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Estratti dal libro "Apprendista dello Stregone: La Mia Vita con Carlos Castaneda)" - di Amy Wallace

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Una delle ragioni per cui questo gioco ha funzionato così bene è a causa della ben-conosciuta realtà del sognare. Se tu credi che i Voladores esistano, il tuo cervello può crearli nel sogno ed essi sembreranno totalmente reali per te. Se credi che esistano gli "esseri inorganici" che possono portarti in un altro mondo, beh....questo può facilmente accaderti per davvero. - David Worrel

Tre capitoli sulla vita privata e le intime relazioni tra A. Wallace e Carlos Castaneda



Capitolo 3 di Sorcerer’s Apprentice: My Life with Carlos Castaneda (Apprendista dello Stregone: La Mia Vita con Carlos Castaneda), di Amy Wallace, Traduzione da Lorien Grant Perry.

Riunione con Florinda



In un tardo pomeriggio dell’autunno 1991 aprii il giornale e vidi che quella sera Florinda Donner avrebbe tenuto una conferenza al Gaia Books. Era una libreria femminista New Age, che si trovava ad alcuni isolati dalla mia casa di Berkeley.
Avevo mal di testa e non avevo voglia di uscire. Ma erano anche dieci anni che non vedevo Florinda, il mio adorato folletto. Presi un’aspirina e mi incamminai giù per i quattro isolati che mi separavano dal luogo della conferenza. Quell’atto cambiò l’intero corso della mia vita. Carlos aveva un detto favorito, divulgato nei suoi bestsellers, "a tutti noi viene dato un singolo centimetro cubo di possibilità almeno una volta nella vita. È un dono offerto dallo Spirito." La persona avventurosa raccoglie la pagliuzza -- a volte per caso, come avevo fatto io quando avevo preso in mano la bottiglietta dell’aspirina – mentre la maggioranza l’ignora mentre le passa accanto, e la direzione della loro vita non devia mai dalle ottuse norme della routine sociale.
La magia, diceva sempre Carlos, è ovunque, ma noi mettiamo una benda sugli occhi, alla quale ci afferriamo, per paura dell’ignoto. Se solo potessimo vivere come pirati, incitava Carlos, afferrando i tesori della vita e navigando sugli alti mari, onoreremmo il dono che fu la nostra vita.
"Io vivo in testa al treno, così tutto quello che vedo è nuovo," mi diceva spesso, "mentre il resto del mondo vive la vita nel vagone di coda."
Per la conferenza di Florinda era stata affittata una sala di fronte al negozio, ma le porte non erano ancora aperte. Mi diressi verso il negozio. Immediatamente vidi la piccola, scintillante Florinda; insieme a lei c’era una donna più alta, una formosa creatura con occhi a mandorla e capelli spruzzati di grigio. Ridevano e si baloccavano con giocattoli new age, percuotendo tamburi sciamanici e scrutando attraverso i cristalli. Non mi videro. Io ero troppo timida per presentarmi.
Quando aprirono le porte della sala, radunai tutto il mio coraggio e mi avvicinai a Florinda. Era come la ricordavo, straordinariamente viva. Alta 1,58, pesava forse 45 chili. Era fantastica come sempre – la corporatura sottile e muscolosa, brillanti occhi azzurri e capelli biondi tagliati a spazzola. Sembrava un folletto punk.
"Ciao Florinda, sono Amy Wallace, ti ricordi di me?"
"Amy!" Allargò le braccia e mi diede un rapido e forte abbraccio.
"Sei magnifica! Carlos sarà così contento che ti ho trovata."
"Perché adesso porti i capelli così corti, Flo?"

