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JOHN CAGE, IL MUSICITA SENZA MUSICA, il Suono del Wu Wei : “Ogni suono è sempre nuovo se ascoltato con mente libera”


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IL SILENZIO E'  MUSICA



John Cage, il silenzio e lo zen (Gianfranco Bertagni) 

“Una volta c’era un famoso suonatore di cetra, chiamato Chao Wen, che sapeva suonare la cetra come nessun altro. Ma un giorno all’improvviso smise completamente di suonare la cetra. Aveva finalmente capito che nel suonare una nota si trascuravano inevitabilmente tutte le altre. Fu solo allora, quando smise di suonare, che riuscì a sentire la completa armonia di tutte le cose. [...] L’unica musica completa è quella dei suoni naturali”. 
Questo è un passo di un famoso testo taoista, il Chuang Tzu, che mi sembra molto in tema con l’argomento di cui volevo parlare e cioè John Cage, il silenzio e lo zen. Ma prima di Cage, c’è Anton Webern, che prima di lui, non si preoccupa di saturare lo spazio sonoro, anzi. Tanto per cominciare usa quel procedimento che è stato chiamato puntillista, cioè distribuisce la melodia tra gli strumenti singoli. Quindi l’ascoltatore è esposto alla frammentazione, come se potesse notare più facilmente l’intervallo tra le note, grazie a una diversa strutturazione spaziale. 
Ma Webern fa di più. Le sue composizioni sembrano aforismi. Sono di breve durata, come se volesse astenersi dal violentare le pause con un’ambientazione di largo respiro. Ci sono per esempio i Cinque pezzi per quartetto d’archi. Ciò che conta è l’atmosfera. I suoni dei violini, della viola e del violoncello sembrano provenire da una dimensione soprannaturale, silente. Prima che l’ascoltatore possa assuefarsi alla melodia, essa è già terminata. 
C’è qualche affinità con la tradizione musicale giapponese di stampo soprattutto zen. Il silenzio, qui, tende a imporsi sul suono, le pause sovrastano gli interventi musicali. Nell’estetica giapponese, per esempio in pittura, è molto determinante lo spazio rispetto alle configurazioni corporee. La dottrina filosofica su cui si basa questo approccio la troviamo nella distinzione buddhista tra il vuoto (ku) e la forma (iro): è il vuoto che garantisce che ogni forma sarà valorizzata e presa in considerazione. Il vuoto rappresenta lo sfondo in cui si stagliano le cose. Il vuoto è la fonte di ogni forma e il luogo di ritorno di ogni forma. Dal vuoto e al vuoto tutto ha origine e fine. E ciò che esiste, esiste – diciamo così – navigando in un oceano infinito di vuoto. Non solo: ogni forma, sostanzialmente, è vuota. Insomma: vuoto nel vuoto. 
Ok, ma arriviamo a Cage. Cage apprezzava molto Webern. Queste sono parole sue: “Webern sembra rompere con il passato, o perlomeno ci dà la sensazione di poter rompere con il passato, perché scuote le fondamenta del suono inteso come elemento a sé stante”. Appunto: non c’è il suono a sé stante, il suono che si distingua dal rumore, il suono a cui arrivare con una strategia di scelta, di composizione, di procedimento estetico, ecc. Ecco, tutta l’opera di Cage verte sull’accettazione dei suoni per quello che sono. Non c’è distinzione tra rumore e suono. 
L’insegnamento di Webern aveva già come la sonorità tenda a sconfinare nel silenzio, sino a inglobarlo, aveva già intuito il silenzio come luogo originario del suono. Sempre Cage scrive: “Il silenzio non è altro che il cambiamento della mia mente. È un’accettazione dei suoni che esistono piuttosto che un desiderio di scegliere e imporre la propria musica. Da allora questo è sempre stato al centro del mio lavoro. Quando mi dedico a un pezzo musicale, cerco di farlo in un modo grazie al quale esso, essenzialmente, non disturbi il silenzio che già esiste”. 
C’è un riscontro tra queste parole di Cage e una scuola buddhista, che si chiama Hua- yen. Secondo questa scuola, tutte le cose del mondo si compenetrano, senza ostacolarsi. Il termine giapponese che caratterizza tutta la situazione è jijimuge. Solo rendendosi disponibili ai diritti del rumore e del silenzio, ciò può realizzarsi. Allora cambia la relazione con il suono. Non è più l’essere umano che si sforza di raggiungerlo, bensì è il suono che si rapporta all’essere umano. Il compositore non tenta più di privilegiare certi suoni, ma li lascia essere tutti, permettendo loro di arrivare nella sua mente, cosicché il brano si profili da sé. 
