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Rupert Spira - frasi, aforismi, riflessioni sulla Non dualità - Advaita Vedanta

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“La prima cosa che sappiamo con assoluta certezza è che esistiamo. […] Il senso di essere è la nostra esperienza più intima, diretta e familiare. […] In altre parole, essere presenti è una qualità intrinseca al nostro sé. […]

Il nostro essere, il nostro essere presenti, è evidente in questo preciso istante. […] 


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Se qualcuno ci chiedesse: «Sei presente?», forse ci prenderemmo un attimo di tempo e poi risponderemmo: «Sì». In questa pausa entriamo in contatto con l’esperienza più intima e più diretta di noi stessi, ed è da questa esperienza che proviene la certezza della nostra risposta. […]


È la nostra esperienza più intima e diretta il fatto che ‘io’ sono non solo presente, ma anche consapevole. Per questo motivo il nostro sé è anche definito consapevolezza, ovvero presenza consapevole. […]


Dimenticare il fatto che siamo è ciò che sta dietro a tutti i nostri pensieri, sensazioni, azioni e relazioni […]. Ma cos’è che dimentica il semplice fatto di essere, che dimentica la consapevolezza consapevole di se stessa? Ovviamente non è il nostro essere, perché questa conoscenza non è qualcosa che facciamo: è ciò che siamo.


È il pensiero che oscura apparentemente questa semplice conoscenza e ci fa credere che il nostro essere sia qualcosa di diverso dalla presenza consapevole. […]


La prima caratteristica che attribuiamo al sé, al semplice sapere di essere, è l’idea che il nostro essere risieda nel corpo-mente, sia costituito dal corpo-mente e limitato al corpo-mente. Lo consideriamo interno al nostro corpo-mente, mentre tutto il resto è all’esterno. Questa è la credenza di fondo responsabile del presupposto alla base di tutta la nostra cultura: la divisione dell’esperienza in due parti. Da una parte un soggetto interno, separato, il sé che percepisce e conosce, e dall’altra un oggetto esterno, anch’esso separato, che viene percepito e conosciuto. […]


Il nostro sé essenziale è la presenza consapevole sempre presente che conosce pensieri, sensazioni, immagini, ricordi, emozioni e percezioni, ma che non è niente di tutto questo. Perciò è definibile come ‘vuoto’, […] ma in realtà piena di presenza e consapevolezza. […]


Lo spazio non oppone nessuna resistenza agli oggetti che contiene o alle attività che vi si svolgono, perché in esso non c’è alcun meccanismo di resistenza o di rifiuto. […]


Il sé […] è un vuoto e aperto ‘sì’ a tutto ciò che si manifesta. […] Il sé è quindi intrinsecamente pace, una pace che non dipende da nulla di ciò che si manifesta. Assiste a qualunque agitazione, […] e questa assenza di resistenza o di agitazione è l’esperienza della pace. […] Se riconosciamo la vera pace che è il sé, presente in tutte le situazioni, allora il corpo, la mente e il mondo ne saranno profondamente influenzati e sempre più permeati, iniziando così a risplendere della pace della nostra vera natura”.


[ Da: Rupert Spira, La presenza consapevole ]


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Quando la Coscienza Infinita si contrae per diventare ciascuna delle nostre menti, perde la conoscenza di essere quell’Infinito; sacrifica la conoscenza del suo stesso essere, la pace e la felicità intrinseche di questo stato per poter creare.


In altre parole, rinuncia alla propria libertà e consente a se stessa di diventare limitata. E, anche se lascia una traccia di se stessa in ciascuna delle menti finite, sotto forma di desiderio di felicità e di libertà, quella felicità e libertà vengono filtrate attraverso i limiti di ciascuna mente limitata. 


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[…] Quando noi cerchiamo qualcosa, andiamo fuori dal nostro Essere, cioè, andiamo “da” noi stessi “verso” gli oggetti della nostra ricerca. Ma ciò che cerchiamo veramente è il nostro Sé. Tutto ciò che possiamo trovare fuori di noi è un oggetto di esperienza, ma un oggetto di esperienza non potrà mai soddisfarci. L’unico posto in cui possiamo trovare soddisfazione è nel nostro essere. […]


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Accesso diretto a Dio - Rupert Spira 