Lei si lanciò in un sorriso da stella del cinema. "Sono appena ritornata dall’Amazzonia, dove ho vissuto con la tribù degli Yanomami, e mi sono presa i pidocchi. Ho dovuto raparmi a zero. Ora lascia che ti presenti la mia compagna. Lei è Carol Tiggs. Lei è la donna nagual."
Me ne spiegò velocemente il significato – la donna nagual era l’equivalente femminile di Carlos, sua sorella gemella, per così dire, e una leader nel loro gruppo. Carol proruppe in una ridicola canzone pseudo-rock "nagual wooomaan . . ." gorgheggiò in un misto tra Joni Mitchell e Robert Plant.
A parte questa sua esibizione, Carol rimase remota e misteriosa, con uno sguardo triste negli occhi blu. Parlava poco, e lei e Florinda sembravano gli estremi opposti, il sole e la luna. Presi subito in antipatia Carol, trovandola fredda e priva di humour, a parte il suo exploit canoro. Sembrava che mancasse della grazia mondana in cui eccellevano Carlos, Anna-Marie [il nome con cui Ellis conobbe originariamente Taisha] e Florinda. Si voltò bruscamente verso di me.
"Sei la figlia di Irving Wallace?"
"Sì."
"Ho sentito parlare di te."
Sedemmo insieme durante la conferenza. Florinda era audace e impertinente, e offese molti ascoltatori raccontando storielle irriverenti per promuovere il suo ultimo libro, Essere nel Sogno. Il suo primo libro, Shabono, era un resoconto del suo periodo insieme agli indios amazzonici Yanomami, e la vide accusata di frode e plagio: aveva preso la sua storia direttamente da un racconto pubblicato da un autore italiano, aveva "perso" i suoi appunti sul campo, come Carlos, e le era stata negata la laurea all’UCLA. Il suo secondo libro, Il Sogno della Strega, era una poetica serie di aneddoti sul suo apprendistato presso una guaritrice tradizionale nella sua nativa Venezuela. Florinda era la figlia di due emigrati tedeschi, cresciuta a Caracas. Come le altre streghe, non si trovava dove invece affermava di essere stata durante i suoi anni con Castaneda. In realtà era sposata e faceva la casalinga in Texas nel periodo in cui si supponeva fosse nella giungla e nei villaggi venezuelani, anche se all’epoca io non sapevo nulla di tutto ciò.
Il suo discorso conquistò l’attenzione sia delle New-Agers sia delle femministe quando spiegò i principi di base della stregoneria. Il suo modo di parlare aveva una sfumatura erotica; era fantasiosa, ironica e impossibilmente carismatica. Parlava a raffica, come me, ma era più veloce e più audace. Mi sentivo intensamente attratta da lei.
Raccontò al pubblico che il suo editore alla Harper and Row aveva censurato "il vero linguaggio di don Juan," dicendole, "questo proprio non puoi dire." Quello che lei aveva voluto dirci, precisò, era che don Juan aveva spiegato le diverse strade verso la conoscenza intraprese dai due sessi. "Gli uomini hanno questo pincho che diventa duro e punta verso il cielo, cosi essi si spingono a cono verso i cieli – è così che ricevono la loro conoscenza – formando un cono tramite i loro genitali. Le donne hanno un buco che è sempre aperto, che punta in giù verso la terra – noi riceviamo la nostra consapevolezza dalla terra stessa. Gli organi sessuali percepiscono.
"Noi donne impariamo sempre senza accorgercene, è così naturale per noi. Ma gli uomini devono viaggiare verso l’alto, passo dopo passo, come se salissero una scala. Sono meticolosi, e più sobri – cosa che noi non siamo. Ciò avviene perché loro devono lottare molto più di noi. Questo è il motivo per cui il leader del nostro gruppo, il nagual, è sempre un maschio. Gli uomini hanno la sobrietà, e le donne ne hanno bisogno. Io volevo che don Juan mi desse droghe psichedeliche – lo supplicavo! – ma lui si rifiutò, dicendo, ‘Voi donne non avete bisogno delle piante di potere, voi siete già ’" Schioccò le dita. "Per noi sognare, viaggiare in altri mondi, non è nulla, è solo che siamo troppo pigre per farlo. E l’ordine sociale intrappola le donne, derubandole del tempo per esplorare, legandole alle gravidanze e alla crescita dei figli, e ai mariti da coccolare.
