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QUARTINE di ´Omar Hayyām


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Noi non siamo che pedine degli scacchi, che son facili a muoversi proprio come il Grande Giocatore di scacchi ordina. Egli ci muove sulla scacchiera della vita avanti e indietro e poi in scatole di Morte ci rinchiude di nuovo.

Noi siamo burattini e il Cielo n'è il burattinaio,
per vero questo lo dico e non per allegoria.
Sulla scena dell'Essere giochiamo un piccolo gioco,
e ad uno ad uno ricadiam poi nella cassa del Nulla.


Il nostro incontro è nascosto da un velo: Quando il velo cadrà, né tu né io rimarremo

Era una goccia d'acqua e si confuse col mare.
Era un granello di polvere e si mescolò con la terra.
Che cosa più fu mai il tuo passaggio nel mondo?
Un moscerino comparve e poi sparve di nuovo.


 Mai l'intelletto mio si distaccò dalla scienza, pochi segreti ci sono sono che ancor non mi son disvelati, e notte e giorno ho pensato per lunghi settantadue anni, e l'unica cosa che seppi è che mai nulla ho saputo.

 Ogni granello di terra nascosto in seno alla Terra. Prima di me, prima di te, fu forse Corona e Gioiello

 Nessuno ha prevalso mai, no, sul Destino, e mai la terra fu sazia di divorare gli umani. O tu che fiero ripeti: “ Me ancora non ha divorato!” non aver fretta, mangerà ancor te, non è tardi.


 Coloro che furono oceani di perfezione e di scienza e per virtù rilucenti divennero Lampade al mondo, non fecero un passo fuori di questa notte oscura: narrarono fiabe, e poi ricadder nel sonno.

Questa gran volta del cielo sotto la quale stupiti viviamo
è come una lanterna, magica d'illusione:
il Lume dentro n'è il Sole, la lanterna è il Mondo;
e noi come forme fuggenti, sbigottiti, passiamo.


Io nulla so, non so se Chi m'ha creato
m'ha fatto per Cielo o m'ha destinato all'Inferno.
Ma una coppa e una bella fanciulla e un liuto sul lembo del prato
per me son monete sonanti: a te la cambiale del Cielo!


Puri venimmo dal Nulla, e ce ne andammo impuri.
Lieti entrammo nel Mondo, e ne partimmo tristi.
Accese un Fuoco nel cuore l'Acqua degli occhi: La vita al Vento gettammo, e poi ci accolse la Terra.

Sii felice per un attimo: questa è la vita.

 Il grano d’ogni speranza andrà, alla fine, sull’aia, ed il Giardino e il Palazzo rimarranno senza di noi. E dunque il tuo oro e il tuo argento fino all’ultimo soldo spendilo insieme all’Amico; rimarrà, altrimenti, al Nemico

Non ricordare il giorno trascorso e non perderti in lacrime sul domani che viene: su passato e futuro non far fondamento vivi dell'oggi e non perdere al vento la vita.



        

In che modo strano passa questa Carovana della Vita:          
cògli quell'attimo almeno che passa in letizia.          
Coppiere! A che t'addolori del dolor del domani degli altri?          Porta, presto, la coppa, ché sta per cadere la Notte.

Non posso nascondere il sole con un pugno di polvere Non posso svelare il segreto del Destino nascosto La sapienza ha pescato per me nel Mar dei Pensieri Una perla che, per timore, io non posso infilare.

Fosse dipeso da me, non sarei venuto nel Mondo,
e se da me dipendesse l'andarmene, non me ne andrei.
E meglio di tutto sarebbe stato se in questo diroccato Convento
non fossi venuto, né andato, né stato, giammai.


Hai visto il mondo e ciò che hai visto è nulla, Nulla è ciò che hai detto o sentito. Hai elevato la testa fino ai più alti orizzonti, E quel nasconderti in casa, anche quello è nulla.

 Questi che ora son vecchi, e questi giovani ancora, ognuno ansioso s'affanna correndo alla Mèta; ma a questo antichissimo mondo, alfine, nessuno rimane. Andarono. Andremo. Altri verranno. Ed andranno.


