gli alberi fuori dalla finestra, le montagne all'orizzonte, e così via. Vi concen trate su queste cose con presenza mentale, con consapevolezza e con la forte motivazione di comprendere la natura illusoria del mondo. Questo è il primo stadio della pratica. Nel secondo stadio, iniziate a parlare a voi stessi, ovvero vi rivolgete all'immagine nello specchio. L'istruzione suggerisce di concentrarsi su due punti: lode e denigrazione. Prima vi lodate dicendo: "S ì, oggi hai un aspetto fantastico" e altri complimenti del genere. Vi lodate e poi vedete come vi sentite. A questo punto osservate le vostre sensazioni e le vedete come illusorie. Considerate anche la lode in sé e l'immagine che state lodando come illusoria. Ecco lo scopo della pratica: non c'è nulla da lodare, anche se vedete un'immagine e siete contenti se vi sentite lodati. Dopo esservi lodati, cambiate atteggiamento verso l'immagine riflessa e iniziate a denigrarvi. Questa tecnica non è piacevole come la precedente poi ché dovete cogliere i vostri difetti e fare commenti poco lusinghieri o addi rittura aspri nei vostri confronti. Dovete esprimere tutto ciò che non volete sentirvi dire a proposito del vostro sé fisico. Di nuovo, esaminate direttamente questa esperienza e tutta l'infelicità che ne scaturisce. Osservate come la critica, i sentimenti e la persona che viene denigrata siano tutti illusori. Poi dissolvete in voi stessi il corpo illusorio nello specchio. A questo punto l'immagine illusoria nello specchio diventa inseparabile da voi stessi, dalla persona che sta di fronte allo specchio. Questi due aspetti si dissolvo no in una cosa sola. Poi sedetevi a meditare su apparenza e vacuit à, coltivando la sensazione che il vostro corpo sia simile a quello nello specchio: un corpo che appare ma che è vuoto. Così come l'immagine nello specchio non è che un'illusione, un semplic e riflesso della luce, allo stesso modo la vostra forma corporea è un'illusione, semplicemente un corpo luminoso. Dimorate con questa forma di apparenza e vacuità più a lungo che potete. Nei sutra della Prajnaparamita, il signore Buddha Shakyamuni fa ricorso a molti esempi per insegnare la vera natura dei fenomeni. Dice che ogni co sa è come "un'illusione magica, un sogno, un miraggio, la luna nell'acqua e un riflesso in uno specchio", e così via. Tali esempi ci aiutano a vedere chiaramente la natura di apparenza e vacuità del nostro corpo, della mente e del mondo. Come uno spaventapasseri sembra una persona senza esserlo, noi sembriamo persone solide e reali, mentre il nostro corpo è in realtà un corpo di luce. Ciò vale per tutti i fenomeni. All'inizio è importante intensificare questa esperienza ripetendovi per tutto il giorno: "Questo è un sogno, questo è un'illusione. Ogni cosa è co me un'immagine in uno specchio o un riflesso nell'acqua". Gli insegnamen ti suggeriscono non solo di ricordare queste p arole, ma anche di ripeterle ogni tanto ad alta voce. Mantenere la consapevolezza della natura illusoria è un punto cruciale per la pratica in tutti e sei i bardo.

Suono e vacuità Quando ci addestriamo alle pratiche del corpo illusorio impuro associate alla forma e vacuità, trasformiamo le apparenze delle forme relative fisiche. Allo stesso modo, le pratiche del corpo illusorio comprendono anche un addestramento legato alle apparenze relative del suono o della voce, apparenze che costituiscono un altro aspetto fondamentale della nostra esistenza. Quando udiamo un suono, lo sperimentiamo come un qualcosa che esiste in modo reale e sostanziale. Ad esempio, quando qualcuno ci insulta, proviamo una sensazione quasi tangibile, come se ci avesse colpito fisicamente. Non abbiamo alcun dubbio sulla realtà delle parole o sul loro messaggio, e ciò può dare origine a molte emozioni disturbanti e afflizioni mentali. Per questo ci addestriamo a comprendere il suono e le apparenze di tutti i suoi aspetti (le parole pronunciate, il linguaggio e il suo significato, il suono naturale degli elementi) come suono e vacuità. Quando leggiamo un libro, le parole stampate che vediamo sono un'apparenza di forma e vacuità. Se le leggiamo a voce alta, i suoni che sentiamo sono un'apparenza di suono e vacuità. Un metodo tradizionale per addestrarsi a percepire le parole come suono e vacuità è la pratica dell'ascolto dell'eco. L'istruzione consiste nel produrre un suono con la voce e ascoltarne l'eco. Mentre prima avevate usato il riflesso della vostra immagine nello specchio per addestrarvi con le forme fisiche, ora usate il riflesso della vo ce per addestrarvi con il suono. Ad esempio, se vi trovate in un lungo cor ridoio o in un tunnel e gridate: "Ciao", sentirete lo stesso suon o che ritorna indietro. La pratica prevede di ascoltare le vostre parole e la loro eco, notando le rispettive qualità e analogie. In realtà, la vostra voce è insostan ziale come l'eco stessa, né possiede concretezza alcuna. Mentre praticate in questo modo è importante rimanere presenti e consapevoli; in fin dei conti, non state semplicemente urlando. La pratica può essere fatta anche in una caverna o in una valle, e potete applicarvi al suono di canti religio si o mantra. In Tibet sono spesso i monaci che si preparano a diventare umdze, ossia i maestri di canto del monastero, ad addestrarsi in questo modo. Per alle nare la voce si recano nei pressi di un fiume, vicino a una cascata. Le casca te sono luoghi ideali per esercitarsi perch é vi è una grande riso nanza. I monaci accordano la voce con il suono e la vibrazione profonda e continua dell'acqua. In questo modo la voce diventa forte e profonda. Dei buoni umdze non diventano solo eccellenti maest ri di canto, ma sono anche dota ti di una profonda comprensio ne di suono e vacuità. Altri, che hanno una buona voce ma pensano orgogliosamente di essere i migliori, esercitano soltanto il loro io. L'addestramento al suono e alla vacuit à si riferisce non solo alla comprensione della natura del suono, ma anche al nost ro modo di intendere il linguaggio come sistema di comunicazione di significati. È importante addestrarsi alla comprensione di questo aspetto di suono e vacuità perché, a causa della mancanza di comprensione della natura del linguaggio, proviamo molte emozioni disturbanti e una grande quantità di confusione e attaccamento all'io. Ad esempio, quando sentiamo una certa parola, tendiamo a connettere a essa un significato particolare. Proiettiamo su di essa il nostro significato e con grande convinzione ci a ttacchiamo a questo significato come se fosse una cosa reale: "Questa persona mi ha definito arrogante! ". Immediatamente quella persona diventa il nostro nemico, o magari un nemico pubblico. Ecco perché dobbiamo addestrare la mente non solo a sentire il suono delle parole, ma anche a notare come il loro significato venga asso ciato ai nostri pensieri e concetti. In questo modo arriviamo a capire come mescoliamo il suono e i nostri pensieri sul suono per creare un mondo soli do, una realtà solida. Più tutto questo diventa evidente, più chiaramente capiamo come il suono e il significato sorgano insieme in