"Siamo schiave degli uomini a causa della nostra indifferenza. E diamo per scontata la creatività – noi facciamo gli esseri umani! Ogni volta che una donna partorisce, rimane un buco nel suo corpo di energia, un buco che la svuota e la fa ricadere all’indietro nella sua corsa verso la libertà. Non raccomando di avere figli. Le donne non capiscono quello che sanno gli stregoni, cioè che l’utero è un secondo cervello, l’utero ha una doppia funzione! Più spesso permettiamo agli uomini di entrare nel nostro utero, più danneggiamo questo secondo cervello."
Sembrava che queste informazioni avessero stancato il pubblico.
Furono fatte domande sulle mestruazioni e sull’isterectomia.
"Per una donna il momento ottimale per sognare è tre giorni prima del suo periodo – possiamo entrare in mondi diversi nei nostri sogni così come niente! Possiamo esplorare differenti strati della cipolla, per così dire, e senza sforzo alcuno! Possiamo farlo anche quando siamo sveglie. E siamo così schiavizzate che lo chiamiamo Sindrome Premestruale! Le streghe del nostro gruppo non soffrono di menopausa, come fanno gli umani. Le pratiche di movimenti e di meditazione degli stregoni la eliminano." (Seppi in seguito che questa era una bugia, una menzogna estremamente dannosa, secondo me.) "Noi controlliamo i periodi mestruali con il nostro intento. Gli stregoni credono che l’intento sia ciò che muove l’universo. Noi non preghiamo – quello è per i mendicanti – invece noi comandiamo l’intento. A una delle streghe del nostro gruppo" (più tardi seppi che era Anna-Marie) "non piaceva avere il ciclo, così lo ha fermato scegliendo di farlo. A me piace la sensazione di rilascio, così io prolungo il mio con il potere del mio intento.
"Per quello che riguarda le donne senza utero, be’, devono lottare per la libertà e la conoscenza proprio come i maschi, salendo la scala passo dopo passo. Ma può essere fatto. E se avete buchi energetici per aver generato, dovete semplicemente correre dietro alla libertà sforzandovi il doppio."
Qualcuno chiese se don Juan avesse rapporti sessuali. Florinda arrossì e rispose, "Posso dirti per certo di sì! Credimi. E aveva 90 anni!"
Florinda poi presentò Carol al gruppo come "la donna nagual" che era scomparsa nell’Infinito – spesso chiamato anche "la Seconda Attenzione" – per 10 anni, corpo e tutto il resto. A lei era sembrato un secondo, ci disse Florinda – aveva perso completamente il senso del tempo. "Quando miracolosamente Carol ricomparve, facendo jogging in tuta," continuò Florinda in maniera del tutto incongrua, "lei aprì la porta magica che mi ha permesso di essere qui stasera, la porta che ha permesso a Carlos di cominciare a fare apparizioni pubbliche."
Donna Ritorna Dall’Infinito Facendo Ancora Jogging, Con La Tuta Intatta. Se l’assurdità potesse uccidere, oggi sarei morta.
Dopo la conferenza vidi una mia amica, un’avida adoratrice di Castaneda, bloccare Carol e chiederle come erano stati, 10 anni in un’altra dimensione. Trovai la sua reazione scioccante. Arretrò in un angolo, balbettando e sudando copiosamente. Intorno a lei si radunò una folla.
"Io . . . uh . . . Non ricordo . . . Non posso, ehm . . ."
Continuò ad arretrare finché non finì contro il muro, poi abbassò la testa come un mulo intrappolato, si spinse freneticamente attraverso la folla, incespicando, finché raggiunse la salvezza a fianco di Florinda.