Quando la nostra attenzione viene portata alla conoscenza del nostro proprio Essere – che ciascuno di noi sa essere l’esperienza di “Io Sono” – cominciamo ad andare verso il nostro proprio Essere. Quando sentiamo parlare del nostro Essere, cominciamo già ad andare lì. A qualche punto della nostra strada, arriviamo lì. In realtà, non è che veramente arriviamo lì, o andiamo lì, questa è solo una metafora. In altre parole, quando sentiamo parlare del nostro Sé, è come se il conoscere il proprio Essere risplendesse e noi venissimo portati lì; qualcosa nelle parole, in una frase, ci porta lì. Allora, quando andiamo lì, per così dire, noi tocchiamo la nostra vera natura, noi ci conosciamo veramente per come siamo. In quel momento senza tempo, perché l’attività della mente è assente, compare un rilassamento del corpo e della mente, magari non completo, ma alcune delle contrazioni, che sono il sé separato, si rilassano e accade uno sbrigliamento della tensione derivante dalla separazione. Quello sbrigliamento, quel rilassamento del corpo può essere espresso in vari modi: lacrime, risate, pelle d’oca, tremiti, sensazioni di malessere o sensazioni di piacere, come un’onda dolce che si diffonde nel corpo, o anche come se qualcosa in noi si spezzasse. Può sembrare di essere stati scossi da un terremoto e in questo caso è spiacevole. La forza della nostra conoscenza di “Io Sono”, che tutti noi conosciamo, non è la conoscenza di qualcosa, non è qualcosa che la mente conosce, bensì è una sorta di “buco” nella mente, è un accesso diretto a Dio. Ora, è questa un’esperienza straordinaria? È qualcosa a cui io ho un accesso speciale e tu non hai accesso? È qualcosa che richiede un tuo interesse alla non-dualità affinché tu possa accedervi? È ciò che ciascuno di noi essenzialmente è. Fonte: http://www.non-dualita.it/autori/ La naturale trasparenza e apertura del corpo. “Abbiamo idee e immagini del corpo, ma ovviamente il corpo non è un’idea né un’immagine e la nostra reale esperienza del corpo non corrisponde alle immagini che ne abbiamo. […] Quando si vede che non esistono un corpo o un mondo, come vengono normalmente concepiti, questo punto di vista immaginario svanisce e si instaura di nuovo l’unità dell’esperienza, si instaura di nuovo l’amore. Ciò non significa che l’esperienza non sia reale. L’esperienza è assolutamente reale […]. Ciò che viene negato è l’interpretazione che il pensiero sovrappone all’esperienza […]. Il corpo, come un oggetto separato e indipendente, è un concetto che non trova riscontro nella reale esperienza […] Con gli occhi chiusi, l’unica conoscenza che abbiamo del corpo è una sensazione fisica. Anzi, se non facciamo riferimento al pensiero o alla memoria, non abbiamo nemmeno la percezione di un ‘corpo’. Abbiamo solo una sensazione, a cui il pensiero applica l’etichetta ‘corpo’. […] Ma nemmeno questo è esatto: senza il pensiero non potremmo nemmeno definire la nostra esperienza una ‘sensazione’: è pura, intima esperienza priva di nome. […] Seduti sulla vostra sedia, fate la reale esperienza del corpo. […] Entrate in questa sensazione. […] L’esperienza diretta ci fa vedere chiaramente che non esistono né il corpo né la sedia. Nell’esperienza diretta c’è solo una sensazione. Corpo e sedia sono concetti astratti che il pensiero sovrappone all’esperienza. […] Il pensiero non può andare al cuore dell’esperienza e ‘conoscerla’, come se fosse un oggetto esterno, perché l’esperienza è troppo intima […]. Solo l’io immaginario può farlo, ma esclusivamente nella sua immaginazione! In realtà c’è semplicemente un puro e intimo sperimentare che non ha nome, fatto del suo stesso sperimentare, ovvero del sé, la presenza consapevole. […] Entrate direttamente nella sensazione in questo preciso momento. Questa sensazione potrebbe essere simile a una piccola Via Lattea: un ammasso di puntini che fluttuano nello spazio vuoto. Infatti è essenzialmente spazio vuoto. […] Lo spazio vuoto del nostro essere […] ama tutto ciò che tocca. È questo l’unico modo in cui può conoscere qualcosa, amandola […]. Il corpo è come un deposito in cui sono immagazzinati tutti i rifiuti, le ferite, le paure, i fallimenti e le amarezze, che rimangono anche dopo che il pensiero li ha dimenticati. Si sono stratificati nel corpo, colonizzandolo a tal punto che, per molti di noi, il corpo è diventato una rigida rete di tensioni e contratture. Queste impediscono di vedere la naturale trasparenza e apertura del corpo, creando l’impressione che in esso risieda un io separato. […] Ritorniamo alla sensazione e notiamo che, ogni volta che esercitiamo la pura contemplazione, la sensazione si libera da un altro strato di credenze che le sono state sovrapposte. La sua densità, compattezza, la storia e il senso dell’io si dissolvono e iniziamo a sperimentarla nella sua forma pura, nuda. Diventa vuota, aperta, trasparente e luminosa e inizia ad assumere le qualità dello spazio consapevole del nostro essere, in cui la sensazione appare. Entrate sempre più a fondo nella reale esperienza del corpo. Non vogliamo cambiare niente, ma vederla nella sua realtà, spogliando la nostra visione dagli strati di credenze. Notiamo che più che una sensazione è un sentire“. 