una modalità simile a un sogno, come riflessi illusori o echi del mondo relativo. Dunque, l'addestramento al suono e vacuità è una preparazione fondamentale per il viaggio attraverso i vari bardo della vita e della morte. Consapevolezza e vacuità Come terza fase, ci addestriamo alle pratiche del corpo illusorio legate a consapevolezza e vacuit à. In questo caso lavoriamo con le apparenze relative della mente che si manifestano sotto forma di pensieri, trasformando completamente il modo in cui li intendiamo. Invece di vedere i pensieri come qualcosa da sottomettere, domare o sconfiggere allo scopo di 'arrivare' all'essenza della mente, li consideriamo un' espressione diretta della natura pura e luminosa della mente. I pensieri diventano una via per il riconoscimento della natura ultima della mente. Questo livello di pratica richiede moltissima presenza mentale e presuppone una stabile pratica di shamatha, poiché il metodo dipende non solo dalla capacità di vedere il processo del pensiero, ma anche dal cogliere i singoli pensieri. Dal punto di vista relativo, i pensieri appaiono alla mente; sorgono, re stano per un breve istante e poi cessano. Qual è la loro natura? Non si tratta di fenomeni fisici, ma di eventi mentali, di movimenti della mente stessa. Benché essi diano forma e colore al nostro mondo in base al loro contenu to, questo contenuto non possiede in sé forma, colore o dimensione. La na tura di questi pensieri e la natura della mente da cui hanno origine è la stes sa: consapevolezza e vacuità. A questo livello della pratica esaminiamo da vicino i nostri pensieri allo scopo di determinare personalmente la loro es senza e farne diretta esperienza. Da un punto di vista generale, percezione e pensiero sono intimamente collegati. Non appena vediamo una forma, sentiamo un suono o proviamo una sensazione, la mente registra tale perc ezione, e subito dopo formuliamo un pensiero o un concetto. Il pensiero appare nella mente, ma non è una forma concreta; siamo piuttosto noi a renderlo tale, o almeno a considerarlo concreto, a causa della tendenza abituale a reificare e ad attribuire un'esistenza reale alle cose. Siamo perennemente intrappolati nello stesso mod ello ripetitivo: rendiamo solida la realtà della nostra mente, e così facendo ci allontaniamo dalla fresca e vibrante energia e saggezza dei pensieri. Che si tratti di un pensiero di passione, aggressività, ignoranza, gelosia, orgoglio o di ogni altro genere, se ora riusciamo ad addestrare la mente a riconoscere tutti i pensieri come consapevolezza e vacuità, al momento della morte, o durante il viaggio che ci attende dopo la morte, sarà possibile che un singolo pensiero o percezione possa innescare la realizzazione della natura della mente. Se esaminiamo i pensieri, possiamo vedere chiaramente come essi siano consapevolezza e vacuit à. Il pensiero semplicemente sorge e si dissolve naturalmente. Non c'è bisogno di fare nulla per farlo andare via e fare spa zio a un altro pensiero. Non c'è bisogno di prendersene cura o scacciarlo. Ogni pensiero sorge come un arcobaleno nel chiaro e terso cielo della mente. Ogni pensiero è unico, originale e bello a modo suo. Poi se ne va. Da questa prospettiva i pensieri sono visti come gli ornamenti della mente; abbelliscono la mente nello stesso modo in cui le ninfee abbelliscono uno stagno. Senza ninfee lo stagno sarebbe piuttosto monotono. Dunque, se non li rendiamo concreti, i pensieri sono una bellissima esperienza; ma quando li reifichiamo, ci procurano molteplici sofferenze. A noi la scelta. Secondo questi insegnamenti, soffriamo non appena rendiamo reale una qualsiasi esperienza della mente, sia essa concettuale o percettiva. Quando non reifichiamo la nostra esperienza, i pensieri ci offrono maggiore chiarezza. Pensieri ed emozioni hanno la stessa qualit à positiva di accrescere la chiarezza della mente, a patto di non ridurli a etichette o congelarli nella concettualità. Quando ci addestriamo alla consapevolezza e va cuità, osserviamo semplicemente i pensieri. Osserviamo il primo bagliore del pensiero e poi lo osserviamo mentre sorge. Dobbiamo notare la qualità di quel particolare pensiero, ma guardandolo semplicemente così com'è, senza cercare di cambiarlo. Ne facciamo esperienza e poi quando se ne va lo lasciamo andare. Non dobbiamo attaccarci a nessun pensiero temendo che la mente si senta sola, perché senza dubbio un altro pensiero non tarderà a manifestarsi. Non rimarremo mai a corto di pensieri, almeno non per molto. L'istruzione è di osservare il processo di un pensiero nel modo più natu rale e diretto possibile, senza alcun artificio o elaborazione concettuale. Ciò significa non cercare assolutamente di escog itare qualche astuzia, né cercare di pianificare la modalità con cui osservare i pensieri; non stiamo accumulando su di essi strati su strati di pensieri, etichette o concetti. È proprio questo processo di apporre etichette a separarci dalla nostra esperienza. Ciò accade quando vediamo un oggetto, vi ap poniamo un'etichetta, e poi consideriamo oggetto ed etichetta la stessa identica cosa. In un certo senso l'etichetta distrae la mente dall'esperienza diretta dell'oggetto. Ad esempio, an che se riconosciamo che un certo oggetto è un tavolo, l'etichetta 'tavolo' è estranea all'oggetto. È semplicemente un nome che gli abbiamo dato; l'oggetto non cambierebbe se gli dessimo un altro nome. Allo stesso modo, quando sorge un pensiero, gli diamo un nome e cerchiamo di classificarlo. Questo lo rende qualcosa che in realtà non è. Perciò, per comprendere la mente, dobbiamo limitarci a fare esperienza dei pensieri senza etichettarli. In questo modo riconosciamo i pensieri come l'aspetto di consapevolezza e vacuità della mente. Quelle di cui abbiamo parlato sono le tr e fasi principali della pratica del corpo illusorio impuro: addestrarsi al riconoscimento della forma illusoria, del suono illusorio e della mente illusoria. Una volta portate a compimento queste tre pratiche, possiamo renderci conto che, quando affermiamo che il mondo è illusorio, non stiamo affermando che gli oggetti sono illusori mentre il soggetto non lo è. Non stiamo affermando che c'è un soggetto realmente esistente che guarda un mondo irreale là fuori. C'è piuttosto una mente simile a un sogno che percepisce un mondo simile a un sogno: una coscienza visiva simile a un sogno che scorge forme simili a un sogno; una coscienza uditiva simile a un sogno che intende suoni simili a un sogno, e così via. In tutte queste pratiche adottiamo la visione di apparenza e vacuità, nella quale vediamo le tre sfere della nostra esperienza (il soggetto, l'oggetto e l'azione) come illusorie. Il corpo illusorio puro Seguono ora le pratiche del corpo illusorio puro. In questo caso lavoriamo con le apparenze pure. Questi addestramenti sono legati alle pratiche dello yoga della divinità. Pur essendo numerosissime, tutte le divinità della tradizione tantrica buddhista sono viste come incarnazioni o personificazioni della natura illuminata del meditante, e non come divinità dotate di un'esistenza separata