Dal mio venire non fu al cielo profitto E dal mio andare non aumentò né bellezza né spazio E da nessuno le mie orecchie hanno mai udito Questo venire e andare quale vantaggio portarono.



Sappi che dall'anima devi separarti, e che andrai dietro i veli del segreto di Dio. Bevi vino, ché non sai donde sei venuto: sii lieto, perché non sai dove anderai.

Quando l'ebbro Usignolo trovò la via del Giardino
e ridente trovò il bocciolo di Rosa e la coppa del Vino,
venne, e in misterioso bisbiglio mi disse all'orecchio:
Considera bene: la vita trascorsa mai più, mai più ritorna.

 O cuore che non ti prenda dolore di questo mondo consunto: tu non sei cosa vana, di vani dolori non prenderti cura poiché ciò ch’è stato è passato, e ciò che non è non è ancora vivi felice, e non ti afferri tristezza di quel che non è, non è stato.
O cuore, fa' conto di avere tutte le cose del mondo,
fa' conto che tutto ti sia giardino delizioso di verde,
e tu su quell'erba verde fa conto di esser rugiada
gocciata colà nella notte, e al sorger dell'alba svanita.

 Quest’antica Locanda cui diedero il nome di Mondo (Stalla dei pezzati destrieri della Sera e dell’Alba) E’ un banchetto festoso che abbandonarono stanchi cento commensali, E’ un castello, dove cento guerrieri riposano in sonno di Morte
     Ahimé, m'è sfuggita di mano l'essenza di Vita:     innumerevoli cuori piansero sangue per mano di Morte,     e nessuno mai ritornò da quel mondo lontano, che gli domandi     dei viaggiatori del mondo che n'è, che n'è stato?
Sappi che un tempo verrà che dall'Anima lungi tu andrai,
e oltre il velame segreto del Nulla per sempre tu riposerai.

Quando avrà detto addio al corpo l'anima tua... e la mia,
due mattoni porranno sulla tomba tua... e sulla mia.
E poi, per fare mattoni pei sepolcri degli altri,
si getterà nel forno la terra tua... e la mia.

      Di quel Vino che per la vita nostra è Altra Vita      riempimi un calice, anche se il capo ti duole,      e mettimi il calice in mano, ché il mondo è tutto una fiaba;      e porgilo in fretta, poiché la vita passa a ogni istante.
Il dito in movimento scrive e avendo scritto avanza. Tutta la tua pietà o arguzia non lo indurranno a cancellare mezza riga, né tutte le tue lacrime laveranno via una sola parola.
 


´Omar Hayyām (ca. 1048-1131) presenta un difficilissimo problema d'interpretazione. Era un razionalista che annegava nel vino la sua disillusione cosmica, oppure un sottilissimo mistico? La questione è lungi dall'essere risolta. Le fonti arabo-persiane descrivono Hayyām soprattutto come scienziato: profondo in matematica, astronomia, filosofia e teologia, geloso del suo sapere, dal carattere difficile e scontroso. Fu astronomo alla corte dei Selgiuchidi, presso i quali si adoperò per una riforma calendariale. Una leggenda lo vuole iniziato a circoli esoterici, condiscepolo di Hasān-e Sabbāh, il famoso "Veglio della Montagna" capo della famigerata setta degli Assassini. Vere o false che siano, tali immagini mostrano la doppia anima di ´Omar Hayyām, che se da un lato sembra preferite lo spicciolo divertimento alle gioie celesti, dall'altra appare perfettamente a suo agio tra i simboli della poesia sufica. Amo credere che in Hayyām convivessero entrambe le anime, quella del materialista e quella del mistico, e che anzi, sia proprio la convergenza di queste due opposte chiavi di lettura a creare la simultaneità di significati che rende le sue quartine dei gioielli di scintillante perfezione. Sia come sia, da quasi un millennio, le Ruba`iyyāt non cessano di sedurre l'umanità con la loro dolcezza, la loro gioia, la loro tristezza esistenziale e la loro inestinguibile sete di Assoluto.

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