Tratto da:”La presenza consapevole”, di Rupert Spira Fonte del Post: http://www.lameditazionecomevia.it/spira3.htm

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Il non-dualismo spiegato per bene La sensazione del vento sul volto è un’unica sensazione, ma il pensiero la concettualizza, frammentandola in due apparenti oggetti: il vento e il volto. In realtà, la sensazione è una sola e potremmo chiamarla ‘ventovolto’. La divisione di ‘ventovolto’ in vento e volto è una divisione concettuale che sembra dividere l’esperienza in due: volto (io) e vento (non io). Il risultato è che la ‘persona’ e il ‘mondo’ sembrano diventare due entità distinte e indipendenti. Per cui diciamo: “Conosco questo e quello “, “sento il vento”, “ti amo” e “vedo l’albero”. Ad esempio, nella visione di un albero non c’è vedente né visto. Non c’è un ‘io’ interno che vede, né un ‘albero’ che è visto. ‘Io’ e ‘albero’ sono concetti che il pensiero sovrappone alla realtà dell’esperienza, che in questo caso potremmo definire il ‘vedere’. La consapevolezza e la realtà dell’albero non sono due esperienze separate: sono una sola. lo’ e ‘albero’ sono un’unica esperienza, esattamente come il vento e il volto. Non ci sono mai un soggetto e un oggetto dell’esperienza, c’è sempre e soltanto un intimo sperimentare indiviso. Oppure potremmo dire che l’apparente ‘io’ e l’apparente albero condividono la stessa realtà, sono la stessa realtà. È solo un concetto, un’idea, che apparentemente li divide. La separazione è un’illusione e non fa mai parte della reale esperienza. Ciò significa che io non vedo un albero, ma che, nell’esperienza del vedere, io sono l’albero, sono la sua realtà. L’unica sostanza presente nell’esperienza dell’albero è il vedere e il vedere, o più genericamente lo sperimentare, è consapevolezza, il nostro sé. La consapevolezza che è il vedere e la realtà di ciò che è visto non sono due cose separate: sono una sola, identica cosa. Potremmo dire: “Sto alberando”, o “Io, la consapevolezza, sto alberando”. L’essere dell’io e quello dell’albero sono lo stesso essere. L’essere del sé è l’essere delle cose. La mente, il corpo e il mondo apparenti sono l’io che si incorpora/mentalizza/mondifica. Tutte le grandi religioni si fondano su questa comprensione. Ad esempio, nel cristianesimo l’affermazione: “Io e il padre siamo uno” significa che ‘io’, la consapevolezza che vede queste parole o sperimenta qualunque cosa stia sperimentando in questo momento, è una cosa sola con la realtà dell’universo. I sufi dicono: “C’è un unico Dio”. Gli induisti: “L’atman è il brahman, la realtà ultima dell’universo”. I buddhisti: “Il nirvana e il samsara sono uno”. Non è un’esperienza straordinaria, che solo pochi saggi illuminati sono in grado di fare: è l’esperienza intima, diretta e immediata di ciascuno di noi, anche se possiamo non notarla. L’unità dell’io e del mondo è un’esperienza familiare a tutti. La chiamiamo bellezza. Quando siamo colpiti dalla bellezza di un oggetto o di un paesaggio, tutto ciò che ci tiene a distanza o separati dall’oggetto si dissolve e in quel momento senza tempo (senza tempo perché la mente non è presente) comprendiamo la nostra identità con l’apparente oggetto. L’esperienza della bellezza è la dissoluzione dell’apparente ‘oggettualità’ dell’oggetto della ‘soggettività’ del sé, dissoluzione che lascia soltanto l’intimità indivisa dell’esperienza. Naturalmente, quando la mente ricompare ricrea l’io separato e l’oggetto esterno e, di conseguenza, pensiamo e sentiamo ‘io vedo il paesaggio’. Il pensiero attribuisce la bellezza al paesaggio e in quel momento la bellezza è ridotta; dalla rivelazione dell’eterna natura che pervade tutte le cose apparenti a una qualità relativa, attribuita a determinati oggetti e non ad altri. In quel momento vengono creati il tempo e la distanza (o l’alterità), che è un’altra definizione per lo spazio e la vera esperienza della bellezza è di nuovo velata. Sperimentare questa dissoluzione della divisione tra un ‘io’ e un apparente ‘altro’ è l’esperienza dell’amore. Felicità, pace, gioia e intelligenza sono tutti nomi di questo riconoscimento diretto dell’intimità indivisa dell’esperienza. O meglio, tutti i nomi relativi alla mente, al corpo e al mondo si riferiscono, in ultimo, a quest’unica realtà. Per questo motivo amore, felicità e pace sono considerati assoluti, incondizionati. Non dipendono da niente, sono intessuti nella trama stessa dell’esperienza. La sofferenza è sempre dimenticare o ignorare questa semplice esperienza originaria e la felicità è semplicemente lo svelamento di questa ignoranza. Non è una nuova esperienza e non è intermittente. Non può essere data né ripresa. Sembra solo dimenticata o ricordata, ma è come una chiave nascosta sotto un foglio di carta: sembra perduta, ma è sempre stata lì. Solo la mente pensa che pace, amore e felicità siano perduti e ritrovati. La presenza non perde mai se stessa. 