o come esseri sovrannaturali. I loro tratti distintivi, la postura e gli ornamenti sono rappresentazioni simbo liche delle varie qualità dell'illuminazione, ovvero dell'innato stato risvegliato, della saggezza e della compassione che sono eternamente presenti nella natura della mente, e che si manifestano pienamente quando viene realizzata. Attraverso la pratica della visualizzazione di forme pure, quali la divinità e il suo mandala (ossia il mondo che circonda la divinità), ci addestriamo a percepire la vera natu ra della mente e delle apparenze. Iniziamo lavorando con forme generate concettualmente, che quindi ci conducono a una esperienza non concettua le della sacralità, alla diretta percezione della lucidità della mente che è eternamente presente in noi. Quando create mentalmente una di quest e forme, dovreste cercare di generare un'immagine precisa e chiara in ogni suo aspetto. Per questa ragione iniziate guardando un'immagine dello yidam che avete scelto, ad esempio il buddha Vajrasattva, che spesso viene usato come base per la pratica dello yoga della divinità. Vajrasattva viene generalmente rappresentato assiso a gambe incrociate su un disco lunare in cima a un fiore di loto. È di colore bianco ed è ornato con una coron a, con vestiti di seta e diversi ornamenti. Tiene nelle mani un vajra e una campana, che simboleggiano rispettivamen te la saggezza e la compassione, ed è associato alla grande purezza. Vi sono tecniche molto utili per sviluppare la visualizzazione. All'in izio dovete guardare l'immagine di Vajrasattva fino ad avere gli occhi affaticati e la vista leggermente offuscata. A questo punto chiudete gli occhi e lasciate che l'immagine si rifletta nello spazio. Poi aprite gli occhi, guardate ancora l'immagine e chiudete di nuovo gli occhi. Ripetete questo procedimento finché non vi appare un'immagine appena abbozzata. Può essere utile ritagliare l'immagine della divinità e porla su uno sfondo nero. Continuate a praticare raffinando l'immagine fino a quando non avre te creato una visualizzazione il più chiara e dettagliata possibile. La forma visualizzata che state creando in questo stadio della pratica è definita un 'corpo illusorio puro'. È una forma visualizzata di apparenza e vacuità. Appare in modo chiaro, ma è insostanziale; è limpida e vibrante, ma non esiste. Dunque la vostra visualizzazi one della divinità è come il riflesso della luna nell'acqua. Una volta che avrete ben consolidato la fase della visualizzazione, cioè la forma esterna della divinità, dissolve te la visualizzazione dentro voi stessi. A questo punto voi e la divinità diventate inseparabili. Voi, proprio voi, siete la divinità, siete un corpo illusorio puro. Essendo una divinità, il mondo che percepite, il mandala delle infinite apparenze che vi circonda, viene trasformato in un mondo sacro grazie alla vostra visione pura. In quel momento trascendiamo le percezion i e i concetti ordinari, e guardiamo il mondo da una prospettiva illuminata. Quando visualizziamo noi stessi come una divinità, il nostro orgoglio personale ordinario, basato sull'attaccamento all'io, viene trasformato nelT'orgoglio del vajra'. Non si tratta di un atteggiamento di superiorità nei confronti degli altri, né si tratta semplicemente di avere un'alta opinione di se stessi. L'orgoglio del vajra si riferisce all'orgoglio e alla fiducia che nutriamo nei confronti della natura assoluta della nostra mente vista come buddha: essa è primordialmente e originariamente pura, risvegliata e colma delle qualità dell'illuminazione. Pertanto possiamo dire: "Io sono la divinità, io sono un buddha". Gli insegnamenti buddhisti convenzionali mettono in rilievo la stessa vi sione della vacuità e la nostra natura innata di buddha, ma descrivono questa natura come una potenzialità che va portata alla luce man mano che si procede nel cammino. Al contrario, secondo il Vajrayana siamo buddha proprio ora, in questo preciso momento. Poiché ne siamo molto orgogliosi, diciamo: "Sì, la natura della mia mente è il buddha e questo è il mondo illuminato". Quando riusciamo a incarnare pienamente questo senso di orgoglio del vajra, il nostro corpo è un corpo illusorio e l'ambiente che ci circonda è la manifestazione del mondo illuminato. Questa è l'essenza dello yoga della divinità. L'istruzione suggerisce an che di fondere l'immagine del nostro maestro principale, o guru radice, con quella della divinit à, come si fa, ad esempio, nella pratica del guru yoga. Si tratta anche di una condizione essenziale per ricevere un abhisheka, una cerimonia di iniziazione o p otenziamento. In quel momento il guru appare come lo yidam e inizia i partecipanti alla pratica del sadhana di quel particolare yidam. Ogni volta che vediamo il nostro guru come la divinità, stiamo praticando il corpo illusorio puro. I due addestramenti del corpo illusorio puro e impuro sono essenziali per la pratica dello yoga del sogno che segue. In effetti li si pu ò intendere come ngondro, o pratica preliminare, per le pratiche del bardo del sogno.

Quando cominciamo a renderci effettivamente conto d ella natura illusoria e onirica della nostra esperienza di veglia, iniziamo a fondere quelle apparenze con le apparenze dei sogni notturni, avvicinando sempre di pi ù i due stati. La pratica del corpo illusorio è importante per il bardo naturale di questa vita, ma anche per il bardo doloroso della morte e per i due bardo che la seguono. Quando arriverà il momento della morte ci dovremo confrontare con la paura e con l'incertezza che sorgono man mano che le coscienze si dissolvono e le funzioni corporee cess ano. Allo stesso tempo sorgeranno varie apparenze luminose, provocando ulteriore panico e confusione. In ognuno dei bardo della morte e dello stato che segue la morte ci troveremo ad affrontare la sfida dell'incontro con la nostra mente, una mente che in ogni istante ci si manifesterà sotto forma di apparenze vivide e poco familiari. In quei momenti critici possiamo trascendere la sofferenza in un istante grazie alla pratica del vedere queste stesse apparenze come forme vuote che sorgono dalla luminosa natura della mente. Se durante questa vita ci familiarizziamo con le pratiche del corpo illusorio, saremo ben preparati a ogni possibile situazione di bardo e all'esperienza del qui e ora. Ogni volta che ci sentiremo privi di punti di riferimento, saremo i n uno territorio familiare, nello spazio della completa apertura che favorisce il sorgere delle apparenze pure. Addestrarsi allo yoga del sogno Il secondo e principale metodo insegnato da Padmasambhava in relazione al bardo del sogno è la pratica dello yoga del sogno. Questo insieme di pra tiche comprende l'addestramento al riconoscimento dello stato di sogno, detto anche 'sogno lucido', la trasformazione dello stato di sogno che segue il riconoscimento, infine le pratiche di accres cimento grazie alle quali si superano gli ostacoli. Si dice che le esperienze oniriche, come le esperienze della veglia, sorga no dalle nostre tendenze abituali. La formazione e il consolidamento di queste tendenze dipende