Non c’è più scelta, dunque. Non c’è più strategia nella composizione. Si arriva allora a un’articolazione mentale priva di dualità. La razionalità viene meno, ed emerge una sovra-razionalità che abbraccia la vita nella sua pienezza. Il pensiero arretra, non è più il centro dell’attività del comporre. Il non-pensiero ha inglobato in sé il pensiero. In musica, l’equivalente del non-pensiero è il non-suono. Neanche il non-suono può essere definito: definire il non-suono è ricadere nella filosofia, nel mentale e nelle sue limitazioni; il non-suono può essere solo percepito. Il massimo che se ne può dire è che è vuoto di significato, di intenzionalità. Perché è vuoto di intenzionalità? Perché non ha alcuna ragion d’essere, non ha alcun progetto in sé, non ha un particolare messaggio da comunicarti. Di per sé, anche i suoni non significano nulla. Certo, anche i suoni sono al di là del significato; non stiamo parlando di parole. Il non-suono esalta questa insignificanza, che è già propria dei suoni. Il compositore alla Cage lascia essere i suoni per quello che sono, senza tentare di organizzarli in strutture. Accettando i suoni nella loro totalità, si arriva all’insonoro. Il non-significato del non-suono ingloba il non- significato dei suoni, elevandolo alla massima potenza. 
Dice Cage: “Per me il significato essenziale del silenzio è la rinuncia a qualsiasi intenzione”. Anche l’interesse di Cage per l’I ching, il Libro delle Trasformazioni cinese, rientra in questa linea. I 64 esagrammi dell’opera corrispondono ad altrettante circostanze naturali. Ciascuno rinvia all’altro, in una rete di connessioni ininterrotta. In tutto questo, nel comporre di Cage sulla base dei responsi dell’I ching, viene totalmente a mancare l’intenzione del compositore, le sue eventuali scelte crollano alla base. Nel Buddhismo zen c’è una fortissima analogia con tutto questo. Rinunciando a scegliere si esce dal gioco del sì/no. Lo zen, potremmo dire in un certo senso, è un tentativo di uscire dalla gabbia del sì e del no – oltreché di uscire dalla prigione della scelta, dal decidere. Anzi: a guardar bene le cose, questi due aspetti sono le due facce della stessa medaglia. E infatti l’interesse di Cage per lo zen si concentrò proprio su questi due punti. Quando lui cominciò a leggere le prime cose che comparivano in lingua inglese sullo zen (essenzialmente gli studi del prof. Suzuki), proprio a questi aspetti era particolarmente sensibile, proprio su questi si focalizzò il suo interesse: l’uscita dal dualismo sì-no e l’uscita dalla scelta (e poi a un altro aspetto a cui accenneremo fra poco). Uscire dalla scelta è smettere di produrre qualcosa di proprio, per lasciare essere la realtà quella che è. Anche la realtà sonora. 
Ricorrendo a calcoli matematici complessi o alla consultazione casuale dell’I ching, Cage ne estrae le regole della composizione. È un modo per eludere preferenze e avversioni; Cage infatti scrive – e sembra qui di leggere quasi un testo buddhista: «È molto tempo che sappiamo che le emozioni sono pericolose. Dobbiamo liberarci dalle nostre predilezioni personali, da ciò che ci piace e non ci piace». Il ricorso all’I ching implica proprio l’abbandono della razionalità. 
C’è un’esperienza che è veramente determinante nella vita di Cage e che lo introduce a questa visione delle cose e a questo concetto di silenzio. Lui stesso ce la racconta: “All’inizio degli anni Cinquanta, presi la decisione di accettare i suoni che esistono nel mondo. Prima, ero così ingenuo da pensare che esistesse una cosa come il silenzio. Ma quando entrai nella camera anecoica della Harvard University a Cambridge, sentii due suoni. Pensai che ci fosse qualcosa di sbagliato nella stanza, e dissi all’Ingegnere che c’erano due suoni. Mi chiese di descriverli e lo feci: «Bene – disse – quello più acuto è il suo sistema nervoso in funzione e quello più grave la sua circolazione sanguigna». Questo significa che c’è musica, o c’è suono, indipendentemente dalla mia volontà”. 

