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ZeRo di nome e di fatto (classici episodi di un non-nato)

 Stamattina sono andato in comune per rinnovare la carta d'identità e la (nuova) impiegata mi dice che c'è un piccolo problema con la mia vecchia identità.

Non esisto e risulto "non nato"...


Il che potrebbe essere una buona notizia da un punto di vista spirituale, ma qui non siamo in un centro spirituale per attestare la mia autorealizzazione, per cui la notizia non sembra affatto positiva.

Chiedo spiegazioni e mi fa notare che sul computer non appare la data di nascita, o meglio manca l'attestazione del mio atto di nascita.

Le faccio notare che sono stato adottato e che i miei genitori adottivi possiedono tutta la documentazione relativa all'adozione - incluso il certificato di nascita. Le faccio inoltre notare che ormai ho 37 anni, per cui è molto strano che i suoi precedenti colleghi non si fossero mai accorti di quell'anomalia.

Quindi le chiedo di controllare tra le vecchie scartoffie, ma a quanto pare non si trova niente... Zero dati sulla mia nascita.

A quanto pare "io" non esisto!

Questo lo sapevo già... l'auto-realizzazione in fondo consiste proprio (o anche) in questo azzeramento dell'identità individuale e della storia personale, però non credevo che il destino fosse stato così geniale da giocarmi questo brutto scherzo.

Visto che con il covid vanno di moda le autocertificazioni, le faccio una battutaccia e le chiedo se posso fare un’auto-certificazione della mia nascita in cui confermo che esisto, ma la tipa non sembra in vena di scherzi per cui evito la seconda battuta sulla mia morte e rinascita.

Poi volevo approfittare della situazione per collegare l’accaduto (o il non-accaduto) al fatto che ho appena concluso una trilogia intitolata "senz'io si vive a Dio", giusto per condividere qualche intuizione con una perfetta sconosciuta, ma dall'espressione del suo volto mi accorgo che non era neppure interessata alle mie strambe realizzazioni spirituali.

La mia non-esistenza sociale o virtuale sembrava metterla piuttosto a disagio e visto che lei sembrava più preoccupata di me fingo di essere altrettanto preoccupato e cerco di rimanere serio. La giovane impiegata mi avverte del fatto che in assenza dell'atto di nascita non ho diritto a certe opportunità sociali. Ad esempio - mi dice con tono allarmato - non posso sposarmi.

Io sorrido e le rispondo che il matrimonio è l'ultimo dei miei pensieri e che per me è una fortuna non potersi sposare... in tal modo avrei la scusa pronta da fornire alla mia prossima compagna: "scusa amore, non posso sposarti perché non sono mai nato..."

Poi vedo la sua fede nuziale e capisco che non era la persona giusta per fare battute sul matrimonio.

Con la solita serietà mi fa notare che c'è poco da scherzare: in quelle condizioni non avrei diritto a niente, potrei avere problemi col notaio e in fondo quell’atto è un elemento basilare dell'identità di un cittadino, qualcosa che contraddistingue l'inizio della propria storia, della propria esistenza... ma a quanto pare la mia esistenza non ha un inizio.

Alla fine lei cerca in mezzo agli archivi ma non trova nulla. Ovviamente si mostra dispiaciuta per un problema dovuto evidentemente a un’inottemperanza di un vecchio dipendente comunale e rimaniamo d'accordo che mi richiama dopo aver contattato il tribunale di Brescia.

Visto che per lo Stato non esisto volevo proporle di cambiare il nome in ZeRo, ma poi ho desistito. Forse era meglio non peggiorare la situazione. Se mi registrassi come Zero perderei i privilegi legati alla mia precedente/attuale pseudo-identità sociale...

Ad ogni modo questo buffo episodio può essere letto in tanti modi e può essere visto attraverso una marea di insegnamenti che sono stati - involontariamente - confermati da una tragicomica svista burocratica.

Una lettura interessante dell'episodio è quella per cui non faccio parte di questo Sistema, non appartengo a questo mondo - come diceva Cristo "NEL mondo ma non DEL mondo".

Un'altra associazione che la mia mente ha fatto in automatico è stata quella con l'idea orientale del "non-nato" o del "morto in vita".

Allo stesso tempo mi è venuto in mente che dall'illuminazione - o dalla morte in vita - non si ottiene niente.
Poi ci sarebbe il discorso sulla cancellazione della storia personale.

Oppure si potrebbe pensare alla conferma che questo sistema sociale è un sistema fallimentare, un sistema di errore e disperazione (come lo chiamava Nisargadatta).

Infine ci sarebbero tutte le riflessioni sul sogno planetario, sul mondo delle apparenze, sullo stato "senz'io", etc...

Insomma alla fine il destino ha voluto che fossi Zero di nome e di fatto.

E quindi qual è la morale della favola?

Cosa ho imparato da questo episodio?

Anzi, cosa dovreste aver capito dalla mia disavventura?

Dovreste aver intuito che quello che dal punto di vista sociale sembra un grosso svantaggio, in realtà - dal punto di vista spirituale - è una liberazione.


(ZeRo)




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