dall'accumulazione dei semi karmici da noi acqui siti nel passato, i quali condizionano il modo in cui percepiamo, pensiamo e agiamo nella vita presente. Tutti i semi che accumuliamo, positivi o negati vi che siano, rimangono nel nostro flusso mentale in una forma latente, fino al momento in cui non incontriamo nuove cause e condizioni che ne favoriscono la maturazione in una forma specifica. L'abbrivio di questo ciclo è normalmente ininterrotto poiché, non appena un seme giunge a maturazione, produce un risultato e poi si estingue, quell'azione diventa automaticamente la causa per la produzione di un altro seme, magari ancora più forte del precedente. Durante il giorno è importante mantenere la presenza mentale e la consapevolezza che abbiamo sviluppato grazie alle pratiche del corpo illusorio. Ricordiamo a n oi stessi ripetutamente: "La natura ultima di tutte le apparenze è la vacuità e il loro modo di manifestarsi al livello relativo è l'inseparabilità di apparenza e vacuità. Perciò tutto questo è come un sogno, come un'illusione". La notte, quando è ora di dormire, pratichiamo lo yoga del sogno, che comincia con il riconoscimento dello stato di sogno. Questo significa che diveniamo coscienti di stare sognando mentre ci troviamo nello stato di sogno. Sappiamo di star sognando, ma non ci svegliamo. Le istruzioni di Padmasambhava suggeriscono di generare il bodhicitta prima di andare a dormire con parole come queste: "Allo scopo di liberare me stesso e gli altri dall'oceano del samsara, desidero impegnarmi nella pratica dello yoga del sogno, la quale ha il po tere di liberare dalla sofferenza, dalla paura e dalla confusione del samsara. Che tutti gli esseri possano ottenere la perfetta felicità e il completo risveglio". Forti di questa motivazione, vi addormentate con la ferma intenzione di essere consapevoli di star sognando nel momento in cui il sogno si manifesterà. Riconoscere il sogno Primo metodo: il guru Una volta stabilita la motivazione e l'intenzione, assu miamo una determinata posizione. Non andiamo semplicemente a dormire. Il testo suggerisce di adottare la postura del leone dormiente, quella che assunse il Buddha Shakyamuni nel momento del parinirvana. Quest'ultimo termine si riferisce alla morte di un buddha o di un maestro pienamente realizzato, una morte vista come l'entrata nello stato dell'i lluminazione. Guardando le sculture e i dipinti che rappresentano il parinirvana del Buddha, lo vediamo sdraiato sul fianco destro, con la mano destra sotto la guancia e il braccio sinistro abbandonato lungo il fianco. Noi assumiamo la stessa postura. Potete anche chiudere la narice destra esercitando una lieve pressione con un dito della mano destra, e respirare in modo rilassato attraverso la narice sinistra. Poi dormiamo in questa posizione. Oltre alla postura, ci sono anche istruzioni per generare specifiche visualizzazioni. Se siete praticanti del Vajrayana, dovreste prima visualizzare voi stessi come lo yidam con cui avete una connessione di pratica, ad esempio Vajrasattva. Se non riuscite a creare una chiara visualizzazione, sempli cemente adottate l'atteggiamento dell'orgoglio del vajra di quella particolare divinità. Poi visualizzate il maestro radice seduto sopra la vostra testa. Si dice che a volte si può visualizzare il proprio cuscino come se fosse il grembo del maestro; in questo caso è come se ci si addormentasse nel grembo del guru. Quindi visualizzate nel centro della gola una piccola forma di Vajra Guru, ossia Guru Rinpoche, grande all'incirca un paio di centimetri. 'Vajra Guru' e 'Guru Rinpoche' sono due epiteti di Padmasambhava, il quale viene visto come inseparabile dal vostro guru principale o guru radice. Queste visualizzazioni in genere sono orientate nella stessa direzione in cui vi trovate. Si dice che si dovrebbe visualizzarle tutte come apparenza e vacuità: divinità di appare nza e vacuità, guru di apparenza e vacuità, simili al riflesso della luna nell'acqua. In queste forme non c'è nulla di concreto.

Mentre vi addormentate dovreste mantenere l'orgoglio del vajra e concentrarvi sulla visualizzazione al centro della gola. Inol tre, tenete a mente l'aspirazione ad avere un sogno lucido, a riconoscere il sogno come tale. Non volete ricadere nell'abituale stato di sogno confuso. In questo momento potete rivolgere preghiere al guru, quali: "Benedicimi affinch é io possa riconoscere il sogno come sogno, l'illusione come illusione, la confusione come confusione, e affinché io possa vedere la realtà di tutto, la natura assoluta della mente". Ripetete questa supplica di tanto in tanto. Non c'è bisogno di ricorrere a sofisticate forme d i preghiera o canto. Puntate al senso essenziale e pregate a parole vostre, in qualsiasi modo vi sia congeniale. A questo punto è importante non lasciarsi distrarre da pensieri casuali relativi al giorno dopo: l'ora in cui vi dovete svegliare o gli impegni che avete rimandato. Essere interrotti dai pensieri è i l principale ostacolo al riconoscimento dei sogni. Inoltre, ci impedisce anche di renderci conto del nostro coinvolgimento con la confusione nella vita di tutti i giorni, dove siamo costantemente distratti dalla consapevolezza del momento presente. Normalmente non ci fermiamo per notare: "Sono preda della confusione", "Mi sto arrabbiando" o "Sono geloso". Non ce ne accorgiamo affatto. Tali pensieri ed emozioni ci sembrano piuttosto normali e natur ali. Il punto principale è non lasciarsi troppo distrarre da nessun tipo di pensiero. Durante la pratica concentrate i pensieri sulla forma del guru posta nel centro della gola e sul desiderio di avere un sogno lucido. Per molte persone il riconoscimento n on avviene al primo o secondo tentativo. C'è bisogno di ripetere più volte questo metodo con una certa sollecitudine fino a quando non diventi naturale. Allora sarete capaci di concentrarvi senza distrazione, di addormentarvi facilmente e di entrare in uno stato di sogno lucido senza grande sforzo. Se, non appena svegli, vi accorgete di avere fatto un sogno o dei sogni che non siete stati in grado di riconoscere, dovreste semplicemente pren derne atto e cercare di vedere quei sogni come non realmente sepa rati dalle apparenze di questa vita. Nello stato di post meditazione, in questo caso lo stato che segue il sonno, potete provare a ravvivare la percezione del la natura onirica e illusoria del mondo. Potete anche ravvivare la motivazione a liberare voi stessi e gli altri dalla confusione, e rinnovare l'aspirazione a riconoscere lo stato di sogno. Secondo metodo: lo yidam Dopo che avrete impiegato per un po' questo metodo, se ancora non foste in grado di riconoscere i sogni, gli insegnamenti suggeriscono un secondo metodo. Come indicato prima, assumete la posizione del leone dormiente. Poi visualizzate il maestro radice sulla cima della testa, e voi stessi sotto forma di yidam. Nel centro della gola visualizzate al posto del guru una piccola forma dello stes so yidam. Ad esempio, se visualizzate voi stessi come Vajrasattva, visualizzerete anche nel c entro della gola un piccolo Vajrasattva.