Tratto da:“La presenza consapevole. 

L’esperienza diretta della nostra vera natura“, di Rupert Spira. 

Fonte del Post: http://zeninthecity.org/letture/autori-vari/rupertspira-non-dualismo/

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“La prima cosa che sappiamo con assoluta certezza è che esistiamo. […] 

Il senso di essere è la nostra esperienza più intima, diretta e familiare. […] In altre parole, essere presenti è una qualità intrinseca al nostro sé. […] Il nostro essere, il nostro essere presenti, è evidente in questo preciso istante. […] Se qualcuno ci chiedesse: «Sei presente?», forse ci prenderemmo un attimo di tempo e poi risponderemmo: «Sì». In questa pausa entriamo in contatto con l’esperienza più intima e più diretta di noi stessi, ed è da questa esperienza che proviene la certezza della nostra risposta. […] È la nostra esperienza più intima e diretta il fatto che ‘io’ sono non solo presente, ma anche consapevole. Per questo motivo il nostro sé è anche definito consapevolezza, ovvero presenza consapevole. […] Dimenticare il fatto che siamo è ciò che sta dietro a tutti i nostri pensieri, sensazioni, azioni e relazioni […]. Ma cos’è che dimentica il semplice fatto di essere, che dimentica la consapevolezza consapevole di se stessa? Ovviamente non è il nostro essere, perché questa conoscenza non è qualcosa che facciamo: è ciò che siamo. È il pensiero che oscura, apparentemente, questa semplice conoscenza e ci fa credere che il nostro essere sia qualcosa di diverso dalla presenza consapevole. […] La prima caratteristica che attribuiamo al sé, al semplice sapere di essere, è l’idea che il nostro essere risieda nel corpo-mente, sia costituito dal corpo-mente e limitato al corpo-mente. Lo consideriamo interno al nostro corpo-mente, mentre tutto il resto è all’esterno. Questa è la credenza di fondo responsabile del presupposto alla base di tutta la nostra cultura: la divisione dell’esperienza in due parti. Da una parte un soggetto interno, separato, il sé che percepisce e conosce, e dall’altra un oggetto esterno, anch’esso separato, che viene percepito e conosciuto. […] Il nostro sé essenziale è la presenza consapevole, sempre presente, che conosce pensieri, sensazioni, immagini, ricordi, emozioni e percezioni, ma che non è niente di tutto questo. Perciò è definibile come ‘vuoto’, […] ma in realtà piena di presenza e consapevolezza. […] Lo spazio non oppone nessuna resistenza agli oggetti che contiene o alle attività che vi si svolgono, perché in esso non c’è alcun meccanismo di resistenza o di rifiuto. […] Il sé […] è un vuoto e aperto ‘sì’ a tutto ciò che si manifesta. […] Il sé è quindi intrinsecamente pace, una pace che non dipende da nulla di ciò che si manifesta. Assiste a qualunque agitazione, […] e questa assenza di resistenza o di agitazione è l’esperienza della pace. […] Se riconosciamo la vera pace che è il sé, presente in tutte le situazioni, allora il corpo, la mente e il mondo ne saranno profondamente influenzati e sempre più permeati, iniziando così a risplendere della pace della nostra vera natura”. 