Sappiamo tutti la composizione che fu per Cage l’espressione più pura del silenzio: quel brano che prende il titolo della sua durata, 4’33’’, un brano di assoluto silenzio. Piccola nota: forse non tutti sanno il motivo di questa durata: 4 minuti e 33 secondi fanno in tutto 273 secondi e lo zero assoluto in temperatura è -273°C (=0°K). Si tratta del suo pezzo più importante, lui stesso lo dice. Ci ha lavorato sopra, per quanto strano possa sembrarci, per ben quattro anni. Non solo; dice: “Mi piace pensare che tutta la musica che ho scritto successivamente non abbia mai fondamentalmente interrotto quel pezzo”. Quindi un pezzo completamente silenzioso, nessuna nota sul pentagramma. Però è comunque un brano per pianoforte. Nei concerti, il pianista volta le pagine dello spartito lasciando presagire un cambiamento di atmosfera. È insomma un brano silenzioso che tenta di mostrare l’inesistenza del silenzio. I colpi di tosse o gli sbadigli degli spettatori, i rumori occasionali nella sala da concerto, qualsiasi movimento del pianista... tutto funge da corredo sonoro. Solo perché sul pentagramma non c’è scritto niente, non vuol dire che regni il silenzio. Metti sul giradischi 4’33’’ e senti il rumore della puntina. Metti il cd e restano i rumori all’interno e all’esterno della stanza. Lo metti nell’ipod quando cammini per strada e sei esposto ai rumori della strada. 
Allora il brano silenzioso svela che non c’è silenzio. Attraverso la ricerca del silenzio si ottiene l’opposto: ogni sonorità ha modo di manifestarsi. Ecco: questo è perfettamente in linea con l’approccio zen. Nello zen si ripete continuamente questo adagio: lasciare essere ciò che è. Lasciare essere ciò che è significa portarsi a una condizione di spontaneità. Ecco il terzo aspetto della filosofia zen che interessava molto a Cage: la spontaneità, che è il contrario – come già dicevamo – della strategia, della tecnica di composizione personalistica, della scelta di mettere una certa nota piuttosto che un’altra, ecc. Soltanto lasciandoli essere, i suoni possono sprigionarsi nelle loro modalità autentiche: “Non esiste il silenzio” vuol dire che esiste il non-suono, che non è né silenzio né suono, ma li ingloba entrambi. 
Ogni esecuzione di 4’33’’ lascia essere i suoni nel loro ambiente, nel qui e ora, rispettando il principio del jijimuge. Per la prima volta, il compositore non incanala l’ascoltatore in una direzione prestabilita. C’è l’esperienza dell’assimilazione della realtà fisica. Cage stesso dice, parlando di questo brano: “L’ho concepito come un modo particolarmente immediato per ascoltare quanto c’è da ascoltare”. Si esce insomma dalla mentalità duale, secondo la quale esistono il suono o il silenzio. Addirittura, vengono superate anche le limitazioni intellettualistiche delle composizioni di Cage basate sull’I Ching. 
Con questo brano Cage indica che la distinzione tra suonare e non-suonare è priva di senso. E anche l’alternativa bello/brutto viene trascesa. Gli opposti cadono. L’insistenza sul silenzio sembra rivelare una nuova sensibilità e una nuova estetica. Un’estetica molto zen. C’è, nella pratica meditativa buddhista, un esercizio che mi sembra molto vicino a questa visione. È un esercizio dedicato alla consapevolezza auditiva: ci si espone ai rumori che arrivano all’orecchio e li si ascolta con totale e immersa attenzione, cercando di coglierne tutti gli aspetti, fino a penetrarli il più possibile. È un esercizio in cui non c’è più nessuna ricerca, nessuna richiesta, nessuna intenzionalità; è l’esatto contrario: è un essere esposti, un aprirsi, un riceve. Succede qualcosa di particolare: crolla la distinzione piacevole/spiacevole, bello/brutto. Appunto: crolla il dualismo. Anche il rumore considerato (mentalmente) il più orripilante (il rumore di un motore, di un martello pneumatico o quello che sia), diventa un vastissimo universo da indagare che rivela il suo incommensurabile fondo, il suo splendore. Nell’esposizione al ciò che è, a ciò che porta il qui e ora, in uno stato di attenzione pura e centrata, tutto diventa assoluto, totale, tutto si fa nirvana. Anche su questo forse Cage poteva essere d’accordo. 
Allora, a questo punto: caos e indeterminazione, certo. Indeterminazione: non determinazione. Determinazione da cosa? Dall’io, dalla volontà. Non c’è più qualcuno che determina. È questo il lasciare essere ciò che è, il darsi al qui e ora. È l’abbandono dell’ego di cui parla tanto zen. E poi caos. Perché? Cos’è il contrario di caos? Cosmos. Caos-Cosmos. Cosmos è ordine. Ma ordine di chi, secondo chi? Di qualcuno che dica: questo è ordinato, questo no; oppure: faccio dell’ordine là dove c’è caos. Ma è sempre allora un ordine fatto, scelto, voluto, costruito; oppure preferito a qualcos’altro che (giudizio dell’io) si ritiene non ordine. Lasciare invece ciò che è, è lasciare il caos, farlo essere. Non caos come confusione, ma come mancanza di regola. La regola è ciò che dice il mentale, il caos è ciò che dice il naturale.