Se con questo metodo non avete immediatamente sogni lucidi, cercate di perseverare per un po'. È importante non saltare da un pratica all'altra; iniziate con un solo metodo e portatelo avanti a lungo prima di provarne un altro. Altrimenti non saprete mai se un par ticolare metodo si sarebbe rivelato efficace se solo lo aveste provato più a lungo, o se non avrebbe prodotto comunque nessun risultato per cui era davvero necessario cambiarlo. Se cambiate metodo con troppa frequenza non potrete mai scoprirlo. Perseverate per un po' con un metodo e provatelo più volte fino ad avere la reale certezza della sua inefficacia. Solo a questo punto potete dire: "Ho provato con grande diligenza per settimane, ma ancora non riconosco i sogni". A questo punto potete passare al metodo successivo. Questa è una buona regola generale. Terzo metodo: le sillabe eccellenti Quanto al metodo successivo, disponetevi nella postura corretta come indicata prima e visualizzate voi stessi nella forma dello yidam, con il guru radice seduto sopra la vostra testa. Poi visualizzate un loto rosso con quattro petali nel centro della gola; su questo loto sono disposte le sillabe OM AH NU TA RA . Iniziate con il concentrare la mente sul loto. Poi ponete la sillaba OM nel centro, AH nel petalo anteriore, NU nel petalo di destra, TA nel petalo posteriore e RA nel petalo di sinistra. Mantenete una chiara visua lizzazione; poi gradualmente concentratevi sulle sillabe, spostando l'attenzione da una sillaba all'altra man mano che vi addormentate. Prima vi concentrate sulla OM, semplicemente ponendo l'attenzione su di essa per un po'. Quando ini ziate a sentire una certa sonnolenza e notate che i sensi iniziano a ritirarsi dal contatto con l' esterno, concentratevi sulla AH posta anteriormente. Quando cominciate a sentire un senso di pesantezza e il vostro corpo inizia a rilassarsi , concentratevi sulla sillaba NU posta sul petalo di destra. Quando cominciate a sentire di stare pian piano cadendo nel sonno e sentite il corpo ancora più pesante, concentratevi sulla sillaba TA posta nel petalo posteriore. Alla fine, proprio mentre vi state per addormentare, nel momento in cui pensate: "Sto per addormentarmi..." concentratevi sulla sillaba RA sul petalo di sinistra. Il testo afferma che nel momento in cui vi state realmente addormentando e pensate: "Ora mi sto addormentando... ora mi sto addormentando..." dovete ritornare sulla sillaba OM . Nell'ultimo momento prima di perdere coscienza dovreste ravvivare la vostra aspirazione ancora una volta dicendo: "Voglio riconoscere i miei sogni". Se non ci sono pensieri che si frappongo no tra l'aspirazione e il sonno, è probabile che l'aspirazione si concretizzi e che abbiate successo. Quarto metodo: il bindu Nel caso non riusciste a visualizzare le sil labe, Padmasambhava fornisce un ultimo metodo. In questo caso create la v isualizzazione di base come descritta in precedenza, poi visualizzate semplicemente un bindu rosso

chiaro, ossia una sfera di luce, posto nel centro della gola. Un bindu è sempre visualizzato con una forma vibrante, luminosa, vivida e trasparente, come un arcobaleno. Visualizzate il bindu in questo modo e ponete l'attenzione su di esso mentre vi addormentate. Immediatamente prima di perdere coscienza rafforzate la vostra aspirazione a riconoscere i sogni. Le differenze individuali Uno di questi quattro metodi dovrebbe andare bene per voi. Tuttavia, poiche ciascuno di noi ha una differente costituzione fisica, le esperienze di ognuno saranno necessariamente indi viduali. Alcune persone sognano molto di rado e per questo trovano difficile riconoscere i propri sogni. In certi casi, dipende dal fisico, per cui non c'è motivo di preoccuparsi. Per altre persone invece riconoscere i sogni sarà abbastanza facile. Ciò non signi fica necessariamente che questi ultimi siano pi ù realizzati di coloro che hanno difficoltà a riconoscere i sogni. In ogni caso, dobbiamo sforzarci se condo le nostre possibilità. Possiamo anche chiedere consiglio al nostro maestro, che può offrirci indicazioni personali su come rapportarci al meglio alle varie pratiche. Ma in alcuni casi questa incapacit à può derivare da determinati oscuramenti, o da contaminazioni più potenti. Per i praticanti del Vajrayana può magari indicare un problema relativo al proprio samaya. In questi casi si suggerisce di ritornare a certe pratiche del Mahayana, come la presa di rifugio, il bodhicitta e il lavoro sulle paramita, allo scopo di accumulare ulteriori merito e saggezza. Le pratiche del guru yoga sono inoltre di grande beneficio per aiutarci a stabilire una relazione autentica con il cammino del Vajrayana. In particolare, nel caso di praticanti del Vajrayana, i ganacakra, o pratiche di celebrazione, costituiscono un efficace metodo di purificazione. Trasformare le apparenze del sogno Una volta capaci di riconoscere i nostri sogni, ovvero di avere la capacit à di dire, nel momento in cui stiamo sognando , "Sto sognando, so di stare sognando", che cosa dobbiamo fare? Gli insegnamenti di Padmasambhava affermano che è necessario trasformare i nostri sogni. Dunq ue, la seconda parte dell'addestramento riguarda la tras formazione: trasformare le apparenze che incontriamo nei sogni. Quando diventate coscienti di essere svegli nel sogno e riuscite a mante nere la consapevolezza per un certo tempo, avete la possibilit à di cambiare ciò che vedete e fate. Nell'esperienza di veglia ci vorrebbe un grande pote re mentale, maggiore di quello di cui normalmente disponiamo, per trasformare una cosa in un'altra, come ad esempio un tavolo in un fiore. Avreste bisogno del potere e della realizzazione di un grande yogin come Milarepa per fare cose del genere. Ma in questa pratica addestrate la vostra mente a sviluppare questo potere nello stato di sogno. Così, ad esempio, quando sognate un fiore, provate a trasformarlo. Trasformate il fiore in un uccello, in una nuvola o in un aquilone; trasformatelo in qualunque cosa.

Oppure, quando vi si presenta un essere che vi incute timore, un animale selvatico o qualcuno che cerca di uccidervi, trasformatelo in una forma illuminata, come uno yidam, e lasciate che uccida il vostro io. Quando vi trovate in una situazione confusa e caotica, cercate di trasformare quella condizione samsarica nell'esperienza del mandala della divinità, in un mondo sacro. Il testo suggerisce poi di provare gradualm ente a compiere azioni quali volare. Ma non dovreste tentare ai primi stadi della pratica. Se provate troppo presto a saltare giù da una rupe per addestrarvi a volare, è probabile che vi sveglierete semplicemente per la paura, perdendo il riconoscimento del sogno e quindi una buona occasione. Provate a compiere azioni simili in una fase più avanzata della pratica. Quando avrete maggiore familiarità con la pratica della trasformazione non avrete paura di fare cose come volare. Dopo aver praticato per un certo tempo la trasformazione, potete inizia re a giocare col vostro mondo onirico. Il testo di Padmasambhava afferma che, se avete una forte aspirazione a fare esperienza dei mondi sacri dei buddha, prima di andare a dormire potete esprimere questa aspirazione dicendo: "Non solo voglio riconoscere i sogni, ma voglio anche recarmi pres so i vari campi di buddha per sentire i profondi insegnamenti dei vari bud dha". Trasformando i sogni nell'esperienza di un mondo sacro potete incontrare i buddha e i bodhisattva e conversare amabilmente con loro, come fareste con un amico al tavolino di un caff è. Poi ritornate indietro. Un giorno ero con il mio maestro, Khempo Ts ùltrim Gyamtso Rinpoche, nell'Annapurna Coffee Shop a Kathmandu, in Nepal. Mentre eravamo lì seduti Rinpoche ha cominciato a insegnare. Come mia abitudine ho inizia to a prendere appunti sul taccuino. Gli facevo domande e scrivevo. Poi Rinpoche ha cominciato a cantare uno dei canti di Milarepa. Mentre prendevo nota di quel canto anche io ho iniziato a cantare, e così ci siamo trovati tutti e due a cantare e declamare, parlando a voce piuttosto alta. Tutto a un tratto mi sono accorto di dove mi trovavo. Mi ero completamente dimenticato di essere in un luogo pubblico, in un caffè pieno di persone. Mi sono guardato intorno e mi sono accorto che tutti ci stavano fissando. Questo è stato come il risveglio in un sogno. Ero impegnato in una conversazione con il Buddha in un caffè di Kathmandu. Se riconosciamo i nostri sogni, possiamo fare le stessa c osa con i buddha e i bodhisattva dei tre tempi. La trasformazione ultima La trasformazione ultima nel bardo del sogno è la trasformazione delle apparenze legate alla confusione nell'esperienza della saggezza. La capacità di trasformare le apparenze del sogno è direttamente collegata alla capacità di mantenere una mente priva di distrazione e stabile. Tale capacità è l'essenza della pratica di shamatha. Quando osserviamo un'immagine onirica, cerchiamo di vedere con quanta chiarezza riusciamo a concentrarci su di essa e quanto sia stabile la nostra concentrazione. Cerchiamo anche di vedere in quale misura la nostra mente sia in grado di fare esperienza della
