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LEO - OLTRE LE SOGLIE DEL SONNO


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Come lo vive il tipo umano comune, il sonno è un annullamento della coscienza, una specie di morte apparente illuminata  dal miraggio dei sogni. Anzi tanto più il sonno è profondo e la coscienza sommersa, tanto più si è soddisfatti, come se la condizione ideale fosse raggiunta.
Ma quando si è conseguita una maggiore introversione, quando la vita interiore, fortificata, diviene preponderante e il mondo esterno cessa di essere sentito come l’unico centro di interesse – si ha vagamente il senso che la vita del sonno sia una continuazione invece di una pausa, una integrazione della vita di veglia invece di un’interruzione brusca, periodica ed incomprensibile.

E’ inutile cercare la spiegazione del mistero del sonno quando non si sia capaci di un mutamento nell’orientazione della coscienza individuale. Il fallimento delle teorie scientifiche che hanno voluto affrontare l’enigma è dovuto al fatto che si voleva spiegarlo con i mezzi usati nelle ricerche dei fenomeni esteriori. Nel corpo fisicamente parlando non è stata trovata né mai si troverà una vera spiegazione, perché nel corpo si può dire che nulla avviene quando si cade in sonno: il corpo subisce il sonno, il mutamento vero non è nell’ordine fisico e corporeo. Qualche cosa di invisibile si allontana dal corpo e porta con sé la coscienza. I fenomeni vitali ordinari continuano, ma la connessione della vita psichica col cervello è interrotta.
Riconnettendosi a quanto finora è stato esposto in queste pagine, riguardo al « corpo sottile », qui noi possiamo constatare una specie di sdoppiamento in esso.
Un gruppo di forze, in esso, che è volto a dar forma e vita, resta nel corpo fisico addormentato, che in ciò è differente da un cadavere. Il gruppo delle forze che presiedono al pensiero, al sentire ed anche ai vari impulsi all’azione sembra allontanarsi per vivere una vita propria. E’ così che la soluzione  dell’enigma non può essere data da una ricerca materiale e nemmeno da nozioni teoriche, ma invece da una conquista della coscienza che è un ampliamento ed una trasformazione, il dischiudersi dell’occhio su di un nuovo orizzonte interiore.
Come fu già accennato, il primo passo è costituito da un cangiamento di attitudine verso la notte e il sonno. Bisogna reagire contro la tendenza ad abbandonarsi così come contro il senso, che la notte sia il regno della tenebra. La notte, invece, è un risveglio cosmico, un affiorare, un palpitare e un risuonare di forze spirituali che la luce fisica solare sopraffa con la sua violenza. E’ un sole spirituale che sorge e che il nostro corpo sottile va a cercare orientandosi verso di esso. Bisogna coltivare un senso di aspettazione per una forma di vita incommensurabile più libera ed estesa della vita ordinaria di veglia.
Qui è il caso di prevedere una obiezione e di rispondervi subito. Si potrebbe dire che una simile attitudine che tende a fare del sonno una super-veglia andrà ad interferire con ciò che più si domanda al sonno, cioè il riposo e la riparazione delle forze fisiche. Ma non è così. Avviene anzi il contrario: fin da questo stadio dell’esperienza la riparazione organica  risulta più rapida e completa, come se già si cominciasse a mettersi in rapporto con le forze riparatrici ed a collaborare con esse. E così si rileverà che cessa il bisogno di un impietramento di otto o dieci ore da cui ci si risveglia soddisfatti ed istupiditi – ma dopo pochissime ore ci si risveglierà spontaneamente in uno stato di vivacità, di pienezza e di freschezza e con un senso speciale di libertà, di coraggio e di superiorità attiva di fronte al nostro compito quotidiano.
Dopo aver coltivato per qualche tempo l’attitudine di cui abbiamo ora parlato, dovremo cercare di fare un altro passo innanzi. Da uno stato di coscienza all’altro, nell’addormentarsi, vi è un momento di oscuramento e di discontinuità che bisogna superare. Bisogna gettare un ponte che conduca dall’altra parte il nostro Io nella sua pienezza di essere d’istinto e come di fronte ad un altro mondo esterno di là da quello dei sensi fisici. Bisogna apprender l’arte dell’addormentarsi .