Anche Florinda era circondata dalla folla. Ma a differenza di Carol, lei si gongolava dell’attenzione e dell’ammirazione, rispondendo alle domande con affascinante impertinenza, finché Carol non la tirò per una manica. Erano attese da una limousine che doveva portarle all’aeroporto. Per qualche inspiegabile ragione magica, erano in pericolo se passavano la notte nell’hotel di San Francisco dove si erano registrate al mattino.
Ci salutammo abbracciandoci fuori della sala e ci scambiammo i numeri di telefono. Florinda mi diede il numero di una casella postale, chiedendomi di scriverle e di mandarle i miei libri. Il suo comportamento indicava che il nostro incontro era stato molto significativo, e che certamente ci saremmo risentite presto. Carol, evidentemente stremata dalle domande, mi fece un tiepido cenno di saluto.
L’incontro mi aveva elettrizzato. Avevo sempre adorato Florinda, ma avevo dimenticato la sua verve, la sua strabiliante energia. Trovavo seducente tutto ciò e volevo rinnovare la nostra conoscenza. C’era stato un vuoto sin dalla morte di mio padre, e sembrava che nulla placasse il mio dolore, neppure le ore di meditazione chi kung o la gratificante accoglienza del mio primo romanzo, Desire.
Qualcosa mi stava tirando, qualcosa di più della mia solitudine. Credevo fosse una misteriosa energia. Lessi velocemente il nuovo libro di Florinda, un racconto lirico e pregnante del suo addestramento sotto don Juan, Castaneda, e il loro "gruppo di streghe, guidate dalla Grande Florinda, quella che mi ha dato il nome." Le scrissi per dirle che il libro mi era piaciuto molto, e le mandai il mio romanzo e la mia precedente pubblicazione, The Prodigy, la biografia di un bambino prodigio.
Lei mi telefonò quasi immediatamente, dicendomi che i libri, specialmente il romanzo, l’avevano impressionata. Florinda era una appassionata lettrice di fiction, ed era capace di divorare un libro al giorno. Ci accordammo per incontrarci la prima volta che fossi andata a Los Angeles. Con fare disinvolto disse che quando lei e Carol stavano per partire da San Francisco, si erano fermate all’albergo per recuperare un pezzo di bagaglio dimenticato, e avevano visto don Juan seduto nell’atrio. Gli erano passate davanti senza salutarlo. Io ero scioccata. Era un fantasma? Che cosa mai poteva significare? Lei non fece caso alle mie domande e cambiò argomento, saltando agli attuali bestsellers di fiction. Stava leggendo Ursula Hegge.
Mi ripresi abbastanza per chiedere, "Vedi ancora Anna-Marie?"
Lei rise. Immaginai fosse una risposta affermativa. "Bene, allora per favore salutamela. E chi è quest’altra donna che vedo pubblicizzata al Gaia Books per il mese prossimo, con il commento di Carlos sul retro del libro . . . Taisha Abelar?"
Florinda rise a più non posso. "Anna-Marie è Taisha!"
"Oh! Bene, andrò a vederla. Posso ancora chiamarla Annie?"
"Be’, Amy, tu puoi."
Florinda aveva un modo delizioso di far sembrare tutto un segreto. Poi mi confidò un altro segreto: il mio incontro con la donna nagual e il fatto di esserle piaciuta era stato un evento di grande importanza. Florinda si dilungò sulla scomparsa fisica di Carol in una realtà alternativa.
"Carlos, Taisha e io quasi morimmo quando Carol se ne andò – barcollavamo sull’orlo dell’evaporazione! Lei, la donna nagual, è la sorella energetica di Carlos. Doveva essere un faro splendente, e illuminarci con la sua luce per condurci dall’altra parte. Ma noi non riuscivamo a trovarla, neanche in sogno. Eravamo devastati, e lottavamo per sopravvivere. Quando Carlos la vide fare jogging a Santa Monica cercò di rincorrerla, ma lei se ne era già andata. Alcune settimane dopo, boom! – Carlos vide il suo volto fra il pubblico mentre teneva una conferenza al Phoenix Bookstore a Santa Monica. Oh, lui ti racconterà tutto! Il suo cuore batteva all’impazzata! Riusciva a malapena a parlare.
"Amy, lei aveva un’amnesia totale sulla sua esperienza! Sparita dal mondo per dieci anni! Scomparsa! Tutto ciò che ricorda è di essersi svegliata in Arizona, mentre vagabondava qua e là, e di aver notato che gli edifici erano più alti. Dissotterrò dei soldi che don Juan le aveva detto di nascondere . . . Ecco, questo era il segno! Significava che potevamo apparire in pubblico, dopo 20 anni che ci nascondevamo! Castaneda poteva parlare ai suoi lettori, e poteva raccontare al mondo di noi tre – noi siamo state il suo più grosso segreto per 20 anni! È per questo che ho scritto il libro sull’addestramento da parte di don Juan – quello di una donna è un sentiero diverso, e poi, quello di Taisha è stato totalmente diverso dal mio.
"E ora abbiamo trovato te, Amy – il segno è – be’, sarà lui a dirtelo. Io non posso dirti troppo. Noi non ci diamo spiegazioni l’un altro nel nostro mondoè solo una scusa per essere umani, per chiacchierare, per perdere energia, per essere tipici esseri umani. Lui ti dirà cosa significa tutto questo. E il tuo bellissimo romanzo . . . tu sei esattamente come me, una sognatrice – i bravi romanzieri sono sempre sognatori."
Cercai nella memoria il significato di sognare nei libri di Carlos, ma erano molti anni che non li leggevo. "Che cosa significa, Flo, essere una sognatrice?"
"Ci sono due tipi di stregoni, Amy – i cacciatori all’agguato e i sognatori. Questo c’è in tutti i libri. Noi sognatori entriamo in altri mondi come niente – entriamo nei nostri sogni attraverso un’apertura, e alla fine, quando l’ego è morto, siamo così fluidi che non c’è nessuna differenza tra sognare ed essere svegli. È l’argomento del mio libro – sognare svegli. Non è lo stesso dei ‘sogni lucidi’. Quello non è niente, è solo un surrogato. Noi abbiamo scoperto aperture, varchi verso altri mondi."
"E i cacciatori?"
"Taisha è la cacciatrice perfetta. Quando un vero cacciatore si libera dell’ego, assume personalità diverse, nessuna più reale di un’altra. Un cacciatore all’agguato le vive nel ‘Teatro del Reale’, con totale abbandono. Non è un gioco – è questione di vita o di morte assumere questi ruoli. Taisha ne parlerà nella sua conferenza.
"L’agguato è un modo per comprendere che non c’è nessun ‘me’. Io non esisto. Io sono soltanto ‘un sacco di storie’, come dice Carlos. I cacciatori usano il mondo di tutti i giorni come terreno di battaglia, perché la battaglia contro l’ego è infinita. Mi ricordo cosa mi diceva don Juan, e lo dirò a te, Amy. Per favore ascolta, carajo! – è la verità, ma nessuno di noi vuole udirla! Don Juan diceva, ‘Florindita, pensa al tuo ego come a un enorme cane peloso e pigro. Digli di andare a cuccia nel cortile sul retro. Passagli a distanza, perché non potrai mai ucciderlo. L’ego è un’idra a mille teste. Stai alla larga dal vecchio cane stanco in cortile.’ Capisci ciò che dico?"
"Sì, penso di sì . . ."
"Ciao, mi amor. Presto parleremo ancora! Chiamami!"
Forse avevo letto troppa psicologia. Anche così eccitata, sapevo che la definizione degli stregoni di un cacciatore all’agguato era quasi identica alla diagnosi clinica di uno psicopatico. Spinsi via dalla mente questi spiacevoli pensieri.
Estratto dal Capitolo 4