vera realtà, o vera natura, di tale apparenza. Ecco il fine di questa pratica. Non si tratta soltanto di divertirci a giocare con dei bei sogni. Il fine è comprendere la realtà assoluta, la vera natura della mente, grazie a una percezione diretta di questi tre elementi: apparenza e vacuità, suono e vacuità e consapevolezza e vacuità. Se incontrate difficoltà nel riconoscere i sogni, il testo raccomanda di impegnarvi più a fondo nella pratica del corpo illusorio. Mentre praticate, mantenete una forte presenza mentale e fate in modo che i pensieri e le tendenze abituali non interrompano la vostra pratica. Ad esempio, mentre pensate: "Questo è un sogno, è un'illusione", potrebbe sorgere un pensiero di rabbia, e un attimo dopo vi trovate a urlare contro qualcuno. A causa di quel pensiero, voi, la rabbia e l'oggetto della rabbi a hanno acquistato improvvisamente una consistenza solida e r eale. Non significa che non dobbiate mai urlare. Potete farlo, ma con presenza mentale. Questo cambierà il vostro modo di pensare. Potete pensare: "Sto urlando in un sogno". È un modo assai migliore di esprimere la rabbia. Se ottenete una qualche comprensione da quell'esperienza, la persona che l'ha provocata riceverà una parte del karma positivo che ne deriva, poiché ha contribuito alla vostra comprensione. Superare gli ostacoli Un terzo aspetto delle istruzioni sullo yoga del sogno insegnate da Padmasambhava riguarda numerose pratiche di accrescimento che si riferiscono ai nostri modelli onirici fondamentali e agli ostacoli che potremmo incontrare. Il primo modello onirico è quello in cui ci si sveglia non appena si rico nosce il sogno; il fatto stesso di riconoscere il sogno ci fa uscire dal sogno e lo interrompe. Il secondo modello onirico è l a dimenticanza. All'inizio riconosciamo il sogno, ma poi perdiamo la consapevolezza e veniamo nuovamente catturati dal sogno. Dimentichiamo le istruzioni sul riconoscimento del sogno e sulla trasformazione delle sue apparenze. Il terzo modello onirico è quello in cui si alternano chiarezza e confusione. Inizialmente riconosciamo il sogno come tale, poi, a causa delle nostre tendenze abituali, perdiamo la consapevolezza e ricadiamo in uno stato di non riconoscimento. Subito dopo abbiamo un altro fugace momento di riconoscimento per poi ritornare quasi subito nella confusione. Viviamo dunque un ciclo altalenan te di riconoscimento e non riconoscimento. Il quarto modello onirico è quello in cui si rimane completamente svegli. Poiché siamo eccessivamente preoccupati per la pratica, non riusciamo ad addormentarci. Per ognuno di questi problemi Padmasambhava fornisce un particolare rimedio. L'istruzione per chi si risveglia non appena riconosce il sogno è concentrare l'attenzione su un altro punto durante la visualizzazione. Inve ce di concentrarci sull'immagine posta nel centro della gola, dovremmo portare l'attenzione sul centro del cuore. Possiamo anche visualizzare due bindu neri sulla pianta dei piedi; benché siano neri, questi bindu posseggono una
loro luminosità e brillantezza, come quella del velluto nero. Con centrarci su questi bindu ci può aiutare a rimanere addormentati. Ques ta visualizzazione è utile anche per chi soffre di insonnia. Un altro metodo ugualmente valido per contrastare tutti questi problemi è esercitarsi maggiormente nelle pratiche del corpo illusorio. Quando tale addestramento inizia ad avere davvero effetto, s iamo in grado di superare sia la dimenticanza sia la confusione. Se sviluppiamo una maggiore presenza mentale e una maggiore consapevolezza sulla natura illusoria dell'esperienza di veglia, quella stessa consapevolezza continuer à a manifestarsi anche al momento del sonno e nello stato di sogno. Non si interromperà nel momento in cui chiuderemo gli occhi per dormire. Per questo dobbiamo sforzarci in modo particolare di coltivare la consapevolezza nelle ore che precedono il sonno, cercando di rafforzarla ancora di più nel momento in cui ci accingiamo ad andare a letto. Normalmente andiamo a dormire senza nessuna intenzione di osservare la mente. Siamo felicissimi se riusciamo ad addormentarci in un istante, come se spegnessimo un interruttore. Quando ci addo rmentiamo in questo modo è difficile che vi sia consapevolezza. La tradizione sostiene che l'ultimo pensi ero che avete avuto prima di addormentarvi abbia una grande influenza sullo stato mentale durante il sonno e il sogno. Se mentre vi addormentate prest ate attenzione alla mente e all'esperienza, la qualità di quella consapevolezza, che continua anche durante il sonno, influenzerà positivamente la vostra esperienza onirica. Di conseguenza, è molto importante non addormentarsi mentre si è preda di forti emozioni. Se vi accorgete della loro presenza, applicate qualsiasi rimedio risulti efficace per placarle. Osservate direttamente la loro natura, o semplicemente cercate di aprirvi un varco attraverso di esse. Non lasciate che rimangano senza controllo, altr imenti la loro energia continuerà a recarvi disturbo e condizionerà negativamente la vostra esperienza onirica. Addestrarsi allo yoga della luminosit à Il terzo metodo principale fornito da Padmasambhava per portare il bardo del sogno sul cammino dell'illuminazione è l'addestramento allo yoga della luminosità o yoga del sonno profondo. Lo stato di sonno profondo si ha quando le sei coscienze si dissolvono nella coscienza deposito. Ciò significa che esse non sono più dirette verso l'esterno; non si protendono verso i lo ro rispettivi oggetti né vi entrano in contatto. Ad esempio, la coscienza visiva non percepisce pi ù le forme esterne. Dunque, quando ci addormentiamo, l'aspetto della chiarezza inerente al movimento delle sei coscienze scompare; il sonno è perciò quell'aspetto della coscienza privo di chiarezza che rimane una volta che le percezioni sensoriali si sono dissolte. Quando diciamo che l'aspetto de lla chiarezza è assente, stiamo semplicemente dicendo che è assente dalle sei coscienze e non che è assente dalla mente nel suo complesso, poiché la natura ultima della mente è chiarezza. In effetti, l'essenz a del sonno profondo è una grande luminosità, la vera natura della mente. È assolutamente brillante e vivida. È un'intensa chiarezza, e proprio a causa della sua intensità ha un effetto accecante sulla mente confusa. Quando purifichiamo l'ignoranza inerente al sonno profondo, quando trascendiamo ques to stato di illusione penetrando ulteriormente in quell'intensa chiarezza, facciamo esperienza della natura chiara e luminosa della mente. Quando dovremmo meditare su questa luminosit à? Prima di tutto, dovremmo cercare di fare esperienza diretta della vera natura della mente nel momento stesso in cui si dissolve lo stato di veglia. In quel momento generiamo il bodhicitta e, senza essere interrotti da altri pensieri, contempliamo la mente con presenza mentale e consapevolezza, con l'intenzione di osser varne l'aspetto di chiarezza. Si dice che quando ci addormentiamo la pura consapevolezza risplenda in tutta la sua chiarezza, piena delle sue qualità vivide e brillanti. È un momento brevissimo. Potremmo non riuscirci ai primi tentativi, ma se ci abituiamo a guardare la mente in questo modo, prima