Tratto dal testo: “La presenza consapevole”, di Rupert Spira


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La continua ricerca della felicità … 

Cos’è ciò che chiamiamo amore? “La felicità è l’assenza di resistenza e di insoddisfazione, cioè lo stato naturale del sé, non qualcosa di diverso dal nostro essere. La felicità è ciò che siamo. Se non interviene il pensiero, la presenza consapevole, che è il vero sé, non oppone mai nessuna resistenza alla situazione in atto, perché è profondamente fuso con essa. Dice sì a tutto ciò che si manifesta; o meglio, il fatto che una cosa si manifesta significa che la presenza ha già detto sì. Questo ‘sì’ è la felicità, perché non conosce resistenza e non desidera cambiare la situazione in atto. Questa felicità è presente in tutte le situazioni, è lo stato naturale dell’esperienza che precede il pensiero, che fa resistenza o che desidera il cambiamento […]. La felicità, come la pace, è intrinseca al sé, anzi, è il sé. […] È sempre presente al nucleo di tutte le esperienze, benché apparentemente velata da queste ultime […]. Il motivo per cui non la notiamo è che spesso rifiutiamo l’esperienza in atto e cerchiamo di sostituirla con un’altra migliore. […] Il desiderio di felicità che caratterizza gran parte delle nostre azioni è, in realtà, il desiderio di assaporare la felicità sempre presente nella nostra vera natura, ma temporaneamente velata dal rifiuto della situazione attuale, dal rifiuto del questo e dell’adesso. La continua ricerca della felicità […] nega la felicità presente in questo momento nel nostro essere, ci condanna a continuare in eterno questa ricerca […]. L’esperienza dell’assenza di separazione tra il sé e ciò che viene percepito, è ciò che chiamiamo amore. In genere concepiamo l’amore come la vicinanza e l’intimità del rapporto tra due persone, dove è invece la condizione naturale di tutti i rapporti e tutte le esperienze. L’amore non è selettivo, solo il pensiero lo è. L’amore è comprensione, profondamente sentita, che l’esperienza non è fatta di due cose separate […]. È la scomparsa di questa apparente dualità, o meglio, la comprensione profonda che tale separazione non è mai esistita e che è stata semplicemente sovrapposta dal pensiero sulla vera natura dell’esperienza. Liberata da questa erronea visione, ogni esperienza si rivela essere amore, un amore che è tutto ciò che abbiamo sempre conosciuto. […] Se […] osserviamo da vicino e con sincerità i nostri pensieri e azioni, vediamo che sono quasi tutti orientati a ottenere pace, felicità e amore, ma attraverso la manipolazione delle situazioni e la ricerca di oggetti o rapporti futuri. Proprio questa proiezione in un immaginario futuro vela la pace, la felicità e l’amore già presenti al cuore di ogni esperienza attuale. […] Il presente è il sé. Noi non siamo presenti adesso, noi siamo l’adesso. […] Il vero e unico sé è intrinsecamente libero da motivazioni, scopi o programmi, ma è ciò […] a cui si dirigono. […] Possiamo definire l’illuminazione l’assenza di opposizione a ciò che è, la totale intimità con tutto ciò che avviene […]. Non è necessario, né possibile, ‘praticare’ per essere il sé: siamo già presenza consapevole, un tutt’uno con ogni esperienza. […] Per anni ci siamo esercitati a essere un io separato e interno al corpo-mente, ripetendo continuamente questa parte e trasformandola in una seconda natura, per conto della quale pensiamo, agiamo e ci mettiamo in rapporto con le cose. Ma questo io separato era solo un prodotto dell’immaginazione; era il pensiero. […] Non esiste nessun soggetto diverso dall’esperienza, che possa conoscerla rimanendone a distanza. L’esperienza è la massima intimità […]. L’esperienza non è divisa in un conoscitore e un conosciuto: c’è soltanto il puro fare esperienza. Io, la presenza consapevole e l’esperienza siamo una sola e identica cosa. […] I problemi […] sono relativi soltanto all’io separato, immaginato dal pensiero. È il pensiero che divide l’esperienza in ‘me’ e ‘non me’ […]. Se non c’è questa divisione immaginaria dell’esperienza, c’è l’intimità dell’esperienza del vedere, udire, toccare, pensare, sentire e così via”. 