Introduzione al Capitolo 4 di Sorcerer’s Apprentice: My Life with Carlos Castaneda (L’Apprendista dello Stregone: La Mia Vita con Carlos Castaneda), di Amy Wallace. Traduzione da Lorien Grant Perry.

Nel 1971, mio padre, l’autore Irving Wallace, insistette che incontrassi il suo nuovo amico Carlos Castaneda. Venne organizzato un pranzo proprio per l’occasione. Dopo quel primo piacevole incontro, Carlos e io rimanemmo sporadicamente in contatto – con Florinda e Taisha – per 20 anni.

Nel 1991, un anno dopo la morte di mio padre, vivevo a Berkeley, e vidi un manifesto che pubblicizzava una conferenza di Florinda Donner in occasione del suo nuovo libro, Being-In-Dreaming. Vi partecipai, e fu una commovente riunione. Disse, "Carlos sarà così contento che ti ho trovato!" Cominciammo a scriverci e a parlarci regolarmente al telefono.

Estratto dal Capitolo 4 di Sorcerer’s Apprentice: My Life with Carlos Castaneda


Pipistrelli

Una settimana dopo avevo un problema in casa. Fra le travi del mio palazzo, che era circondato da alberi, vivevano dei pipistrelli, e ogni tanto entravano in casa. I miei gatti li cacciavano febbrilmente, divorandoli occasionalmente. È molto difficile liberarsi di un pipistrello, e non avevo più un marito a portata di mano che si occupasse di dar loro la caccia. Chiamai il Dipartimento locale della Sanità, e mi mandarono il loro specialista in pipistrelli.
In mezzo a tutto quel trambusto il telefono si mise a suonare. Era Florinda.
In un tono che sottolineava urgenza, disse, "Carlos ti vuole parlare."
"Oh, grande! Sì."
Carlos venne al telefono.
"Hola, Amy, mi dispiace così tanto per tuo padre! Flo mi ha appena detto che è morto un anno fa – io non lo sapevo, ero a Timbuktu. Ay! Tu come stai?"
"Bene. Um . . . scusami, ma in questo momento c’è un pipistrello in casa e –"
"Vuoi che ti richiami?"
In testa mi risuonarono dei campanelli d’allarme. Sapevo che se avessi messo giù il telefono, lui non avrebbe più richiamato.
"No, no." Squillò il campanello. Era il cacciatore di pipistrelli, un uomo con una rete e un contenitore di vetro. Gli feci cenno di entrare.
"Fai uscire fuori il pipistrello, Amy," disse Carlos, come se stesse impartendo un segreto militare. Fallo uscire fuori."
Io risi. "Tu sei Carlos Castaneda," dissi, "fallo uscire fuori tu!"
Mentre il pipistrello veniva eliminato, Carlos divenne ancora più intenso.
"Amy, è incredibile che Flo ti abbia trovato così. Avevo cercato di raggiungerti! Quello che devo dirti ti suonerà ridicolo, ma cerca di sospendere il tuo normale giudizio, e per favore ascoltami. Per favore, ascolta. È della massima importanza. Tu, solo tu, hai l’intelligenza per afferrare la metafora. Gli altri . . ." fece un suono sprezzante per includere il suo piccolo gruppo di discepoli (avevo saputo da Florinda che lui aveva circa una dozzina di apprendisti a Los Angeles) o forse l’intera umanità – "loro non ne sono capaci. Non capiscono che noi siamo come galline, intrappolate in un pollaio, e qualcosa di alieno ci sta mangiando . . . sì, noi siano CIBO! Perché no? Sospendi il giudizio. Questo è un universo predatorio, e noi veniamo mangiati. Mi ascolti?"
"Sì."
"Gli stregoni hanno due detti. Uno riguarda un accademico che andò in Amazzonia per ‘osservare i nativi’ – quando questi cercarono di mangiarselo, lui scrisse, ‘Per un momento l’antropologia fu dimenticata!’
"Amy, qualcosa ci sta mangiando, così ti dico – dimentica l’antropologia!
"L’altro detto l’ho preso da un titolo dell’Esquire, una storia su Lee Marvin. Il titolo era, ‘Lee Marvin ha Paura!’ Ogni volta che entro in altri mondi, veri e propri altri mondi, credimi, chica, Lee Marvin ha paura! Sei ancora lì?"
"Sì."
"Un mese fa ero nel sognare quando incontrai Irving. Lui era intrappolato – in qualche specie di edera rampicante, in rovi, come una prigione. Mi avvicinai, cercando di liberarlo. Lui mi spinse via. ‘No! No! Non avvicinarti di più, Solo prenditi cura di mia figlia. Promettimelo. Prenditi cura della mia Amy. Lei è nei guai!’"
"Carlos, cosa significa? Che genere di guai?"
"Non lo so."
"Non lo sai? E allora mio fratello? È nei guai? Mio papà l’ha nominato?"
"No, no, solo tu. E ora il suo fantasma infesta la loro casa, dove vive tua madre."
"Il suo fantasma?" Il cacciatore di pipistrelli era sulla porta del mio studio. Mostrò trionfalmente un pipistrello tutto sbatacchiato dentro al contenitore. Sorrisi e gli segnalai i miei ringraziamenti.
"Bene, cosa dovremmo fare?"
"Non lo so. Forse dovremmo andare nella casa a cercare di liberarci del fantasma."
Dapprima mi sentii scettica, ma la paura che mio padre stesse soffrendo ebbe la meglio sui miei dubbi.
"Okay, okay," dissi. "Quando mia madre non sarà in casa. Sarò a L.A. fra due settimane."
"Ah! Meraviglioso! Ci incontreremo allora. Chiama Flo quando arrivi. Eccellente. Adios. E Amy – un’altra cosa. ASCOLTA. Ascolta attentamente. L’ho detto una volta, e lo ripeterò. Tu, Amy Wallace, solo tu, hai l’intelligenza per capire la metafora. Tu sei l’unica in grado di capirla. Non dimenticarti mai ciò che ti ho appena detto. Tutto dipende da questo. Arrivederci."
Mi chiesi di cosa diavolo stesse parlando. Tutte le sue storie erano una metafora?
Irving Wallace stava parlando a Carlos Castaneda dalla tomba. E io ero in qualche specie di guaio terrificante. Cercai di rimanere scettica, ma non funzionò – Lee Marvin aveva paura.