o poi saremo capaci di scorgere la sua luminosità. Se non lasciamo che la con sapevolezza divaghi, saremo in grado di mantenere tale esperienza mentre passiamo dallo stato conscio allo stato di sonno profondo. In più, se riusciamo ad avere una certa stabilità durante la pratica, saremo in grado di mantenere l'esperienza anche nello stato di sogno, riuscendo a controllare i sogni. Oltre a essere consapevoli, è necessario essere anche rilassati, o sarà molto difficile riuscire ad addormentarsi. Dobbiamo avere un giusto equili brio tra tensione e rilassamento, e osservare la luminosità mantenendo quel l'equilibrio. Se ci esercitiamo con successo nella luminosit à del sonno profondo riuscendo a superare la confusione che si manifesta durante il sonno e il sogno, si dice che saremo in grado di applicare questa capacità durante la fase della morte. Se riusciamo a unire la luminosità del sonno profondo con la luminosità della morte, saremo in grado di manifestarci in un puro corpo di saggezza libero da confusione. Le meditazioni sulla luminosit à sono un aspetto dell'addestramento noto come i 'Sei dharma di Naropa'. Questi elaborati metodi di pratica devono essere intrapresi sotto la guida di un maestro esperto. Cercare di praticarli da soli, usando soltanto le descrizioni riportate nei libri, non è di alcun beneficio e può addirittura risultare dannoso. Il frutto dell' addestramento Attraverso le pratiche del corpo illusorio, dello yoga del sogno e dello yoga della luminosità, trasformiamo e trascendiamo completamente le illusioni ordinarie del bardo del sogno. Si dice che la completa realizzazione di que sti addestramenti abbia come risultato l'ottenimento di due dei tre aspetti della natura illuminata della mente: il dharmakaya e il sambhogakaya. Il dharmakaya è l'essenza vuota della mente, la natura fondamentale di tutti i fenomeni. È una saggezza non concettuale, dunque al di là delle pa-role, del pensiero e di ogni espressione. È la vera esperienza della mente primordialmente pura nel suo stato di completa nudità. Quando purifichiamo la confusione del sonno profondo e riconosciamo la natura vuota e luminosa della mente, otteniamo lo stato del dharmakaya. Il sambhogakaya è l'energia radiante e piena di beatitudine della natura fondamentale della mente, che possiede l'enorme potere di manifest arsi in varie forme pure. Questa natura è spontaneamente presente ed è inseparabile dalla saggezza del dharmakaya. Quando purifichiamo lo stato di sogno e la confusione di prendere per esistente qualcosa che non esiste, otteniamo lo stato del sambhogakaya e percepiamo le forme pure e simboliche della mente illuminata e del mondo illuminato. Il terzo aspetto, il nirmanakaya, è l'ininterrotta manifestazione in forma fisica di queste due energie: l'essenza vuota della mente e il suo incessante potere creativo. È l'unità della mente primordialmente pura e della natura luminosa della mente spontaneamente presente che si manifesta in varie forme pure e impure. Otteniamo lo stato di nirmanakaya quando purifichiamo l'illusione dello stato di veglia, che attribuisce un'esistenza reale ai fenomeni per poi perdersi in una fissazione dualistica basata sulla triade di soggetto, oggetto e azione. Questi tre aspetti della natura illuminata della mente sono inseparabili; sono qualità inerenti alla mente stessa. Corrispondono alle esperienze dei tre bardo della morte: il bardo doloroso della morte, il bardo luminoso del la dharmata e il bardo karmico del divenire. Se durante il bardo di questa vita non otteniamo l'illuminazione, lo stato di completo risveglio alla vera natura della realtà, abbiamo una possibilità addirittura maggiore di riuscirvi quando attraversiamo i bardo della morte, nei quali c'è il potenziale per tra sformare la nostra esperienza confusa nella sua controparte illuminata. Quando siamo sul punto di morire, se riconosciamo la natura di chiara luce della mente, otterremo la realizzazione del dharmakaya. Se riconosciamo la vera natura delle visioni pure del bardo luminoso della dharmata nel momento in cui sorgono, otterremo la realizzazione del sambhogakaya. Se riconosciamo la vera natura delle apparenze confuse del bardo karmico del divenire nel momento in cui si manifestano, otterremo la realizzazione del nirmanakaya e ci assicureremo un rinascita favorevole. Poiché i tre kaya sono inseparabili, il complet o ottenimento di uno solo di questi tre comporta necessariamente l'esperienza degli altri due. Dunque abbiamo tre possibi lità o mezzi per la completa realizzazione della natura della mente articola ta nei tre kaya. Nel bardo del sogno abbiamo la possibili tà di addestrarci in vista delle esperienze che incontreremo nel bardo della dharmata. In quel momento la luminosità del sambhogakaya si manifesta in forme vivide che sembrano separate da noi e al di fuori del nostro controllo. È perciò cruciale riconoscere che le forme e i suoni che appaiono in quel momento sono la manifestazione creativa della nostra mente. Tale addestramento risulta forse ancora più importante nel bardo karmico del divenire, poiché in quel momento ci troveremo a faccia a faccia con le proiezioni della mente, proiezioni che sono condizionate dalla confusione e che possono condurci a stati di intensa sofferenza o a una rinascita sfavorevole. Una volta compresa questa visione, sia a un livello teorico sia sulla base dell'esperienza personale, e una volta sviluppata una certa abilit à in tali pratiche, saremo capaci di prenderci cura di noi stessi durante i bardo della morte. Saremo in grado di trasformare la morte in un sentiero di risveglio. Vedremo che anche la morte è un sogno. Se riusciamo a padroneggiare la mente durante i sogni, saremo in grado di padroneggiarla anche durante la morte. Se otteniamo questa padronanza sulla mente che muore, saremo in grado di andare ovunque vogliamo mentre moriamo, esattamente come facciamo nei sogni. Al contrario, se non sappiamo controllare i nostri sogni, saremo condotti passivamente dal sogno stesso. Tutte le pratiche del bardo del sogno sono metodi che ci permettono d i ottenere il controllo e la padronanza della mente.


SOGNI E SOGNATORI

Un'esperienza onirica è uno stato di illusione in cui entriamo mentre dormiamo. Ma se vediamo il concetto di sogno nel suo aspetto più generale, esso comprende l'intera sfera dell'esperienza, tutti gli aspetti della nostra realtà. Secondo la tradizione i sogni si possono classificare in tre modi: secondo il livello di realtà del sogno, secondo il livello di realizzazione del sognatore e secondo la durata del sogno . Uno sguardo sui sogni Se consideriamo i sogni dalla prospettiva del bardo del sogno, scopr iamo di fare esperienza di tre distinte realtà oniriche: il sogno tipico, il sogno rea le e il sogno alla fine del tempo. Ciò che normalmente chiamiamo sogno, l'esperienza delle apparenze notturne legate alla pratica dello yoga del sogno, è noto come sogno tipico. L'esperienza diurna della vita quotidiana ordinaria, legata alla pratica del corpo illusorio, è definita sogno reale. Il sogno alla fine del tempo si riferisce all'esperienza della morte che segna la fine di un determinato ciclo di vita, ovvero la fine di quella particolare apparenza di vita e di quel particolare insieme di esperienze di vita. Quest'ultimo tipo di sogno è legato al bardo della morte e agli stati intermedi che seguono la morte. I tre tipi di sogno sono l'esperienza di tutti gli esseri senzienti, ovvero dotati di una mente, siano essi umani, animali, o altro. Ora siamo esseri umani e in questo particolare regno di esistenza abbiamo esperienze sensoriali che definiamo buone o cattive, squisite o insulse, e così via. In ogni regno di esistenza hanno luogo le stesse esperienze sensoriali. Ad esempio, in questa forma di esistenza vi piace andare in un ristorante e scegliere tra tanti stili di cucina. Se foste nati come asini, un pascolo verde vi sembrerebbe un grande e delizioso ban chetto. Tutte queste apparenze accadono entro il sogno reale di un particolare regno di esistenza. Quando quel sogno finisce, iniziano le esperienze del sogno finale, ovvero del sogno alla fine del tempo.