http://www.vpr.net/uploads/photos/original/john_cage_340.jpg

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Da wikiartpedia e wikipedia ->


Cage, il musicista che esplorò il silenzio

John Cage è stato il compositore sperimentale americano più influente e più discutibile del ventesimo secolo, era il padre dell’ indeterminismo, un estetico ispirato dallo Zen che ha espulso tutte le nozioni della scelta dal processo creativo, rifiutando i principi composizionali più profondamente considerati nel passato come la conseguenza logica, La sensibilità verticale e la tonalità.


... Nel 1950 si procura il libro dell'I Ching, il libro cinese dei cambiamenti, di cui si vuole servire per fare delle scelte compositive senza l'intervento della sua volontà, in modo non intenzionale. È un metodo per organizzare il caso, per controllare l'imprevedibile. Serve a determinare secondo un sistema di combinazioni numeriche, quali note suonare, la loro durata, la loro altezza.

L'adozione di tecniche aleatorie e casuali serve:

 

- per aggirare il desiderio di trovare sempre l'emozione nella musica.
    
- per rimuovere tutte le tracce di identificazione personale con il materiale musicale, per eliminare l'aspetto soggettivo del processo compositivo, il collegamento fra la sensibilità del compositore ed i suoni che compone.



Indeterminismo vuol dire espellere la nozione di scelta dal processo creativo. Significa avvicinarsi all'indeterminatezza del suono naturale. La musica è natura, non è imitazione della natura. L'artista non controlla, non organizza, non domina la natura, ma la ascolta. L'uomo ha un ruolo subalterno, non è né esecutore né creatore della musica, è un liberatore del suono. C'è il rifiuto del principio composizionale della conseguenza logica, c'è il rifiuto della concezione della musica in quanto suono organizzato. Vuol dire liberarsi dalle costrizioni, rimuovere l'idea di modello.

