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Dipinti di arcobaleno di Tulku Urgyen Rinpoche

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L’essenza è di per sé completamente libera dal pensiero concettuale, eppure, nello stesso tempo, la sua espressione è il pensiero concettuale.
Non fissate la vostra attenzione sull’espressione: riconoscete, piuttosto, l’essenza.
In questo modo l’espressione non ha il potere di sussistere, ma semplicemente crolla o si riassorbe nell’essenza.
Finché esistono un soggetto e un oggetto del riconoscimento, si tratta sempre della mente dualistica.
Prima osservate e poi allentate:
«Stringi con forza e allenta del tutto: così troverai il punto di vista essenziale». 
‘Stringi con forza’ significa semplicemente osservare l’essenza della mente: senza osservazione non c’è riconoscimento. 
‘Allenta del tutto’ significa rinunciare o abbandonare l’idea di riconoscere: si riconosce che non c’è nulla da riconoscere. 
Lo stato risvegliato non è qualcosa che si possa identificare o individuare: questo è essenziale.
Aggrapparsi a un soggetto e a un oggetto del riconoscimento non è altro che un atteggiamento mentale dualistico. Riconoscete che non c’è nulla da riconoscere e poi lasciate andare tutto. Rimanete senza ‘osservatore’ e ‘osservato.
Si menzionano cinque modi di liberarsi. Il quinto […], ‘universalmente liberato’, significa che, qualsiasi tipo di manifestazione o di stato si presenti, è allo stesso modo libero.
Non è rilevante quale tipo di emozione o pensiero si manifesti: tutti si liberano quando si riconosce il rigpa.
[…] 
‘Primordialmente liberato’ si riferisce allo stato risvegliato, ma se si parla della mente dualistica, questa non è primordialmente liberata, deve essere liberata-purificata-dissolta.
Quando si riconosce che la propria essenza è purezza primordiale, i pensieri che sorgono interiormente si dissolvono di nuovo interiormente, nella dimensione della nostra natura: non vanno da nessuna altra parte, questo è il significato di autoliberazione che sorge spontaneamente. 
[…]
Ciò che considera o osserva la natura di Buddha si chiama presenza mentale, o attenzione costante, nel senso di sorvegliare ininterrottamente la natura di Buddha come un vaccaro fa la guardia alla sua mandria. […] Perciò ci sono due elementi: la natura di Buddha e l’attenzione costante, il ‘non dimenticarla’. 
[…]
Fin dall’inizio la vacuità si sperimenta senza bisogno di costruirla: si dà importanza al processo di spogliare la consapevolezza fino alla sua condizione di nudità totale, senza generare attaccamento alla vacuità”.
I pensieri nascono da voi e, se ne riconoscete la sorgente, si dissolvono in voi.  Riconoscere significa vedere che la natura della mente è chiara, vuota e senza limiti.
Il soggetto che ‘conosce’ è, in essenza, vuoto. È chiaro per sua natura, e la sua capacità è senza limiti.
Nel momento in cui siamo in preda alle forme mentali abituali o alle onde incalzanti delle emozioni, per esempio dell’ira, è molto più facile riconoscere il nudo stato di consapevolezza. Questo non accade se si è allenati solo allo stato di meditazione calmo e tranquillo in cui non sorgono pensieri ed emozioni negative. Durante lameditazione, a causa del  ‘morbido piacere’, è in realtà molto più difficile riconoscere lo stato autentico della mente non dualistica.
Allenandoci solamente a una condizione di serenità potremmo rimanere, per la durata di eoni, in un ininterrotto stato profondamente assorto. Questo stato è simile a un’intossicazione indotta dal piacere spirituale della pace e della tranquillità.
È proprio l’intensità dell’emozione che permette una più acuta introspezione nell’essenza della mente.
Oppure se improvvisamente proviamo un senso di paura, come quando siamo inseguiti da un branco di cani rabbiosi, e la mente è come pietrificata, se in quel momento, anche se è molto difficile, riusciamo a ricordare di riconoscere l’essenza della mente, la nostra visione interiore sarà più potente della normale condizione di introspezione (frutto della pratica meditativa).
Occorre fare in modo che l'atto di riconoscere, colui che riconosce e l'oggetto riconosciuto  siano simultanei, senza che tra di loro trascorra il benché minimo lasso di tempo.
Se perdiamo la presenza cominciamo a vagare nella ‘nera dissipazione’ delle ordinarie e abituali forme mentali. Il pensiero discorsivo è distrazione, ma, quando ne riconosciamo l’essenza, ci possiamo spingere verso la condizione senza pensieri.
Dobbiamo accorgerci quando siamo distratti … «Sto cominciando a divagare»: riconoscendo l’identità di chi si è distratto, automaticamente ritorniamo al punto di vista primordiale. Ricordare è come il momento in cui si preme l’interruttore della luce interiore.
Anzitutto si applichi il metodo: quando si entra nello stato naturale [cioè lo stato di non distrazione] lo si lasci semplicemente continuare. Naturalmente, dopo un po’, l’attenzione comincia di nuovo a scomporsi e possiamo non accorgerci della distrazione, poiché è spesso molto sottile e arriva di soppiatto, come un ladro. Ma quando ce ne accorgiamo, dobbiamo far funzionare la presenza e rimanere in una condizione naturale. Questo stato naturale è la presenza senza sforzo.
La capacità di riconoscere che l’essenza della mente è vuota si chiama ‘chiarezza’. Se la mente fosse solamente vacuità, spazio nudo, cosa o chi saprebbe che è ‘vacua’, ‘vuota’, ‘nulla’? Non vi sarebbe conoscenza. Vacuità e chiarezza sono indivisibili.
La mente è già sia chiarezza che vacuità.
C’è solo un riconoscimento iniziale, che in seguito non richiede abilità né il tentativo di migliorarlo. Questa è la meditazione, o meglio la ‘non meditazione’.
L’allenamento consiste semplicemente nel ristabilire il riconoscimento.
Se c’è il riconoscimento non c’è altro da fare.
Quando cerchiamo di manipolare o fare qualcosa, la natura diventa artificiale.
Questo momento è qualcosa di artificioso o qualcosa che è sufficiente lasciare così com’è, in modo naturale? 
Osservalo.
Se durante la pratica cominciate a pensare: «Forse questo non è lo stato!», «Questo stato non è proprio quello giusto, dovrebbe essere un po’ diverso», oppure: «Penso che questo sia lo stato giusto»,  «Adesso ci sono», «L’ho appena sperimentato!», : «No, maledizione, adesso è scivolato via!»... Allora questa non è naturalezza spontanea.






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