Introduzione al Capitolo 12 di Sorcerer’s Apprentice: My Life with Carlos Castaneda (L’Apprendista dello Stregone: La Mia Vita con Carlos Castaneda), di Amy Wallace. Traduzione da Lorien Grant Perry.

Un anno dopo, dopo una serie di avventure con Castaneda e le streghe, Carlos e io diventammo amanti. Lui insisteva che era rimasto celibe per 25 anni, aspettando il mio arrivo. Presi le sue stravaganti affermazioni con un briciolo di sale, ma lentamente incominciai ad innamorarmi. Mi invitò a volare da San Francisco a Città del Messico per incontrarlo.

Amy Wallace e Irving Wallace

Estratto dal Capitolo 12 di Sorcerer’s Apprentice: My Life with Carlos Castaneda
Messico con Castaneda

Messico con Castaneda! Non ero mai stata in Messico, e ora stavo andando con l’ultimo e più grande dei brujos nella sua dimora magica. Lui mi avrebbe rivelato i suoi segreti sciamanici. Mi figurai una Disneyland del paranormale; Carlos e io che strisciavamo oltre i cactus dentro a caverne sotterranee, dove avremmo bevuto strane pozioni che alteravano la mente e avremmo conversato con antichi maghi. Avremmo esplorato i "posti di potere" che aveva descritto nei suoi libri. Avremmo intrapreso i passi per precedere la morte sciamanica che avevamo sognato, "bruciare dall’interno" insieme, in una estatica palla di fuoco, emergendo intatti in un altro mondo, e nulla ci avrebbe mai separato. Quale amante dell’avventura in possesso delle sue facoltà mentali avrebbe mai detto di no?
Volai da San Francisco a Città del Messico dove Carlos mi aspettava all’aeroporto. Mi salutò nervosamente, e mi fece entrare in un’auto guidata da un giovane affabile e raffinato nel parlare, Marcos Antonio Karam. Tony aveva creato e dirigeva un Istituto Buddista a Città del Messico, Casa Tibet, ed era un tipo eccezionale – amico del Dalai Lama, e calamita per avvenimenti paranormali. Carlos l’aveva soprannominato benevolmente "Tony Lama", e Tony lo chiamava "nagualito".