... Cage "riteneva che per aggirare il nostro desiderio di trovare sempre l'emozione nella musica ed andare oltre le nostre alimentazioni dell'immaginazione, si deve abdicare al controllo composizionale, per rimuovere tutte le tracce di identificazione personale con il materiale musicale... È il crollo dell'idea europea di musica, basata sulla centralità del compositore. Cage distrugge la figura del compositore genio, di stampo romantico.


In Imaginary landscape no. 4 per dodici radio, del 1951, ogni radio è controllata da due esecutori, uno sintonizza la frequenza, l'altro cambia il volume, seguendo le indicazioni della partitura. I risultati sono sempre differenti e imprevedibili. Invece di tentare di imporre il suo stile musicale all'ambiente locale, Cage lascia che sia l'ambiente locale a determinare il risultato della propria arte.
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Un altro metodo di composizione casuale si basa sull'osservazione delle imperfezioni della carta su cui si scrive la musica.


L'approccio alle filosofie orientali porta Cage verso la negazione dell'io, verso la rinuncia all'espressione e alla comunicazione, verso l'abbandono del controllo umano sulla natura e sul suono. L'alea è un modo per imitare la maniera in cui la natura opera e per aprire la mente alle influenze divine, ad esempio al mondo indeterminato dei suoni non intenzionali. Cage vuole creare musica che non ha mai ascoltato.


Un'importante rivoluzione, anche nel senso classico della traduzione musicale, è costituito dal suo "Concerto per pianoforte e orchestra", composto nel 1958 con la tecnica dell'I Ching


Sul SILENZIO:
Il significato del silenzio è la rinuncia a qualsiasi intenzione. La rinuncia alla centralità dell'uomo. Il silenzio non esiste, c'è sempre il suono. Il suono del proprio corpo, i suoni dell'ambiente circostante, i rumori interni ed esterni alla sala da concerto, il mormorio del pubblico se ci si trova in un teatro, il fruscio degli alberi se si è in aperta campagna, il rumore delle auto in mezzo al traffico. Cage vuole condurre all'ascolto dell'ambiente in cui si vive, all'ascolto del mondo.

È un'apertura totale nei confronti del sonoro. Una rivoluzione estetica: è la dimostrazione che ogni suono può essere musica. Io decido che ciò che ascolto è musica. È l'intenzione di ascolto che può conferire a qualsiasi cosa il valore di opera. Cage ha rivoluzionato il concetto di ascolto musicale, ha cambiato l'atteggiamento nei confronti del sonoro, ha messo in discussione i fondamenti della percezione.
Cage ha detto:

« Cerco di pensare a tutta la mia musica posteriore 4'33 come a qualcosa che fondamentalmente non interrompa quel pezzo. »
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Uno dei modelli di 4'33” è Robert Rauschenberg, il pittore amico e amante di Cage che nel 1951 produsse una serie di quadri bianchi, che cambiano a seconda delle condizioni di luce dell'ambiente di esposizione.
La musica aleatoria crea un problema a livello critico. Come si può criticare un'opera che non è il frutto del lavoro intenzionale di un autore? Si conclude che il lavoro di Cage è un lavoro filosofico, che la sua importanza sta nelle idee, non nel risultato musicale di queste idee. Si pensa che i risultati di queste idee siano uguali l'uno all'altro dal punto di vista stilistico, come delle serie di numeri presi a caso. Ma Cage è un compositore e ha una sensibilità, uno stile musicale, che cambia con gli anni.


