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I CONCETTI PRINCIPALI DI GURDJIEFF (2° PARTE) - Diventare consapevoli di noi stessi

Non conoscendo le leggi cui è soggetta la sua opera, l'uomo s'illude di essere lui ad agire, a fare, a costruire, a decidere; non si rende conto di essere dominato, nelle sue scelte, da forze superiori; non vede che cosa lo induce a muoversi in un modo piuttosto che in un altro, a ripetere ciclicamente le stesse operazioni; non riconosce il suo grado di meccanicità, il suo stato di letargia, di autoipnosi, di automistificazione .
Crede di essere libero, consapevole e responsabile. E invece mente a se stesso: non ammette di non saper nulla, di trovarsi in uno stato di confusione mentale di grave incertezza. Eppure, è proprio da questa condizione di dipendenza e di caos che nascono i suoi desideri di imitazione e di identificazione. L'uomo si identifica con il ruolo che è costretto a vivere: padre, figlio, padrone, operaio, impiegato, dirigente, professionista, intellettuale, guru, furbo, tonto, forte, debole, disoccupato, manager, ministro, ecc. 
Per ognuno di questi ruoli, esistono comportamenti sociali, status symbol, abbigliamenti, modi di pensare e di esprimersi cui ciascuno si adegua inconsapevolmente. E quindi non siamo mai individui autentici, ma veri e propri imitatori: imitiamo modelli e stereotipi, prodotti dalla società in cui viviamo.
Persino nei comportamenti più intimi recitiamo in realtà dei ruoli precostituiti, che non si limitano soltanto a comportamenti e ad atteggiamenti convenzionali, ma che penetrano anche all'interno delle nostre convinzioni, dei nostri giudizi, della nostra coscienza.

Basta ascoltare una comune conversazione per rendersi conto della qualità dei luoghi comuni e delle banalità che si ripetono, pur nell'illusione di esprimere qualcosa di autentico, qualcosa della propria esperienza. Il che ci dà un'idea di quanto sia profondamente condizionata la nostra coscienza. Ecco perché Gurdjieff non crede che possiamo vivere e decidere liberamente, e perché ritiene così ardua l'impresa della liberazione. Niente di più facile, infatti, che anche in questo caso ci si limiti ad imitare o a identificarci con qualcuno – un maestro, un santo, Cristo, Buddha o Maometto. Insomma continuiamo a recitare: l'inquinamento della nostra mente è troppo esteso.
Non dobbiamo illuderci di poterci liberare con le nostre sole forze: ogni nostro tentativo, ogni sforzo, ogni pensiero o atto, sono già fortemente condizionati; non sappiamo neppure da che parte stia la libertà, che cosa significhi essere svegli.
Il primo passo perciò consiste nella presa di coscienza che siamo come in una prigione e che non sappiamo come uscirne. Per quanti sforzi facciamo, non possiamo evadere da soli; gli ostacoli sono troppi. Sarà più saggio trovare un gruppo di persone che come noi hanno il desiderio di risvegliarsi e che si avvalgono dell'esperienza di qualcuno che lo ha già fatto.

Gurdjieff sostiene che il tentativo di risveglio ha più probabilità di riuscire se uniremo le nostre forze a quelle di altre persone e se saremo guidati da un maestro illuminato. Senza questi aiuti, è quasi impossibile riuscire nell'impresa.
Quasi tutti i maestri di meditazione sono concordi nel sostenere la necessità di una guida illuminata... Tuttavia il maestro serve soltanto ad aprire la strada, ma poi dev'essere abbandonato. Esiste anche un altro punto di vista (come ad esempio quello di Nisargadatta) che, pur riconoscendo l'utilità della guida spirituale, sostiene che quest'ultima si trova già dentro di noi, solo che la si sappia (e qui sta il difficile) rintracciare e identificare.
Comunque sia, il punto di partenza della ricerca è, secondo Gurdjieff, la conoscenza di noi stessi o, come lui lo chiama “Lo studio di noi stessi”, “il ricordarsi di noi stessi”. Questa è la prima importantissima fase. In ogni momento della giornata – egli dice- dobbiamo volgere l'attenzione a quello che facciamo pensiamo, diciamo, immaginiamo, proviamo, ecc; dobbiamo riuscire a vederci per quello che siamo, come se ci guardassimo dall'esterno.
Diventare consapevoli di noi stessi, anche solo per pochi momenti, è la tecnica che può aiutarci ad uscire dallo stato di alienazione in cui ci troviamo abitualmente. Un simile esercizio presuppone e termina una certa tensione emotiva, un preciso stato d'animo che deve a poco a poco emergere e consolidarsi nel turbinio confuso delle emozioni abituali. E deve essere accompagnato da uno sforzo di riduzione del troppo parlare, del mentire a noi stessi e del dare espressione alle emozioni negative.

 




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