Marcos Antonio Karam
Vicino a Tony sedeva uno dei suoi associati, Marivee, un simpatico uomo di mezza età.
Carlos mi attirò verso di sé, sbaciucchiandomi ardentemente sul sedile posteriore dell’auto finché non mi intimidii.
"Davanti ai tuoi amici?" Sussurrai.
"Loro neanche se ne accorgono," insistette, amoroso come un adolescente in un drive-in.
Passammo due giorni di continua attività insieme, un’ininterrotta girandola di incontri con gli affascinanti amici di Carlos, incluso Fausto, l’editore messicano di Carlos, presentato come "mio nipote." Carlos fece conferenze di tre ore l’una in spagnolo, che non capivo, a piccoli gruppi adoranti, dando anche dimostrazioni di alcuni semplici movimenti di Tensegrità. Un discorso ebbe luogo nella sala conferenze di un’agenzia di viaggi, un altro in un piccolo Istituto New Age. Una donna svenne istrionicamente per lo shock di trovarsi nella stessa stanza con il nagual. Lui non si scompose, e qualcuno la trasportò fuori. La vita con Castaneda era incessantemente drammatica.
Carlos volle farmi sedere su una sedia al suo fianco davanti al primo gruppo a cui parlò; come al solito mi veniva concesso un tremendo onore di cui non avevo idea. Dopo un’ora gli sussurrai all’orecchio che andavo a fare una passeggiata. Era la mia prima sera, e non mi ero mossa fin dal lungo viaggio in aereo; lui insistette che Marivee mi scortasse. Ripensandoci, mi sono accorta che avevo infranto seriamente l’etichetta piantando in asso il nagual; e privando Marivee della rara opportunità di udire una conferenza. Ma Carlos e Marivee furono così carini che non sospettai mai il mio errore.
Seppi che durante la conferenza Carlos aveva insegnato la fondamentale meditazione della "ricapitolazione", dove si fa una lista di tutti i propri incontri; seguita da una lista di tutte le persone che ci si ricorda di aver mai incontrato. Ci possono voler mesi di lavoro costante solo per fare la lista. Alla fine, si dà inizio al compito erculeo di respirare via il potere nocivo contenuto in quelle interazioni umane. Questa era la pratica fondamentale di Carlos, scarsamente spiegata nei suoi libri.
Alloggiavamo in un modesto e piacevole hotel, il Maria Cristina, in stanze separate. Molto presto avremmo condiviso un’unica stanza, ma per il momento era rischioso. "Potrei volare via e non tornare più indietro!" esclamò. Quando vidi la mia stanza ebbi uno schiacciante dejà vu – conoscevo la stanza, l’arredamento, ogni cosa. Lo dissi a Carlos, che ne fu estremamente compiaciuto, ma come al solito non si dilungò sulle esperienze paranormali degli apprendisti. Al mattino Tony diede a Carlos alcune foto che lui si rifiutò di mostrarmi, dicendo solo che erano foto dei voladores, o "volatori" – vampiri di energia disincarnata che mangiano in continuazione la nostra consapevolezza, creature alle quali aveva alluso a lungo. Lui insistette che Florinda doveva essere la prima a vedere le foto, e come fidanzata di Carlos, questa segretezza mi feriva.
Trovavo gli amici di Carlos incantevoli. Tony era il mio favorito, e pranzammo insieme parecchie volte. Lui preferiva una buona cafeteria stile familiare, mentre Carlos amava la cucina raffinata. Durante un pranzo tirò fuori dalla tasca uno squisito orologio, che sembrava all’incirca del 1940. Lo fece girare fra gli altri, dicendo che era appartenuto a don Juan. Dovunque mangiassimo, Carlos ordinava per sé una bistecca: la considerava la chiave della salute dietetica. Ma quando arrivò il mio piatto di enchiladas fumante con salsa verde, iniziò subito a mangiarne, compresa la crema acida e il resto. Mi piacque quel gesto da "sposato", che mi ricordava la mia famiglia ebrea a tavola. Carlos affermava, in effetti, di essere un ebreo Sefarita tramite sua nonna materna.
Carlos mi condusse nel magnifico Museo Antropologico di Città del Messico. Mi avvisò che la visita avrebbe spostato il mio punto di unione, e avrebbe potuto stancarmi profondamente. Questa sarebbe stata la prima di molte visite, mi disse, così avremmo dovuto badare a "toccarlo leggermente". La sua prima preoccupazione fu di mostrarmi mezza dozzina di larghe statue che, disse, rappresentavano le streghe e le Chacmools, secondo la sua teoria non convenzionale sulla reincarnazione chiamata "ciclicità", che promise di spiegarmi in seguito.
Il clou della visita fu quando mi condusse in una piccola stanza, indicò con un gesto il muro e disse, "Qui! Puoi vederlo? Capisci?"
Sul muro c’era un’antica maschera funeraria che Carlos mi disse rappresentava lo spirito di mio padre, era mio padre, in qualche modo – non semplicemente una somiglianza. Assomigliava così tanto a Irving che mi lasciai sfuggire un grido quando la vidi, e mi seppellii il volto tra le mani per nascondere le lacrime.
"Piccola mia," disse teneramente Carlos, "è tempo che ti riposi. Come ti ho detto, stare con il nagual è una tale pressione! Ti fa sentire stanca finché il tuo corpo non si adatta. E vedere Irving! Quello è Irving, sì o no?" Gli occhi di Carlos brillavano di lacrime represse. Ancora una volta mimò le loro solite conversazioni sull’aspetto giovanile, aggiungendo,
"Amy, credimi, eravamo una coppia di vecchi ronzini, e avevamo un aspetto di merda, e mentivamo come maniaci ogni anno e ne ridevamo come matti, e lo sapevamo! Era meraviglioso! E ogni volta che vengo qui – e sono venuto qui per decenni – dico ciao ad Irving. Per anni l’ho salutato. ‘Irving,’ dico, ‘Come stai? Sembri più giovane che mai!’"
Carlos si asciugò le lacrime, e mi condusse fuori.