... John Cage è preceduto dalla sua leggenda che, a seconda dei casi, lo vorrebbe un artista votato allo scandalo o un discepolo Zen, un filosofo più che un musicista, quando non un esecutore di opere destinate a non sopravvivergli: un musicista senza musica che oscilla tra il caos e l’ascesi. La leggenda ha superato molto l’effettiva conoscenza della sua opera, che, ai più, rimane ancora sconosciuta. Conoscerla, significa affrontare la sfida dei paradossi che l’hanno sorretta... Le caratteristiche della musica di Cage derivate dall'approccio alle filosofie orientali legano la sua opera alla poetica dada: l'esaltazione dell'automatismo, il disprezzo per la ragione, l'accettazione dell'assurdo, sono aspetti che accomunano lo Zen all'avanguardia dadaista.

... Nel 1952, il geniale compositore, John Cage presentò la sua partitura 4.33, che racchiude in sé molti aspetti dell'estetica cageana, e che egli stesso definì il suo pezzo migliore. - “Cerco di pensare a tutta la mia musica posteriore 4.33 come a qualcosa che fondamentalmente non interrompa quel pezzo?. Chiunque voglia immergersi nella musica di Cage anche coloro che non hanno mai preso uno strumento musicale in mano, possono farlo, possono fare musica. Basta indossare un abito da concerto e accomodarsi al pianoforte per quattro minuti e trentatré secondi, senza suonare nulla. L'esecutore non deve fare assolutamente niente e il pubblico non deve fare altro che ascoltare, ascoltare la “musica"? che viene creata dai rumori interni alla sala da concerto, bisbigli, colpi di tosse, scricchiolii vari, ed anche da quelli che provengono dall'esterno. Cage ha dimostrato così che il silenzio assoluto non esiste (nemmeno in una stanza anecoica, e cioè totalmente insonorizzata, perché anche lì uno sente almeno il proprio battito cardiaco). Il silenzio sarebbe da intendersi dunque semplicemente come un rumore di sottofondo. Durante il primo movimento della leggendaria prima esecuzione assoluta di 4'33" si sentiva il vento che spirava, nel secondo la pioggia, e nel terzo il pubblico che parlottava o si alzava indignato per andarsene.-“Sentivo e speravo – diceva Cage – di poter condurre altre persone alla consapevolezza che i suoni dell'ambiente in cui vivono rappresentano una musica molto più interessante rispetto a quella che potrebbero e ascoltare a un concerto". Nessuno, o quasi, colse il significato allora. Eppure, con 4.33 Cage ha rivoluzionato il concetto di ascolto musicale, ha rovesciato le cose, ha cambiato, è il caso di dirlo, radicalmente l'atteggiamento nei confronti del sonoro, invitando ad ascoltare il mondo: io decido che ciò che ascolto è musica. O, altrimenti detto: è l'intenzione di ascolto che può conferire a qualsiasi cosa il valore di opera. Ciò implica di conseguenza un'altra definizione di musica. Cage voleva semplicemente dimostrare “che fare qualcosa che non sia musica è musica"?


 

Multimedialità:
Negli anni cinquanta diventa pioniere degli Happening. Sono degli incontri basati sull'unione delle arti-musica, danza, poesia, teatro, arti visive, secondo una idea antidogmatica e libertaria di arte. Gli spettatori assumono un ruolo attivo nelle performance. L'intento è di unire arte e vita, rivendicando l'intrinseca artisticità dei gesti più comuni ed elementari e promuovendo lo sconfinamento dell'atto creativo nel flusso della vita quotidiana.
 