Bisogna giacere sul letto col capo al quanto rilevato. L’abitudine, che oggi tende a prevalere, di dormire con la testa a livello del corpo o quasi, se non anche più bassa, è una pessima abitudine che si basa su questo errore: « Più sangue nella testa, più nutrimento della sostanza nervosa ». In realtà, un maggiore afflusso di sangue significa compressione della sostanza nervosa – e dal punto di vista iniziatico noi sappiamo che il sangue è qualcosa di più che un veicolo di sostanze riparatrici di fronte hai tessuti: esso è un fluido che porta in se molto del mondo esterno, oscure immagini del mondo esterno, e può comunicarle al cervello durante il sonno imprimendogli così un’attività disordinata e irrazionale. Può portare anche ciò che vi è di caratteristico e di patologico negli organi che attraversa e influenzare in tal senso i sogni.
Invece se il carico del sangue non è troppo forte, un cervello opportunamente allenato può conservare la calma e la ricettività necessarie per ricordare al mattino le esperienze realizzate entro il corpo sottile.
Così pure lo stomaco dovrebbe essere già vuoto, perché la pressione sul diaframma e sul plesso ciliaco può disturbare gli organi corrispondenti ai centri del corpo sottile ed alterare e inibire sin dal principio la ricettività ai ritmi.
Abbiamo già detto che un gruppo di forze restano, durante il sonno, nel corpo addormentato. Quando anche esso si sottrasse, al sonno subentrerebbe lo stato catalettico. Così per ora non si deve cercare di staccare questo gruppo di forze, ma far sì che esso acquisti una mobilità che lo renda al quanto indipendente e più orientato verso il corpo sottile che non verso quello fisico. Ne seguirà una ritmizzazione ed un rallentamento della respirazione e della circolazione sanguigna, il che costituisce uno stato estremamente favorevole alle esperienze nella vita del sonno. Anzi il gruppo delle forze vitali e formative funzionerà come un intermediario tra il corpo fisico e ciò l’Io sperimenta in un modo immateriale.
Questo gruppo di forze in certe condizioni assume l’autonomia di un vero corpo vitale che, come si è già detto, dovrà avere una certa mobilità nel corpo fisico. Appena il sonno comincia a sopravvenire, è il momento migliore per esercitarsi a determinare questa mobilità: bisogna immaginare di poter girare intorno ad un ipotetico asse del corpo – da sinistra verso destra – e in quel frattempo mantenere una immagine o simbolo che si riferisca alla nostra natura spirituale, intonato ad un senso del divino, ad un senso di elevazione. Si può avere un concetto chiaro nella mente e fare l’esercizio per la mobilità in piena coscienza a distacco già iniziato, poiché questo dapprima si verifica nelle mani e nelle braccia.
E’ possibile fare un piccolo esperimento per verificare ciò. Si tenga un oggetto qualunque in una mano che sporga fuori dal letto: ad un certo punto avvertiremo che esso è caduco e sentiremo di aver perduto il senso della posizione della mano stessa. Se per un tempo sufficiente ci addormenteremo con il concetto di cui abbiamo sopra parlato, al mattino ci sveglieremo con quel concetto  + x. Voglio dire che qualche cosa vi resterà unito che diverrà sempre  più distinto, e sarà un ricordo, un senso della nostra vita cosmica notturna.
Bisogna non aver fretta ad interpretare e spiegare – la chiarezza deve venire da sé, non per l’intervento del cervello fisico – ed ogni anticipazione è una deformazione. Bisogna aver l’animo completamente libero, perché è possibile che le rivelazioni contrastino con  i nostri giudizi e i nostri desideri allo stato di veglia sia su sé che sulle cose. La critica potrà venir dopo – intanto noi dobbiamo frenare le reazioni istintive  e l’inclinazione a comprendere secondo gli schemi prestabiliti della nostra mente e del nostro sentimento.
Naturalmente, non è tutto qui. In realtà tutte le nostre attività del giorno dovrebbero essere  opportunamente orientate. In coloro che sono giunti alla maturità necessaria, il resto verrà da se: essi scopriranno spontaneamente altri atteggiamenti e le applicazioni possibili nella vita quotidiana. Accanto alle nostre occupazioni ordinarie il senso della luce interiore rimarrà sempre, calmo e costante.
Si tenga poi presente che per ogni conquista spirituale è mortale il nostro senso di « egoità corporea » o « animale » – ben diverso dal senso vero dell’Io – cioè il senso che ha di se chi è intento soltanto ad afferrare tutto ciò che può per soddisfare la sua natura di essere limitato ed avido. « Sic nos non nobis » – è la migliore divisa per l’attitudine da assumere. Chi si guarda indietro a contemplare quel che ha ottenuto e a goderne, si paralizza e si impietra – come la biblica moglie di Lot – decade come Narciso, ucciso dal suo essere dall’amore per la sua propria immagine.







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