Tratto da: “La presenza consapevole”, di Rupert Spira Fonte del Post: http://www.lameditazionecomevia.it/spira2.htm

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Libri di R. Spira


Rupert Spira, (Londra, 1960) è autore e conferenziere internazionale.


Intraprende molto presto una ricerca spirituale nell'ambito dell'advaita vedanta.


Verso la fine degli anni '70 conosce Krishnamurti, in occasione di alcuni incontri tenuti a Brockwood Park, ma è solo dopo vent'anni di studio e pratica della meditazione che incontra il suo maestro, Francis Lucille.


In dodici anni di insegnamento diretto, Lucille lo conduce a completare la ricerca intrapresa.


Oggi Spira, ceramista noto a livello internazionale, vive a Oxford con la moglie e un figlio, e conduce incontri e ritiri in tutto il mondo.


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La presenza consapevole. L'esperienza diretta della nostra vera natura.

Sin da piccoli scopriamo che ottenere l'oggetto dei nostri desideri sembra apportare un senso di felicità. Ma dopo un po' di tempo, pur possedendo ancora l'oggetto desiderato, la felicità svanisce. Basterebbe un tale fatto per capire che essa non dipende dagli oggetti o dai rapporti personali. Ma noi non facciamo altro che abbandonare l'oggetto di un tempo e sostituirlo con un altro, ripetendo il ciclo nel vano tentativo di assicurarci felicità e amore. Alcuni iniziano a percorrere altre strade spostando l'attenzione sulla spiritualità. La ricerca spirituale ci porta a scoprire dimensioni nuove e mira a ottenere stati mentali più che oggetti mondani o relazioni, ma poi si scopre che anche gli stati mentali non danno nient'altro che barlumi di pace. Un tale fallimento coincide talvolta con un periodo di crisi, in cui si comprende che quanto desideriamo veramente non si può trovare in alcuno stato corporeo o mentale né in nessuna circostanza terrena. Comincia allora un'indagine profonda sulla natura di noi stessi e sulla felicità, e questo libro ne indica ampiamente i percorsi e le scoperte, che tuttavia ognuno deve compiere per sé. Il nucleo profondo di noi stessi, la presenza consapevole, non è limitato alla nostra persona o alla nostra mente, ma è per sua natura libero, appagato e in pace. Nel riconoscimento diretto della propria vera natura si scopre di essere un tutt'uno con l'universo e l'amore si rivela la base di ogni nostra esperienza.

...


Il mondo esterno appare infinito, inesauribile, ma interrogandolo si giunge alla conclusione che a essere infinita e inesauribile è la coscienza. E a quel punto che lo sguardo si rivolge verso l'interno e la cornice materialista, causa di gran parte dell'infelicità provata dagli individui, comincia lentamente a sfaldarsi. Ciò che appariva come ineluttabile verità, cioè la separazione fra mente e materia e il dominio della materia sulla mente, con il portato di sofferenza che generava, non provoca più alcun turbamento. Al paradigma dominante se ne sostituisce uno nuovo, frutto di una rivoluzione interiore che tocca il fondamento della conoscenza di se stessi, da cui ogni altra conoscenza deriva. Rupert Spira conduce il lettore alla scoperta dell'antico modello della 'coscienza come realtà unica', solida base per l'esplorazione del Sé, e lo fa con una riflessione ad ampio spettro che prende in esame la natura della mente, la consapevolezza, l'indagine sul sé e il ricordo di sé. Un percorso che consente di mettere a fuoco la coscienza e liberarla dalle catene della dualità. Inserendosi nella tradizione dell'Advaita Vedànta, l'autore declina il concetto di 'filosofia perenne', una conoscenza fondamentale che trascende il tempo e lo spazio poiché la natura di tutti gli esseri umani è sostanzialmente la stessa, e va al di là dei condizionamenti culturali, religiosi o ideologici. Ogni cultura ha rivestito questa filosofia di specifiche caratteristiche, ma il suo messaggio originale è rimasto inalterato, ed è essenziale per l'umanità tutta. L'intento del volume è quello di far comprendere la non dualità al di fuori dello spazio angusto del dogma e di renderla accessibile a coloro che cercano conoscenza, pace e pienezza.


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