Uno sguardo sui sognatori 

Un sogno può anche essere classificato secondo il grado di realizzazione del sognatore. Anche da questa prospettiva vi sono tre tipi di sogno. Secondo la terminologia buddhista vi sono i sogni degli esseri ordinari, i sogni degli yogin e i sogni dei bodhisattva nelle varie bhumi. L'essere ordinario è colui che percepisce il mondo in modo convenzi onale ed è completamente succube dell'attaccamento all'io e delle tendenze abituali; pertanto il suo sogno sarà apparentemente molto concreto e rea le e, di conseguenza, molto confuso. Lo yogin è invece una persona che seg ue un cammino spirituale e ha una certa realizzazione della natura della mente. Dal punto di vista del buddhismo tibetano, il cammino spirituale è quello del Vajrayana. I sogni degli yogin saranno perciò molto differenti dai precedenti, in quanto saranno per certi versi esperienze di apparenza e vacuità. La terza categoria si riferisce non solo a quegli esseri che posseggono le più elevate realizzazioni, ovvero i bodhisattva nelle varie bhumi che hanno compreso completamente la vacuità, ma anche allo stato di post meditazione di un buddha. Inutile dire che i loro sogni avranno il carattere di esperienze trascendenti. Questi tre tipi di sogni sono dunque classificati del punto di vista dello sviluppo in teriore personale. Uno sguardo sulla durata Una terza modalità di classificazione inquadra i sogni in base alla durata, classificandoli come minori, mediani e maggiori. Minori significa corti, non inferiori; mediani o intermedi significa di una durata leggermente supe riore; maggiori si riferisce a sogni che possono durare per un tempo considerevole. Il sogno minore ha a che fare con le apparenze che sorgono quando andiamo a dormire ed entriamo nel bardo del sogno. Questi sogni notturni sono piuttosto brevi. In una notte possiamo fare una ventina di sogni che durano pochi secondi, o un sogno che dura cinque minuti. Sono apparenze temporanee, così temporanee da lasciare scarse tracce nella nostra memoria. Potremmo svegliarci e pensare: "So di avere fatto un sogno, ma non lo ricordo". Ciò dimostra quanto siano effimere queste apparenze, e quanto siano deboli le tracce che lasciano nel nostro flusso mentale. Il sogno mediano si riferisce al sogno che facciamo dopo la morte. È legato in particolare al bardo karmico del divenire, che si dice abbia una durata approssimativa di quarantanove giorni, un tempo assai maggiore dei nostri sogni notturni. Benché duri per diverse settimane, la nostra mente non è per nulla stabile; le percezioni e i pensieri sono fugaci e imprevedibili. Poiché non vi sono forme fisiche concrete e noi abbiamo soltanto un corpo mentale, proviamo un senso di instabilità. Il sogno maggiore si riferisce al sogno della nostra esperienza quotidiana nel samsara, ovvero al bardo naturale di questa vita. Tale sogno ci appare molto più stabile e radicato in una realtà sostanziale, poiché la sua apparenza è quella di una realtà solida e reale. Ciò non significa che esso sia reale, ma soltanto che esso ci si presenta come dotato di una maggiore qualità di solidità, esistenza e continuità rispetto agli altri tipi di sogno. Per esempio, risvegliandoci domani mattina è probabile che ci ritroveremo nello stesso luogo in cui siamo andati a dormire la sera precedente. Quando invece ci risvegliamo da un sogno, non siamo più nel luogo in cui eravamo quando sognavamo. In una sola notte possiamo fare una serie di sogni in cui ci spostiamo in molti luoghi diversi. Le cose si muovono molto velocemente nei sogni. In un sogno facciamo trekking sull'Himalaya; nel successivo, partiamo per il carnevale di New Orleans; poi ci rilassiamo su una spiaggia del Messico e, infine, siamo a casa nostra seduti sul cuscino di meditazione. Ma la mattina, una volta svegli, non ci ritroveremo in nessuno di questi posti, saremo nello stesso posto in cui eravamo quando la sera prima abbiamo chiuso gli occhi. Ogni volta che ci svegliamo in questo sogno diurno, ci appare sempre la stessa realtà. Padmasambhava spiega l'autentico signi ficato del sogno maggiore affermando che si tratta dello stato in cui siamo preda della forma pi ù stabile e radicata di confusione. Negli altri stati onirici la confusione è infatti fluttuante e imprevedibile. Ad esempio, nello stato di bardo che segue la morte, ci rendiamo conto solo saltuariamente di non esistere più in una forma fisica. Quando ce ne accorgiamo, ne siamo terrorizzati. Nel bardo di questa vita abbiamo invece la costante sensazione di essere qui, e dunque la nostra confusione ha un senso maggiore di stabilità o una base più forte. In un certo senso questa maggiore confusione è per noi una buona notizia. Ci fornisce infatti una base affidabile per trascendere la confusione. Al contrario, quando l'esperienza è più evanescente, è molto più difficile trascendere alcunché, poiché non possiamo realmente concentrarci su nulla. Ciò vale fin ché non sviluppiamo la stabilità mentale attraverso la pratica di shamatha. Accendere una fiaccola nel buio Le istruzioni che ci guidano attraverso il bardo del sogno sono definite 'l'accensione di una fiaccola nel buio'. Il buio è l'ignoranza. Entrare negli stati del sonno e del sogno significa entrare in un'esperienza molto profonda di quella stessa ignoranza. La fiaccola che illumina quel buio è la nostra pura e radiante consapevolezza capace di disperdere la confusione ch e normalmente ci blocca. Quando riconosciamo quella consapevolezza, la luce di quella realizzazione finisce per permeare ogni aspetto dei nostri stati samsarici confusi di sonno e sogno. Gli insegnamenti sulla natura illusoria e onir ica delle apparenze si ricollegano fondamentalmente agli insegnamenti del Mahayana. È dunque importante studiare la visione della vacuità tipica del Mahayana, così come insegnata dal Buddha nei sutra della Prajnaparamita e in seguito dai suoi seguaci Nagarjuna e Asanga, rispettivamente fondatori della scuola della Via di mezzo, o Madhyamaka, e della scuola dell a Mente sola, o Cittamatra. La visione della Mente sola è estremamente utile per comprendere la realtà relativa. Questa scuola propone diverse e dettagliate classificazioni della coscienza che illustrano come la mente dia origine alle proprie proiezioni.

Studiandone gli insegnamenti scopriamo perché sorgono queste illusioni apparentemente così solide, e perché queste i n realtà sono fenomeni menta. Per ciò che riguarda invece lo studio della visione e dei metodi analitici deila scuola della Via di mezzo, esso ci per mette di comprendere la natura assoluta di tutti i fenomeni relativi, ovvero l'assenz a di reale esistenza. Combinando queste due visioni con i me todi del Vajrayana relativi al corpo illusorio e allo yoga del sogno, la prat ica diviene abbastanza facile. Senza la visione della vacuità, sarebbe una lo tta e avremmo l'impressione di dover vedere tutto a un tratto il nostro mondo concreto come una realtà iìrnmateriale, simile a un arcobaleno. E non sarebbe certo facile. Se però, durante la giornata ricordiamo in continuazione a noi stessi che questa è un'illusione, un sogno, di notte faremo sogn i lucidi e saremo in grado di trasformare le apparenze che si manifestano nei sogni.

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