Cage e l'Italia:
Nel 1958 Cage partecipò al telequiz Lascia o Raddoppia in qualità di esperto di funghi [2], vincendo 5 milioni di Lire. Durante lo spettacolo si esibì in un concerto chiamato "Water Walk", sotto gli occhi sbigottiti di Mike Bongiorno e del pubblico italiano, in cui gli "strumenti" erano, tra gli altri, una vasca da bagno, un innaffiatoio, cinque radio, un pianoforte, dei cubetti di ghiaccio, una pentola a vapore ed un vaso di fiori.
Memorabile il dialogo che ci fu tra il presentatore e Cage quando questi si congedò, vittorioso:
M.B.: "Bravissimo, bravo bravo bravo bravo. Bravo bravissimo, bravo Cage. Beh, il signor Cage ci ha dimostrato indubbiamente che se ne intendeva di funghi... quindi non è stato solo un personaggio che è venuto su questo palcoscenico per fare delle esibizioni strambe di musica strambissima, quindi è veramente un personaggio preparato. Lo sapevo perché mi ricordo che ci aveva detto che abitava nei boschetti nelle vicinanze di New York e che tutti i giorni andava a fare passeggiate e raccogliere funghi".


J.C.: "Un ringraziamento a... funghi, e alla Rai e a tutti genti d'Italia".

M.B.: "A tutta la gente d'Italia. Bravo signor Cage arrivederci e buon viaggio, torna in America o resta qui?".

J.C.: "Mia musica resta".

M.B.: "Ah, lei va via e la sua musica resta qui, ma era meglio il contrario: che la sua musica andasse via e lei restasse qui"
...
Dal sito neural.it:
“John Cage ha collocato la sua ricerca rivoluzionaria non tanto sul livello dell’innovazione linguistica ma, più a fondo, sulle basi antropologiche della pratica musicale e, più in generale, dell’arte. Mentre le avanguardie musicali consumavano nel secondo dopoguerra una necessaria, quanto però priva di sbocchi, rincorsa autoreferenziale alla dissoluzione di ogni convenzione linguistica fino ad una Babele di ‘grammatiche’ private, Cage si interrogava sul significato stesso del fare musica in un mondo profondamente cambiato rispetto a quello ottocentesco che aveva plasmato la forma-concerto come principale medium musicale. Ed è sul profondo contrasto fra le abitudini consolidate della forma concerto e le profonde trasformazioni della prassi musicale e della vita nel secolo scorso che Cage opera, avendo come bussola una ‘poetica della prassi’ (Sanguineti) che mira a scuotere pubblici cloroformizzati e musicisti succubi di antichi e nuovi rituali ed a valorizzare l’esperienza, intesa come continua apertura al mondo nella forma di un ascolto attivo di nuovo tipo e di una mobilitazione permanente dei sensi e dell’intelletto che incrina le distinzioni rigide fra compositore, esecutore e fruitore. L’ascolto non è più mirato alla ‘storia dei suoni’, cioè ad un percorso di aspettative del ‘pubblico’ confermate o disattese dal compositore, ma al suono stesso, a ‘questo’ suono che stiamo ascoltando, qui ed ora. L’azione dell’ascolto cosciente, l’apertura di finestre sul divenire continuo del paesaggio sonoro è la chiave per comprendere il percorso cageano: tutti gli eventi sonori che accadono, nell’ambito delle finestre che soggettivamente apriamo sull’ascoltabile, sono accomunati da una caratteristica, la durata. In questo modo cade l’antica distinzione tra suono e rumore, poiché qualsiasi fenomeno sonoro, essendo una presenza nel tempo, può essere assunto nella musica, che è quella che ascoltiamo nel recinto delle sale da concerto ma anche quella che possiamo procurarci aprendo le finestre di casa.
4’33”, il famoso pezzo silenzioso è, in questo senso e a detta del compositore stesso, l’opera più importante di Cage. Tutto ciò non può non avere conseguenze per l’attività’ dei compositori e degli esecutori stessi: tutte le tecniche cageane – legate all’uso del caso nella composizione, all’esecuzione indeterminata (la delega all’esecutore di alcune scelte musicali) o all’esecuzione indeterminata in quanto tale (il fornire schemi operativi che possono portare a risultati imprevedibili anche per l’interprete) – puntano a consentire a compositori ed esecutori una liberazione da abitudini e sedimentazioni linguistiche secolari verso la sorpresa di sempre nuovi ascolti. Ogni suono è sempre nuovo se ascoltato con mente libera”.

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