Uscimmo fuori dal museo per prendere un po’ d’aria. In quello stesso momento stava cominciando uno dei più famosi eventi culturali di Città del Messico. Sul terreno del museo si innalzava un palo notevolmente alto – sembrava alto decine e decine di metri, come se, nel mio stato di acuta immaginazione, stesse sfiorando le nuvole, cercando di arrivare fino alle prime stelle del crepuscolo.
Sei uomini, che avevano cinture di cuoio solo attorno ai piedi, si arrampicarono sul palo. Indossavano piccoli perizomi colorati, esponendo i magnifici corpi snelli. Sembravano creature di un mondo così lontano che potevano essere esistiti solo in uno dei libri di sogni di Carlos. Mi disse che erano conosciuti come "voladores", o "volatori", senza riferimento ai volatori delle foto di Tony.
Erano felini e homo-sapiens insieme – tutti grazia e vigore e sublime concentrazione. Una svista significava la morte anche con le bande di cuoio – le bande potevano spezzarsi con facilità.
Senza scambiarci una parola o uno sguardo, semplicemente tenendoci per mano, mi sentivo certa, come lo sono gli amanti, che Carlos e io ci comprendevamo l’un l’altro. Tutto della vita ammontava a questo momento di audacia, in alto e senza protezione. L’arte dei voladores, il loro teatro, ripetuto per centinaia d’anni, aveva lo scopo di svegliarci davanti alla succulenta, terrificante imminenza della nostra fine. Essi incorporavano la filosofia dei libri di Carlos, che la morte deve sempre "essere considerata come il nostro consigliere, sempre presente sopra le nostre spalle."
La gente aveva aspettato tutto il giorno questa esibizione. Carlos credeva che il fatto che fossimo usciti dal museo proprio nel preciso momento in cui la danza aveva inizio, fosse un potentissimo segno, che significava la forza del nostro amore. Quando vide iniziare l’esibizione, i suoi occhi si riempirono nuovamente di lacrime -- era la prima volta che lo vedevo piangere apertamente.
"Cercano di raggiungere l’infinito, Amy. Sanno che la loro cerca è inutile, ma si arrampicano e si arrampicano e non si arrendono mai. Loro si protendono . . . quello è l’uomo che spezza le catene, che combatte fino in fondo per uscire dalla prigione, quando sa che la sua lotta è senza speranza ma che nulla lo fermerà. Lui è colmo di gioia, dice, ‘Fa ‘n culo! Fa ‘n culo Dio stesso! La felicità sta nel viaggio.’ Allora lui possiede ogni cosa. Quando quello che hai è più che abbastanza, allora, amore mio, e solo allora, sarai sull’orlo dell’impeccabilità. Qualcosa vede; e quel qualcosa ama la nostra lotta."
Ci baciammo. I danzatori avevano raggiunto la cima. Rimasero attaccati per le corde alle caviglie, ma le srotolarono, cosicché essi caddero, splendidamente, in fuori, tra le braccia del cielo. Volteggiavano e ondeggiavano in tondo magnificamente, danzando con la morte con una precisione e disciplina che trovavo quasi inconcepibile anche mentre li guardavo.
"Una volta", disse Carlos solennemente, "ero con don Juan e ci venne dato questo stesso segno – siamo usciti fuori e c’erano i voladores, che stavano cominciando ad arrampicarsi. Mentre roteavano contro il tramonto, un’enorme aquila, con le ali grandi così!, volò attraverso il cielo, sopra il palo, sopra la testa dei danzatori. L’aquila si librò così fantasticamente in alto che divenne un minuscolo punto nella vastità blu; fino a che tutto ciò che rimase fu il nostro ricordo del suo volo."
Ritornammo in albergo in silenzio. Bussai alla porta di Carlos, in vestaglia di seta pallida.
"Sembri una suora," disse con aria stupita. Mi baciò il collo, come se fosse qualcosa di fragile. Ci stringemmo l’un l’altro, e facemmo l’amore guardandoci negli occhi. Svanita tutta la timidezza, dissi, "Ti amo."
"Cosa?" Apparentemente scioccato, rispose, "Mi ami?"
"Sì. Ti amo."
"Ah. E io amo te. Tu sei mia, preciosa, tutta mia. Tu appartieni a me, e io appartengo a te, completamente – non c’è nessun’altra, e mai ci sarà. Io sono il tuo uomo, per l’eternità. Prometti di darti completamente a tuo marito?"
"Sì."
"Lo sai cosa stai dicendo?" I suoi occhi avevano una luce inquietante e terribile. "Tu sarai la moglie del nagual. Non potrai mai ritornare. Il mondo – il mondo come lo conosci – per te è perso per sempre. Sono stato così profondamente dentro di te, fuso con la mia adorabile moglie, che . . . tu non sei più umana. Hai detto addio al mondo."
Squillò il telefono, e Carlos rispose cominciando una prolungata conversazione in spagnolo rapidissimo, tanto che non riuscii a capire una parola. Ritornai nella mia stanza.
Dopo 20 minuti bussai alla porta di Carlos. Lo trovai seduto sul letto con la testa seppellita tra le mani. In pantofole e vestaglia, i capelli d’argento scarmigliati, per la prima volta mi sembrò un vecchio.
Mi sedetti al suo fianco. "Cosa c’è?"
"Devo andare da qualche parte, chica."
"Posso venire con te?"
"No, no – io voglio stare qui, con te, ma devo andare via con alcuni indiani."
"Gli indiani dei tuoi libri?"
"No! Degli altri indiani!" Si premette la fronte in un gesto di angoscia.
Mi lanciò uno sguardo sconfitto. "Io non voglio andare! Voglio stare qui, con te, voglio stare con te – ma non ho scelta. Come prima cosa domattina devi prendere l’aereo per tornare a casa. Vai a dormire, mia cara – ti sveglierò alle cinque."
Sfiorò una ciocca di capelli dietro al mio orecchio sinistro, e teneramente mi baciò il collo.
"Così l’altro lato non si sentirà solo," disse, baciandomi l’orecchio destro. Aveva lo sguardo melanconico e un’aria di consumata tristezza.
"Ti metterò sull’aereo, e ti telefonerò appena posso, mi corazon. Ti amo."
 

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